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Mondo Jazz

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IN DUE MILIONI A MONTREAL

Post n°2309 pubblicato il 04 Luglio 2012 da pierrde

Grande successo di pubblico e qualche inevitabile mugugno anche a Montreal, dove ci si pongono più o meno le stesse domande che ci facciamo anche noi. Ecco la cronaca:

 

Più di due milioni di appassionati sono arrivati nella città più popolosa del Quebec, per la 33esima edizione del Montreal International Jazz Festival. Iniziata il 28 giugno e lunga un mese, con oltre 3mila musicisti e artisti provenienti da circa 30 paesi diversi, la kermesse canadese, riporta la Bbc, si autocelebra come una "enorme compilation che ha nel jazz il suo punto forte".

A scorrere i nomi in cartellone, tuttavia, qualche critico ha azzardato: "Il jazz è morto". Sono in programma mille concerti e attività, la maggior parte gratuiti, in 15 teatri e in 8 palchi all'aperto. "E' una delle più belle feste della musica", ha commentato il direttore artistico Andre Menard.

Tra le star che si esibiranno ci sono i big del jazz, tra cui Wayne Shorter, Stanley Clarke, Melody Gardot, Norah Jones ed Esperanza Spalding. In cartellone anche l'idolo pop canadese Rufus Wainwright e l'artista britannico Seal, nomi che hanno fatto storcere il naso ai puristi, che hanno lamentato un "annacquamento" del genere. "Il nostro festival include musica vicina al jazz, senza essere jazz", ha spiegato il direttore Menard.

Il Montreal Jazz Festival è diventato un grande appuntamento da quando è stato lanciato nel 1980. Attorno all'evento, tuttavia, divampa la polemica sull'attuale stato della musica di New Orleans, con alcuni critici che danno il genere per defunto. "Il jazz era popolare negli Anni '40 - ha spiegato il musicista Tim Richards - poi è arrivato Elvis Presley e non è più stata la stessa cosa".

Il professore Stuart Nicholson, autore di "Is Jazz Dead? (Or Has it Moved To A New Address?)", rimane ottimista: "L'impulso creativo del jazz si è trasferito dall'America all'Europa, si tratta di una fase molto interessante del jazz", ha spiegato.

Fonte: www.tmnews.it

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 04/07/12 alle 10:45 via WEB
"L'impulso creativo del jazz si è trasferito dall'America all'Europa, si tratta di una fase molto interessante del jazz", ha spiegato. ----- non ditelo a Riccardo (e nemmeno a Gualberto...)
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 04/07/12 alle 12:20 via WEB
ah,ah.....ognuno è libero di credere a quello che vuole. Si può credere che Ruby sia la nipote di Mubarac ( a quanto pare ci hanno creduto in tanti), che i nostri calciatori non siano i più forti ma sono i più bravi, che Monti segua l'equità e quindi si può credere anche a questo. Io so solo che la musica o la si suona o la si ascolta (o tutte e due), non la si legge o la si valuta per sentito dire, quindi le varie opinioni le prendo per quel che possono valere, anche quelle sedicenti autorevoli. Non so se quella del prof Nicholson lo sia, non lo conosco. Francamente del tal professore o del tal altro posso anche fare a meno. Invece vedo che tu loop hai qualche problema ad orientarti in modo più personale. In generale, constato semplicemente che l'Europa è in un declino storico sin dal dopoguerra. Figuriamoci se un continente in crisi totale come l'Europa è oggi, può in questo momento storico rappresentare l'innovazione culturale e musicale. Liberi di crederlo, io sono certo che non è così e che la novità se c'è sta da altre parti. Loop, dammi retta, una battuta scherzosa tradotta dal dialetto delle ns parti: "meglio berlo mischiato" ("mei biel mesciat"), specie alla mattina...stammi bene
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 04/07/12 alle 12:43 via WEB
probabilmente il professore Stuart Nicholson è un pomposo incompetente (sicuramente ne capisce meno di te, Riccardo) però la sua uscita è riflette una sensazione generale di crisi nel jazz (americano). lui ci ha pure scritto un libro. in quanto all'Europa, ormai incapace di fornire stimoli culturali al mondo, mi risulta che la famosa "british invasion" del rock inglese abbia contagiato il mondo (dai Beatles agli Stones, dai Police ai Queen, agli U2) evidentemente non sapevano che erano il frutto di un continente culturalmente morto...
 
