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Messaggi del 03/11/2017

Primavera - Cincinnato

Primavera

N'arietta profumata
de viola e gersomino
entra da la finestra spalancata.
Che sia l' efjetto der bicchier de vino
che bevvi ieri a sera?
Che sia la primavera?
Ciò sempre 'na grevezza
che me pesa sull'occhi,
come 'na debolezza
che me dà a li ginocchi.
Esisteno parole
pe' descrive' la smania che se sente
de sta' sdrajato ar sole
senza volè' fa' gnente?!
E oggi poi ... c'è un sole che sbarbaja.

Due regazzini fischieno,
un cagnoletto abbaia ..

Augusto Jandolo
Strenna dei Romanisti, 1942, pag. 184


Cincinnato

Dicono fosse qui che Cincinnato
s'aritirasse a lavorà' pacioso:
a governà' le pecore,
a cortivà' la terra e che, sdegnoso,
mannò a fa' fotte er nunzio der Senato.
Je disse: - Amico, m'arincresce assai
ma io nun sposto più:
qui magno, bevo e dormo mentre a Roma,
immaggina un po' tu,
nun diggerivo mai.
- Roma, ch'è madre nostra, chiede ausijo
d'azzione e de parola;
come po Cincinnato, suo gran fijo,
che pe' 'n capriccio ha fatto sega a scola,
non ritornà' all'ovile?
- Cacchio! Parli ciovile ...
Perchè non dichi Roma vo 'n aiuto?
- Siccome vengo a nome der Senato
parlo un po' sostenuto.
- Spreghi er fiato, perch'io sto bene qua.
Tu non sai che sapore
cianno le fettuccine fatte in casa!
Sapessi che vinetto frizzantino
me dà 'sta vigna; mejo de Marino!
Mo che annamo ar tinello te lo provo.
- L'immaggino, ma Roma avanti tutto!
- ... Si poi ce bevi 'n'ovo
o te magni 'na fetta de prosciutto
me dichi doppo si che d'è 'sto vino.
- Aspetto 'na risposta, Cincinnato
che sia degna de te!
- Scusa, co' tanta gente che c'è ar monno
venghi a pijà' de petto propio a me?
- Perchè fra tanta gente tu sei er solo
ômo onesto e preclaro ...
- E tu rifrega co' li paroloni!
Vojo fa' 'r pecoraro,
vojo fa' er vignarolo, lo capischi?
Eh vattene, nun rompe' li c ... !

Augusto Jandolo
Strenna dei Romanisti, 1942, pag. 185

 
 
 

Piazza Navona

Post n°4304 pubblicato il 03 Novembre 2017 da valerio.sampieri
 

Piazza Navona

I.


Piazza Navona, arciromana piazza!
come snello il granitico campeggia
stelo sull'antro che sotto vaneggia
tra' fiuvlali Dei sull'ampia tazza!

La Befana nell'aere strombazza
e rauca attorno l'eco fragoreggia;
coro di bimbi, o monellesca reggia,
attorno alla tua fonte alto schiamazza.

Volgesi a tondo sull'antico Agone
la fuga delle lucide baracche
antico mio sospiro di bambino.

E dall'un lato, ciuffuto tritone,
sullo sfondo di fùmide trabacche
snodasi, audace, il moro del Bernino.

II.

Io qui, bimbo, venivo ogni Natale
il presepe a fornirmi di bambocci,
estasiato a que' dipinti cocci,
a que' sugheri tuoi, Circo Agonale.

Ed oggi al rifiorir del baccanale,
della garrula fiera in sui barrocci,
o nostalgica infanzia in me risbocci
del variopinto mondo pastorale.

E mai lasciavo, tornami al pensiero,
della magica piazza il vasto giro
senza un'occhiata volgere furtiva

al pauroso suo fantoccio nero.
Or ch'esso a mirar vengo, o rediviva
folla di putti te guardo e sospiro.

