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Rime inedite del Cinquecento Indice 2 (di vari autori)

 

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Er Libbro de li sogni (di Giuseppe De Angelis)

Er ratto de le sabbine (di Raffaelle Merolli)

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Foji staccati dar vocabbolario di Guido Vieni (di Giuseppe Martellotti)

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Messaggi del 06/11/2015

Pietro Aretino Madrigali

Post n°2220 pubblicato il 06 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

Pietro Aretino (1492-1556)

1
Poi che il mondo no crede
Che in me, d'amor mercede, ogni mal sia,
E ogni ben ne la nimica mia,
O empio re de le perdute genti,
E tu dio degli dèi,
Questa grazia vorrei:
Ch'un togliesse a le fiamme, ai mostri e al gelo
La più tormentata alma;
E l'altro, la più alma
Agli angeli del Cielo;
E la mal nata stesse una ora meco,
E la beata seco.
Son certo che la rea a ognun direbbe,
Fuggendo i miei lamenti:
"Io ho del fallir mio minor tormenti".
E la buona contenta non vorebbe,
Presa dal volto adorno,
Lassù far più ritorno.
Perché in me è un più crudele inferno,
E un paradiso in lei più sempiterno.
 

2
Madonna, io 'l vo' pur dir che ognun m'intenda,
Io vi amo perché io ho poca faccenda:
Ma se io comperassi
Un quattrin l'uno i passi,
A non dirvi bugia,
Men d'una volta il mese vi vedria.
O voi potresti dire
Che io ho detto che il foco
Mi ancide, mercé vostra, a poco a poco:
Egli è ver che io l'ho detto, ma per fola,
E mento mille volte per la gola.
 

3
L'esser prive del Cielo
Non sono oggi i tormenti
De le mal nate genti:
Sapete voi che doglia
L'alme dannate serra?
Il non poter mirar l'Angela in terra.
Sol la invidia e la voglia
Ch'elle han del nostro bene,
E 'l non aver mai di vederlo spene,
Le affligge a tutte l'ore
Ne l'eterno dolore:
Ma se concesso a lor fosse il suo viso,
Fòra lo inferno un nuovo paradiso.

 
 
 

Nuove frontiere

Post n°2219 pubblicato il 06 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

Saranno queste le nuove frontiere dell'informatica?

 

 
 
 

Ninco Nanco

Foto di valerio.sampieri

Come e perché Ninco Nanco diventò brigante

Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco negli anni giovanili dei sogni di libertà e di riscatto sociale delle classi subalterne, non possedeva nessuna di queste idealità.

Mentre i fratelli Bandiera si immolavano al Sud per la libertà, Carlo Pisacane elaborava il suo pensiero socialista, Alessandro Poerio trovava la morte nella difesa della Repubblica di Venezia, Carlo Poerio, Luigi Settembrini marcivano nelle prigioni borboniche, Francesco De Sanctis era tenuto prigioniero in Castel dell’Ovo, Ninco Nanco doveva regolare i suoi conti con la giustizia borbonica per questioni di delinquenza comune.

"Non lasciarti ingannare dal pittoresco soprannome  che fa pensare a qualche simpatico personaggio di paese" -  scrive Fabrizio Gregorutti sul sito caduti di polizia.it, nel rendere omaggio alla memoria del Delegato di Pubblica Costantino Pulusella, ucciso da Ninco Nanco, -  "In realtà il giovane contadino è un criminale, ammaestrato dai fulgidi esempi familiari che hanno già gloriosamente calcato le scene della malavita rurale.

Uno zio infatti è Giuseppe Nicola Coviello, famoso brigante dell’epoca preunitaria, bruciato vivo nell’incendio di una capanna di paglia dove si era rifugiato per sfuggire alla polizia borbonica. Un altro zio, dopo avere scontato dieci anni di carcere per avere picchiato un gendarme, festeggia la libertà accoppando un concittadino per questioni di gioco e quindi si dà alla latitanza nelle Puglie, dove ammazza l’incauto massaro che gli ha offerto lavoro.

