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Messaggi di Aprile 2015

Poesie amorose per Laura 2

Post n°1553 pubblicato il 30 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Poesie amorose per Laura

SONETTO II

Aspirò ad un amore tant'alto, che, anche cadendo egli sarà lodato per la sua audacia.

Amor m'impenna l'ale, e tanto in alto
le spiega l'animoso mio pensiero,
che, ad ora ad ora sormontando, spero
a le porte del ciel far novo assalto.

Tem'io, qualor giù guardo, il vol tropp'alto,
ond'ei mi grida e mi promette altero,
ché, s'al superbo vol cadendo, io pero,
l'onor fia eterno, se mortal è il salto.

Ché s'altri, cui disio simil compunse,
dié nome eterno al mar col suo morire,
ove l'ardite penne il sol disgiunse,

ancor di me le genti potran dire:
- Quest'aspirò a le stelle, e s'ei non giunse,
la vita venne men, ma non l'ardire! -

Luigi Tansillo
(dal Canzoniere di Luigi Tansillo)

 
 
 

Poesie amorose per Laura

Post n°1552 pubblicato il 30 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Poesie amorose per Laura

SONETTO I

È felice d'amare una sì bella e nobile donna.

D'un sì bel foco e d'un sì nobil laccio
beltà m'incende ed onestà m'annoda,
ch'in fiamma e 'n servitù convien ch'i' goda,
fugga la libertate e téma il ghiaccio.

L'incendio è tal, ch'io m'ardo e non mi sfaccio;
e 'l nodo è tal, ch'il mondo meco il loda:
né m'agghiaccia timor, né duol mi snoda,
ma tranquillo è l'ardor, dolce è l'impaccio.

Scorgo tant'alto il lume, che m'infiamma,
e 'l laccio ordito di sì ricco stame,
che, nascendo il pensier, more il disio.

Sia serva l'ombra ed arda il cener mio,
poi che splende al mio cor sì bella fiamma,
e mi stringe il voler sì bel legame.

Luigi Tansillo
(dal Canzoniere di Luigi Tansillo)

 
 
 

Parole di altre lingue

Post n°1551 pubblicato il 30 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Parole di altre lingue.

Bazzàrro: Bazar.

Astracàne: Astracan, città della Russia.

Setaccio: Spagnolo: Sedazo.

Giannetta: Dal Turco: Ginetta.

Schina: Tedesco: Skina.

Ghèghene: Idem: Deretano.

Snappe: Idem: Acquavite.

Slòffe: Idem: Letto.

Inferlicchese: Idem: Busse.

Vappo: Spagnolo: Guapo.

Maramao: Maramaldo.

Nìcchese: Dal tedesco: No.

Milordo: Dall’inglese.

Milorderia: Idem.

Salamelecche: Salam-alaik.

Tartaifèlle: Dal tedesco: Il diavolo.

Chifeni: Chifel.

Gurde: Dal Tedesco: Gulden, fiorino. Da noi scudo.

Trincà’: Dal tedesco: bere. Trinchesvàine.

Giggi Zanazzo
(da: Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma)

 
 
 

Mortàn Guerièri!

Post n°1550 pubblicato il 29 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

107. - Pe’ le ’moroide asterne.

Fa’ li sorfumiggi de fiori de sambuco, de capomilla romana e de valeriana.
Se metteno sopra a un foconcino a bbrucià, e ppoi uno ce se mette sopre.
Quer profume è ’na manosanta che vve sràdica addrittura le moroide.


108. - Contro l’allèntaménto de l’urina.

Chi nun pô ritené’ er piscio o l’urina che ssia, è ssegno che ssoffre d’allèntaménto. Pe’ llevasse subbito ’st’incommido èccheve u’ rimedio ch’è ’na mano santa.

Pijate un sorcio, ammazzàtelo, pulitelo bbene, côcételo, o arosto o in un antro modo, poi magnàtevelo, e l’incommido de l’allèntaménto ve se passerà.


109. - Una cura pe’ smagrisse.

