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« Che lingue curiose!Li vini d’una vorta »

Il Malmantile racquistato 07-3

Post n°1801 pubblicato il 01 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

SETTIMO CANTARE

71.
Bench'ei creda finita aver la festa,
Tira di nuovo e dà vicino al fondo.
Ed il suo cane acchiappa in sulla testa
Che fa urti che van nell'altro mondo;
Ond'egli stupefatto assai ne resta,
Dicendo: qui è quando io mi confondo;
Se tutt'il sangue egli ha di già versato,
Come a gridar può egli aver più fiato?


72.
Brunetto in questo mentre col suo fante
Avea di già, scorrendo pel giardino,
Il luogo ritrovato e quelle piante
Ov'è colei che chiede il suo Nardino.
E già l'ha tratta fuor bell'e galante,
Che non si vedde mai il più bel sennino (843);
E con un suo bocchin da sciorre aghetti (844)
Chiede da ber; ma non già se l'aspetti.

73.
Perch'ei del certo in quanto a contentarla
Non ci ha nè meno un minimo pensiero;
E però quante volle ella ne parla,
Muta discorso e la riduce al zero;
Ma perch'ella è mozzina (845), e colla ciarla
Le monache trarría del monastero,
Vede che s'ella bada troppo a dìre,
Si lascerebbe forse convertire;

74.
Però per non cadere in questo errore,
La piglia a un tratto e se la porta in strada;
Ed al vecchio fa dir pel servitore
Che più tempo non è di stare a bada
E ch'ei ne venga, ch'ei l'aspetta fuore,
Acciò con essi anch'egli se ne vada;
Che lì non vuoi lasciarlo nelle peste,
Ma condurlo al paese alle lor feste.

75.
Così di là poi tutti fer partita,
Ma più d'ogn'altro allegra la fanciulla;
Perchè non prima fu dell'orto uscita,
Ch'ogni incanto ogni voglia in lei s'annulla.
Anzi a' lor preghi in sul caval salita,
Senza più ragionar di ber nè nulla,
Va sempre innanzi agli altri un trar di mano
Fiera e bizzarra come un capitano.

76.
Brunetto si ridea di Pigolone,
Perch'ei parea nel viso un fico vieto,
E menava a due gambe di spadone (846),
Come egli avesse avuto i birri dreto.
E la donna diceva: Giambracone,
Che la duri!(847) ed il vecchio mansueto,
Che si vedeva fatto il lor zimbello:
Dagli pur, rispondea, ch'egli è sassello (848).

77.
Così scherzando, com'io dico, in briglia (849)
Ne vanno senza mai sentirsi stanchi;
E sempre ognun più calda se la piglia,
Perchè il timor gli spinge e sprona i fianchi
Perciò, dopo aver fatte molte miglia,.
E che lor parve un tratto d'esser franchi,
Tutti affannati per sì lunga via,
D'accordo si fermaro a un'osteria.

78.
Dove il padron, che intende fare a pasto (850),
Trova gran roba per parer garbato;
Ch'ei tien che a far non abbian troppo guasto,
Ma e' non sa ch'e' non hanno desinato.
Ben se n'accorge alfin ch'ei v'è rimasto,
Quando in sul desco poi non restò fiato,
E che quella per lui è una ricetta,
Che il guadagno va dietro (851) alla cassetta.

79.
Magorto intanto, finalmente stracco,
Di menar il randello a quel partito,
Sciolto ed aperto avendo omai quel sacco
Per cucinar la carne del romito,
Ed in quel cambio vistovi il suo bracco
Tra cocci e vetri macolo e basito,
Resta maravigliato in una forma,
Ch'ei, non sa s'ei sia desto o s'ei si dorma.

80.
S'io percossì quel vecchio mariuolo,
Com'ho io fatto, disse, un canicidio?
So ch'io lo presi e lo serrai qua solo,
Chè gnun potea vedermi o dar fastidio;
Non so s'io sono il Grasso Legnaiuolo (852)
A queste metamorfosi d'Ovidio,
Che sono in ver meravigliose e strane
Poichè un romito mi diventa un cane.

