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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)

Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)

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Il Novellino (di Anonimo)

Il Trecentonovelle (di Franco Sacchetti)

I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)

Miòdine (di Carlo Alberto Zanazzo)

Palloncini (di Francesco Possenti)

Poesie varie (di Cesare Pascarella, Nino Ilari, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio)

Romani antichi e Burattini moderni, sonetti romaneschi (di Giggi Pizzirani)

Storia nostra (di Cesare Pascarella)

 

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I primi bolognesi che scrissero versi italiani: memorie storico-letterarie e saggi poetici (di Salvatore Muzzi)

Il Galateo (di Giovanni Della Casa)

Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 - Prima edizione 1804 (di Pietro Verri)

Picchiabbò (di Trilussa)

Storia della Colonna Infame (di Alessandro Manzoni)

Vita Nova (di Dante Alighieri)

 

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Il Dittamondo (di Fazio degli Uberti)
Il Dittamondo, Libro Primo

Il Dittamondo, Libro Secondo
Il Dittamondo, Libro Terzo
Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
Il Dittamondo, Libro Sesto

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Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
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Messaggi di Gennaio 2016

Dove credi di andare

Parliamo di quasi 50 anni fa ... Come è possibile che sia passato tanto tempo? E come è possibile che Endrigo sia ormai semidimenticato? Penso che siano stati pochi in Italia i cantautori della sua levatura

Sergio Endrigo - Dove credi di andare (1967)

Lato b: Il treno che viene dal Sud

 
 
 

All'amica risanata

Post n°2537 pubblicato il 31 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

All'amica risanata
 
Qual dagli antri marini
l'astro più caro a Venere
co' rugiadosi crini
fra le fuggenti tenebre
appare, e il suo vïaggio5
orna col lume dell'eterno raggio;

sorgon così tue dive
membra dall'egro talamo,
e in te beltà rivive,
l'aurea beltate ond'ebbero10
ristoro unico a' mali
le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
veggo la rosa, tornano
i grandi occhi al sorriso15
insidïando; e vegliano
per te in novelli pianti
trepide madri, e sospettose amanti.

Le Ore che dianzi meste
ministre eran de' farmachi,20
oggi l'indica veste
e i monili cui gemmano
effigïati Dei
inclito studio di scalpelli achei,

e i candidi coturni25
e gli amuleti recano,
onde a' cori notturni
te, Dea, mirando obliano
i garzoni le danze,
te principio d'affanni e di speranze:30

o quando l'arpa adorni
e co' novelli numeri
e co' molli contorni
delle forme che facile
bisso seconda, e intanto35
fra il basso sospirar vola il tuo canto

più periglioso; o quando
balli disegni, e l'agile
corpo all'aure fidando,
ignoti vezzi sfuggono40
dai manti, e dal negletto
velo scomposto sul sommosso petto.

All'agitarti, lente
cascan le trecce, nitide
per ambrosia recente,45
mal fide all'aureo pettine
e alla rosea ghirlanda
che or con l'alma salute April ti manda.

Così ancelle d'Amore
a te d'intorno volano50
invidïate l'Ore.
Meste le Grazie mirino
chi la beltà fugace
ti membra, e il giorno dell'eterna pace.

Mortale guidatrice55
d'oceanine vergini,
la parrasia pendice
tenea la casta Artemide,
e fea terror di cervi
lungi fischiar d'arco cidonio i nervi.60

Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
e le sacrò l'elisio
soglio, ed il certo telo,65
e i monti, e il carro della luna in cielo.

Are così a Bellona,
un tempo invitta amazzone,
die' il vocale Elicona;
ella il cimiero e l'egida70
or contro l'Anglia avara
e le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
mirto te veggo cingere
devota il simolacro,75
che presiede marmoreo
agli arcani tuoi Lari
ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu, Citera
e Cipro ove perpetua80
odora primavera
regnò beata, e l'isole
che col selvoso dorso
rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mar la culla,85
ivi erra ignudo spirito
di Faon la fanciulla,
e se il notturno zeffiro
blando sui flutti spira,
suonano i liti un lamentar di lira:90

ond'io, pien del nativo
Aër sacro, su l'itala
grave cetra derivo
per te le corde eolie,
e avrai divina i voti95
fra gl'inni miei delle insubri nipoti.