Con simili esempi, il giovane Giuseppe Nicola ha la strada segnata. A vent’anni, nel 1853 viene ferito nel corso di una lite per motivi di gioco, a quanto pare vizio di famiglia.

Nel 1856 viene aggredito, pugnalato ed abbandonato in mezzo alla strada come morto, ma Ninco Nanco ha la pelle dura e sopravvive.

Rifiuta di aprire bocca con la gendarmeria borbonica e nel corso della lunga degenza medita vendetta quindi, una volta guarito, ammazza a colpi di scure uno dei suoi feritori. Viene arrestato e condannato a dieci anni di prigione nel durissimo bagno penale di Ponza, dal quale evade meno di quattro anni dopo, al momento del crollo dei Borbone. Tornato in Basilicata, cerca di arruolarsi prima nei garibaldini poi in varie unità locali di orientamento liberale e filo piemontese, ma viene sempre rifiutato. Anzi, quando si presenta a una colonna di volontari diretta a combattere i borbonici, sfugge a stento alla vendetta dei familiari della sua vittima presenti nella formazione" Nicola Summa si dà alla latitanza e pochi mesi dopo si lega alla banda del brigante Carmine Crocco".

Quindi Ninco Nanco chiese aiuto prima ai garibaldini e poi alle stesse unità locali di orientamento liberale e filo piemontese per risolvere i suoi problemi con la giustizia.
Ciò è confermato da diversi storici tra cui Giordano Bruno Guerri che nel testo "Il Sangue del Sud" testualmente scrive: "Giuseppe Nicola Summa, nato a Avigliano nel 1833, apparteneva ad una famiglia dal curriculum criminale di tutto rispetto. In particolare lo zio materno, Giuseppe Nicola Coviello, era stato un bandito tra i più temuti del luogo e finì bruciato vivo dalla polizia borbonica nella capanno dove si era nascosto.

Uno zio paterno, invece, aveva scontato dieci anni di prigione per aver schiaffeggiato un gendarme; uscito di galera, uccise prima un compagno per una questione di gioco, poi un massaro pugliese per il quale lavorava. Gli esempi familiari e la personalità ribelle di Ninco Nanco offrivano ampie garanzie di un futuro da fuorilegge. L’aspetto e il contegno non erano di meno".

Aveva vent’anni quando nel 1853  fu ferito durante una lite per questione di gioco e nel 1856, per motivi sconosciuti fu aggredito in strada e lasciato mezzo morto. Non intese collaborare con la giustizia borbonica e meditò la vendetta personale, ammazzando a colpi di scure uno dei suoi feritori.

L’omicidio gli costò una condanna a dieci anni nel bagno penale di Ponza, ma il crollo del regime borbonico gli diede l’opportunità di tornare molto prima in libertà, cercando allora nella sua Basilica di offrire i suoi servizi prima ai garibaldini e poi ai piemontesi, ma venne rifiutato. Non gli rimase allora che la latitanza. L’incontro con Carmine Crocco, segnò l’inizio della sua vita da brigante.

Tratto da: Nuovo Monitore Napoletano del 26 ottobre 2015 (Autore: Angelo Martino).

 
 
 

Foji staccati, indice

Foji staccati pe’ commido de la gioventù studiosa. Approvato come libbro de testo dar Ministero della Pubbrica Istruzzione (1905) di Giuseppe Martellotti

Foji staccati 1-15
Foji staccati 21-40
Foji staccati 11-60
Foji staccati 61-80
Foji staccati 81-100
Foji staccati 101-120
Foji staccati 121-135
Foji staccati 136-146

 
 
 

Er ratto de le sabbine 3-1

Er ratto de le sabbine
Povemetto de cinque canti in sesta rima tutto da ride scritturato in der chiacchierane romanesco dar padron Raffaelle Merolli co l'aggiunta de cert'antre su povesie e coll'innice arfabbetico de la spiegazione de le parole romanesche più indifficile a capesse da quelli che parlano er tajano più scerto e ciovile. Roma, nella Stamperia delle Incisioni Bibliografiche, 1865.
Tratto da Rugantino n. 12924 del 17 gennaio 2012 e successivi numeri.

