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Il Novellino 8-15

Post n°1956 pubblicato il 29 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

Il Novellino

LE CIENTO NOVELLE ANTIKE

LIBRO DI NOVELLE
ET DI BEL PARLAR GENTILE

LE CIENTO NOVELLE ANTIKE
[1525]

Questo libro tratta d'alquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di be' risposi e di belle valentie e doni, secondo che, per lo tempo passato, hanno fatti molti valenti uomini.

VIII

Come uno figliuolo d'uno re donò un re di Siria scacciato.

Uno signore di Grecia, lo quale possedea grandissimo reame ed avea nome Aulix, avea uno suo giovane figliuolo, al quale facea nodrire ed insegnare le sette arti liberali, e facèali insegnare vita morale, cioè di be' costumi. Un giorno, tolse questo Re molto oro e diello a questo suo figliuolo, e disse: - Dispendilo, come ti piace. - E comandò a' baroni, che non l'insegnassero spendere; ma solamente avvisassero il suo portamento e 'l modo ch'elli tenesse. I baroni, seguitando questo giovane, un giorno  stavano con lui alle finestre del palagio. Il giovane stava pensoso. Vide passare per lo cammino gente assai nobile, secondo l'arnese e secondo le persone. Il cammino correa a piè del palagio: comandò questo giovane, che fossero tutte quelle genti menate dinanzi da lui. Fue ubbidita la sua voluntade, e vennero i viandanti dinanzi da lui. E l'uno, ch'avea lo cuore più ardito e la fronte più allegra, si fece avanti e disse: - Messere, che ne domandi? - Il giovane rispose: - Domàndoti, onde se' e di che condizione. - Ed elli rispose: - Messere, io sono d'Italia, e mercatante. Sono molto ricco, e quella ricchezza ch'io ho, non l'ho di mio patrimonio, ma tutta l'hoe guadagnata di mia sollecitudine. - Il giovane domandò il seguente, il quale era di nobili fazioni e stava con peritosa faccia, e stava più indietro che l'altro. E non così arditamente, quelli disse: - Che mi domandi, messere? - Il giovane rispose: - Domàndoti, donde se' e di che condizione. - Ed elli rispose: - Io sono di Siria e sono re: ed ho sì saputo fare, che li sudditi miei m'hanno cacciato. - Allora il giovane prese tutto l'oro e diello a questo scacciato. Il grido andò per lo palagio. Li baroni e cavalieri ne tennero grande parlamento, e tutta la corte sonava della dispensagione di questo oro. Al padre furono raccontate tutte queste cose, e le domande e le risposte, a motto a motto. Il re incominciò a parlare al figliuolo, udenti molti baroni, e disse: - Come dispensasti? Che pensiero ti mosse? Qual ragione ci mostri, che a colui, che per sua bontà avea guadagnato, non desti, ed a colui, ch'avea perduto per sua colpa e follia, tutto desti? - Il giovane savio rispose: - Messere, non donai a chi non mi insegnòe, né a neuno donai; ma ciò ch'io feci, fu guidardone e non dono. Il mercatante non m’insegnò neente; non li era neente tenuto. Ma quelli che era di mia condizione, figliuolo di re e che portava corona di re, il quale per la sua follia avea sì fatto che i sudditi suoi l'aveano cacciato, m'insegnò tanto, che i sudditi miei non cacceranno me. Onde picciolo dono diedi a lui, di così ricco insegnamento. - Udita la sentenzia del giovane, il padre e li suoi baroni il commendaro di grande sapienzia, dicendo che grande speranza ricevea della sua giovinezza, che, nelli anni compiuti, sia di grande valore. Le lettere corsero per li paesi, a signori ed a baroni, e fùronne grandi disputazioni tra li savi.



IX

Qui si ditermina una questione e sentenzia, che fu data in Alessandria.