Ugo Foscolo
1802

 
 
 

Un editoriale

Post n°2536 pubblicato il 31 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

Editoriale di: La Biblioteca di via Senato - Milano. Mensile di bibliografia - Anno II - N. 1 - Milano, Gennaio 2010

Proprio in questi giorni, Philippe Daverio, durante una delle ultime puntate del suo programma televisivo Passepartout, suggerisce un’ipotesi non nuova ma sempre affascinante nel definire le radici e i principi fondanti dell’Europa: l’Europa, ci sussurra in modo accattivante, nasce dal libro.
Il libro nella forma in cui lo conosciamo oggi, con le pagine legate tra loro, comincia a diffondersi nel III secolo d.C., in ambito cristiano.
Successivamente, cercando di preservare il patrimonio conoscitivo e la memoria del passato dalle distruzioni delle invasioni barbariche, nascono le biblioteche, luoghi dove si raccolgono e conservano questi libri. Prima essenzialmente monastiche, per permettere la copiatura dei testi per farli consultare a un sempre maggior numero di persone - magari anche per abbellirle attraverso preziose miniature -, le biblioteche nascono poi per volontà di re e di principi, di città, di comuni, di stati, di università e così via; così diffuse nel territorio in modo capillare, dettano, secolo dopo secolo, le trame dei viaggi, degli spostamenti, degli incontri umani alla ricerca della conoscenza.
Le biblioteche sono quindi il distillato della nostra comune storia culturale; certificano il succedersi di culture e di uomini, il loro incontrarsi, il loro confrontarsi e anche combattersi, a volte in maniera drammatica.
Testimoniano di un’avventura fatta di idee e avvenimenti - che siano minimi e quotidiani piuttosto che grandiosi o epocali, poco importa -, trasmessa attraverso la parola scritta.
La conservazione del sapere e la sua trasmissione è, ancora di più oggi, la missione della Biblioteca, di quella antica come di quella moderna, di quella che contiene 14 milioni di volumi come di quella che ne conserva poche migliaia, di quella che vanta secoli di vita come di quella che verrà.
Nella convinzione che l’Europa vera non sia solo quella della moneta unica, ma soprattutto quella di un’unica cultura che conservi nella propria unicità la differenza delle varie culture che la compongono.

 
 
 

Er lombetto

Er lombetto

Appena che s'accòrse che la gente
Se n'era accòrta, butta la spilletta;
E, come un razzo, pîa giù pe' Ripetta
E daje a fugge' com'un accidente.

La gente appresso. Lui come che gnente
Pîa pe' la Scrofa, va a piazza Fiammetta,
Passa li Coronari, la Vorpetta,
San Tomasso in Parione... Finarmente,

Quanno che stiede lì a l'Agonizzanti,
Agnede pe' svortà'; ma sfasciò un vetro
E cascò, sarv'ognuno, a faccia avanti.

Lì le guardie je córsero de dietro,
L'acchiapporno, je messero li guanti
E lo portorno dritto in domo-pietro.

Cesare Pascarella
Da "Sonetti", Nuova Ristampa riveduta e corretta dall'Autore, Roma-Torino, Casa Editrice Nazionale, Roux e Viarengo, 1906

 
 
 

Er poverello de discennenza

Er poverello de discennenza

Chiesa di S. Stefano Rotondo

Io so ch'ar tempo de mi' patre, Betta,
nemmanco de mi' patre, de mi' nonno,
er poverello?! er poverello ar nonno
magnava, graziaddio, co' la forchetta.!

Quanno stavo a Sa' Stefano Ritonno
io nu' scajavo sempre la mi' fetta?
ma mo li poverelli, cazzobbetta,
nun c'è più carità, nun ce li vonno.

Cacchio, se piagne tanto, se sospira,
poi che te danno? un bajocco; e 'n cristiano
che ce se crompa adesso: er tacchettira?

Feci ristanza ar sinnico romano
pe' arinchiudèmme abbasta: gira, gira,
er fatto sta che me l'ha messo in mano.

Giggi Zanazzo
4 maggio 1880

 
 
 

In Pretura

Post n°2533 pubblicato il 30 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

In Pretura

- Alzatevi, accusata: vi chiamate?
- Pia Tonzi. - Maritata? - Sissignora.
- Con prole? - No... con uno che lavora...
- D'anni? - Ventotto. - Che mestiere fate?

- Esco la sera verso una cert'ora...
- Già, comprendo benissimo, abbordate...
- Oh, dico, sor pretore, rispettate
l'onorabbilità d'una signora!

- Ma le guardie vi presero al momento
che facevate i segni ad un signore,
scandalizzando tutto il casamento...

- Loro potranno divve quer che vonno:
ma io, su le questioni de l'onore,
fo come li Ministri: nun risponno!

Trilussa

 
 
 

A Luigia Pallavicini...

Post n°2532 pubblicato il 29 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

A Luigia Pallavicini caduta da cavallo

I balsami beati
per te Grazie apprestino,
per te i lini odorati
che a Citerea porgeano
quando profano spino       5
le punse il piè divino,

quel dì che insana empiea
il sacro Ida di gemiti,
e col crine tergea,
e bagnava di lacrime       10
il sanguinoso petto
al ciprio giovinetto.

Or te piangon gli Amori,
te fra le Dive liguri
Regina e Diva! e fiori       15
votivi all'ara portano
d'onde il grand'arco suona
del figlio di Latona.