S’incomincia cor beve la mmatina, a ddiggiuno, un deto d’acéto, ma da quello bbôno; poi a mmano a mmano, invece d’un déto, du’ déta, poi mèzzo bbicchiere, e si uno l’arègge, anche un bicchiere sano. Ma bbisogna annacce piano; perchè si cchi fa ’sta cura nun è ppiú cche sincero, po’ insecchìsse ar punto da stennécce bbello che le gamme.

Giggi Zanazzo
(da: Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma)

 
 
 

Michelangelo Buonarroti

Post n°1549 pubblicato il 28 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Michelangelo Buonarroti

1

Molti anni fassi qual felice, in una
brevissima ora si lamenta e dole;
o per famosa o per antica prole
altri s'inlustra, e 'n un momento imbruna.
Cosa mobil non è che sotto el sole
non vinca morte e cangi la fortuna.

2

Sol io ardendo all'ombra mi rimango,
quand'el sol de' suo razzi el mondo spoglia:
ogni altro per piacere, e io per doglia,
prostrato in terra, mi lamento e piango.

3

Grato e felice, a' tuo feroci mali
ostare e vincer mi fu già concesso;
or lasso, il petto vo bagnando spesso
contr'a mie voglia, e so quante tu vali.

E se i dannosi e preteriti strali
al segno del mie cor non fur ma' presso,
or puoi a colpi vendicar te stesso
di que' begli occhi, e fien tutti mortali

Da quanti lacci ancor, da quante rete
vago uccelletto per maligna sorte
campa molt'anni per morir po' peggio,

tal di me, donne, Amor, come vedete,
per darmi in questa età più crudel morte,
campato m'ha gran tempo, come veggio.

4

Quanto gode, lieta e ben contesta
di fior sopra ' crin d'or d'una, grillanda,
che l'altro inanzi l'uno all'altro manda,
come ch'il primo sia a baciar la testa!

Contenta è tutto il giorno quella vesta
che serra 'l petto e poi par che si spanda,
e quel c'oro filato si domanda
le guanci' e 'l collo di toccar non resta.

Ma più lieto quel nastro par che goda,
dorato in punta, con sì fatte tempre
che preme e tocca il petto ch'egli allaccia.

E la schietta cintura che s'annoda
mi par dir seco: qui vo' stringer sempre.
Or che farebbon dunche le mie braccia?

5

I' ho già fatto un gozzo in questo stento,
come fa l'acqua a' gatti in Lombardia
o ver d'altro paese che si sia,
c'a forza 'l ventre appicca sotto 'l mento.

La barba al cielo, e la memoria sento
in sullo scrigno, e 'l petto fo d'arpia,
e 'l pennel sopra 'l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.

E' lombi entrati mi son nella peccia,
e fo del cul per contrapeso groppa,
e' passi senza gli occhi muovo invano.

Dinanzi mi s'allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com'arco sorïano.

Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra' per cerbottana torta.

La mia pittura morta
difendi orma', Giovanni, e 'l mio onore,
non sendo in loco bon, né io pittore.

Michelangelo Buonarroti

 
 
 

Buonaccorso da Montemagno

Post n°1548 pubblicato il 28 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Buonaccorso da Montemagno il Vecchio

1

Amor con le sue man compuose te,
che di sua gentilezza ornata t'ha,
con altera bellezza, che ti dà
d'amoroso piacere e di merzé,

mostrando in te quanto valore ha in sé,
perché ne' tuo begli occhi sempre sta:
el qual di gran dolcezza prender fa
chi mira quella luce dov'ell' è.

In bella giovinezza porti tu
adorna leggiadria come appar qui,
poi che tu se' ornata da lui sì

et hai perfettamente ogni virtù.
Così in sulla cima d'amor vo,
po' che del tuo amor fasciato so'.

2

Dappoi ch'i' persi i fiori e le vïole
e 'l bel paese e le vezzose piume
e 'l viso adorno pien d'ogni costume,
in pianto sto come fortuna vuole,

se già non cangia stil, com'ella suole,
per consolar il cor, che si consume
in urla, stride et in rabbiose schiume:
ché così fa Amor, chi ben lo cole.

