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Buonaccorso da Montemagno

Post n°1548 pubblicato il 28 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Buonaccorso da Montemagno il Vecchio

1

Amor con le sue man compuose te,
che di sua gentilezza ornata t'ha,
con altera bellezza, che ti dà
d'amoroso piacere e di merzé,

mostrando in te quanto valore ha in sé,
perché ne' tuo begli occhi sempre sta:
el qual di gran dolcezza prender fa
chi mira quella luce dov'ell' è.

In bella giovinezza porti tu
adorna leggiadria come appar qui,
poi che tu se' ornata da lui sì

et hai perfettamente ogni virtù.
Così in sulla cima d'amor vo,
po' che del tuo amor fasciato so'.

2

Dappoi ch'i' persi i fiori e le vïole
e 'l bel paese e le vezzose piume
e 'l viso adorno pien d'ogni costume,
in pianto sto come fortuna vuole,

se già non cangia stil, com'ella suole,
per consolar il cor, che si consume
in urla, stride et in rabbiose schiume:
ché così fa Amor, chi ben lo cole.

Ma priego il cielo e dipoi ogni stella,
destino invoco, fato o chi far pote
o quel che l'arco porta e la faretra,

che mi conduca in servitù di quella
che sempre ride con pulite gote,
sicché del core ogni dolore ispetra.

3

Erano e mia pensier ristretti al core
dinanzi a quel che nostre colpe vede,
per chieder con disio dolce merzede
d'ogni antico mortal commesso errore,

quando colei che 'n compagnia d'Amore
sola scolpita in mezzo el cor mi siede
apparve agli occhi miei: che, per lor fede,
degna mi parve di celeste onore.

Qui rinsonava allora uno umil pianto,
qui la salute de' beati regni,
qui rilucea mia mattutina stella.

A lei mi volsi, e se 'l Maestro santo
sì leggiadra la fece, or non si sdegni
ch'io rimirassi allor cosa sì bella.

4

Fuggite, sospir lenti, al tristo core,
ch'amando spera e che morir si vede,
privo di que' begli occhi, onde merzede
non spero più, ché nol consente Amore.

E voi, spirti gentil, che in questo errore
avete sperïenza usata e fede,
piangete meco il mal che mi concede
l'avversa mia fortuna a tutte l'ore:

poich'i' son fuor del più dolce disio
ch'al mondo ma' disiassi uom terreno
per allentar sue pene e suo martìri,

e veggomi in un punto venir meno
pien d'ira e sdegno e condurmi al morire
e finir la mia vita in un baleno.

5

[All'imperatore Carlo IV di Boemia]

Inclita Maestà felice e santa,
ch'è di tua gloria e di tua gran virtute?
O disiata sol nostra salute,
o sacro Carlo, che sì bella pianta,

fama del tuo bel nome eternal, lassi?
Dapoi che 'l cielo in te nostra salute
riserbato ha dopo a miseria tanta,
circunda omai con gli onorati passi

Italia nostra peregrina intorno,
che sol te veder brama.
Ah, Signor mio, che glorïosa fama
ti serba un sacro e benedetto giorno,

se 'l vero el dir poetico distingue,
che del tuo nome adorno
cantino ancor mille famose lingue!

6

Lasso, dappoi che per amor tanto arsi,
invan gli anni, le notte e' giorni spesi!
Invano el ben servir, e quanto, intesi!
Invan quante parole e preghi sparsi!

Invano i passi e tutti i sospir farsi
veggio! Per uscir me dai lacci tesi,
invan sempre chiamai! Invan contesi
que' due begli occhi a me sempre sì scarsi!

Invan le rime! Invano ogni mio verso!
Invano ogni fatica! Invan si spera!
Questo so ben, ma lamentar non giova:

ond'io bramo per morte esser summerso,
perché ogni mio ben manca, il mal rinnuova.
E così va chi serve anima altiera!

7

Lume, che 'n questo tenebroso orrore
fosti scorta al mio corso e fido polo
de le tempeste mie, se nudo e solo
mi hai qui lasciato, io pur tempro il dolore,

io pur freno il desio di mandar fore
quest'alma afflitta, e me stesso consolo
che con l'ali d'onor t'alzasti a volo
ove non giunse mai penna o valore.

Or vedi la miseria de' mortali
e ti ridi del mondo e di sue fole
e ti pasce di gloria etterna e vera.

Ma, mentre miri il Sol che face il sole,
piacciati di viarmi in tanti mali
e di mostrarmi la tua forma intiera.

8

Non vide unque mai 'l sol, che tutto vede,
donna tanto leggiadra e tanto onesta,
bella, savia, gentil, né sì modesta
quant'è costei d'ogni virtute erede.

E se ci fusse chi il mio dir non crede,
miri sotto l'ammanto ch'ell'ha 'n testa:
vedrà quanto di gloria il Ciel le presta
e com' in lei risiede onore e fede:

ch'a 'ntonar le sue laude non è degno
spirito uman, perché tant'è suprema
che rompe e spezza ogni fiorito ingegno.

Giràn li sguardi d'esta Diadema,
lo modesto parlare e 'l suo cor degno
a tormi l'alma: onde 'l mio cor ne trema.

9

S'i' consento al desio che mi molesta,
veggo vergogna e duol seguirne insieme:
ché ben è folle il nocchier che non teme
di salvo porto mettersi in tempesta.

Libero uccel gioendo alla foresta,
chiuso poi in gabbia, lamentando geme.
Lasso, io il so ben! Ma me tal forza preme
ch'a più saggio di me tolto ha potesta.

Or come puossi quel che all'alma piace
e vuol, far che disvoglia e che dispiaccia?
Quest'è impossibil: dica altri che vuole.

Segua adunque che vuol, ch'i' mi dò pace;
e son contento pur ch'Amor mi faccia
arder da' raggi d'un sì vivo sole.

Buonaccorso da Montemagno il Vecchio

 
 
 
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