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Messaggi del 04/11/2015

Madrigali di G.B.Pigna

Giovan Battista Pigna (1529-1575)

1
Sì come il ciel s'ingemma
Con le sue luci d'oro,
Così dal bel tesoro
Il ben di Dio qua scopre in una gemma.
Quest'è quel prezioso neo gentile,
Ch'amor dal suo focile
Trasse da l'alto chiostro,
E il saettò nel dolce viso vostro;
E indi abbaglia e prende
Ogni amator che gli occhi suoi vi stende.
 

2
Uscendo questa, che cotanto luce,
A rischiarar omai la nostra luce,
Vi fur d'intorno i pargoletti Amori
Che le facelle accese,
Tratti dal ben, ch'in lei Dio mandò fori:
Chi a gli avori, chi a i soli,
E chi a le perle e a i rubin s'attese;
E mentre questi i voli
A sì gioiosa parte in fretta tese,
Da gli ardenti licori
Là sopra il labro una tra l'altre stille
Percossa l'ebbe: e un neo spumò dal foco;
Che da quel dolce loco
Amorose invisibili faville
Versa tra riso e gioco,
Inamorando i cori a mille a mille.
 

3
Quasi leggiadre bende
Dianzi a lume tranquillo,
Copron le membra l'alma, ond'io sfavillo.
E sì candida spoglia
Ha questa viva luce,
Ch'a gli occhi miei traluce
Sua chiusa, aperta, onesta, atroce voglia;
E nel terrestre velo
M'asconde e mostra il cielo.
 

4
Credete voi che mai celar possiate
L'interna aspra beltate
Con la celeste che di fuor mostrate?
Natura non intende
Coprir, sotto lo scudo
De le corporee, anzi divine bende,
Diaspro, che forma il cor, lucido e crudo.
Da l'empio arciero ignudo
Questo consiglio pende:
Vuol che l'amante a sì vive bellezze
Visibil morte apprezze.
 

5
La dipartita è amara:
Ma perch'è dolce e cara
La giunta del ritorno,
Da l'infelice giorno
De la partenza ria
Nasce la gioia mia.
 

6
Il rugiadoso impronto
Del cerchietto vermiglio
Di rose fresche nate in paradiso,
Mentre nel dolce viso
Del leggiadretto figlio
Dolcemente splendea,
Trassemi un bacio a la dolcezza rea:
Perché sotto ascondea
Foco d'amor cocente,
Che, più occulto, più strugge e men si sente.
 

7
Vago e lucente filo,
Che madonna dal mio trasse al suo petto,
E la catena in mezzo avinse stretto,
Ah, come il cor m'annodi
Sul sen che baci e godi!
Ella nel sen interno
Parte sentisse del mio laccio eterno!
Filo vago e lucente,
Ch'hai le mie luci spente,
Perché almen in tua vece
Formar quel nodo a l'alma mia non lece?

Giovan Battista Pigna (1529-1575)

 
 
 

Alberto Bonacci

Conforto

Stava pe’ partorì, strillava tanto
E se spremeva stesa drento a’ letto;
Sant’Anna, aiuto! - urlava - Cristo santo,
Nu’ lo farò mai più... ve lo prometto!...

Er marito, quer boccio de Peppetto,
Je s’era messo a sede accanto, accanto,
e quanno lei faceva ’no strilletto
Lui, brutto babbaleo, sbottava un pianto.

Lei, stufa de sentì ’sta zinfonia
Je fece: - Perchè piagni? e lui de botto:
Piagno perchè la corpa è tutta mia

Si mò stai drent’un letto sofferente!...
E lei: - Ma statte zitto co’ ’sto fiotto,
Quanto sei scemo... tu nun c’entri gnente...

Note di Valerio Cruciani:
In Marforio I, 53 - 16 Novembre 1902. Sonetto, schema: ABAB BABA CDC EDE. Vs. 6 tra i due accanto forse la virgola è un refuso. Vs. 8 babbaleo secondo Gennaro Vaccaro, Vocabolario Romanesco Trilussiano e Italiano-Romanesco (etimologico-lessicale-grammaticale-fraseologico-dei proverbi e modi proverbiali-dei sinonimi e degli opposti), Romana libri alfabeto, Roma 1971, pp. 402: "Sciocco. Stupido. Imbecille." Risulta dalla fusione di babbeo e mammaleo. Lo si ritrova in La scappatella del leone (nella raccolta La gente) e in La Verginella con la coda nera (in Acqua e Vino) di Trilussa. Vs. 13 fiotto secondo Vaccaro (Vocabolario Belliano, op. cit.): "Piagnucolio". Viene dal lat. fluctus, -us.