81.
Cane infelice, povero Melampo,
Che netto qua tenei (853) quanto si scerne!
Chi più farà la guardia al mio bel campo
Adesso che t'hai chiuse le lanterne?
Io ho una rabbia addosso ch'io avvampo,
Con quel vecchiaccio barba d'Oloferne (854)
Che al certo fatto m'ha così bel giuoco;
Che dubbio? metterei le man nel fuoco.

82.
Oimè! le mie stoviglie e il vin di Chianti (855)
Ch'io tolsi in dar la caccia a un vetturale,
A cagion di quel tristo graffiasanti
In un tempo e versato e ito male.
Giuro al ciel ch'io non vo' ch'ei se ne vanti;
E s'ei non vola, può far capitale
Ch'io voglia ritrovarlo; e s'ei c'incappa
Che mi venga la rabbia s'ei mi scappa.

83.
Lo troverò bensì, perch'io vo' ire
Qua intorno per veder s'io lo rintraccio.
Così corre alla porta per uscire,
Ma ei non può farlo perch'e' v'è il chiavaccio.
Lo squote e sbatte per voler aprire,
Ed or v'attacca l'uno or l'altro braccio.
Noiato alfine vanne e corre ad alto,
E da' balconi in strada fa un salto.

84.
Ma perchè ei vede quivi le pedate
Volte al giardino e poi verso la via,
Che Brunetto e quegli altri avean lasciate
Quando v'entraro e quando andaron via,
Insospettito lascia andare il frate
Ed entra nel giardino, e a quella via
Scorge quel suo cocomero diviso,
Ch'è stato (856) il fargli un fregio sopr'al viso.

85.
Poichè levata gli han quella figliuola
Che in esso, com' io ho detto, si trovava,
Per la stizza non può formar parola;
Si sgraffia, batte i denti e fa la bava;
E spalancando poi tanto di gola,
Urla, bestemmia il ciel, minaccia e brava,
Dicendo: o Macometto e tu comporti
Che si facciano al mondo questi torti?

86.
In quanto a te, chi ti pisciasse addosso,
So ben che tu non ne faresti caso;
Ma io che da miei dì mai bevvi grosso,
E le mosche levar mi so dal naso,
Saprò ben io a costor fare il cul rosso:
Credilo pur; perchè s'e' si dà il caso,
Che si darà senz'altro, ch'io gli arrivi,
Io me gli vo' di posta ingoiar vivi.

87.
Ma dove col cervel son io trascorso?
Più bue di me non è sotto le stelle;
Perch'innanzi ch'io abbia preso l'orso
Vo', come si suol dir, vender la pelle.
Fatti ci voglion qui, perchè il discorso
Fuorchè a i sensali, non fruttò covelle;
E mal per chi ha tempo e tempo aspetta:
Chè mentre piscia il can, la lepre sbietta.

88.
E però prima che a viola a gamba (857)
Una fuga mi suonin di concerto,
A casa Pigolon vogl'ir di gamba
Che vi sarà co' complici del certo.
Così conchiuso, corre ch'ei si sgamba,.
E come un bracco va per quel deserto,
Tutti quanti quei luoghi a uno a uno
Cercando, s'ei vi scopre o sente alcuno.

89.
Quel della cella del romito è il primo,
Ove trovando il passo e porto franco,
Intana drento e non vi scorge nimo (858),
Fruga e rifruga in qua e in là, nè anco;
Sgomina ciò che v'è da sommo a imo,
Ma tutto invano; ond'egli al fine stanco
Se n'esce colle man piene di vento,
Ma dieci volte più di mal talento.

90.
Entrò nel bosco e ogni contrada scorse
E in somma ne cercò per mari e monti;
E vedde senza metterla più in forse,
Il pigiato esser lui al far de' conti;
Onde nel fine all'arti sue ricorse,
Chè pur vuol vendicar sì grandi affronti
Così v'arriverò po' poi in quel fondo,
Se voi foste, dicea, di là dal mondo.

91.
E poichè fatti egli ha certi suoi incanti
Che gli riescon bene e vanno a vanga (859),
Andate, dice, o stummia (860) di furfanti,
Poich'a pianger volete ch'io rimanga.
Che sieno in casa vostra eterni pianti,
Tal che ciascuno e fino al gatto pianga.
E così poi di quanto aveva detto
Nè più nè manco ne seguì l'effetto.