Ma priego il cielo e dipoi ogni stella,
destino invoco, fato o chi far pote
o quel che l'arco porta e la faretra,

che mi conduca in servitù di quella
che sempre ride con pulite gote,
sicché del core ogni dolore ispetra.

3

Erano e mia pensier ristretti al core
dinanzi a quel che nostre colpe vede,
per chieder con disio dolce merzede
d'ogni antico mortal commesso errore,

quando colei che 'n compagnia d'Amore
sola scolpita in mezzo el cor mi siede
apparve agli occhi miei: che, per lor fede,
degna mi parve di celeste onore.

Qui rinsonava allora uno umil pianto,
qui la salute de' beati regni,
qui rilucea mia mattutina stella.

A lei mi volsi, e se 'l Maestro santo
sì leggiadra la fece, or non si sdegni
ch'io rimirassi allor cosa sì bella.

4

Fuggite, sospir lenti, al tristo core,
ch'amando spera e che morir si vede,
privo di que' begli occhi, onde merzede
non spero più, ché nol consente Amore.

E voi, spirti gentil, che in questo errore
avete sperïenza usata e fede,
piangete meco il mal che mi concede
l'avversa mia fortuna a tutte l'ore:

poich'i' son fuor del più dolce disio
ch'al mondo ma' disiassi uom terreno
per allentar sue pene e suo martìri,

e veggomi in un punto venir meno
pien d'ira e sdegno e condurmi al morire
e finir la mia vita in un baleno.

5

[All'imperatore Carlo IV di Boemia]

Inclita Maestà felice e santa,
ch'è di tua gloria e di tua gran virtute?
O disiata sol nostra salute,
o sacro Carlo, che sì bella pianta,

fama del tuo bel nome eternal, lassi?
Dapoi che 'l cielo in te nostra salute
riserbato ha dopo a miseria tanta,
circunda omai con gli onorati passi

Italia nostra peregrina intorno,
che sol te veder brama.
Ah, Signor mio, che glorïosa fama
ti serba un sacro e benedetto giorno,

se 'l vero el dir poetico distingue,
che del tuo nome adorno
cantino ancor mille famose lingue!

6

Lasso, dappoi che per amor tanto arsi,
invan gli anni, le notte e' giorni spesi!
Invano el ben servir, e quanto, intesi!
Invan quante parole e preghi sparsi!

Invano i passi e tutti i sospir farsi
veggio! Per uscir me dai lacci tesi,
invan sempre chiamai! Invan contesi
que' due begli occhi a me sempre sì scarsi!

Invan le rime! Invano ogni mio verso!
Invano ogni fatica! Invan si spera!
Questo so ben, ma lamentar non giova:

ond'io bramo per morte esser summerso,
perché ogni mio ben manca, il mal rinnuova.
E così va chi serve anima altiera!

7

Lume, che 'n questo tenebroso orrore
fosti scorta al mio corso e fido polo
de le tempeste mie, se nudo e solo
mi hai qui lasciato, io pur tempro il dolore,

io pur freno il desio di mandar fore
quest'alma afflitta, e me stesso consolo
che con l'ali d'onor t'alzasti a volo
ove non giunse mai penna o valore.

Or vedi la miseria de' mortali
e ti ridi del mondo e di sue fole
e ti pasce di gloria etterna e vera.

Ma, mentre miri il Sol che face il sole,
piacciati di viarmi in tanti mali
e di mostrarmi la tua forma intiera.

8

Non vide unque mai 'l sol, che tutto vede,
donna tanto leggiadra e tanto onesta,
bella, savia, gentil, né sì modesta
quant'è costei d'ogni virtute erede.

E se ci fusse chi il mio dir non crede,
miri sotto l'ammanto ch'ell'ha 'n testa:
vedrà quanto di gloria il Ciel le presta
e com' in lei risiede onore e fede:

ch'a 'ntonar le sue laude non è degno
spirito uman, perché tant'è suprema
che rompe e spezza ogni fiorito ingegno.

