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Rime inedite del 500 (III)

Post n°756 pubblicato il 08 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

III

[1 Di Luigi Alamanni]

Per farsi una ghirlanda la mia Clori
Giva cogliendo vari e vaghi fiori,
Tra' quali Amor nascosto
Con essi insieme fu legato e posto.
Prima alquanto dibatte l'ali e scuote
Per livrarsi da quel nodo, se puote;
Indi mirando fiso
La bella guancia e 'l delicato viso,
Le par che questo che l'ha fatto preda
Sia sola degna a cui sua madre ceda,
E che li dei del cielo
Possa arder tutti d'amoroso zelo.
Poscia toccando i vaghi suoi capelli
Che fanno l'oro e 'l sol parer men belli,
E spiran tale odore
Qual non mandò giammai l'Arabia fuore;
Volto alla madre dice: hor ti provede
D'altro amor, d'altro figlio e d'altro erede,
Ch'io costei vo' che sia
Hora il mio regno, hora la sede mia.

[2 Di Luigi Alamanni]

Quando Zephiro dolce a noi ritorna
E i campi e i prati di fioretti adorna,
Ogn'arbor si rinnova
E cantan lieti gl'augelletti a prova.
Da me l'orrido verno si diparte,
E torna primavera in ogni parte
Allor che Clori mia
Perch'io la veggia a me lieta s'invia.

[3 Di Luigi Alamanni]

Clori mia dolce più che 'l mele assai,
Mira i don' ch'io ti porto onesti e gai,
La rete e le calzette,
Il centolo, il frontale e le scarpette.
Questi come li vidde Filli avara:
Se li vuoi dare a me, vita mia cara,
Mi disse, io ti prometto
Tu sarai 'l mio bene è 'l mio diletto.
Ma io ti dico il vero, o Clori, e giuro
(Altrimenti mi sia 'l ciel empio e duro)
Che tu sola 'l mio amore
Sarai mai sempre, e la mia vita e 'l core.

[4 Di Luigi Alamanni]

Fuggemi Clori leggiadretta e snella
Qual pargoletto daino, o capriolo
Per questa selva e quella
Timido e tutto solo.
Va cercando la madre ove s'asconde
Che l'ha cacciata altra fiera più cruda,
E ad ogni sterpo e fronde
Che tocca trema e suda.
Ma non io già qual tigre, o qual leone
Seguo te per sbranarti; ah! ferma il piede,
Questo timor depone
E sol ch'io t'ami crede.

[5 Di Luigi Alamanni]

Ombrose valli, e voi fresch'erbe e frondi
E tu rivo ch'inondi,
Se mai grati vi fur' gl'ascosi amori
Di ninfe e di pastori,
Benigni hor vi mostrate e nascondete
Sotto vostr'ombre liete
Clori e Damon, che qui soli soletti
Stanno abbracciati e stretti.

[6 Di Luigi Alamanni]

S'io non ti bacio almeno
Una volta, mi sento venir meno,
E s'io ti bacio, o Clori,
Temo del sdegno tuo l'aspri furori,
Quinci la morte temo
E tutto di paura aghiaccio e tremo.
Donque non so che farmi,
Baciti, o no, ma ben sento mancarmi.

[7 Di Luigi Alamanni]

Sopra l'Hebro indurato al fanciul Thrace
Scherzando sotto i piedi il giel si sface,
Cade fra l'onde rapide, e la testa
Risecata dal ghiaccio in alto resta
La qual la madre ardendo di me nacque,
Questo, disse, alle fiamme, il resto all'acque.

[8 Di Luigi Alamanni]

Non si doglia Atteon, ché trasformato
In cervo da' suoi can sia devorato,
S'a chi sol cangia i giorni suoi felici
Fanno i servi il medesimo e gli amici.

[9 Di Luigi Alamanni]

Speme e fortuna addio, ch'in porto entrai
Schernite hor gli altri, ch'io mi spregio homai.

[10 Di Luigi Alamanni]

Mostra 'l suo mal dicendo un animale
Che così picciol sia fa piaga tale;
Ella ridendo: e tu che picciol sei
Che piaghe fai tra gl'homini e li dei?