92.
Poichè Brunetto e le sue camerate
Pagaron l'oste (il quale assai contese,
Perchè le gole lor disabitate (861)
Gli eran parute care per le spese),
Partiron, e poi dopo altre fermate,
Ei le condusse salve al suo paese;
E giunto a casa, ringraziando il cielo
Entra in sala, e di posta fa un belo (862).

93.
Entra la donna col romito appresso,
E, cominciaro a piangere ambedui;
Entra il famiglio e anch'egli fa lo stesso,
Senza saper perchè, nè men per chi.
Trovan Nardino ancor di male oppresso
E sbietolar lo veggono ancor lui;
L'astante che porgevagli l'orzata,
Pur ne faceva la sua quattrinata (863).

94.
Nardin vede colei bell'e vezzosa
Com'appunto l'aveva nel pensiero.
E dice: benvenuta la mia sposa;
Voi mi piacete a fè da cavaliero;
Ma voi piangete? ditemi una cosa,
Voi ci venite a malincorpo, è e' vero?
Non vogliate risponder ch'e' non sia,
Perchè voi mi diresti una bugia.

95.
Mettete pur così le mani innanzi,
Rispond'ella, signor, per non cadere;
Mentre temendo ch'io non mi ci stanzi,
Specorate (864) sì ben, ch'egli è un piacere:
Ch'io mi vi levi, ditemi, dinanzi,
Chè voi non mi potete più vedere,
Senza darmi la burla, ch'io m'acquieto,
E senza replicar do volta a dreto.

96.
Nè sossopra la man(865) non volterei,
Chè l'andare e lo star, mi son tutt'una;
E bench'al mondo io sia come gli Ebrei
Che non han terra ferma o patria alcuna,
Andrò pensando intanto a' fatti miei,
Per veder di trovar miglior fortuna;
Perchè, come dìceva Mona Berta,
Chi non mi vuol, segn'è che non mi merta.

97.
Ed ei risponde: oimè! Signora mia!
Non vi levate in barca così presto;
S'io non v'ho detto o fatto villanía,
Perchè venite voi a dirmi questo?
Abbiate un po' più flemma in cortesia,
Ch'ogni cosa andrà bene in quanto al resto;
Voi siete bella ed anco di più sposa,
Però non vogliat'esser dispettosa.

98.
Ella soggiunge, ed egli ribadisce:
Ella non cede, ed ei risponde a tuono:
Pur gli acquieta Brunetto, e al fin gli unisce,
Sicchè l'un l'altro chiedesi perdono;
Ma non per questo il lagrimar finisce,
Ch'ognora in casa e fuora e ovunque sono,
Perchè sempre si smoccica e si cola,
Hanno a tenere agli occhi la pezzuola.

99.
Vivono in somma in un continuo pianto;
Piangono i servi e piangon gli animali;
Onde il guazzo per terra è tale e tanto,
Che e' portan tutti quanti gli stivali.
Ma torniamo a Magorto, che frattanto,
Per saper quel che sia di questi tali
E dove la sua figlia si ritrovi,
Ha fatto al consueto incanti nuovi.

100.
E veduto ch'ell'è tra buona gente
Moglie d'un ricco e nobil baccalare (866)
E che giammai le può mancar nïente
Perch'ella è in una casa come un mare,
Non vi so dir s'ei gongola e ne sente
Contento grande e gusto singolare;
Di modo ch'ei si pente, affligge e duole
Di quanto ha fatto, e risarcir lo vuole.

101.
Perciò, per un suo cogno (867) se ne corre,
E nell'orto lo porta dove è un frutto
C'ha i pomi d'oro, e ne comincia a corre
Durando fin che l'ebbe pieno tutto.
E poichè dentro più non ne può porre,
Sapendo che 'l suo aspetto è molto brutto,
Si lava, ripulisce e raffazzona,
E rimbellisce tutta la persona.