Giràn li sguardi d'esta Diadema,
lo modesto parlare e 'l suo cor degno
a tormi l'alma: onde 'l mio cor ne trema.

9

S'i' consento al desio che mi molesta,
veggo vergogna e duol seguirne insieme:
ché ben è folle il nocchier che non teme
di salvo porto mettersi in tempesta.

Libero uccel gioendo alla foresta,
chiuso poi in gabbia, lamentando geme.
Lasso, io il so ben! Ma me tal forza preme
ch'a più saggio di me tolto ha potesta.

Or come puossi quel che all'alma piace
e vuol, far che disvoglia e che dispiaccia?
Quest'è impossibil: dica altri che vuole.

Segua adunque che vuol, ch'i' mi dò pace;
e son contento pur ch'Amor mi faccia
arder da' raggi d'un sì vivo sole.

Buonaccorso da Montemagno il Vecchio

 
 
 

Vittoria Colonna

Post n°1547 pubblicato il 28 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Scrivo sol per sfogar l'interna doglia

Scrivo sol per sfogar l'interna doglia
ch'al cor mandar le luci al mondo sole,
e non per giunger lume al mio bel Sole,
al chiaro spirto e a l'onorata spoglia.

Giusta cagion a lamentar m'invoglia;
ch'io scemi la sua gloria assai mi dole;
per altra tromba e più sagge parole
convien ch'a morte il gran nome si toglia.

La pura fe', l'ardor, l'intensa pena
mi scusi appo ciascun; ché 'l grave pianto
è tal che tempo né ragion l'affrena.

Amaro lacrimar, non dolce canto,
foschi sospiri e non voce serena,
di stil no ma di duol mi danno vanto.

Vittoria Colonna

 
 
 

Giuramenti e imprecazioni

Giuramenti e imprecazioni in ebraico-vernacolo.

Pe’ vvita mia!

Nun siate vedovo.

Nun siate ammazzato

Mor di voi!

Te sii magagnato lo mazzallo, lo core e lo cervello!

Che ppozzi fa’ la fine de lo specchio!

Che ppozzi fa’ la morte de Barucca che ccascò da lo quinto piano! Ammènne.

Pozzi appiccià’ lo lume!

Pozzi cascà’ ppe’ li scali co’ le mane in saccoccia!

Pozzi penà’ e ffà ppenà’: sta’ ccent’anni su’ ’na ssedia e ccammannà’!

Chi da lo chiuso guarda machèmmi-vo. Lo dicevano incontrando un cristiano; e presso a poco significava: Male incolga al primo cristiano che incontro.

 Segno di croce degli israeliti secondo i cristiani: In nome di Baruccabbà, sempre pe’ rubbà’; mai pe’ restituì, e ppe’ fregà’ lo cristiano. Ammènne.

Giggi Zanazzo
da: Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma

 
 
 

Giovanna Caracciola (2)

Riporto gli altri sonetti di Giovanna Caracciola

VI.

Al Gran Luigi per la nascita del Duca di Bertagna

D'Alessandro, e d'Augusto i prischi onori,
Che tramandaro a noi l'antiche istorie
Non van pari, o Signor, colle tue glorie:
Solo di te son tue virtù maggiori.

Vasto impero de' Regni, e non de' cuori,
Degni reser già quei d'alte memorie;
Ma che! presto la vita, e le vittorie
Cederno al fato, ed agli altrui furori.

Tu regni invitto al Mondo, e più nell'alme;
Che de' popoli tuoi l'amor, la fede
Fan ferma base al tuo sovrano Soglio;

Ed or propizio il Cielo a te concede
Del gran Nipote al tenero germoglio
Ornar la culla di trionfi, e palme.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 366


VII.

Per il Compleanno di S. M. C. Filippo V.

Ecco già riede il fortunato giorno,
Che segnò di Filippo il gran natale;
Man non fu il primo al dì presente uguale,
Se con fasti più chiari ei fa ritorno.

Quello al nato fanciul sol vide intorno
Del sangue Augusto lo splendor reale;
Questo il vede impugnar brando fatale
Di proprie glorie, e di trionfi adorno.