 
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riccardo il 04/07/12 alle 12:56 via WEB
Io non ho parlato di competenza o chi capisce di più o di meno. Questo lo dici tu, in tono ricercatamente polemico. Dico solo che sono in grado di farmi un'opinione sulla base di ciò che ascolto senza farmi condizionare dal parere altrui. Per esempio sto leggendo la storia del jazz di Zenni. Bel libro, musicologo che stimo su tante cose, ma del quale non condivido sempre il metodo e molti suoi pareri specie sulla contemporaneità musicale in ambito di jazz. Del resto se devo leggere da parte sua più righe positive sul contributo al jazz di D'Andrea e Trovesi (con tutto il rispetto per loro, sia chiaro), piuttosto che su Marsalis o Jarrett, qualche dubbio credo che possa venire. Sono opinioni critiche che vanno prese per quel che possono valere. In generale penso da moltissimo tempo che il contributo al linguaggio del jazz da parte dell'Europa sia enormemente sopravvalutato e per vari motivi extra musicali. Per lo più si tratta di un linguaggio derivativo dal jazz basato sull'aspetto improvvisativo più che idiomatico, non tanto di una sua evoluzione come si vuol far credere. Non dubito che il jazz sia in crisi in America, ma dubito molto che la sua evoluzione più significativa sia in Europa. Qualcuno ne è invececonvinto? bene, io no, anzi sono sicuro che sia un falso. Stammi bene.
 
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Gianni M. Gualberto il 04/07/12 alle 17:59 via WEB
Ognuno è libero di pensarla come crede, persino sulle rivoluzioni giovanili (credo che i Beatles, senza la cultura neroamericana, senza il coté bianco divulgativo di Elvis Presley, senza il barbershop singing, senza il doo-wop, senza il genio (proprio così, genio) di Brian Wilson e senza i Beach Boys, sarebbero rimasti a intonare ballate post-celtiche e i Rolling Stones avrebbero continuato a fare della musica derivativa dal blues senza un grande costrutto. Io, purtroppo, credo che l'Europa sia morta da molto tempo, suicidatasi con una buona volontà degna di ben miglior causa, per mano di Mussolini e Hitler: millenni di Storia e civiltà a poco valgono se devono portare all'Olocausto. E con l'Olocausto non è solo perita quella cultura ebraica che è alle fondamenta della civiltà europea, ma il cosmopolitismo, l'apertura mentale, la cultura di un mondo che meritava altra fine che non i forni crematori (peraltro ancora oggi esaltati dalla rinascita di una Destra europea sempre più aggressiva). Ma forse l'Europa era già entrata in agonia con il massacro indiscriminato della Prima Guerra Mondiale, quando scomparvero in un immenso macello intere classi dirigenti ed intellettuali (basti pensare alla falcidia fra i giovani intellettuali inglesi). Credo che il jazz sia stato il più forte campanello d'allarme che nuove culture e nuovi linguaggi erano alle porte, soprattutto in quei mondi che l'imperialismo europeo aveva bellamente depredato per secoli: e che oggi gli europei vogliano bearsi di mutuare un linguaggio contemporaneo da una loro ex-colonia non è che la prova ulteriore di un percorso all'incontrario. Francamente, non me la sento di addentrarmi ulteriormente nella polemica, che è un'"idle question" di foscoliana memoria. Quanto a Stuart Nicholson, per me è autore ben noioso e poco affascinante, che scriva di Billie Holiday o di Duke Ellington. Come molti autori anglosassoni, sa essere divulgativo, chiaro, conciso e altrettanto poco originale. Oltre ad avere l'astuta prerogativa di vendere gli stessi articoli (e delle interviste che sembrano, e direi non casualmente, dei "redazionali") a riviste e periodici sparsi qua e là per il mondo, egli è una sorta di portavoce, nel mondo anglosassone, di ogni vagito dell'ECM. Come dire, si guadagna il pane, fa bene. Ma certe sue opinioni direi che nascono -come dire?- da un conflitto di interessi.
 