CANTO TERZO

1

Si in queli tempi voi fussivo nate
E no in questi d’adesso, donne mie,
Ve saressivo fatte du risate
Ner sentì dine le minchionerie
Che più d’un pasticcetto serio serio
Diceva, come un omo de criterio.

2

E volennola fà da sapientoni
E indovinà er mutivo de quer banno,
Uh!, se sentivio che sprepositoni,
Senz’azzeccacce mai, dicenno vanno!
P’er gran ride vienine li dolori
Ve potevano fà quell’anticori!

3

In sto monno perone, o piune, o meno,
L’ommini stati so’ gni sempre uguali
E chi lo nega nu me neghi armeno
Che carestia de certi capitali
Mai nun c’è stata, e puro in sti mumenti
Ce so’, come in quer tempo, sti strumenti!

4

Ne li caffene, tutti affumicati
Da li zigari, a legge le notizie
O a sentì legge stanno e spasimati
So’ certi pe godesse ste delizie!
E doppo fanno arimané intontiti
Chi li sente, pe quanto so’ struiti.

5

E su le nove che hanno trovo scritte
Ne li foji, e inventate pe spaccialli,
Ce stanno a medità ste teste dritte
Senz’accorgesse che p’infinocchialli
Ce l’hanno messe, e loro che ce credeno
L’aridicono a l’antri che le chiedeno.

6

Senti dì che hanno letto che in America
Li Cinesi in sti tempi se commovono,
Ch’er monno è un grobbo de figura sferica
E l’ommini pe drento ce se movono,
Che er Tartaro distrutto dar Circasse
Nun se ne trova piune pe purgasse.

7

Che er granne imperatore de la Cina
Entrà è vorzuto drento ar Portogallo,
Ch’è na cittane che je sta vicina,
E senno annato er Rene a visitallo
Co lui tre giorni sani è stato chiuso
A discurre in segreto a muso a muso.

8

Che nasce da sta visita dovrebbe
(Quest’è la cunseguenzia che ce tirano)
’N accordo e che in sto caso se vierebbe
A fà girà le cose che nun girano...
Daje l’assogna, daje!, a sti profeti,
Direbbia gneo, che sanno li secreti!

9

Però, si a queli tempi li giornali
Nun c’erano pe gnente, nu mancavano,
Come v’ho ditto, certi capitali
Che pe quer banno a intenne tutti davano
Miffe più grosse assai d’un cuppolone
Pe falla beve a più d’un credenzone.

10

Accusine li popoli quiriti,
Pe le minchionerie che j’hanno detto
Li chiacchieroni, tutti se so’ jti
Co la testa confusa a mette a letto
E la matina prima che arbeggiasse
Fu lesta gni perzona per arzasse.

11
Po’, quanno se fece ora che vienine
Er Re doveva, tutta se riduna
La gente su la piazza pe sentine
Quer che lui dice e vò nemmanco una
Fasse sfuggine de le su parole
E a spinte fasse sotto gnuno vole.

12

Un parco de legname da la sera
In d’un cantone de la piazza arzato
Da queli mastri falegnami s’era
Co lauro e co mortella contornato
E co festoni rossi, indò soleva
Montacce er Re quanno parlà voleva.

13

Ecco che se fa ora e se presenta
Romolo su la piazza, avenno attorno
Tutto er senato, e c’erano insinenta,
Pe dì na cosa!, in quer solenne giorno
Li cani co li gatti pe sentine
Quer che lui dice e cuminciò accusine.