E te chiama la danza
ove l'aure portavano       20
insolita fragranza,
allor che, a' nodi indocile,
la chioma al roseo braccio
ti fu gentile impaccio.

Tal nel lavacro immersa,       25
che fiori, dall'inachio
clivo cadendo, versa,
Palla i dall'elmo liberi
crin su la man che gronda
contien fuori dell'onda       30

Armonïosi accenti
dal tuo labbro volavano,
e dagli occhi ridenti
taluceano di Venere
i disdegni e le paci,       35
la speme, il pianto, e i baci.

De! perché hai le gentili
forme e l'ingegno docile
vôlto a studj virili?
Perché non dell'Aonie       40
seguivi, incauta, l'arte,
ma i ludi aspri di Marte?

Invan presaghi i venti
il polveroso agghiacciano
petto, e le reni ardenti       45
dell'inquïeto alipede,
ed irritante il morso
accresce impeto al corso.

Ardon gli sguardi, fuma
la bocca, agita l'ardua       50
testa, vola la spuma,
ed i manti volubili
lorda, e l'incerto freno,
ed il candido seno;

e il sudor piove, e i crini       55
sul collo irti svolazzano;
suonan gli antri marini
allo incalzato scalpito
della zampa, che caccia
polve e sassi in sua traccia.       60

Già dal lito si slancia
sordo ai clamori e al fremito;
già già fino alla pancia
nuota::: e ingorde si gonfiano
non più memori l'acque       65
che una Dea da lor nacque.

Se non che il re dell'onde
dolente ancor d'Ippolito
surse per le profonde
vie dal tirreno talamo,       70
e respinse il furente
col cenno onnipotente.

Quel dal flutto arretrosse
ricalcitrando e, orribile!
sovra l'anche rizzosse;       75
scuote l'arcion, te misera
su la pietrosa riva
strascinando mal viva.

Pera chi osò primiero
discortese commettere       80
a infedele corsiero
l'agil fianco femmineo,
e aprì con rio consiglio
novo a beltà periglio!

Ché or non vedrei le rose       85
del tuo volto sì languide;
non le luci amorose
spiar ne' guardi medici
speranza lusinghiera
della beltà primiera.       90

Di Cinzia il cocchio aurato
le cerve un dì traeano,
ma al ferino ululato
per terrore insanirono,
e dalla rupe etnea       95
precipitàr la Dea.

Gioìan d'invido riso
le abitatrici empie,
perché l'eterno viso,
silenzïoso e pallido,       100
cinto apparia d'un velo
ai conviti del cielo.

Me ben piansero il giorno
che dalle danze efesie
lieta facea ritorno       105
fra le devote vergini,
e al ciel salì più bella
di Febo la sorella.

Ugo Foscolo

 
 
 

A 'n pidocchio arifatto ...

A 'n pidocchio arifatto della pulitica

Quanno te vedo scarozzà pe' Roma
co' quell'aria che pari er Gran Surtano,
penso a quanno facevi l'ortolano
vennenno le patate a tant'a soma.

Invece de fà tanto Roma e toma,
ringrazzia la pulitica, tarpano,
che t'ha fatto ministro der sovrano
a te,biforco e asino da doma! ...

Pensa che stai su li cojoni a tutti,
si levi appena appena quelli dua
tu' tirapiedi zozzi e farabutti.

Varda ministro! E va tirà 'r somaro,
va a soffià er naso a li mortacci tua,
va a venne' le patate, patataro!

Giggi Zanazzo
13 gennaio 1911
Da: Cassandrino in dialetto romanesco, a.1, n. 13

Nota:
Fà tanto Roma e toma = fare l'impossibile.

 
 
 

Omonimie?

Post n°2530 pubblicato il 29 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

La lingua italiana è piena di trappole e trappolette lessicali!

Verbi e sostantivi ingenerano spesso notevoli confusioni!

 
 
 

Er serpente a sonaji

Er serpente a sonaji

Dove? Lì ar bussolotto a la Stazione?
Nun ce volevo annà', ma poi ci agnede.
Co' du sòrdi me presi er posto in piede
E me méssi a sentì' la spiegazione.

Dice: - Signori, faccino attenzione,
Che si mai quarchiduno nun ce crede,
Er serpente sta drento a quer cassone
E mo, signori, je lo faccio vede'.

E dopo d'avé' fatto un po' de scene,
Lo cavò fora da li su' bagaji.....
Sia che me s'aggricciassero le vene,

O sia che a me la vista me sbarbaji,
Er serpente lo veddi proprio bene,
Ma non potetti vede' li sonaji.

Cesare Pascarella
Da "Sonetti", Nuova Ristampa riveduta e corretta dall'Autore, Roma-Torino, Casa Editrice Nazionale, Roux e Viarengo, 1906

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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