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La Secchia Rapita 11-2

Post n°1349 pubblicato il 10 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

        32
Ed ecco, da cinquanta accompagnato
de' primi de l'esercito possente,
il conte comparir ne lo steccato
con sopravesta bianca e rilucente,
sopra un caval pomposamente armato
che generato par di foco ardente:
sbuffa, anitrisce, il fren morde, e la terra
zappa col piede e fa col vento guerra.

        33
Disarmata ha la fronte, armato il petto,
nude le mani, e sopra un bianco ubino
gli va innanzi Renoppia, e 'l ricco elmetto
gli porta; e 'l buon Gherardo il brando fino,
il brando famosissimo e perfetto
di Don Chisotto; e 'l fodro ha il suo padrino.
Ha Voluce lo scudo, e seco a canto
Roldan la lancia, e Giacopino un guanto;

        34
l'altro ha Bertoldo, e l'uno e l'altro sprone
gli portano Lanfranco e Galeotto,
e 'l conte Alberto in cima d'un bastone
la cuffia da infodrar l'elmo di sotto:
ma dietro a tutti fuor del padiglione
l'interprete Zannin venía di trotto
sopra d'un asinel, portando in fretta
l'orinale, una ombrella e una scopetta.

        35
Armato il cavalier di tutto punto
e compartito il sole a i combattenti,
diede il segno la tromba, e tutto a un punto
si mossero i destrier come due venti.
Fu il cavalier roman nel petto giunto,
ma l'armi sue temprate e rilucenti
ressero, e 'l conte a quell'incontro strano
la lancia si lasciò correr per mano.

        36
Ei fu colto da Titta a la gorgiera
tra il confin de lo scudo e de l'elmetto
d'una percossa sí possente e fiera
che gli fece inarcar la fronte e 'l petto.
Si schiodò la goletta, e la visiera
s'aperse, e diede lampi il corsaletto;
volaro i tronchi al ciel de l'asta rotta,
e perdé staffe e briglia il conte allotta.

        37
Caduta la visiera il conte mira,
e vede rosseggiar la sopravesta:
e - Oimé son morto, - e' grida; e 'l guardo gira
a gli scudieri suoi con faccia mesta;
- Aita, che già 'l cor l'anima spira,
replica in voce fioca, aita presta. -
Accorrono a quel suon cento persone,
e mezzo morto il cavano d'arcione.

        38
Il portano a la tenda, e sopra un letto
gli cominciano l'armi e i panni a sciorre,
il chirurgo cavar gli fa l'elmetto,
e 'l prete a confessarlo in fretta corre.
Tutti gli amici suoi morto in effetto
il tengono: e ciascun parla e discorre
che non era da porre a tal cimento
un uom privo di forza e d'ardimento.

        39
Ma Titta poi che l'avversario vede
per morto riportar ne le sue tende,
passeggia il campo a suon di trombe, e riede
dove la parte sua lieta l'attende;
fastoso è sí che di valor non cede
a Marte stesso; e de l'arcion discende,
e scrive pria che disarmar la chioma,
e spedisce un corriero in fretta a Roma.

        40
Scrive ch'un cavalier d'alto valore
di quelle parti, uom tanto principale
che forse non ve n'era altro maggiore
né ch'a lui fosse di possanza eguale,
avuto avea di provocarlo core,
e di prender con lui pugna mortale;
e ch'esso de gli eserciti in cospetto
gli avea passato al primo incontro il petto.

        41
Spedí il corriero a Gaspar Salviani
decan de l'Accademia de' Mancini,
che ne desse l'aviso a i Frangipani
signor di Nemi e a i loro amici Ursini,
e al Cavalier del Pozzo e a i due romani
famosi ingegni, il Cesi e 'l Cesarini,
et al non men di lor dotto e cortese
Sforza gentil Pallavicin Marchese;

        42
che tutti disser poi ch'egli era matto,
quando s'intese ciò ch'era seguito.
Intanto avean spogliato il conte, a fatto
dal terror de la morte instupidito;
e gían cercando due chirurghi a un tratto
il colpo onde dicea d'esser ferito:
né ritrovando mai rotta la pelle
ricominciâr le risa e le novelle.

        43
Il conte dicea lor: - Mirate bene,
perché la sopravesta è insanguinata;
e non dite cosí per darmi spene,
ché già l'anima mia sta preparata:
venga la sopravesta. - E quella viene,
né san cosa trovar di che segnata
sia, né ch'a sangue assomigliar si possa,
eccetto un nastro o una fetuccia rossa

        44
ch'allacciava da collo, e sciolta s'era
e pendea giú per fino a la cintura.
Conobber tutti allor distinta e vera
la ferita del conte e la paura.
Egli accortosi al fin di che maniera
s'era abbagliato, l'ha per sua ventura,
e ne ringrazia Dio levando al cielo
ambe le mani e 'l cor con puro zelo.

        45
E a Titta e a la moglier sua perdonando
si scorda i falli lor sí gravi e tanti,
e fa voto d'andar pellegrinando
a Roma a visitar que' luoghi santi,
e dare in tanto a la milizia bando
per meglio prepararsi a nuovi vanti.
Cosí il monton che cozza, si ritira
e torna poi con maggior colpo ed ira.

        46
Ma come a Roma poi gisse e trattasse
in camera col Papa a grand'onore,
e l'alloggio per forza ivi occupasse
ne l'albergo real d'un mio signore,
e quindi poscia in Bulgaria levasse
co la possanza sua, col suo valore
a quel becco del Turco un nuovo stato,
fia da piú degno stil forse cantato:

        47
ché versi non ho io tanto sonori
che bastino a cantar sí belle cose.
E torno a Titta, che già uscendo fuori,
poi che a la tenda sua l'armi depose,
pel campo se ne gía sbuffando orrori
con sembianze superbe e dispettose;
quando accertato fu che la ferita
del conte nel cercar s'era smarrita.