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Gianni M. Gualberto il 04/07/12 alle 18:03 via WEB
Aggiungo che se devo viaggiare per apprendimento, vado a Tel Aviv, a Istanbul, a Sao Paulo, a Sydney, a Seul e in molti altri posti. In Europa vado per turismo: ha certamente tanti bei posti e tante belle memorie... Non so a quanto siano servite.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 04/07/12 alle 19:04 via WEB
ovviamente le opinioni sono opinabili, anche se quelle di Gualberto hanno un carisma di tutto rispetto. sull'Europa in declino posso concordare, ma la mia osservazione rimane valida: il rock inglese ha invaso il mondo. non importa quanto sia derivativo e a chi debba pagare dazio, rimane il fatto che si è imposto ed ha imposto delle mode (discutibili o meno è secondario). un altro aspetto della cultura europea che, secondo me, ha saputo imporsi è quella del cinema. Il neorealismo, la nouvelle vague, la commedia all'italiana, Bergman, Fassbinder, Eisestein ecc sono degli esempi di una cultura viva di un'Europa in disarmo.
 
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Gianni M. Gualberto il 04/07/12 alle 21:24 via WEB
Può darsi, però tutti noi potremmo citare un lungo elenco di geni ormai persi nella memoria o in tarda età. L'Europa fa bene a citare i suoi meriti (per quanto questi diventino spesso uno scudo protettivo per un numero sconfinato di nequizie) e nessuno che sia sano di mente potrebbe negare secoli e secoli in cui la civiltà ha saputo fare da contraltare alla barbarie. Ma se dobbiamo guardare alle generazioni succedutesi nel secondo dopoguerra il quadro si fa più malinconico. Ma perché, poi, vederci qualcosa di strano? E' crollato l'impero romano d'Oriente, è finito perciò l'impero bizantino, è scomparso l'impero ottomano, che pareva mummificato ma immortale, sono svanite le conquiste di Haroun al-Rashid, Saladino, Tamerlano e Genghis Khan e l'impero britannico è ridotto alle comparse che ancora si prestano alla redditizia recita del Commonwealth e alle isole Falkland, perché mai l'Europa dovrebbe permanere in posizioni privilegiate, decentrata ormai com'è, sia politicamente che economicamente? Per carità, non dico mica che ci sia di che godere, visto che la globalizzazione ha fatto salire alla ribalta anche poteri che sarebbe stato meglio fossero rimasti ancora ad affilarsi le unghie in qualche oscuro anfratto. Ma è dalla Prima Guerra Mondiale, se non da Sedan, che l'Europa si va consumando dietro a chimere di rado salubri: basti esaminare la situazione attuale per intravedere uno sfacelo, per quanto nascosto da strati di make-up. Peraltro, si vanno affacciando alla ribalta nazioni che, per varii motivi, non subiscono se non in modo marginare l'allure europea, basti pensare al Brasile, nazione che è stata allevata per oltre trecento anni nell'assoluta (e reciproca) ignoranza della cultura europea e che nel Novecento, pur con un rapporto di amore-odio, ha optato per modelli culturali di stampo americano. Ripeto, credo che proprio il jazz sia stato l'araldo di nuove civiltà in attesa di emergere e, per quanto mi riguarda, il jazz in Europa non è che un modello derivativo, per più adeguato che esso possa sembrare. E, come ho già scritto un'altra volta, non vedo un artista europeo che ne abbia alterato il corso, fatto salvo, e con molti distinguo, il caso di Django Reinhardt (erede, peraltro, di una tradizione nata lontano dall'Europa). Quanto al rock inglese, ne ho di rado ammirato il côté pop, i vezzi di un estetismo fonico di risulta, la magniloquenza presuntuosa; ho pertanto preferito l'impatto sociale del rock americano, che comunque, pur nel suo essere prevalentemente bianco, ha beneficiato della lezione africano-americana. Se proprio debbo riconoscere una valenza a certi linguaggi popolari europei, allora di gran lunga indicherei nel punk un approccio creativamente meno incline al sussiego. Ma, ovviamente, trattasi di opinioni del tutto personali, in un campo nel quale non sono grandemente esperto. Diciamo che dal 1945 ad oggi ho assistito ad un progressivo declino dell'Europa, frutto di un declino economico e, come già detto, di una sconcertante, spesso orribile (nei risultati) volontà suicida. Ma, è vero, io spesso mi riconosco in una vignetta di Altan, in cui Cipputi, ammiccando, solleva un calice ed esclama: "Sono un ottimista, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno..." E poi aggiunge: "... di merda." PS: Quanto a Eisenstein, se non erro, ebbe il suo bel da fare a tenere tranquillino Stalin (che, oltretutto, non so che simpatie avesse per le ascendenze ebraiche del regista)... La vita di molti, moltissimi intellettuali europei non è sempre stata tutta rose e fiori...
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 04/07/12 alle 21:53 via WEB
Rimane il fatto che, pur avendo fatto del cinema una mostruosa macchina d'intrattenimento e soldi, gli Usa non sono in grado di elencare tutti questi nomi: Antonioni, Bergaman, Fellini, Truffaut, De Sica, Rossellini, Clair, Godard, Pasolini, Fassbinder, Dreier, Eisenstein (alla faccia di Stalin), Polansky, Monicelli, Angelopulos, Malle, Kustoriza ecc. senza contare che Hichcock, Wilder, Lubitch erano europei... Il degrado europeo è innegabile, il baricentro del mondo si spostato da tempo, per carità, ma probabilmente questi signori non erano stati avvisati...
 