Alberto Bonacci


La bandiera

BANDIERA! Nome santo e benedetto
Sogno dorato de ’gni bon gueriero,
Tu sola je fai sbatte er core in petto,
Tu sola je stai fissa ’nder pensiero.

P’ariccontà la storia tua dar vero,
Ce vò ’na bibbrioteca, nò un sonetto,
Chè ar monno, nun c’è regno, nun c’è impero,
Che nun ciabbi pe’ te: fede e rispetto.

Pe’ te sopra a li campi de battaja
Tanti hanno avuto la gran bella sorte
D’acquistasse la grolia e la medaja;

Pe’ te c’è stato chi ferito a morte
Strillanno VIVA E’ RE, VIVA L’ITAJA!
Abbraccicato a te morì da forte!

Note di Valerio Cruciani:
In Marforio I, 39 - 30 Settembre 1902. Sonetto, schema: ABAB BABA CDC DCD. Vs. 6 nò è forse da considerare come effetto dell’apocope di non. Vs. 11 grolia tipico fenomeno di metatesi.

Alberto Bonacci

   
L’automobile

Adesso co’ ’sto coso ch’è un portento
Er monno ciarisente un gran vantaggio.
L’omo se pô pijà er divertimento
D’annàcce in giro e fa qualunque viaggio.

Pô fa un viaggetto a Utricoli, a Marino,
Pô annà ’nsinenta in Russia, a la ’Matrice...
E quarchiduno ce pô fa persino
Un viaggio longo; er viaggio de l’alice!

Le disgrazzie ce fiòccheno a dozzina
E ’gni momento ce succede un pianto...
Ma... invece de mettècce la benzina,
Ce potrebbero mette l’ojo... santo!...

Note di Valerio Cruciani:
In Marforio I, 29 - 26-27 Agosto 1902. Tre quartine di endecasillabi, schema: ABAB CDCD EFEF. Vs. 4 fa anziché fà o fa’ si ripete anche nei versi successivi, probabilmente è dovuto all’abitudine del poeta. Al vs. 8 il punto e virgola è forse un refuso per i due punti. Vs. 11 mettècce anziché mèttece, l’accento potrebbe essere errore di stampa, ma potrebbe anche essere volontà del poeta di spostare l’accento in 6ª.

Alberto Bonacci

   
Impieghi e donne

Tu nun saprai ’sta fresca in che consiste,
Ma l’omo adesso è bello che finito.
Mo mò là donna, pe’ l’impiego, insiste
E, in ogni modo, cià da mette er dito.

Te le vedi impiegate, computiste,
Cape stazzione... insomma s’è capito
Che l’omo ha da sta a spasso, e che ’ste criste
S’hanno da intrufolà per ogni sito!

Vedi: la donna, senza tante carte
Eh... fijo bello, che nun ottierebbe?
La donna cià la grazzia, cià la parte...

L’omo nun sà er busilli, a dilla tonna:
Per ottenè l’impiego basterebbe
Che facesse la parte de’ la donna.

Note di Valerio Cruciani:
In Marforio I, 14 - 4-5 Luglio 1902. Sonetto, schema: ABAB ABAB CDC EDE.
Vs. 3 là probabile refuso. N.d.A.: "Nel Tirolo hanno nominato capo stazione... una donna." Vs. 12 busilli, il Vaccaro (Vocabolario Belliano, op. cit.) ci dice che il termine deriva dalla scorretta divisione della locuzione latina in die Busillis anziché in diebus illis. Ha il valore di problema, nodo della questione, difficoltà. Vs. 14 de’ la anziché della o de la, probabile refuso (cfr. con de l’ al vs. 8 della poesia seguente).

