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Il Malmantile racquistato 08-2

Post n°1887 pubblicato il 02 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

OTTAVO CANTARE

26.
Un ve n'è in rima che La Sfinge è detto,
Scelta d'enigmi che non hanno uguali;
Perch'ognuno è distinto in un sonetto
Che il poeta ha ripien tutto di sali:
Perch'ei, che sa che è sale, ebbe concetto,
Acciocchè i versi suoi sieno immortali
E i vermi dell'obblio non dien lor noia,
Porgli fra sale e inchiostro in salamoia.(903)

27.
Altri poemi poi vi sono ancora,
Ed hanno (904) caparrato alla Condotta (905)
Grillo (906), il Giambarda, Ipolito e Dianora,
I sette Dormienti, e Donna Isotta,
E un certo MALMANTIL, che s'e' va fuora,
Ecco subito bell'e messe in rotta
Le Dee col Bambi (907), che l'ha chiesto, e vuole.
Farne all'acciughe tante camiciuole.

28.
Evvi anch'un libro di segreti, il quale
Giova a chi legge e insegna di bei tratti
E infra gli altri, a far che le cicale
Cantin, senza che 'l corpo se le gratti;
E a far che i tordi magri, coll'occhiale
Guardandogli, divengan tanto fatti.
Descrive poi moltissimi rimedi
Per chi patisce de' calli de'piedi.

29.
S'io vi narrassi tutto il continente (908),
Costui, diresti, ha i lucidi intervalli;
Pur vo' contarven'una solamente
Ch'è vera, nè crediate ch'io sfarfalli,
Racconta d'una tal parturïente
Che una carrozza fece a sei cavalli,
E ch'una voglia fu che avea avuta;
Ed io lo crederò senza disputa.

30.
Perchè la donna, come altera e vana,
Sopr'agli sfoggi ognor pensa e vaneggia;
E bench'ell'abbia un ceffo di befana,
Pomposa e ricca vuol che ognun la veggia:
Perciò colei ebbe la voglia strana
Della grandezza dell'aver la treggia
Ancorchè tutte, perchè il cervel gira,
Le girelle vorrian, chè 'l sangue (909) tira.

31.
Ma basti circa i libri quanto ho detto;
Perch'io, che negli studi non m'imbroglio
E questi mai nè altri non ho letto,
Chè forse i fatti lor saper non voglio,
A qualche error non voglio star soggetto,
Chè pur troppi n'ho fatti sopr'al foglio;
E poi perchè son tanti e tanti i tomi
Che né anco so dir d'un terzo i nomi.

32.
Però seguiam con Paride le Dee
A veder cose belle e stravaganti
E prima troverem di gran miscee:
Corpi di mummie ed ossa di giganti:
Essere in corpo a un pesce due galee,
Impietrite con tutt'i naviganti,
Legni, li quali esse han per tradizione
Che fur fatti del giuggiol(910) di Nerone.


33.
Chiuse in un vaso poi vedrem le gotte
Ch'ebbe quel vecchio chioccia (911) di Sileno;
E l'asta che fu, dicon, di Nembrotte,
Con che volle infilzar l'arcobaleno;
Benchè si creda più di Don Chisciotte:
E veramente non può far di meno,
Perchè in vetta, nel mezzo della lama,
V'è scritto Dulcinea ch'era sua dama.

34.
Pende dal palco un secco gran serpente
Che quasi al coccodrillo s'assomiglia;
E dicon che la coda solamente
Per la lunghezza arriva a cinque miglia;
Ma quel che più curioso di nïente
È certo, è una grandissima conchiglia
Ove fra minuta alga e poca rena
Sta congelato un uovo di balena (912).

35.
Evvi un mantice, il qual per via d'ingegni
Soffiando fa girare uno strumento
D'un arcolaio a ventiquattro legni,
Invenzion nuova d'orivolo a vento;
Perch'ogni stecca ha i suoi numeri e segni
Che mostran l'ore, e' quarti e ogni momento.
Chi vi dipana sa quant'ei lavora,
Ch'al fin d'ogni gomitol suona l'ora.

36.
Una sfera bellissima si vede
Ch'è sopr'a un ben tornito piedistallo,
Che per giustezza tutte l'altre eccede,
O sien fatte di legno o di metallo;
Vada pure e sotterrisi Archimede
Con quella sua ch'ei fece di cristallo,
Ch'e' bisogna guardarla e starsi addietro,
Perchè si rompe (913) giusto come il vetro.