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Gianni M. Gualberto il 04/07/12 alle 22:22 via WEB
Non ho niente contro l'intrattenimento né contro i soldi (non credo che Polansky, a lungo finanziato da capitali americani, e lo stesso dicasi per Billy Wilder e tanti altri da te citati, pensasse all'arte sublime quando girava "Che" o "Per favore, non mordermi sul collo"), e se dovessi pensare al cinema americano solo in tali termini farei un bel torto a Francis Ford Coppola e figlia, Cecil B. DeMille, Brian DePalma, Tod Browning, Frank Capra, Monte Hellman, i fratelli Cohen, John Ford (!), Bob Fosse, George Cukor, Tim Burton, Robert Altman (!!), John Cassavetes, William Friedkin, Mel Brooks (perché dovrei fare a meno di Frankenstein Jr o Mezzogiorno e mezzo di fuoco o Per favore, non toccate le vecchiette...?), Sidney Lumet, Robert Aldrich, Roger Corman, D. W. Griffith (!!!), Elia Kazan (!!!!), George Roy Hill, Michael Curtiz, Terrence Malick, Kathryn Bigelow, Nicholas Ray, Samuel Fuller, Hal Ashby, Orson Welles (!!!!!), King Vidor e chi più ne ha più ne metta, per non parlare della caterva di attori che si potrebbero citare. E già che ci sono, non rinuncerei né a George Lucas e né a Spielberg (basta Duel per consacrarlo). E neanche a Walt Disney...
 
 
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loopdimare il 04/07/12 alle 22:38 via WEB
non ho nemmeno io nulla contro l'intrattenimento, ma la tua lista mi sembra un po' generosa...
 
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Gianni M. Gualberto il 05/07/12 alle 01:14 via WEB
No, è solo troppo corta.
 
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