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Canzoniere petrarchesco 7

Post n°1719 pubblicato il 08 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

41

Quando dal proprio sito si rimove
l'arbor ch'amò già Phebo in corpo humano,
sospira et suda a l'opera Vulcano,
per rinfrescar l'aspre saette a Giove:

il qual or tona, or nevicha et or piove,
senza honorar piú Cesare che Giano;
la terra piange, e 'l sol ci sta lontano,
che la sua cara amica ved'altrove.

Allor riprende ardir Saturno et Marte,
crudeli stelle, et Orïone armato
spezza a' tristi nocchier' governi et sarte;

Eolo a Neptuno et a Giunon turbato
fa sentire, et a noi, come si parte
il bel viso dagli angeli aspectato.


42

Ma poi che 'l dolce riso humile et piano
piú non asconde sue bellezze nove,
le braccia a la fucina indarno move
l'antiquissimo fabbro ciciliano,

ch'a Giove tolte son l'arme di mano
temprate in Mongibello a tutte prove,
et sua sorella par che si rinove
nel bel guardo d'Apollo a mano a mano.

Del lito occidental si move un fiato,
che fa securo il navigar senza arte,
et desta i fior' tra l'erba in ciascun prato.

Stelle noiose fuggon d'ogni parte,
disperse dal bel viso inamorato,
per cui lagrime molte son già sparte.


43

Il figliuol di Latona avea già nove
volte guardato dal balcon sovrano,
per quella ch'alcun tempo mosse invano
i suoi sospiri, et or gli altrui commove.

Poi che cercando stanco non seppe ove
s'albergasse, da presso o di lontano,
mostrossi a noi qual huom per doglia insano,
che molto amata cosa non ritrove.

Et cosí tristo standosi in disparte,
tornar non vide il viso, che laudato
sarà s'io vivo in piú di mille carte;

et pietà lui medesmo avea cangiato,
sí che' begli occhi lagrimavan parte:
però l'aere ritenne il primo stato.


44

Que'che 'n Tesaglia ebbe le man' sí pronte
a farla del civil sangue vermiglia,
pianse morto il marito di sua figlia,
raffigurato a le fatezze conte;

e 'l pastor ch'a Golia ruppe la fronte,
pianse la ribellante sua famiglia,
et sopra 'l buon Saúl cangiò le ciglia,
ond'assai può dolersi il fiero monte.

Ma voi che mai pietà non discolora,
et ch'avete gli schermi sempre accorti
contra l'arco d'Amor che 'ndarno tira,

mi vedete straziare a mille morti:
né lagrima però discese anchora
da' be' vostr'occhi, ma disdegno et ira.


45

Il mio adversario in cui veder solete
gli occhi vostri ch'Amore e 'l ciel honora,
colle non sue bellezze v'innamora
piú che 'n guisa mortal soavi et liete.

Per consiglio di lui, donna, m'avete
scacciato del mio dolce albergo fora:
misero exilio, avegna ch'i' non fôra
d'abitar degno ove voi sola siete.

Ma s'io v'era con saldi chiovi fisso,
non devea specchio farvi per mio danno,
a voi stessa piacendo, aspra et superba.

Certo, se vi rimembra di Narcisso,
questo et quel corso ad un termino vanno,
benché di sí bel fior sia indegna l'erba.


46

L'oro et le perle e i fior' vermigli e i bianchi,
che 'l verno devria far languidi et secchi,
son per me acerbi et velenosi stecchi,
ch'io provo per lo petto et per li fianchi.

Però i dí miei fien lagrimosi et manchi,
ché gran duol rade volte aven che 'nvecchi:
ma piú ne colpo i micidiali specchi,
che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi.

Questi poser silentio al signor mio,
che per me vi pregava, ond'ei si tacque,
veggendo in voi finir vostro desio;

questi fuor fabbricati sopra l'acque
d'abisso, et tinti ne l'eterno oblio,
onde 'l principio de mia morte nacque.


47

Io sentia dentr'al cor già venir meno
gli spirti che da voi ricevon vita;
et perché natural-mente s'aita
contra la morte ogni animal terreno,

largai 'l desio, ch'i teng'or molto a freno,
et misil per la via quasi smarrita:
però che dí et notte indi m'invita,
et io contra sua voglia altronde 'l meno.

Et mi condusse, vergognoso et tardo,
a riveder gli occhi leggiadri, ond'io
per non esser lor grave assai mi guardo.

Vivrommi un tempo omai, ch'al viver mio
tanta virtute à sol un vostro sguardo;
et poi morrò, s'io non credo al desio.


48

Se mai foco per foco non si spense,
né fiume fu già mai secco per pioggia,
ma sempre l'un per l'altro simil poggia,
et spesso l'un contrario l'altro accense,

Amor, tu che' pensier' nostri dispense,
al qual un'alma in duo corpi s'appoggia,
perché fai in lei con disusata foggia
men per molto voler le voglie intense?

Forse sí come 'l Nil d'alto caggendo
col gran suono i vicin' d'intorno assorda,
e 'l sole abbaglia chi ben fiso 'l guarda,

cosí 'l desio che seco non s'accorda,
ne lo sfrenato obiecto vien perdendo,
et per troppo spronar la fuga è tarda.


49

Perch'io t'abbia guardato di menzogna
a mio podere et honorato assai,
ingrata lingua, già però non m'ài
renduto honor, ma facto ira et vergogna:

ché quando piú 'l tuo aiuto mi bisogna
per dimandar mercede, allor ti stai
sempre piú fredda, et se parole fai,
son imperfecte, et quasi d'uom che sogna.

Lagrime triste, et voi tutte le notti
m'accompagnate, ov'io vorrei star solo,
poi fuggite dinanzi a la mia pace;

et voi sí pronti a darmi angoscia et duolo,
sospiri, allor traete lenti et rotti:
sola la vista mia del cor non tace.

Francesco Petrarca

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Data di creazione: 26/04/2008
 

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