Tomaso Gnoli
Strenna dei Romanisti, 1942, pag. 274

 
 
 

Dal lubbione

Post n°4303 pubblicato il 03 Novembre 2017 da valerio.sampieri
 

Dal lubbione

Sospira Florindo: Potessi,
o dolce Rosaura salire
sul tuo balcone,
o qui senza baci morire
su questa strada di cartone,
cercando le ultime note
de la serenatella
ne le stelle di questa bella
notte che tace e che muore.
Risponde Rosaura: Signore,
mio padre il signor Pantalone
non vuol ch'io v'ascolti;
ogni notte voi dite la stessa
dolente canzone;
ogni notte voi fate promessa
ma non vi movete,
ma siete lì che morite
senza morire
sotto i chiarori di questo
cielo dipinto, che odora
del fumo di un lume già estinto.
Brontola, solo, Arlecchino:
È questo che mi spaventa!
Che parlan d'amore, e non posso
cioncarmi un bel fiasco di vino
davanti a una buona polenta!
Sospira Florindo: Vorrei
baciarvi i capelli che sono
di stoppa, ma sembrano d'oro;
guardarvi negli occhi vitréi
che sembran vivi,
avervi un momento, un momento
soltanto fra le mie braccia
e la maschera della vostra faccia
sentir contro il viso sgomento
ed, anche, piccolo pegno,
sopra il mio cuore contento
sentire urtare lento
il vostro piccolo cuore di legno.
Risponde Rosaura: Non posso
buttarvi giù la mia treccia;
il balcone è troppo alto così.
Mio padre, il Signor Pantalone,
ora verrà ché fa dì.
Volete, signore, volete,
lasciarmi il mio piccolo cuore
di legno contento?
È triste l'amore: che vale?
I cuori son tutti di legno
e la commedia sempre eguale,
e gli occhi miei spalancati
non versano lagrime, non
vedono nel buio tetro;
i cuori son sempre di legno
e gli occhi son sempre di vetro.
Brontola, mogio, Arlecchino:
Parlano come se fossero
due marionette.
Io ho il ventre che sembra un budello.
Almeno venisse compare Gioppino
per rinsavir quelle teste di legno
a colpi di randello!

Arturo Rosato
Strenna dei Romanisti, 1942, pag. 158

 
 
 

Sul Palatino

Post n°4302 pubblicato il 03 Novembre 2017 da valerio.sampieri
 

Sul Palatino

Io non sono un poeta, un pellegrino,
un vagabondo giunto d'oltremare
per cercar le tue pietre ed ammirare
le tue sacre vestigia, o Palatino;

io non vengo a frugare in questa cava
di gloria, dove il popolo latino
scrisse col sangue il giovane destino
del mondo e dove l'uomo scava, scava,

scava il passato ... Io cerco un po' di pace,
qui dove più assorbente fu il clamore
del mondo, qui dov'arse il vivo cuore
dell'universo, simile a una face;

dove l'Aquila marzia incanalava
la sua potenza, ad ogni nuovo volo
amalgamando come in un crogiuolo
le razze avverse della terra schiava.

La gloria... Questi ruderi cadenti,
questi avanzi sublimi e sepolcrali
furon vivi fastigi, innanzi ai quali
un giorno si prostrarono le genti;

furon pareti di superbe stanze
questi muri diruti, queste pietre
consunte, dove al suono delle cetre
un giorno s'intrecciarono le danze;

furon marmoree volte di fastose
sale, che risonaron di conviti,
dove cadevan gli ospiti impazziti,
soffocati da turbini di rose ...

Ma ciò che l'uomo edificò, vetusto
si sgretola, si macera, si perde:
un prepotente esuberar di verde
copre le soglie del divino Augusto.

E il sole splende, il sole che brillava
sul colle della gloria e dell'impero,
indifferente al piccolo mistero
della storia dell'uomo. E l'uomo scava,

scava il passato ... Lungo le pendici
del luminoso colle, in vista al Foro
solenne, vanno nella luce d'oro
coppie d'amanti immemori e felici:

gode nel sole, l'anima rapita,
la sua fugace inconcludente storia,
cantando sull'altare della gloria
il canto dell'amore e della vita.

Alberto Cavalieri
Strenna dei Romanisti, 1942, pag. 154

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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