37.
Chè questa, che con ogni diligenza
Di purgate vesciche fu commessa,
Se per disgrazia o per inavvertenza
Perquote o cade, ell'è sempre la stessa.
E se 'l cristallo ha in sè la trasparenza,
La vescica al diafano s'appressa;
Ed è un corpo che giammai non varia,
E quel si cangia ognor secondo l'aria.

38.
Se in Grecia fatta fu la cristallina
E questa (914) di vesciche vien da Troia,
Che a Fiesol fa portata a Catilina
La notte ch'ei fuggì verso Pistoia;
Ch'ei non giunse nè anco alla mattina,
Ch'il poveraccio vi tirò le quoia (915);
Sicchè due capitan sue camerate
La presero, e la diedero alle Fate.

39.
Mentre s'ammira così bel lavoro
E vi si fanno su cento argomenti,
Paride guarda, e vede una di loro
Cavarsi un occhio, la parrucca e i denti,
E dargli a un'altra, perchè in tutto il coro
Delle naiadi ch'ivi son presenti,
O fuora, chè pur anche son parecchi (916),
Han sol quei denti, un occhio e due cernecchi (917).

40.
Peroch'elle son cieche e vecchie tutte,
E loro i denti son di bocca usciti;
Ma non per questo ell'appariscon brutte
Ch'ell'hanno volti belli e coloriti;
E se mangiar non posson carne e frutte,
Elle s'aiutan con de' panbolliti,
Perchè quei denti, come l'occhio e i ricci,
Non hanno più virtù, ch'e' son posticci.

41.
Gli portan per bellezza solamente
Una per volta, acciocchè per la via
S'ell'ha ir fuora a vista della gente,
Asconda ogni difetto e mascalcía;
Ma il tenergli la legge non consente
Se non un'ora, e poi a quella via
A riportargli a casa vien costretta,
Acciocch'un'altra dopo se gli metta.

42.
Così per osservar le lor vicende,
Questa ch'io dico se gli cava adesso,
Già ritornata dalle sue faccende
Perch' il portargli più non l'è permesso
Ond'a quell'altra gli consegna e rende,
Cedendo ogni ragion e ogni regresso (918),
Perchè in quest'ora a ornarsi ad essa tocca
La fronte e il capo, e riferrar la bocca.

43.
Piena di cibi intanto una credenza
Vien pari pari aperta spalancata.
E fatta da vicin la riverenza,
Parole pronunziò (919) di questa data:
Cavalier, se tu vuoi far penitenza,
E in parte a noi piacere e cosa grata,
Ho munizion da caricar la canna,
E poi da bere un vino ch'è una manna.

44.
Credilo a me ch'egli è del glorïoso;
Però qua dentro, via, distendi il braccio,
Chè troverai del buono e del gustoso
Se tu volessi ben del castagnaccio (920).
Paride fece un po' del vergognoso;
Ma nel veder le bombole (921) nel ghiaccio
Mandò presto da banda la vergogna,
E fece come i ciechi da Bologna (922).

45.
Levatagli poi via la calamita
Di quel buon vino e massime del bianco,
Gli fataron le Dee tutta la vita,
Dalla basetta infuor del lato manco;
Sicchè, in quanto ad aver taglio o ferita
In altra parte, era sicuro e franco:
Poi dangli un brando colla sua cintura,
E del trattarlo l'intavolatura.

46.
E perchè il tempo ormai era trascorso
Che inviarlo dovean di quivi altrove,
Prima in sua lode fatto un bel discorso,
Che l'agguagliava a Marte, al Sole e a Giove,
Figliuol dissero, quanto t'è occorso
Fin qui stanotte, e il come e il quando e il dove
A noi palese è tutto per appunto,
Anzi sei qui per opra nostra giunto.

47.
Acciò tu vada incontro a un'avventura,
pro d'un, pover uomo questa notte.
Questo è un tal, cognominato il Tura,
Ch'in Parïon(923) gonfiava le pillotte.
Era in bellezze un mostro di natura,
sicchè tutte le donne n'eran cotte;
E lasciando i rocchetti ed i cannelli,.
Per lui, ch'è ch'è, facevano a' capelli

48.
Non ch'ei ne desse loro occasïone,
Come qualche Narciso inzibettato,
Ch'una cuffia ch'e' vegga a un verone,
Di posta corre a far lo spasimato;
Anzi è un di quei ch'al mondo sta a pigione,
A bioscio nel vestire e sciamannato;
Ch'addosso i panni ognor tutti minestra
Tirati gli parean dalla finestra.