Ma seguan pur gli anni felici il corso,
L'un più dell'altro a lui sarà secondo,
Finch'al suo piè curvi fortuna il dorso.

In giovinetta età reso fecondo
Di prole, e di vittorie, imporrà il morso
A i più rimoti popoli del Mondo.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 364


VIII.

Nell'Incoronazione di S. M. C. Filippo V. successore di Carlo II. ne' Regni di Spagna.

Opra è, Signor, del Ciel quel, che a noi scende,
Alto conforto nell'angustie estreme.
Egli Carlo ne tolse, e in un la speme
Di pace, ma la pace in te ci rende.

Egli, da cui ogni gran ben dipende,
E di tutto quaggiù la cura preme,
Ti fe nostro Monarca, e ti diè insieme
La virtude, e il valor, che in te risplende.

Or se t'arride il Cielo, e dà la sorte
Di nuovi imperj, e d'altre glorie i segni,
Seguili pur sotto sì belle scorte;

Che nulla a terminare i gran disegni
Manca, se già per farti e grande, e forte
Ti diè il sangue Luigi, e Carlo i regni.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 366


IX.

Or che dee risonar mio rozzo canto
Fra vaghe Ninfe, e nobili Pastori,
Palpita il cor nel sen, sento i rossori,
E di giusta vergogna il volto ammanto.

Poichè basso è lo stil, nè merta il vanto
Di spiegarsi tra Cigni, a cui gli onori
Si devon sol de' più pregiati allori,
Che mai nascesser là presso Arno, e Manto.

Che farò dunque? a te, Febo, mi volgo,
Nume gentil, tu porgi a questo petto
Voce miglior di questa, ch'ora sciolgo.

Tu assicura il timor, tu dà diletto
A chi m'ascolta, onde con quel del volgo
Non resti il canto mio vile, e negletto.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 363; Recanati, 1716, pag. 118


X.

Quando il core era mio, tranquille l'ore
Godeva Io sempre con egual diletto;
Non m'usciva sospir giammai del petto:
Nè versava dagli occhi il pianto fuore.

Non turbava i miei sogni ombra d'orrore;
D'Amore, e sdegno non provava affetto;
In me solo vivea, in me ristretto
Cauto passai di verde etade il fiore.

Vivo in altrui, or che non son più mio;
Di me stesso non curo, e ben conosco
Quanto da me diverso ora son'io.

Torbida m'è la notte, il giorno fosco;
Ardo, piango, sospiro, e provo, oh Dio!
Quando meno il dovrei, d'Amore il tosco.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 364

 
 
 

Giovanna Caracciola

Le note biografiche sono tratte dal sito Donne in Arcadia.

Caracciolo (Caraccioli) Giovanna
Nome arcadico: Nosside Ecalia (Eccalia)
Colonia: Arcadia, Roma, dal 1696
 
Dati biografici tratti da NATALI 1936, p. 163: "Giovanna Caracciolo (1651-1715), coltivò, oltre la poesia, la storia e la filosofia."

Principessa di Santo Buono, da Napoli. BERGALLI 1726, nell'indice, annota: "Giovanna Caracciolo nacque in Napoli di D. Giuseppe Caracciolo Principe della Torrella e di Donna Costanza di Capua, e non che nella Poesia, fu versata nelle filosofiche materie, e nella Storia Sacra, e profana; ebbe in marito D. Marino Caracciolo Principe di Santobuono, venne annoverata in molte Accademie, fra gli Arcadi col nome di Nosside Eccalia. In età d'anni 64 del 1715 lasciò di vivere nella Città di Roma."

Destinataria dell'opera di Apostolo ZENO, "Statira, dramma per musica da rappresentarsi nel Teatro Tron di S. Cassano il carnovale dell'anno 1705", In Venetia, Appresso Marino Rossetti. In Merceria all'Insegna della Pace, 1705, 60 pp. [dedicato alla nobilissima eccellenza di D. Giovanna Caraccioli [principessa di Santo-Buono; musica: Gasparini, F.; libretto: Zeno, A. e Pariati, P.].

