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Messaggi del 24/11/2014

Er Ferovecchio

Post n°673 pubblicato il 24 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Er Ferovecchio

Ma che cce farai mai de 'n ferovecchio?
Magara te pô ssèerve pe' cquarcosa,
vedi de nu' bbuttallo drent'ar secchio,
ché de monnezza ce ne stà ggià a iosa.

Eppuro, si l'hai preso, te serviva,
doveva avecce quarche utilità
e, si er bisogno tuo nun te mentiva,
magara lo potrai riutilizzà.

Tiettelo conservato in un cassetto,
nun c'è bbisogno ch'usi la bambaggia,
tanto lo sai che llui nun è pperfetto ...

e mmica che dev'esse riverito!
Si nun lo bbutti, fai 'na cosa saggia:
tiette 'rricordo, puro si è sbiadito.

Valerio Sampieri
24 novembre 2014 

 
 
 

Il Dittamondo (1-06)

Post n°672 pubblicato il 24 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO PRIMO

CAPITOLO VI

"Compreso ho ben, figliuol, sí come tue 
se’ ito seguitando l’appetito, 
portando come bestia il capo in giue, 
e che novellamente se’ partito 
del bosco tenebroso e tratto a luce, 
come nuovo uccellin del nido uscito. 
Onde, pensando che in te si riduce 
disio creato da quella vertute 
che l’uom per dritta via guida e conduce, 
aprir ti vo’ de le cose vedute 
per me e per molti altri, che saranno 
in parte lume de la tua salute. 
Ché a l’uom val poco penter dopo il danno; 
e pregiato è il nocchier, che ’n suo’ peleggi 
conosce i tempi e sa fuggir l’affanno. 
E però quel ch’io dico nota e leggi, 
a ciò che sappi sí guidar lo remo, 
che la tua barca non rompa né scheggi. 
Partito è il ciel, ch’è tondo e senza scemo, 
in trecento sessanta gradi a punto 
e tondo è il centro suo, dove noi semo. 
E ciascun grado occupa e tien congiunto 
miglia cinquanta sei sopra la terra, 
con due terzi che d’uno ancor v’è giunto. 
Or se questa ragion, ch’io fo, non erra, 
veder ben puoi che ’n tutto gira e piglia, 
col mar che ’l veste e che d’intorno il serra, 
venti milia con quattrocento miglia: 
del quale il mezzo è manifesto a noi, 
e ’l dove e ’l come l’uom ci s’infamiglia. 
L’altra metá, che ci è di sotto, poi, 
nota non è, né qual v’abita gente; 
ma pure il ciel vi gira i raggi soi. 
E cosí dal levante a l’occidente 
diece milia dugento dir si puote 
di miglia: e ciò per lungo si consente. 
Poi, per traverso, perché il sol percuote 
in una parte piú e in altra meno, 
secondo che i cavai guidan le ruote, 
tanto gli è stretto a l’abitato il freno, 
che cinque milia cento miglia fassi; 
il piú bel tien settentrione in seno. 
Onde, se ben figuri e ’l ver compassi, 
tu truovi lungo e stretto l’abitato, 
ritratto quasi, qual mandorla fassi. 45 
E truovil piú giacere in su l’un lato, 
il qual secondo il ciel si può dir dritto, 
che n’è piú ricco e meglio storiato. 
Or fu partito il tutto, ch’io t’ho ditto, 
dai tre primi figliuoi ch’ebbe Noè, 50 
come per molti puoi trovare scritto. 
E questo fu quando Dio volse che 
fosse ’l diluvio, per strugger coloro 
che non aveano in Lui né amor né fè. 
Sem ebbe nome il primo e ’l suo dimoro 55 
in Asia fu e quella parte tenne 
ch’è grande per le due e ricca d’oro. 
Cam, il secondo, in Africa venne 
e s’ebbe terra men che gli altri due: 
a ricche pietre e buon terren s’avenne. 60 
Iafet, il terzo, in Europa fue, 
la qual per gran valor d’uomini è degna 
e degne e care fun l’opere sue. 
Similemente ancora si disegna 
lo mondo tutto e parte in cinque zona: 65 
le tre perdute e ne le due si regna. 
Per l’acceso calor, che il sol vi sprona, 
arde e combure sí quella di mezzo, 
ch’abitar suso non vi può persona. 
Le due da lato stan tra ’l sole e ’l rezzo. 70 
abitabili sono e temperate; 
l’altre, mortal dal ghiaccio e dal caprezzo. 
Or, quando vai, è buono che a ciò guate: 
perché v’è parte che ’l sole è sí poco, 
ch’un’ora dura a l’entrar de la state; 75 
e un’altra, come dico, che par foco: 
e cosí troverai pien di paura 
la terra e il mare, d’uno in altro loco. 
Poi si convien guardare e poner cura 
in qual tempo è men reo l’andar per mare, 80 
perché i venti vi son senza misura. 
La nave il buon nocchier de’ ispiare, 
la usanza de’ paesi e quella vita, 
che si convien tener secondo l’a’re. 
E ben che l’arte mia sia mal sentita 85 
per poco studio, in ogni tuo viaggio 
cerca prender buon punto a la partita: 
ché quelle cose, che non fanno oltraggio 
e che posson giovare, da usar sono, 
come l’altre fuggir, che fan dannaggio, 90 
sempre sperando in Quel ch’è sommo bono, 
perché da Lui, come luce dal sole, 
discende in noi ciascuna grazia e dono. 
La voglia stringi e lascia dir chi vole, 
se tu giungi a la stretta di Sibilia: 95 
ché qual giú passa spesso se ne dole. 
Anche il Faro da Calavra in Cicilia 
guarda come traversi, e come raspi 
dove annegan le Sirte ogni ratilia. 
Rado per l’India a le porte de’ Caspi 100 
o per l’Etiopia e tra gli Schiavi 
vi passa l’uom, che tristo non v’innaspi". 
Piú e piú luoghi alpestri, oscuri e cavi, 
poi mi mostrò, formando col suo sesto, 
ch’al mondo son pericolosi e gravi. 105 
Cosí quel padre e lume d’Almagesto 
"Tutto t’ho detto, mi disse, secondo 
la mia promessa e che tu m’hai richiesto". 
E io rispuosi: "E de’ cieli e del mondo 
m’avete sí contento il gran disio, 110 
ch’i’ veggio chiaro u’ m’era piú profondo". 
"Omai, diss’ello, qui ti lascio, addio".