102.
E presa addosso poi quella sua cassa
Ch'è tanto grave ch'ei vi crepa sotto,
Si mette in via, e presto se ne passa
Ov'è la figlia e il flebile raddotto,
Che al suo venire ogni mestizia lassa
Mutando in riso il pianto sì dirotto;
E versa i pomi in mezzo della stanza
Poi si sberretta in termin di creanza.

103.
E dice ch'egli è il padre della sposa,
E che di lui non abbiano spavento;
Perch'egli omai scordato d'ogni cosa,
L'antico sdegno totalmente ha spento.
Anzi, come persona generosa,
Vuol dare agli sponsali il compimento,
Ch'è quello che la sposa abbia la dote,
E che non vadia a marito a man vote.

104.
E perchè qualsivoglia donnicciuola
Porta la dote ed il corredo appresso,
Acciocch'in quella casa la figliuola
Possa mostrar d'aver qualche regresso (868),
Nè che (869) gli abbian a aver quel calcio in gola
Che un picciolo nè anche v'abbia messo,
La vuol dotar conforme al grado loro
Con quel gran monte di bei pomi d'oro.

105.
Gli sposi allor brillando con Brunetto
Gli rendon grazie e fan grata accoglienza;
Ed ordinato un grande e bel banchetto
Reiterâr le nozze in sua presenza.
Ed egli poi al fin con ogni affetto
Riverì tutti e volle far partenza,
Lodandosi del furto del romito,
Che sì grand'allegrezza ha partorito.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

Note:
(843) BEL SENNINO. Bella donna, savia e pulita.
(844) SCIORRE AGHETTI. A volere sciogliere co' denti un nodo in un cordoncino che abbia o no il puntale di metallo si atteggia la bocca in un certo modo, che essa pare molto stretta.
(845) MOZZINA. Astuta.
(846) MENAR DI SPADONE A DUE MANI s'intende bene quel che significhi: detto a due gambe, vale fuggire.
(847) CHE LA DURI tu a camminare! - Dice il Minucci che Giambracone fu un tale che andava sempre dicendo: Che la duri!
(848) SASSELLO è una specie di tordo che si crede più astuto degli altri; e però appena scoperto col frugnolo, si dice: Dàgli colla ramata, chè è sassello e scappa presto. Qui il detto è preso in un altro senso, quasi dicesse: Canzonate quanto vi pare.
(849) SCHERZANO IN BRIGLIA i cavalli nell'uscire di scuderia.
(850) A PASTO. A pagare un tanto per persona, non un tanto per vivanda.
(851) VA DIETRO e non dentro alla cassa; dunque non v'è guadagno.
(852) IL GRASSO LEGNIAIUOLO fu un Fiorentino tanto semplice, che, gli fu dato a credere, ch' e' non era più lui. Vedi la Novella così intitolata.
(853) TENEI per tenevi.
(854) BARBA d'OLOFERNE è lo stesso che Testa d'impiccato.
(855) CHIANTI. Regione di Toscana che produce vino eccellente.
(856) CHE È STATO ecc. La qual cosa è stata il maggiore sfregio che a Magorto potesse farsi.
(857) VIOLA A GAMBA. Violoncello. Fuga, concerto sono termini musicali.
(858) NIMO Nemo, niuno
(859) VANNO A VANGA. Vanno bene, come quando la terra cede quasi al peso della vanga.
(860) STUMMIA. Schiuma.
(861) GOLE DISABITATE. Insaziabili.
(862) BELARE. Piangere, e così appresso sbietolare.
(863) QUATTRINATA. Parte; quel tanto di merce che si può avere per un quattrino; e così diciamo scudata ecc.
(864) SPECORATE. Belate, piangete
(865) SOSSOPRA LA MAN ecc. Mi è tanto indifferente l'una o l'altra cosa, che non mi prenderei la pena di voltare una mano perchè segua più presto l'uno che l'altro effetto.
(866) BACCALARE. Uomo di stima. Baccelliere e Licenziato
(867) COGNO. Congius; misura.
(868) QUALCHE REGRESSO. Qualche facoltà di rivalersi, qualche autorità.
(869) NÈ CHE ecc. E che dal non aver lei dote non abbiano a prender motivo di conculcarla.

 
 
 
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