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TRENTAQUATTRO - Un giro di Tempo

Post n°35 pubblicato il 11 Marzo 2010 da passato_per_caso

Nel buio profondo della notte, si destò per un istante dal sonno-veglia che lo aveva avvolto. Sentì distinto giungere dal comodino accanto al letto il ticchettio della sveglia, lo stesso ticchettio che gli ricordava di molti più anni indietro quando nella sua prima infanzia dormiva, nelle notti d’estate, in quel letto alto, smisurato, che lo accoglieva nella casa di nonna.

Quella di allora era una vecchia sveglia meccanica, in metallo cromato, luccicante. Era il solo rumore che in quella parte di campagna gli avrebbe fatto compagnia, a parte il latrare lontano di qualche cane in un cortile adiacente. Ma di solito, la notte anche i cani dormivano ed era allora quel tic tac monotono, a scandire il tempo dell’ingresso al sonno, quando sempre al buio, con la luce della luna che filtrava appena dalle imposte avvicinate, guardava le ombre disegnarsi appena sopra le pareti candide che lo circondavano.

 

Lo colpì, anni dopo, quello stesso rumore, quasi identico, in una sveglietta giocattolo, animata al quarzo, ma con quel suono caratteristico che la distingueva, sulla bancarella del cinese al mercato, da tutte le altre, silenziose, anzi, mute.

 

E in quel tic tac per lui risuonarono come la voce dei ricordi, rievocando le emozioni ed i profumi di quel tempo, di quelle stesse lenzuola, di quel candor di muri. Lo stesso candor dell’anima del bambinetto che in quella stanza cercava il sonno, ed il risveglio un giorno dopo, col desiderio di crescere, di aspettare.

 

L’aveva scelta d’impulso più con il cuore che con il senso della necessità. Di tutto si poteva aver bisogno ma certo non di una sveglia, rumorosa peraltro. Ma si sa, il cuore sceglie oltre la nostra ragione, e vede pure più lontano, o forse solamente più indietro, o vede, semplicemente meglio.

 

E poi le scelte del cuore hanno un sapore diverso, portano una gioia spesso sopita in tutto il corpo, a poco a poco, come una scossa, o meglio un tepore che si trasforma in caldo. Fanculo, era una scelta di pochi euro, e la gioia di un ricordo, il suo sapore sparso dentro la bocca, valeva più quella cifra.

 

Si fermò per un istante a valutare il prezzo che si può pagare per una scelta del cuore. A volte è smisurato, altro che pochi euro…. Rievocò in un lampo il costo, sempre pagato, sempre in contanti, per ogni scelta maturata con l’istinto più che con la ragione. Il cuore è un cassiere attento, non lascia sfuggire nulla fra le maglie del tempo, e arriva sempre col suo conto in mano. Fu il lampo di un istante, la lama di un pensiero che trafigge il buio della veglia. Scacciò in un baleno quel momento molesto. Il ricordo dei conti pagati e di quelli che sai dovrai da lì a poco saldare, non concilia la serenità della notte e preferì rifugiarsi nello scorrere lento, preciso, dei ricordi legati ad un tempo. 

 

Era di notte, in quel momento, molto più tardi di un allora qualsiasi di quel bimbetto che attendeva il sonno accompagnato da quello stesso rumore, ma le emozioni lo inondavano come allora, come i ricordi. Erano una porta socchiusa dove quel tic tac sembrava più che altro un bussare.

 

Stretto nel lenzuolo della veglia assaporava quel misto di sapori e ricordi come un bene prezioso, come un dono e confondeva passato e presente, l’esser bimbetto di allora con l’esistenza da uomo.

 

Però quegli anni, come neve, te li ritrovi a ricoprir spalle e membra, ma il cuore no, quello è rimasto come allora. E ti stupisce, a volte, che chi ti interloquisce, non lo capisca ancora, e guardi la neve, e si scordi, ignori quel che invece nasconde.