        48
Qual leggiero pallon di vento pregno
per le strade del ciel sublime alzato,
s'incontra ferro acuto o acuto legno,
si vede ricader vizzo e sfiatato;
tale il Romano altier, che fea disegno
d'essersi con quel colpo immortalato,
sgonfiossi a quell'aviso, e di cordoglio
parve un topo caduto in mezzo a l'oglio.

        49
Ma il padrin ch'era accorto, il confortava
e dicea: - Titta mio, non dubitare:
non è bravo oggidí se non chi brava,
e, come diciam noi, chi sa sfiondare.
Se per vinto e per morto or or si dava
il conte e al padiglion si fea portare:
perché non possiam noi per tale ancora
nominarlo a le genti in campo e fuora?

        50
A te deve bastar ch'egli sia vinto
al primo colpo tuo; ché s'ei non muore,
non fu il tuo fin ch'ei rimanesse estinto,
ma sol di rimaner tu vincitore.
Lascia correr la fama, o vero o finto
che sia questo successo, egli è a tuo onore;
ed io farò che immortalato resti
da la musa gentil di Fulvio Testi.

        51
Fulvio col conte ha non vulgari sdegni,
e canterà di te l'armi e gli amori;
dirà l'alte bellezze e i fregi degni
ch'ornan colei ch'idolatrando adori;
le compagnie d'ufficio, i censi e i pegni
che per lei festi già su i primi fiori;
e i casali e le vigne e gli altri beni
c'hai spesi in vagheggiar gli occhi sereni.

        52
Gran contento a gli amanti e gran diletto
che possano veder le luci amate,
che portano squarciati i panni al petto
per godere il tesor di lor beltate!
Povero e ignudo Amor senza farsetto
dipinse con ragion l'antica etate,
ché spoglia chi per lui s'affligge e suda,
e lo fa vago sol di carne ignuda.

        53
Fra i successi d'amor canterà l'armi
e l'imprese ch'hai fatte in questa guerra;
e con sonori e bellicosi carmi
eternerà la tua memoria in terra.
E già di rimirar la Fama parmi
trombeggiando volar di terra in terra,
e contra 'l papa di tua mano a i venti
la bandiera spiegar de' malcontenti. -

        54
Cosí ragiona il Toscanella e ride,
e Titta ride anch'ei per compagnia;
ma l'amaro dal cor non si divide,
ché non sa ricoprir sí gran bugia.
Stette pensando un pezzo, e poi che vide
di non poter scusar la sua follia,
di far morire il conte entrò in pensiero
per sostener ch'egli avea scritto il vero.

        55
S'armò d'un giacco e con la spada a lato
l'andò subitamente a ritrovare.
Il conte a Sant'Ambrogio era passato
e stava con que' preti a ragionare;
Titta gli fece dir per un soldato
ch'uscisse fuor, che gli volea parlare;
il conte caricò la sua balestra,
e s'affacciò di sopra a una finestra.

        56
E a Titta domandò quel che chiedea,
ed ei rispose che venisse giuso;
il conte si scusò che non potea;
e vedendo che l'uscio era ben chiuso,
disse che se trattar seco volea,
trattasse quivi, o ch'egli andasse suso.
Titta allor furiando si scoperse,
e l'oltraggiò con villanie diverse.

        57
Ma il conte rispondea con lieta ciera:
- Voi siete un uom di pessima natura,
a tener l'ira una giornata intiera;
io deposi la mia con l'armatura.
Non occorre a far qui l'anima fiera
con spampanate per mostrar bravura;
io v'ho reso buon conto in campo armato
e son stato con voi ne lo steccato.

        58
Quand'anch'io irato fui con l'armi in mano,
voi dovevate allor sfogarvi a fatto.
Or, Titta mio, voi v'affannate in vano,
ch'io non ho tolto a sbizzarrire un matto.
Andate, e come avrete il cervel sano
tornate, e so che mi farete patto.
Io non ho da partir nulla con voi,
però dormite e riparlianci poi. -

        59
Titta ricominciò: - Becco e poltrone,
t'insegnerò ben io,;vien fora, vieni. -
Piú non rispose il conte a quel sermone,
ma destò anch'egli al fine i suoi veleni;
e scoccò la balestra, e d'un bolzone
il colse a punto al sommo de le reni
sí fieramente che lo stese in terra,
e saltò fuori a discoperta guerra,

        60
gridando: - Per la gola te ne menti,
romaneschetto, furbacciotto, spia. -
Titta aveva offuscati i sentimenti,
e a gran fatica il suo parlar sentía.
Ma saltaron color ch'eran presenti
subito in mezzo, e ognun gli dipartía:
e condussero Titta al padiglione
dilombato e che gía quasi carpone.

        61
Quivi dal Toscanella ei fu burlato
che dovendo levare al ciel le mani
d'aver l'emulo suo vituperato,
fosse entrato in umor bizzarri e strani
di volerlo ancor morto; e stuzzicato
sí l'avesse con atti e detti insani,
che d'una rana imbelle e senza morso
l'avesse al fin mutato in tigre, in orso.

        62
- Se tu disprezzi la vittoria, disse,
che puoi tu dir s'ella da te s'invola?
Chi va cercando e suscitando risse,
non sa che la fortuna è donna e vola. -
Tenea Titta le luci in terra fisse
mesto ed immoto, e non facea parola.
Ma tempo è omai di richiamar gli accenti
a i fatti de gli eserciti possenti.

Fine del canto undecimo

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