14

- Be’ levati, rigazzi, ve saluto
E ciò piacere de vedevve bene.
In sto sito che qua so’ gneo vienuto
Sapé perché? Mo ve dirò er perchene:
Ve vojo dine che pe contentavve
Nostrodine ha penzato d’ammojavve.

15

C’emo penzato e pe sta cosa apposta
L’ammasciatori nostri emo mannati
E avemo avuto puro la risposta,
Ché tutti, jeri, qua so’ aritornati.
Ma sapé si che ha ditto er popolaccio
De fora?... Che nu ne vò fà gnentaccio!

16

Po’ a miodine fatto hanno un insurto...
Ma de sta cosa qua nu ne parlamo:
Er mi discurso mo ha da esse curto.
Bigna che noi l’affronto vennicamo
De la ricusa! E sapé come?... ’N testa
M’è vienuto de fane na gran festa.

17

La fone ar dio Nettuno e po’ a ’nvitalli
Ce manno er bannitore. E quanno visto
Avemo che so’ entrati ’gna trattalli
Co na bella accojenza e doppo er pisto
Je damo, serenella!... Ma v’averto
Che co le donne viengono, e de certo!

18

Je faremo trovane ar loro arrivo,
Pe falli restà tutti a bocca uperta,
Su la gran piazza sto preparativo.
Allungate l’orecchie e state allerta,
Perchene vojo che capite bene.
E ’gna trattalli come se conviene.

(segue)

 
 
 

Libbro de li sogni 4

Post n°2215 pubblicato il 06 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

Giuseppe De Angelis
Libbro de li sogni, Roma, 1912

61

È er tramme, quer trasporto indò la gente
ce va pe' affari oppuro pe' lavoro;
ce «lavoreno» puro alegramente
li borzaroli, in lega tra de loro!...

Si je capita, come è facirmente,
er forestiere, fanno affari d'oro...
Co' 'na destrezza propio sorprennente
je gratteno, si lui ce l'ha, un tesoro!...

E capirai, de fronte a un fatto tale,
er borseggiato crede, co' raggione,
che, come Roma, nun c'è capitale!

Perché je viè a costà, qui, un ber pochetto
'na gita da San Pavolo-Stazzione
ch'er giro de l'Italia cor diretto!...

62

'Na regazza sedotta e poi tradita
se va a buttà dar Pincio paro paro,
doppo che ha ricevuto un piantinaro
dicenno ch'era stracca de la vita!...

'N òmo che te sorpassa un centinaro
de buffi, o cià 'na bava intarterita,
se butta puro lui, la fa fenita,
ma, si se sarva, è propio un caso raro!

Perché pe' quanti casi ce so' stati
de suvicidi, a dilla francamente,
l'òmmeni furno sempre sfortunati!...

Solo la donna, ah! sì!... Sortanto questa
cià la fortuna de nun fasse gnente...
perché rippara tutto co' la vesta!

63

È sposalizzio e, a dilla francamente
(senza che t'aricconto 'na bucia),
in genere, è 'na cosa inconcrudente,
la sciapata più brutta che ce sia!...

Sposasse?... E nun è mejo 'n accidente
che a fà piuttosto 'sta minchioneria?
No, no! Che chi ce casca l'arisente
l'effetti de 'sta spece de pazzia!...

Nun sia mai detto e capiti 'na donna
ammalizziata, stupida o birbona;
te tocca a dì: - L'ho fatta grossa e tonna! -

Insomma, senza fà tanti segreti,
si er matrimogno fusse cosa bòna,
l'avrebbero adottato già li preti!...

64

Più legghi e più te fai la convinzione
de quello che pò esse' ingegno umano
e tante vorte attasti co' le mano
'sto nummero: menzogna d'occasione!...

Buciardo ce pò esse' chi è villano,
'n artista, 'n impiegato, o un capoccione,
e te l'accerto, senza suggezzione,
che ce pò esse' puro chi è soprano!

