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TRENTACINQUE - Il Prossimo Volo

Post n°36 pubblicato il 15 Marzo 2010 da passato_per_caso

Cercò una distanza da cui misurarsi, una linea da tracciare, un segno del percorso del suo cammino. L’origine e poi forse, l’arrivo

Cercò il suo punto più lontano e s’accorse che quello era solo un Ricordo.

A volte succede che quando il margine del discorso appena concluso, quello stesso che hai sperato fosse solo interrotto, quando il margine, dicevo, cade, o forse svanisce, allora la riva appaia lontana e, naufraga, ti lasci portar via dalla corrente, e speri a volte, che l’onda monti e ti sommerga e forse non hai nemmeno voglia d’un riaffiorar di terra, o di un porto.

Naufraga nel mare di bonaccia. A prua la costa un miraggio e a poppa un orizzonte perduto.

Naufraga in cerca di tempesta, dove il vento sferza la pelle e la pioggia inonda le vesti lacere e l’acqua par di ghiaccio e di ghiaccio è il cuore.

Sdraiata sui legni della zattera respiri il sale, lo avverti sopra i tagli e le ferite aperte, e il sangue mormora il tuo dolore. Ma non ti muovi, nulla par distoglierti dallo sguardo immerso dentro al blu del cielo. Quel cielo che non ha origine e neppure meta, quel cielo che par confonda la tua malinconia e il bisogno d’azzurro impetuoso dentro la tua anima.

Un cielo che sembra finisca appena sopra il terminar dell’indice, e se t’alzi lo tocchi, o almeno lo sfiori, ma lui, maligno, appena provi, sposta il suo orizzonte limite un poco più in là, e se pure salti,  lui, diabolico, d’improvviso sposta la sua cappa e sale, così che resti sempre appena un poco più in là la cima.

Un universo malvagio ti circonda e maledici il mare che non t’inghiotte ancora e i pesci e gli squali che ancora tardano nel dilaniar le carni e il resto. Solo la calma piatta d’un assolato pomeriggio estivo

E pensi sia così l’inferno, un naufragar de sola in mezzo al nulla Uno svanir di sogni e del “tutto già detto”. Uno sparir di quello “già fatto”, di quello già inventato. Pilastri eretti, fondamenta ritenute eterne, d’improvviso han preso a vacillare e poi, in un soffocar di polvere, sbriciolandosi, hanno iniziato a sprofondare.

E pensi così a una storia, una fatta di poche parole, una storia che non è inizio, ma piuttosto fine:

“scrisse Due su un foglio, e glielo regalò come fosse un sorriso. Due pensò, come a un'unità astratta e non la somma di singole parti. Due, la base, il punto di origine, la partenza. Guardò nel volo il gabbiano e contò: due le ali, e due gli occhi. Poi guardò la sua mano, e dopo l'altra. Anch'esse erano due, Ed allora si capì e, per la prima volta, quel giorno, si sorrise, persuasa di bastarsi, almeno fino al prossimo volo.”

 

Guardò la storia, la sua fine scritta sul fondo del cielo, poi con gli occhi cercò un gabbiano e contò due ali, e due gli occhi. Guardò le mani erano due anch’esse, anche per lei.

Capì che anche per lei era giunto il tempo di bastarsi e di sorridersi, e di aspettare paziente di riabbracciare il cielo, col cuore aperto in ali, e di sorridersi lungo l’attesa di un immancabile, prossimo volo.

 
 
 
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