 

 

Si girò un poco nel letto, un angolo di 180 gradi, nell’altra piazza, accanto a lui, una donna dormiva. Ne guardò il profilo di spalle, sapeva che il volto avrebbe disegnato una nuova storia. Era una compagna nuova, dentro quel letto solito. Era una barca, una nuova vela. Era una porta, oltre di lei un giardino, una strada, o forse, semplicemente un nuovo cammino.

 

Perché la vita è un viaggio, quello di ogni giorno, che non ti scegli  come meta o come mezzo, al più puoi scegliere chi ti accompagna per un tratto, o la sosta di un momento. E in quello spazio di viaggio lei gli era accanto.

 

E lui era nel viaggio di lei.

 

Così succede a volte che le strade s’intrecciano, così succede che si viaggi per strade parallele, ma non accade mai, o se succede è molto di rado, che uno dei due possa cambiar la sua di strada per accordarsi al viaggio dell’altro.

E non succede mai, o se succede è di rado davvero, che i viaggiatori possano cambiar entrambi direzione e scegliere una via tangente al punto della loro unione.

 

 

Ognuno vive dentro al proprio destino, e per una strada che appare perlopiù tracciata e hai voglia d’immaginarti libero di cambiarla giunto al bivio o di spiccare il volo. Ogni passo segue il suo precedente  dentro il moto del futuro preassegnato.

 

Fu forse, per un muto richiamo, che anch’ella, immersa nel profondo di un sogno, si girò ponendo il viso quasi a contatto dal suo. E fu da quelle ciglia chiuse che, forse, scappò un raggio di calore, uno solo che bastò a sciogliere la coltre di neve degli anni, ed arrivare al cuore e risvegliarlo in un sussulto, un vuoto d’aria, una vertigine.

 

Così, con la sensazione esatta di cadere, si tenne stretto alle lenzuola, così in quel volo che gli parve infinito, si lasciò scivolare, e a poco a poco, il sonno se lo riprese, con un sorriso intinto in volto, che lo ritrasse nell’attimo in cui pensò alla gioia del giorno dopo, la mattina, al risveglio, al primo bacio di lei, ancora un po’ stranita.

 

Fu l’aspettare di quel sapore che lo fece distogliere dal pensare al quanto del percorso assieme ancora avrebbe unito la sua storia a quella di lei.

 

Fu l’aspettare di quel sapore conosciuto, una delle poche  cose che di lei gli bastava conoscere del passato, a rasserenarlo, a togliere la neve d’intorno, a fargli aspettare, fiducioso, sereno l’alba del giorno dopo, ed il calore nuovo, o solamente rinnovato, di quell’amore ancora tutto da costruire.

 

Fu l’aspettare di quel sapore  che gli faceva attender d’essere sveglio, ancora una volta, col desiderio addosso di crescere. Di aspettare. E forse era quello il senso di quel suo ritrovarsi nuovamente bambino. E forse in quello stesso modo si richiudeva il giro dei passi già passati, delle emozioni attese e poi tornate. Del crescere, diventando uomo. Con lo stesso cuore e l’emozione d’un bimbetto addormentato al buio d’una notte d’estate con quello stesso tic tac a conciliargli tutta la voglia di un nuovo domani.

Perché il cuore è così si nasconde, a volte si confonde, si maschera dentro a sembianze, scatole, che mutano, cambiano, di stagione in stagione e gli anni arrivano e passano come le nevicate, dapprima fioccheggiano lentamente e li guardi stupito, a bocca aperta, e ci giochi finanche, e li stringi nel palmo di una mano, e li fai sciogliere, quasi sparire. Poi d’un tratto ti svegli, come passasse soltanto una notte, e te ne ritrovi carico le spalle, come una coltre di neve caduta all’improvviso. “Ma è soltanto neve” ti verrebbe da pensare, e invece sono gli anni e non hai sole o disgelo da aspettare che nessuno te li porta via.

 
 
 
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