Il Possenti (op. cit. pag. vol. I 264) ci dice che nacque in Calabria nel 1871, ma presto si trasferì a Civitavecchia, dove nel 1902 pubblicò il suo primo libro di versi, Scampoletti da gode’. Commerciava in pellami e sposò la figlia di Adolfo Giaquinto, Margherita. Collaboratore assiduo del «Rugantino», era noto soprattutto come compositore di canzoni per la festa di S. Giovanni. Morì nel 1916. (Valerio Cruciani).

Alberto Bonacci

 
 
 

Sonetti Romaneschi 5

Post n°2207 pubblicato il 04 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

Sonetti Romaneschi (1750-1767) di Benedetto Micheli

Pe’ Papirio Pretestato

Che teste sonno stati li romani
del tempo antico, bell’e regazzini!
sbrigáte un Papiriuccio, come vani
de la dritta su’ Ma’ renne i scrutini.

Stato col Pa’ in conziglio, sapé’ i piani
lei da lui prova, e del senato i fini;
ma lui gli appetta che quel vó, in domani,
ch’abbi ’gni ómo du’ moglie in tra li lini.

Lei ce alloggia; e, arrabbiáta, l’orióni
de ’sta miffa, in poch’ore, fa repieni;
su de che fa el senato oprá spioni;

Qual, scuperta la cosa, a voti pieni
resolve che quel rácchio, co’ i vecchioni
in conziglio, da mó, le fave meni.

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889



Pe’ Marco Attiglio


Manna Cartággin el su’ schiavo Attiglio
a Roma pe’ offrí’ a lei pace, de bello,
o i priggionieri a sbarattá’: ma quello
de no’l fane a i romani dá conziglio.

Poi torna in Affrica; ov’ je dán de piglio
e lo ficcano drent’a un caratello
tutto chiodi, passati col martello,
ruzzicánnolo in giú pe’ piú d’un miglio.

De la costanzia sua la fama gola;
e se ne fan le lode in piú d’un tomo,
come cosa successa al monno sola;

E forze, pe’ la pena, che un tal’ ómo
patí pe’ mantiené’ la su’ parola,
mó de raro se trova un galantómo.

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889



Pe’ l’istesso

Mancator de parola, e indove séte,
che a specchiáne in Attiglio non vienite?
schiavo a Cartággin, pe’ aggiustá’ le lite
tra quella e Roma libberá’ el vedrete;

Peró col patto de torná’ a la rete
si ’ste cose nun fússino riuscite;
ciové, o de i schiavi sbarattá’ le vite,
o col popol trogliano avé’ la quiete.

Ma Roma a guerra e quelli a non riscóte
conzigliáne, poi (liscia) in du’ velate
torna a Cartággin co’ le mane vote.

Dove in botte, con doghe drento armate
de’ chiodi, é pe’ l’ingiú mannáto a rote.
Mancator de’ parola, oé! imparate.

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889



Pe’ Frabbizio

El friggente Frabbizio Immasciatore
de’ Roma, ito de Pirro innel armata,
da quel re, ch’era un gran dritto signore,
je fu offerta de doppie ’na palata,

Acció facessi fáglie con su’ onore
pace col Lazio; ma, da lui sprezzata
la guazza essenno, pe’ daglie terrore
da un lionfante je fece fá un’urlata.

Frabbizio allor ridenno disse: o réne,
tanto el belardo, quanto el tuo lionfante,
né sghéscia, né pavura án messo a méne.

Cusí allor se fava; ma un birbante
secol, poi, li Frabbizj desperdéne,
e un favor se venné pe’ mezzo fante.

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889



Pe’ Craudia

Vieniva in sú pe’ l’onne teverine
’na barca, che portava un non so chéne,
che li romani assai premeva avéne,
ma s’impuntó innel meglio del vieníne.

Prova e riprova, non poté riuscíne
da quel loco a gnisciún falla movéne;
e inzinenta a mill’ómmini ben bene
ce se sforzórno: ma restó pur line!

Quanno Craudia, ecco, piglia innéle mane
’no sforzino, attaccato a quel barcone,
e appresso se lo porta, come un cane.

Oh, vertú de l’antiche donne bone!
si pe’ i lacci facéan le barche annáne
ch’avrían fatto in guidálle pe’ ’l timone?

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 26/04/2008
 

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