In Alessandria, la qual è nelle parti di Romania (acciò che sono dodici Alessandrie, le quali Alessandro fece il marzo, dinanzi ch'elli morisse), in quella Alessandria sono le rughe, ove stanno i saracini, li quali fanno i mangiari a vendere. E cerca l'uomo la ruga, per li piùe netti mangiari e più dilicati, sì come l'uomo, fra noi, cerca de' drappi. Un giorno di lunedì, un cuoco saracino, lo quale avea nome Fabrac, stando alla cucina sua, un povero saracino venne alla cucina, con uno pane in mano. Danaio non avea, da comperare da costui. Tenne il pane sopra il vasello, e ricevea il fumo, che n'uscia. E inebriato il pane del fumo, che n'uscia del mangiare, e quelli lo mordea, e così il consumò di mangiare. Questo Fabrac non vendèo bene, questa mattina. Recolsi a ingiuria ed a noia, e prese questo povero saracino e disseli: - Pagami di ciò, che tu hai preso del mio! - Il povero rispose: - Io non ho preso della tua cucina, altro che fumo. - Di ciò c'hai preso del mio, mi paga, - dicea Fabrac. Tanto fu la contesa che, per la nova quistione e rozza e non mai più avvenuta, n'andaro le novelle al Soldano. Il Soldano, per molta novissima cosa, raunò savi e mandò per costoro. Formò la quistione. I savi saracini cominciaro a sottigliare. E chi riputava il fumo non del cuoco, dicendo molte ragioni: - Il fumo non si può ricevere, e torna ad alimento, e non ha sostanzia, né proprietade che sia utile: non dee pagare. - Altri dicevano: Lo fumo era ancora congiunto col mangiare; era in costui signoria e generavasi della sua propietade. E l'uomo sta per vendere di suo mestiero, e chi ne prende, è usanza che paghi. - Molte sentenzie v'ebbe. Finalmente fu il consiglio: - Poi ch'elli sta per vendere le sue derrate, tu ed altri per comperare, - dissero, - tu, giusto signore, fa’ che 'l facci giustamente pagare la sua derrata, secondo la sua valuta. Se la sua cucina che vende, dando l'utile propietà, di quella suole prendere utile moneta; ed ora c'ha venduto fumo, che è la parte sottile della cucina, fae, signore, sonare una moneta, e giudica che 'l pagamento s'intenda fatto del suono, ch'esce di quella. - E così giudicò il Soldano che fosse osservato.



X

Qui conta d'una bella sentenzia, che diè lo Schiavo di Bari tra uno borghese ed uno pellegrino.

Uno borghese di Bari andò in romeaggio, e lasciò trecento bisanti a un suo amico, con queste condizioni e patti: - Io andrò, sì come a Dio piacerà, e, s'io non rivenissi, daràli per la anima mia; e s'io rivegno a certo termine, daràmene quello che tu vorrai. - Andò il pellegrino in romeaggio; rivenne al termine ordinato e raddomandò i bisanti suoi. L'amico rispuose: - Conta il patto. - Lo romeo lo contò a punto. - Ben dicesti, - disse l'amico. - Te': dieci bisanti ti voglio rendere; i dugento novanta mi tengo. - Il pellegrino cominciò ad irarsi, dicendo: - Che fede è questa? Tu mi tolli il mio falsamente! - E l'amico rispose soavemente: - Io non ti fo torto e, s'io lo ti fo, sianne dinanzi alla signoria. - Richiamo ne fue. Lo Schiavo di Bari ne fu giudice: udìo le parti, formò la quistione. Onde nacque questa sentenzia, e disse così a colui che ritenne i bisanti: - Rendi i dugento novanta bisanti al pellegrino, e 'l pellegrino ne dea a te dieci, che tu li hai renduti; però che 'l patto fue tale: «Ciò che tu vorrai, mi renderai». Onde i dugento novanta ne vuoli, rèndili, e i dieci che tu non volei, prendi.



XI

Qui conta come maestro Giordano fu ingannato da un suo falso discepolo.

