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Sabato 3 novembre

Post n°1636 pubblicato il 23 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

Sabato 3 novembre

Uscito stamattina con mia moglie, a piedi. Seguito la via delle Quattro Fontane, che scende dal Quirinale e che risale sul Pincio sotto il nome di via Sistina. A noi la scalinata di piazza di Spagna, 132 gradini. L'obelisco davanti a Trinità dei Monti. Via Condotti, poi via della Fontana di Borghese. Tornato sul Corso, molto animato sotto il bei sole. Botteghe, paccottiglia. Qualche donna della borghesia, una che ripassa, dal volto un po' allungato, colorito pallido, opaco, gli occhi grandi, l'aria seria e un po' triste. Non troppo alta, sottile e agile. La donna del mio libro.

Pomeriggio con monsieur de Behaine. Subito a San Paolo. Chiesa enorme, per cui Gregorio XVI e Pio IX hanno speso milioni. Finita da Leone XIII. Un tempio antico, una sala del trono, un pavimento di marmo fastoso, luccicante come ghiaccio, su cui i fedeli che si inginocchiano si vedono rovesciati. Non una panca, non un inginocchiatoio, non un angolo in cui sedersi e raccogliersi. Ovunque marmi pomposi, colonne di tempio, una luce bianca e uniforme, una maestà olimpica. I templi di Giove dovevano essere così. Mosaici dagli ori e dai colori vivi e brillanti; uno antico, nell'abside, nascosto da un'impalcatura (vedere nella guida). E un soffitto di ricchezza accecante, dai cassettoni carichi d'oro. Il tutto pomposo, solenne e vuoto. Ho chiesto a monsieur de Behaine, cattolico se fosse frequentata. Non spesso. Non è una parrocchia, non ha fedeli abituali; si trova su una strada a venti minuti a piedi da Roma. Viene gente solo per le cerimonie particolari. (Dal di fuori, una specie d: immenso granaio imbiancato. Mura nude, un campanile magro e basso.) Scoppia (sic) dunque queste malattia della pietra, del monumento per la gloria de] monumento. Le leggi degli imperatori romani trasmesse ai papi, ricevute a sua volta dal governo. Tutti vogliono edificare, lasciare la traccia imperitura dei proprio passaggio. Ogni papa ha voluto costruire pel divenire immortale, come gli imperatori romani che elevavano archi di trionfo. Perfino nelle riparazioni: un papa non risollevava un cippo, non riparava un vecchio muro, senza lasciare una targhetta con il proprio stemma. Le targhe di Pio IX sul Colossèo. Le tombe dei papi con i loro ritratti. Un'epidemia di vanità e di orgoglio, che Roma trasmette ai suoi padroni da oltre duemila anni. Oggi il governo italiano ha tentato di costruire quartieri nuovi, ministeri colossali, le Finanze, la Guerra, poi la Banca Nazionale ecc.

La via Appia. Si fa interessante solo alla tomba di Cecilia Metella. La strada, piuttosto stretta, sale e la tomba si trova in cima, sulla sinistra, accanto alla via. È una tomba rotonda, con un bei fregio: le feritoie medievali la trasformano da lontano in torrione. Di fianco, durante il medioevo, era stata costruita una specie di fortezza, di cui restano le mura merlate. Arrivando si ha sulla sinistra la tomba, sulla destra un muro coperto d'edera e in fondo alla strada un cipresso che ci sta bene. Poi la strada prosegue dritta fino a Casale Rotondo. Qua e là piccoli resti dell'antica pavimentazione: grosse pietre piatte, di lava, credo, molto irregolari e molto dure perfino per le vetture con sospensioni. Ai due lati della strada strisce d'erba e resti di un cimitero abbandonato, su cui fioriscono margherite, ruchetta e finocchio. Qua e là eucalipti, fichi, olivi, alcuni pini marittimi. Radi e sottili. A chiudere queste strisce d'erba matta, su ogni lato, un muretto basso di pietre a secco, all'altezza del gomito. Lungo tutta la strada. È qui che si allineano le tombe e nessuno dubita che un tempo si toccassero, che la fila fosse continua, che fossero come un cimitero lungo tutta la strada. Vi si ritrovano più o meno gli stessi modelli di tomba dei nostri cimiteri. Solo che i marmi sono stati strappati e restano le masse centrali, i blocchi, i mucchi di mattoni o pietre annegati nel cemento. Le forme: tonda come la tomba di Cecilia Metella, un cippo diritto, una massa quadrata, un piccolo portico, un blocco abbassato sormontato da un cippo, un portico sormontato da un cippo, una specie di sarcofago quadrato su una base stretta, che si leva in aggetto e forma al di sopra un coperchio. Il tutto rossastro, lo stesso colore delle rovine dei palazzi del Palatino. Anche menhir diritti, colonne su un masso. Altri infine senza forma, frusti, consumati, gli spigoli smangiati, a metà crollati.