[11 Di Luigi Alamanni]

Invidia ha questo ben che 'l peccatore
Purga col suo peccato dentro e fuore.

[12 Di Luigi Alamanni]

Se da l'alto splendor del chiaro padre
Fra l'umane miserie crude e ladre
A noi salvar l'immortal figlio viene
Per ritornarsen poi con mille pene,
Hor che deggiam per lui? Che d'esso inferno
Fatti siam cittadin del ragno eterno.

[13 Di Luigi Alamanni]

Molti furo a quistion chi avanti vada,
O piuma ornata, o valorosa spada.
Se questa mette in opra e quella insegna,
L'una e l'altra di par chiamarei degna.

[14 Di Luigi Alamanni]

Valoroso pensier, che cingi spada
Segui pur dell'onor la dritta strada;
Non temer di morir, né speme d'oro
Torca un fil sol dal martïal lavoro.

[15 Di Luigi Alamanni]

Mia madre di me gravida a gli Dei
Domandò 'l parto ch'uscirà di lei.
Donna, Marte, Phebo, huom, nessun de' dui,
Giunon dicendo, ermafrodito fui.
Cerca il mio fin, Phebo nell'onde il pone,
In croce Marte, e nel ferro Giunone.
D'un arbor ch'acqua adombra caggio offeso
Dalla mia spada e d'un pie' resto impeso.
Con la fronte nel fiume; onde a me nuoce
Maschio, femina, neutro, acqua, arme e croce.

[16 Di Luigi Alamanni]

All'uom sincero e d'ogni macchia puro
Non fa mestier d'arco e saette al lato,
Né d'elmo fatto in buona tempra e duro,
Né di scudo incantato.
Faccia vïaggio o per campagne e boschi,
O per alpestri monti e ombrose valli,
O per luoghi solinghi, oscuri e foschi,
O per aperti calli.
Ecco che solo e disarmato intorno
A questa selva, e lungo questo rivo
Clori cantando vo la notte e 'l giorno
D'ogn'altro pensier schivo;
Né malvagio apparir per farm' oltraggio
Veggio dovunque gli occhi in giro meno,
Così seguo securo il mio vïaggio,
Lieto e contento a pieno.
Pommi ove 'l sole occide l'erbe e fiori,
O dove 'l giel mai sempre e 'l vento stride,
Amerò sempre la mia dolce Clori,
Dolce se parla o ride.

[17 Di Luigi Alamanni]

Per ch'io mi sfacci e mi consumi, o Clori,
Non convien che tu in questo o in quel loco
Cerchi pietre, erbe e fiori
Per porle a Pluto in sacrificio al foco.
Gl'occhi rivolgi a me misero soli,
Gl'occhi tuoi disdegnosa e d'ira acerba
Questi quel che tu vuoli
Faranno in me vie più ch'incanto et erba.
Per farti una ghirlanda, la mia Clori,
Vado cogliendo in questo prato i fiori.
Deh t'abbracciasse io come
Questi ti cingeran le belle chiome!

[18 Di Luigi Alamanni]

Ecco la notte parte e 'l giorno appare
E incomincian gl'augei vaghi a cantare,
Rizzati, Clori mia,
E a pascolar le pecorelle invia.
Tra 'l monte Jano e tra 'l Marrocco siede
Una valle che 'l sol poco la vede,
Ivi su 'l mezzo giorno
Sarò io con le greggi mie d'intorno.
Presso al ruscel, che d'acqua pura e fresca
D'un saldo e vivo sasso par che esca,
Quivi solo soletto
Te sola con Amor solo t'aspetto.

[19 Di Luigi Alamanni]

Vendi, Rosa, la rosa, o pur te stessa,
Che 'l nome tenghi e la sembianza d'essa?

[20 Di Luigi Alamanni]

Fa d'esser ricco e d'aver più che puoi,
Ch'onor, gloria e virtù ti seguon poi.

[21 Di Luigi Alamanni]

È de la piuma l'aura assai men greve;
Ma d'ogni cosa è più la donna lieve.

Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

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