La donna, infine, si ce stai un po' attento,
pe' fabbricà bucie cià 'n'eloquenza
ch'è bòna da incantatte un reggimento!

Pe' la bucia, la donna tiè er primato
e, senza che te dico 'na scemenza,
è peggio d'un ministro de lo Stato!

65

'Sto nummero sarebbe er trappolaro,
ma, pe' spiegasse mejo, è propio er tale
che possiede 'na chiacchiera speciale
e incanta tanto er furbo che er somaro!

Si t'aricconta un fatto pe' la quale,
te l'allustra in un modo propio raro,
je dà quer tono e colorito chiaro
e t'addimostra che nun è animale!...

Tu lo senti e je presti assai attenzione
e, magari, pòi faje de cappello
pe' fà vedé che tienghi educazzione!...

Ma pe' me tanto, no pe' fatte er dotto,
credo che er trappolaro è propio quello
che ha inventato la gabbola de lotto!...

66

Significa imboccarsi, amico bello,
e siccome vordì puro primizzia
me capirai che te ce vò malizzia
o 'no studio potente de cervello!

Perché imbocco, a pensacce un tantinello,
significa entratura!... Che delizzia!...
Imboccarsi in primizzia è 'na letizzia,
un piacere che ognuno pò sapello!...

Ma chi fa fiasco è 'na persona affritta
e te lo spiega er fatto naturale
perché, tra l'antro, te vordì sconfitta!

Siccome la sconfitta è già 'no smacco,
in urtimo te dice tale e quale
che chi è sconfitto è puro un gran macacco!

67

Nun te curà a sapé de che se tratta:
quello che j'ha affibbiato la natura
è 'n insieme d'infamia, d'impostura,
'n òmo che spesso spesso s'aritratta!...

Si quarche boja azzione già t'ha fatta,
'n'antra ne studia co' disinvortura
e sei certo d'avé 'n'impiommatura
quanno, co' te, ce parla e ce contratta!...

Davanti te promette mari e monti;
de dietro, poi, te taja un ber cappotto,
robba, pe' crilla, da restacce tonti!...

E t'addimostro quello che te dico
perché lo spiega er nummero der lotto
co' 'sto significato: Farso amico!...

68

'Sto nummero se chiama ladro, ossia
quer tale che t'arubba come gnente
l'oro, l'argento co' la biancheria,
o er portafojo che ce sia varsente!

Un bottegaro, strutto in miccheria,
t'arubba peggio assai d'un delinquente
e, si lo vòi spiegato chiaramente,
te dico che commercio è ladreria!...

Li ladri nun s'ariveno a contalli,
perché ce so' de tante gradazzioni,
ma sarvete da quelli in guanti gialli!...

Chi rubba va su l'atto carcerato,
a si un ministro arubba li mijoni
è sempre ariverito e rispettato!

69

Fra tutti l'antri nummeri è speciale
perché nato tramezzo ar progressista
e piace più che mai a chi è linguista
o maestro de scenza naturale!

Però, in diversi casi, è bòno e vale,
perché 'gni spece de professionista
che l'ha giocato ha creso a prima vista
de fanne 'n ambo a solo, principale!...

Pe' cert'antri, 'sto nummero è un biggiù...
Che t'ho da dì, se vede che l'addopra,
ma a me, però, nun va né su né giù!...

'Sto nummero, pe' scherzo de natura,
pòi puro rivoltallo sottosopra:
fa sempre la medesima figura!...

70

'Sto nummero significa: visione,
e, infatti, de visione ce n'ho tanta:
quanno s'affaccia Nina, sur barcone,
me pare de vedé mi' madre santa!

Però, p'er papalino, è 'n'affrizzione,
e mica t'hai da crede che la pianta;
nemmeno j'è giovata la lezzione
che c'ebbe, propiamente, ner settanta!...

Er prete storce er muso puro lui,
er Papa strilla, vò la libbertà,
e piagne, piagne li malanni sui!...