Uno medico fu, lo quale ebbe nome Giordano, il quale avea uno discepolo. Infermò uno figliuolo d'uno Re. Il maestro v'andò e vide che era da guarire. Il discepolo, per tòrre il pregio al maestro, disse al padre: - Io veggio ch'elli morrà certamente. - E contendendo col maestro, sì fece aprire la bocca allo 'nfermo, e col dito stremo li vi puose veleno (mostrando molta conoscensa) in sulla lingua. L'uomo morìo. Lo maestro se n'andò e perdèo il pregio suo, e 'l discepolo li guadagnò. Allora il maestro giurò di mai non medicare, se non asini, e fece la fisica delle bestie e di vili animali.



XII

Qui conta dell'onore, che aMinadab fece al re David, suo naturale signore.

Aminadab, conducitore e mariscalco del re David, andò con grandissimo esercito di gente, per comandamento del re David, ad una città de' Filistei. Udendo Aminadab che la città non si potea più tenere e che l'avrebbe di corto, mandò al re David, che li piacesse di venire all'oste con moltitudine di gente, perché dottava del campo. Il re David si mosse incontanente, ed andòe nel campo Aminadab, suo mariscalco. Domandòe: - Perché mi ci hai fatto venire? - Aminadab rispose: - Messere, però che la città non si può tenere più, ed io volea che la vostra persona avesse il pregio di così fatta vittoria, anzi che l'avessi io. - Combattèo la città e vinsela, e lo pregio e l'onore n'ebbe David.



XIII

Qui conta come Antinogo riprese Alessandro, perch'elli si faceva sonare una cetera a suo diletto.

Antinogo, conducitore d'Alessandro, facendo Alessandro uno giorno, per suo diletto, sonare (il sonare era una cetera), Antinogo prese la cetera e ruppela e gittolla nel fango, e disse ad Alessandro cotali parole: - Al tuo tempo ed etade si conviene regnare, e non ceterare. - E così si può dire: «Il corpo è regno; vil cosa è la lussuria, e quasi a modo di cetera». Vergògnisi, dunque, chi dee regnare in vertude, e dilettasi in lussuria. Re Porro, il quale combatté con Alessandro, a un mangiare fece tagliare le corde della cetera a un ceteratore, e disse queste parole: - Meglio è tagliare che sviare; ché, a dolcezza di suono, si perdono le vertudi.



XIV

Come uno re fece nodrire uno suo figliuolo dieci anni, in luogo tenebroso, e poi li mostrò tutte le cose e più li piacque le femine.

A uno Re nacque un figliuolo. I savi strologi providero che s'elli [non] stesse anni dieci che non vedesse il sole, [che perderebbe lo vedere]. Allora il fece notricare e guardare in tenebrose spelonche. Dopo il tempo detto, lo fece trarre fuori ed innanzi a lui fece mettere molte belle gioie e di molte belle donzelle, tutte cose nominando per nome, e dèttoli le donzelle essere domòni. E poi li domandaro, quale d'esse li fosse più graziosa. Rispose: - I domòni. - Allora lo Re di ciò si maravigliò molto, dicendo: - Che cosa è tirànnia e bellore di donna!



XV

Come uno rettore di terra fece cavare un occhio a sé ed uno al figliuolo, per osservare giustizia.

Valerio Massimo, nel libro VI. narra che Calogno, essendo rettore d'una terra, ordinò che, chi andasse a moglie altrui, dovesse perdere li occhi. Poco tempo passante, vi cadde uno suo figliuolo. Lo popolo tutto li gridava misericordia; ed elli, pensando che misericordia era così buona ed utile, e pensando che la giustizia non volea perire, e l'amore de' suoi cittadini, che li gridavano mercè, lo stringea, providesi d'osservare l'uno e l'altro, cioè giustizia e misericordia. Giudicò e sentenziò, ch'al figliuolo fosse tratto l'uno occhio ed a sé medesimo l'altro.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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