 
 
 

Li bagni der mare

Post n°671 pubblicato il 24 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Li bagni der mare

Co' queli quattro debbiti che cianno. 
Li mi' padroni, a quello ch' ho sentito, 
Pare che vònno annà' puro quest'anno, 
Pe' moda, a fa' li bagni in quarche sito.

La contessa diceva oggi ar marito; 
Dio mio! Come si fa? Tutti ci vanno: 
Volete resta' qui? Siete impazzito? 
Non si puole; so' coset che nu' stanno.

Lui risponneva: Vi ci porto, ho detto; 
'Basta accusì: ma mi dovrò impignare 
L'orologgio d'oro co' qualch'antro oggetto.

I' 'sta magnera er povero sor conte 
Pe' vède' de porta' la moje ar mare 
Je tocca prima a dà' 'na scòrsa ar monte.

Trilussa
Tratta da: Quaranta sonetti romaneschi (Enrico Voghera, Roma, 1895)

 
 
 

Luisa Bergalli Gozzi

Post n°670 pubblicato il 24 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 
Foto di valerio.sampieri

Luisa Bergalli Gozzi

Non ebbe per certo chiari natali, poichè suo padre, originario piemontese, tenea negozio di calzolajo in Venezia quand’ella venne a luce nell’anno 1703: potè tuttavia a chiara fama salire per ottima educazione apprestatale in tenera età dal padre Alberghetti somasco. La indirizzò alquanto alla pittura Rosalba Carriera, se non che più vogliosa di allegrare la vita tra boschetti parrasj entrò volentieri in questi, assistita da Apostolo, e Pier Caterino fratelli Zeno, non meno che dal dotto piovano di s. Iacopo di Rialto Antonio Sforza. Giunta al suo vigesimoterzo anno avea già dato al teatro l'Agide, dramma scritto con dolcezza di verso e con nobiltà di pensieri, susseguitato poi da altre sue tragedie e commedie. Gentil pensiero ebbe nel fornirci di una stimabile edizione delle Rime di Gaspara Stampa, di altra di quelle del suo maestro Sforza, e di una Raccolta delle più illustri rimatrici d’ogni secolo, con cui fe’ conoscere che può essere dato alle donne, sì [p. 334]bene che agli uomini, di altamente cantare. Sempre più addottrinandosi nella lingua e nel terso scrivere, pubblicò un volgarizzamento di sei commedie di Terenzio, lavoro sì pregevole ch’ebbe ad encomiatori Francesco Zanotti e ’l padre Bandiera. Nella non più verde età di 35 anni prese a marito Gasparo Gozzi, cui fece padre di cinque figliuoli, e con cui visse in buona concordia. Fu il teatro una sua costante e sregolata passione; e nell’anno 1758 avendo condotto a proprio rischio quello di s. Angelo con la speranza di rammarginare le dimestiche piaghe economiche, tanto sfortunata fu nel successo, che non altro ottenne che di squarciarle vie più. Non sopravvisse al marito, in cui compagnia fece le traduzioni di alcune opere di Moliere, di Racine, di de la Mothe e d’altri, traduzioni ch’erano diventate li scarsi mezzi de’ quali vedeansi l’uno e l’altra costretti a valersi per sostenere la vita. Nell’anno 1779 scoccò l’ultima sua ora. Quando Luisa o in fresca età, o in mezzo agli agi fioriva, una frotta di cultori delle lettere frequentava la sua casa, e le sue cene non invidiavano quelle de’ Sapienti narrateci da Ateneo; ma, tramutata la sorte, dileguaronsi come in un baleno le pur troppo apparenti e false amicizie.

Tratto da: Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane (1826) di Bartolommeo Gamba.

L'immagine del titolo è tratta da Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), in due volumi, della stessa Bergalli.

Sul blog Bibliofilo Arcano ho postato il link a 20 sonetti della Bergalli.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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