Ma il fascino è costituito dalla campagna romana, che si stende a destra e a sinistra. A sinistra è delimitata dai monti della Sabina a est e dai monti Albani a sudest. Avanzando, questi ultimi si avvicinano e si vedono sempre più chiaramente le macchie chiare di Frascati, Rocca di Papa, Albano. Più vicino a Roma, l'Acqua Claudia srotola il suo acquedotto dagli archi rossastri nel verde dei prati. Qualche vigneto, modeste villette fra ciuffi d'alberi. Il tutto nel verde giallastro della campagna di novembre (d'estate è tutto bruciato, tutto rosso, rinverdisce solo in ottobre). Greggi, montoni, buoi. Sembra che questi pascoli rendano molto. Le greggi, assenti d'estate, ricompaiono solo a ottobre. L'estate è intollerabile. Ma dall'altro lato, a ovest, dal lato del mare, lo spettacolo è ancora più straordinario e grandioso. Tutto piatto una linea d'orizzonte immensa e piatta, senza un colle, solo qualche vallo e vaste ondulazioni. L'orizzonti è una linea diritta, da un capo all'altro. Non un albero. Un mare, e un mare d'erba, solo erba, un verdi giallo che degrada, che si perde nel lillà chiaro e ne rosa, fino all'azzurro del cielo. Un bei pomeriggio di novembre, verso le quattro. I monti Albani e le montagne della Sabina sono violetti e con il calare del soli si fanno rosa. Un gran cielo blu, senza macchie.

Le catacombe di San Callisto. Tornando verso Roma, sulla sinistra. Si passa una porta, si sale in un giardino, si arriva a una catapecchia. Montano la guardia alcuni trappisti francesi, installati in un vicini convento, che ci accompagnano durante la visita ali catacombe. Svolgono un piccolo commercio di oggetti religiosi. Mi pare che per scendere si paghi un franco Ci accompagna un religioso, che ci spiega tutto. Si scende lungo una scala e ci si trova nelle catacombe all'inizio poco profonde. Il modo in cui sono state scavate si spiega facilmente. I cristiani, che avevano preso dai Giudei, credo, l'uso di seppellire i morti cominciarono a scavare a qualche metro dal suolo un prima galleria di una decina di metri, per una famigli o per una piccola comunità (da verificare). Scavavano facilmente con la zappa questo terreno speciale, e tufo granulare (?), che è morbido e che ha la proprietà di essere molto resistente e impermeabile. Praticavano da ogni lato, sempre con la zappa, i fori per «loculi», specie di caselle lunghe, della grandezza ( un corpo, in cui sdraiavano i cadaveri avvolti semplicemente in un sudario. Poi chiudevano l'apertura con una lastra di marmo che veniva cementata. La lastra di marmo recava un'iscrizione, spesso grossolana, eh provava che gli operai erano illetterati. Anche questo lavoro da termiti, lo scavo, veniva effettuato in modo grossolano, senza simmetria, senza allineamento secondo le necessità del momento. I muri sono sbiechi, niente uso della squadra o del filo a piombo. Continuo a spiegare le gallerie: quando una prima era occupata, ne veniva aperta un'altra. Spesso continuavano a scavare in profondità, scendendo anziché avanzare, cosa che spiega l'altezza di alcune gallerie, sette, otto metri o forse più. Altre sono invece molto basse, quelle che sono state semplicemente prolungate in lunghezza. Il tutto indubbiamente (?) senza ordine, in tutti i sensi, forando la terra ovunque. Credo anche che ci siano due piani. Insomma, le catacombe di San Callisto si svilupperebbero lungo sedici chilometri ed è stato calcolato che vi siano stati sepolti un milione di cristiani, fra cui millecinquecento martiri.