49.
Ed esse eran capone; ma chiarite,
Alfin lasciando quel suo cuor di smalto,
Fecer come la volpe a quella vite
Ch'aveva sì bell'uva e tanto ad alto,
Che dopo mille prove, anzi infinite,
Arrivar non potendovi col salto
Gli è, me', disse, ch'io cerchi altra pastura,
Chè questa ad ogni mo' non è matura.

50.
Così non la saldò (924) già Martinazza;
La qual non vi trovando anch'ella attacco,
Poichè gran tempo andata ne fu pazza.
Avendo il terzo e quarto e ognuno stracco (925),
Condurre un giorno fecelo alla mazza (926);
E per via d'un che le teneva il sacco (927),
Avvezzo a tosar pecore ed agnelli,
Mentr'ei dormiva, gli tagliò i capelli.

Note:
(903) Questa ottava è di Antonio Malatesti, l'autore del libro in essa descritto, il quale costrinse il Lippi a introdurla nel suo Malmantile. Per maggiore intelligenza della medesima è da sapere che il Malatesti fu guardiano dei magazzini del sale di Firenze.
(904) ED HANNO ecc. Queste ninfe, queste Dee, come più sotto le chiama, han dato la caparra per comprare ecc.
(905) CONDOTTA è il nome di una via di Firenze ove sono moltissime botteghe di cartolai e alcune di stampatori e librai.
(906) GRILLO ecc, Son titoli di leggende e altre frottole.
(907) IL BAMBI era un pizzicagnolo.
(908) IL CONTINENTE. Credo che sia detto per giuoco, invece di il contenuto di questo libro.
(909) IL SANGUE. La cognazione fra le girelle delle carrozze e quelle delle lor testine.
(910) GIUGGIOLO ecc. Un tal Neri o Nerone, contadino, stando ascoso fra i rami di un giuggiolo, fu scoperto da certi suoi amici che per celia andavano a rubargli la casa; e vistolo esclamarono: Neron, tu sei in sul giuggiolo; modo che poi significò: L'esecuzione del mio progetto è impedita.
(911) VECCHIO CHIOCCIA, Vecchio malandato che cova il letto, come la chioccia i pulcini.
(912) UN UOVO DI BALENA. La balena, come è noto, non fa uova, ma figlia come i mammiferi. Perciò questo fenomeno è più curioso di niente, di qualsiasi altra cosa.
(913) PERCHÈ SI ROMPE ecc. La lezione più comune di questo verso è: Per timor che si rompa qualche vetro. Si è creduto però di preferire quella dell'edizione di Finaro, perchè è assai più bizzarro e spiritoso il dire che il cristallo si rompa giusto come il vetro.
(914) E QUESTA. L'e qui è semplicemente enfatica. Si può toglierlo, e il senso corre egualmente.
(915) TIRÒ LE QUOIA. Vedi c. IV, 20.
(916) PARECCHI può usarsi con nomi maschili e femminili.
(917) CERNECCHI. Capelli pendenti dalle tempie. Qui, Parrucca.
(918) REGRESSO, Azione, dritto. Vedi c.VII, 104.
(919) PRONUNZIÒ. Pare che la Credenza stessa parli: seppure non si sottintende la fata che ora aveva l'occhio, i denti e la parrucca.
(920) IL CASTAGNACCIO, pan di castagne, se non sia assai bene condito, è tutt'altro che un boccon ghiotto.
(921) BOMBOLE. Vasi di vetro da mettere il vino in fresco.
(922) I CIECHI DI BOLOGNA. Ci vuole un soldo per farli cantare, e due per farli chetare.
(923) PARIONE è una strada di Firenze dove soleano giocare a palla e a pillotta.
(924) NON LA SALDÒ. Non la finì con lui.
(925) STRACCARE IL TERZO E IL QUARTO. Pregare con grande insistenza questo e quello perchè ci renda un servigio.
(926) ALLA MAZZA. Alla sua rovina in un agguato.
(927) TENERE IL SACCO. Esser complice.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

(segue)

 
 
 
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