Ma però, tutto bene carcolato,
co' li sogni dorati che se fa,
je resta... la visione der passato!...

Giuseppe De Angelis
Libbro de li sogni, Roma, 1912

 
 
 

Brigantaggio, Indice

C’era una vorta... er brigantaggio
di Vincenzo Galli

Er Seminarista (Giuseppe Mastrilli) 1
Er Seminarista (Giuseppe Mastrilli) 2
Er Passatore (Stefano Pelloni) 1
Er Passatore (Stefano Pelloni) 2
Chiavone (Luigi Alonzi)
La bella calabrese (Maria Oliviero)
Re di Lamone (Domenico Tiburzi) 1
Re di Lamone (Domenico Tiburzi) 2

Extra

Ballata del Mastrilli 1
Ballata del Mastrilli 2

 
 
 

Re di Lamone 2

Post n°2213 pubblicato il 06 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

C’era una vorta... er brigantaggio
Domenico Tiburzi Re di Lamone

di Vincenzo Galli

IX

Er primo lo sapemo: fu Biagini;
Fioravanti, er parente; un Arrighetti;
un Angiolini, assieme a un Lansuini.

Insomma, lascia e pija, leva e metti,
fra tutti 'sti briganti, a falla corta,
lui figurava tra li più perfetti.

Perfetto e assai preciso, ché 'gni vorta
che ammazzava un nemmico, o quarche vile,
segnava co' un'intacca lunga o corta

la vittima... sur carcio der fucile.

X

Quant’intacche ce staveno segnate?
Tante!... Una sera de malinconia,
e la santa pazzienza d’un abbate,

se le mise a contà co’ vanteria:
ché le trovava quanto mai perfette
accussì cesellate in simmetria...

Le contò pe’ tre vorte: diciassette!
Ricontò novamente, puntijoso:
ereno tante. Incominciò a rifrette:

«È un nummeraccio pe’ un suprestizzioso!...
Vòi véde che...» Se mise sur chi vive,
ché s’era fatto arquanto sospettoso...

Ortre ar sospetto, quant’idee apprensive
je vennero a la mente in un momento!
C’ereno in giro tante spie cattive...

Sentì un rumore come quann’er vento
smòve le foje... Dieci e più gendarmi
je sparareno addosso a tradimento!

Crivellato de palle, disse: - Carmi...
M’avete preso senza che un amico
se fusse disturbato a dà l’allarmi!...

Mo che sto pe’ spirà, nun maledico
nissun’anima ar monno. Chi ferisce
d’arma, sentenzia un detto tanto antico,

com’è successo a me, d’arma perisce!... -

XI

Qui la storia pe’ noi è arivata in porto.
Però l’autore, pe’ nun èsse avaro,
fa seguità Tiburzi doppo morto.

C’è sempre quarche amico... der giaguaro,
come spesso succede ancora oggi,
che je piace da smòve er riso amaro...

Volevo dì che famo certi sfoggi
d’umorismo pijanno pe’ soggetto
cose tristi: la crisi de l’alloggi,

la fame o un fatto traggico d’effetto
come la brutta storia d’un birbante
che vola in paradiso cor diretto

doppo d’avenne fatte tante e tante
e avé provato er fòco de l’inferno,
come Tiburzi, er celebbre brigante.

XII

È lui che sparla sopr’ar malgoverno
de l’antro monno, dove er santo Pietro
fa talecquale ar capo de l’averno...

Cusì er «Re di Lamone», triste e tetro,
da morto è diventato un mattacchione
che se fa li viaggetti avanti e indietro

tra Farfarello, pronto cor forcone,
e Pietro, co’ le chiavi sempre in mano
pe’ dalle in faccia a quarche furbacchione

che cerca da scoprije er maruvano...