Riporto anche qui di seguito cinque dei dieci suoi sonetti da me conosciuti

I.

Or, che scioglier degg'io mio rozzo canto
tra vaghe ninfe, e nobili pastori,
ond'ha l'Arcadia mia fregi, ed onori;
ben di giusta vergogna il volto ammanto.

Che roca voce mal risuona a canto
a nobil suon di cigni almi e canori:
degni de' più superbi, e verdi allori,
che 'n riva crebber mai d'Arno, o di Manto

ma tu, Febo, che in Pindo a parte a parte
rischiari, e tergi ogni più oscuro stile,
ov'aprì il lume di tua nobil arte.

Tu muovi. e reggi il mio dir tardo umile,
perché nell'altre età chiaro, e 'n disparte,
passi il mio nome, e non negletto, e vile.

Raccolta di rime di poeti napoletani non più ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 19

II.

Tempo già fu, che di mia vita l'ore
godei tranquilla con egual diletto,
senza mai trar sospir di questo petto,
ne degli occhi versare il pianto fuore.

Non turbava i miei sogni ombra d'orrore:
d'ira, o di sdegno non provava affetto:
così, mentre fu Amor da me negletto,
felice corsi di mia etade il fiore.

Or non più in gioia, ma di pena in pena
passa il mio viver tristo, ond'omai caggio
sotto il gran fascio de' miei duri danni.

Così scorgi a diletto, e trai d'affanni,
Amore, e questo pregio ha 'l mio servaggio?
E nel tuo regno il piè distesi appena.

Raccolta di rime di poeti napoletani non più ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 20


III.

Torna, misero cuore, in questo seno,
riedi all'antico tuo fido soggiorno,
ove, se non avrai giorno sereno,
sarai sicuro almen da inganno e scorno.

Fuggi l'aspra prigion, fuggi il veneno
di quel petto crudel, di frodi adorno:
e, se 'l dolor ti sforza a venir meno,
morrai sì ben, ma senza lacci intorno.

Vieni, ch'al tuo gran mal daranno aita
Sdegno, Ragione, e non men forse Amore,
a cui punir convien la fè tradita.

Lascia ancor la memoria a te gradita,
o t'appresenti sol forme d'orrore,
onde senza più amar ti serbi in vita.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 365; Raccolta di rime di poeti napoletani non più ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 20


IV.

Occhi, il Sol vostro a voi non dà più lume,
non vi rischiara più, più non v'accende:
per altri, non per voi, fervido splende,
e vuol, che fredda notte a voi consume.

Tempo già fu (ma fu quasi un barlume)
che di voi si compiacque, or se n'offende:
rigido un picciol raggio or vi contende,
cangiato affatto il suo dolce costume.

Ma non v'attristi già la sua incostanza:
seguitel pur, quasi Elitropj: e 'n voi
sia 'l pregio dell'amar fuor di speranza.

Così ne' vostri orror direte poi,
pascendo il bel desir di rimembranza:
pur l'adoriam, se non aggiorna a noi.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 365; Bergalli, 1726, parte II, pag. 174; Raccolta di rime di poeti napoletani non più ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 21


V.

In morte della Sig. Duchessa di Medina Celi, Madre del Sig. Vicerè di Napoli.

Non fu di morte lo spietato strale,
ch'al mondo tolse la bell'alma altera:
dolce sonno la trasse all'alta sfera,
a goder colassù gloria immortale.

S'ella appena vestìo manto mortale, d'ogni pondo terren sciolta, e leggiera,
e tutta accesa di se pura, e vera,
pur sempre visse a se medesma eguale;

mal potea d'empia Parca il crudo telo
muover ver lei in aspra usata forma,
e addurre oltraggio in così nobil velo.

Di virtù seguìo sempre i passi, e l'orma,
ond'io poggiando con sue scorte al Cielo
passa la regal donna,e par, che dorma.

Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 367; Bergalli, 1726, parte II, pag. 174; Raccolta di rime di poeti napoletani non più ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 21

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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