Le iscrizioni interessanti sono state tutte tolte e portate nei musei. Le immagini erano comunque grossolane. Il pesce che è il simbolo del Cristo (le prime lettere, Gesù Cristo Salvatore). La palma che indicava il martirio. Altre che troverò nella guida. Ci sono anche dipinti, affreschi molto primitivi. Molto simbolici. Un Cristo senza barba, un simbolo di tutti i dogmi. Si trova in una piccola nicchia quadrata, una cappella dal soffitto basso. Nell'altra cappella, quella di Santa Cecilia, è stato trovato il corpo della santa. Era una tomba di famiglia. La gens Caecilia (a Trastevere, Santa Cecilia in Trastevere, credo). La bella iscrizione di un papa, versi latini. La scala di Diocleziano: i cristiani, inseguiti dai pagani, avrebbero spezzato gli ultimi gradini per non essere raggiunti (?). Ci mostrano uno scheletro ancora sdraiato in un loculus: un americano gli avrebbe spezzato il cranio con il suo bastone per accertarsi che non fosse falso. (Il terreno impermeabile ha conservato molto bene le reliquie: si trovano ossa ancora intere.) Notevole il trappista francese che ci guidava, con la mascella larga, l'occhio chiaro, molto convinto, molto ferrato, trionfante nella sua religione. Credo che il mio Pierre, dopo aver visto le tombe nella via Appia, testimoni dell'orgoglio alla luce del sole, debba scendere qui a vedere come i primi umili cristiani nascondevano i loro corpi, le modeste iscrizioni, l'arte scomparsa, gli affreschi infantili, le sculture grossolane. L'impressione da trame. Il nero delle catacombe, budelli irregolari e frusti in questa terra di un rosso cupo. E il lato sepolcrale, modesto, primitivo. Il termine dormire, credo, ricorrente (?).

L'idea che la morte non fosse che un lungo sonno. In seguito le catacombe non verranno più usate come sepoltura e il paganesimo trionferà di nuovo sul cristianesimo accettato, lo farà proprio e l'orgoglio si stenderà nuovamente sulla morte, scoppiando in gran lusso sotto il sole con le tombe dei papi ritornati Cesari. Le piccole luci in fondo alle gallerie, quando altri visitatori passano in lontananza. Sottili candele, topi di grotta. Il 22 novembre (?), giorno di Santa Cecilia, si dice una messa nella grotta chiamata cappella di Santa Cecilia e le catacombe vengono illuminate, ma la cerimonia deve levar loro il carattere. Credo che preferirò portare il mio Pierre nelle catacombe e lasciarcela solo per un momento, abbandonato dalla guida o magari dimentico di quello che dice e sognante.
Tornando a Roma, si segue fino a porta San Sebastiano la strada fra due muretti. Pare una strada della mia antica Provenza. Molta polvere, muri grigi, vigneti che trabordano, porte del XVIII secolo, fichi. Cipressi, olivi. Pare che d'estate la polvere sia inimmaginabile. È la mia Aix ingrandita, divenuta enorme.

Emile Zola
Tratto da Diario romano
(appunti sul viaggio a Roma dal 31 ottobre al 4 dicembre del 1894 per conoscere l'ambiente dove dovrà muoversi il protagonista di "Rome" un romanzo che fà parte di un ciclo iniziato con "Lourdes" e finito con "Paris")

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Data di creazione: 26/04/2008
 

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