XIII

C’è un codicillo su la storia vera
der brigante Tiburzi doppo morto
che fa sapé a l’amichi de la Tera

quanto se trova male a zappà l’orto
in paradiso, in mezzo a tanti frati
che stanno tutt’er giorno a collo storto...

«Se la spasseno assieme a li beati,
li santi d’ogni grado e condizzioni
che se la fanno co’ li ben amati

cardinali, regnanti, signoroni,
co’ ladri d’ogni risma e d’ogni taja
che te li trovi in tutti li cantoni!

Insomma nun ve dico la marmaja
qui, dove er più pulito cià la rogna,
dove chi detta legge è la canaja!

’Ste cose le ritengo ’na vergogna,
perché nun se pò manco recramà,
ché chi se riccommanna è ’na carogna...

XIV

Si quarche vorta provo a protestà
so’ richiamato a l’ordine e dovere:
ero un brigante e tale ho da restà!...

Sapessivo quissù si che piacere
a dové sopportà la tiritera
de seguità cor solito mestiere

come quanno se stava su la Tera.
Ché puro qui ce stanno li padroni
che godeno la gioja quella vera,

mentre la gente onesta e li sgobboni
se la passeno sempre talecquale,
destinati a fà solo li fregnoni.

Ché puro qui s’aggisce in modo tale
pensanno sempre de riempì le casse
cor sangue de l’utente puntuale.

XV

Gode er padrone e soffreno le masse
che si je piace de restà a ’sto sito
so’ costrette a sgobbà e pagà le tasse.

Ché puro qui c’è un torchio rifinito
dove ce sta er cursore che lo gira
pe’ sfragnece l’utente striminzito.

Fanno ’sto lavoretto co’ la mira
de fà pentì e riduce a mal partito
chi cerca d’inguattà l’urtima lira.

Pur io ch’ero un brigante so’ punito
co’ ’sta tortura: devo zappà l’orto,
e guai si m’azzardassi d’arzà un dito!

Devo fà la carogna, o er beccamorto,
ché si faccio la minima richiesta
san Pietro me ritira er passaporto

o me dà er mazzo de le chiavi in testa!

XVI

Forse me sa che qui ce duro poco,
ché me trovavo mejo giù a l’inferno
dove te dai ’na calla intorn’ar fòco...

Pe’ quanto puro lì c’è er malgoverno,
come se trova sempre in ogni parte,
ché li papponi viveno in eterno...

M’ero imparato la magnera e l’arte
de fà passà pe’ ponte Farfarello
facennoje er "mazzetto" co’ le carte...

Vabbè che a vorte, propio sur più bello
che lo stavo imbrojanno, er vassallone
me pijava d’aceto puro quello.

Allora ereno guai: ’sto lumacone
se rifardiva e... daje a puncicamme
più vorte er deretano cor forcone!...

XVII

Spesso me nisconnevo tra le fiamme
indove me bruciavo pur er fritto...
Nun c’era la magnera de sarvamme.

Er diavolo più micco è sempre un dritto:
puro quanno se mette a pecoroni
cor un brigante uguale ar sottoscritto.

Poi quanti ce ne stanno! So’ squadroni!
Ognuno cià la parte che je spetta:
c’è chi soffia, chi smove li tizzoni,

chi para er pomicione che spaghetta
co’ quella che je capita a l’inzecca,
chi se diverte a fatte la cianchetta...

Eppoi c’è un diavolone che se lecca
tutte le dita mentre t’arivorta
sopra la bracia come ’na bistecca...

XVIII

Insomma nun se trema... Quela vorta
che capiti tramezzo a le "battone"
pòi puro faje un po’ de... manomorta.

Questo te viè permesso, in concrusione;
e la pòi fà magara a la maschietta
come puro a ’na dama d’eccezzione...

Ariverebbe a dì... la più perfetta
dama da trivio e donna de capestro:
"Colei che del suo cul facea trombetta".

Quella che Dante presentò ar Maestro...»

Vincenzo Galli

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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