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« AL LUME DI CANDELABUONA DOMENICA »

Il Natale che non c'è più

Post n°176 pubblicato il 05 Dicembre 2013 da IO.RAMINGO
 

 

IL Natale Che Non C'è Più!

Quand'ero bambino non sapevo cosa fosse il Natale, ma nell'approssimarsi delle festività natalizie, tutto intorno a me assumeva un'aria diversa. La mamma cominciava con le sue pulizie che chiamava grandi pulizie di Natale, per distinguerle da quelle di Pasqua e quando finiva, chiedeva il mio aiuto per togliere la radio dall' angolo della prima stanza: capivo così che giorno 8 dicembre era vicino e lì doveva essere allestito il nuovo albero di Natale. Il nostro non era un albero con le radici, ma un ramo di cipresso dalle grosse dimensioni; a fornircelo, senza alcun compenso, erano i giardinieri del vicino cimitero che sfoltivano gli alberi e mettevano i rami migliori a disposizione degli abitanti della borgata. Dirvi che aiutavo la mamma ad addobbare l'albero sarebbe una bugia, ma mi estasiavo nel vedere con quanta cura lo adornava: ricordo ancora le palline di vetro sottilissimo e dalle forme più svariate: la casetta, il fiasco di vino, babbo natale con il mantello blu (non rosso), l'acquamarina (una semisfera con dentro una pallina contenente un liquido azzurro), le lucine multicolori dalle forme fiabesche, che ogni anno dovevamo riparare, i lampioncini stile liberty che oggi non si trovano più in commercio. Alla fine veniva posizionato un bel puntale con il centro azzurro come il nostro mare e da lì, dal punto più alto dell'albero ecco riversarsi cascate di fili argentati, e come tocco finale qualche fiocco di neve finta; l'albero era pronto: una meraviglia! In casa continuavamo in seguito a collocare qua e là qualche addobbo, mentre fuori il rumoreggiare dei bambini, ai quali poi mi sarei aggiunto anch'io, avvisava l'arrivo delle ciaramelle (ciaramieddi), che a turno suonavano nelle case, compresa quella mia e in quella di mia zia che abitava proprio sopra casa nostra. U' Ciarammiddaru (il suonatore di cornamuse) era un omino dalle guance rosse (forse così a forza di suonare), con lui il figlioletto più piccolo di me che cantava delle nenie bellissime: di alcune ricordo ancora le parole in dialetto e qualche volta li canto al nipotino mentre lo addormento. Con la prima novena di Maria, così erano chiamati i canti natalizi, iniziavano le pacificazioni nelle famiglie Patriarcali, come lo era la mia. Qualche giorno prima dell'8 dicembre, il padre mandava presso i vari figli i messaggeri di pace e invitava tutti a cena per la vigilia dell'Immacolata e il giorno dopo; nessuno osava mancare di rispetto al padre così la sera dell'sette dicembre, lontananza a parte per motivi di lavoro, tutti i figli e le loro famiglie al completo erano in casa dei propri genitori. Era un'occasione festosa, in cui grandi e piccoli ci ritrovavamo e tutti eravamo felici. In cucina le nostre mamme e le nonne preparavano piatti e dolci tipici del periodo natalizio: cutini e sasizza cu sucu, caidduna, vruocculi e cacuocciuli fritti ca pastiedda, petra fennula, mustazzuola, cannoli, cassata, buccellati e sfinci. Oggi ripenso con rammarico e con tristezza a quel periodo, quando nei cibi ricercavamo la tradizione della cucina siciliana, la genuinità e stavamo a tavola per il piacere di stare assieme ai parenti, come l'ultimo Natale trascorso coi miei nonni. Il mio augurio è che complice la crisi, le nostre tradizioni ritornino, e con esse la voglia di riunirsi con i parenti.

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