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Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi del 13/10/2014
Post n°3718 pubblicato il 13 Ottobre 2014 da pierrde
Autore: Andy Hamilton Titolo: Lee Konitz, conversazioni sull’arte dell'improvvisatore Editore: Siena Jazz - Edt Pagine: 327 Prezzo: 20,00 euro
“Appena mi accorgo di suonare una melodia familiare mi levo il sassofono di bocca. Lascio che passi qualche battuta. Improvvisare vuol dire partire completamente da zero, fin dalla prima nota...” (L. K.) Devo dire che ascoltare qualche minuto di registrazione non rende giustizia ai musicisti. Ascoltare musica è una situazione moto fragile. Molte cose non mi dicono nulla, e allora mi interrogo. “Perche una volta sono insensibile, e quella dopo ricettivo? E’ che sto diventando vecchio e meno sensibile?”. Ma quando ascolto cose che con me hanno già funzionato, per vedere se ancora mi emozionano, sono sempre efficaci: Louis, Lester, Bird, Lennie, Warne, Bach, Bartók, Stravinsk (L.K.)
Un libro-intervista con Lee Konitz è un'opera importante per parecchie ragioni: anzitutto Konitz è praticamente il più vecchio tra i mostri sacri del jazz tuttora in attività (ha qualche anno in più di Sonny Rollins, Cecil Taylor e Ornette Coleman, ha esordito con Stan Kenton e Miles Davis), è un sassofonista dalla classe infinita, che si è sempre messo alla prova in situazioni e contesti differenti, mantenendo negli anni un'impronta unica e riconoscibile, è uno che ha sempre signorilmente evitato le strade più battute ed è l'allievo numero uno della scuola di Lennie Tristano, forse il più meraviglioso mistero della storia del jazz. Un libro, questo di Andy Hamilton - docente di filosofia ed estetica del jazz a Durham, nonché collaboratore di The Wire e Jazz Journal - che va consigliato quindi non solo ai jazzofili d'osservanza, ma a tutti quelli che volessero farsi un'idea del lavoro che sta dietro a una singola performance e alla passione che può smuovere ancora la musica in un ultraottantenne che ha più voglia che mai di raccontarsi. L'intervista è condotta con leggerezza e profondità, secondo capitoli tematici ben disposti (cronologici, ma anche specifici sul sassofono, gli equivoci sul "cool jazz", gli standard e la pratica dell'improvvisazione "intuitiva", cuore della faccenda che qua e là si inoltra nel tecnicismo per introdotti), e con modalità appena appena accademiche, ma tutt'altro che disturbanti. A emergere con forza sono alcuni dati salienti: in primis l'assoluta originalità di Konitz, unico contemporaneo a differenziarsi fin da subito dallo stile di Charlie Parker, e poi la sua concezione melodica e nitida dell'improvvisazione, così diversa dallo standard free-espressionista che siamo ormai abituati a considerare sinonimo tout-court dell'improvvisare. Fonte: http://www.ondarock.it/speciali/hamilton_konitz.htm
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Post n°3717 pubblicato il 13 Ottobre 2014 da pierrde
"Quello che abbiamo suonato è jazz? Se non lo è, perché non lo è? Ascoltate e ditemi qual è la differenza. Mi potresti rispondere che non è jazz, perchè non stiamo improvvisando, ma se io te lo faccio ascoltare senza dirtelo, non lo sapresti mai e quindi lo staresti liquidando per ragioni che non hanno nulla a che vedere con la musica che ascolti. È chiaramente jazz, ma a causa del processo che sta sotto, diventa magicamente non-jazz." Moppa Elliott, intervista leggibile qui: http://goo.gl/akxRdy Blue, il nuovo album dei Mostly Other People Do the Killing è, nota per nota, la riproposizione del capolavoro davisiano Kind of Blue. Il leader Moppa Elliott e il trombettista Peter Evans lavoravano all'idea già dal 2002. Le note accompagnatorie dell'album sono prese dal libro Finzioni di Jorge Louis Borges, che ha esplorato la stessa tipologia tematica nella letteratura. Enrico Bettinello su All About Jazz traccia una mappa ragionata ed emozionale del progetto ponendosi e ponendoci una serie di domande, perfettamente esplicitate dal brano dell'intervista a Elliott. Difficile, almeno per me, dare una risposta secca all'interrogativo di Enrico (Falso d'autore o geniale trovata ?). L'unica minima certezza è che Blue girerà nel mio lettore ma non tanto a lungo quanto l'originale che periodicamente mi è necessario riascoltare. |
Post n°3716 pubblicato il 13 Ottobre 2014 da pierrde
Il rock è sopravissuto alla sua funzione. J. Strausbaugh, Rock, Til They Drop, 2001 (...) le esibizioni delle vecchie divinità sono profondamente tristi. Sono esibizioni di persone vecchie che ricostituiscono il loro sè di adolescenti in modo patetico Marcel Danesi, L'adolescenza della cultura moderna
I Pink Floyd sono la più grande band mai esistita sul pianeta terra: prendiamolo e mettiamolo da parte. E diamo anche per scontato che molti di coloro che ne parlano o si prostrano di fronte alla loro arte lo facciano per “pro forma” anziché consapevolmente: buona parte di questi compreranno il ‘nuovo’ The Endless River giudicandolo sin da ora – e senza alcun elemento a loro supporto – se non il disco del decennio, almeno il migliore del 2014. Certamente, ‘non’ un disco dei Pink Floyd: che avevano smesso di essere tali almeno dai tempi di The Final Cut (1983), a tutti gli effetti il primo disco solista di Roger Waters. Da lì in poi solo una lunga e sofferta battaglia legale autorizzerà Gilmour, Mason e Wright (scomparso nel 2008) ad utilizzare il moniker della band, realizzando due album (A Momentary Lapse Of Reason e The Division Bell) che fatta eccezione per qualche perla davvero rara hanno messo a dura prova la noia e la pazienza anche dei più ortodossi. Continua a leggere qui: |
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