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Messaggi del 07/04/2015

L'accompagno

L'accompagno

Ecco ch'er carro passa
coperto de corone :
intorno ar carro cinque o sei persone
che areggheno er cordone a testa bassa,
e appresso tanta gente
coll'aria addolorata
che parla allegramente.
- Eh ! - dice - poveretto!
E annato all'antro monno....
- Era un bón omo, in fonno.
- Chi je l'avesse detto!
- Chi lascia? - Tre nipote.
- Figure te che dote!
- Io credo bene che je toccheranno
trecentomila lire... - Poverelle !
Chissà che dispiacere proveranno ! -
M'avvicino a un vecchietto: - Scusi tanto;
- dico - chi è morto? -Dice: - Nun saprei...
- Forse lo saprà lei.
- chiedo a un antro signore che ciò accanto. -
- Pur troppo, - dice - è er socio de mi' zio.
Anzi er discorso funebre ho paura
che lo dovrò fa' io.
Come avvocato de la società,
certo me toccherà... Che scocciatura !
Era un bòn omo, benedetto sia,
ma se pijava quarche impuntatura
nun se smoveva più, Madonna mia !
Che carattere! Ammazzelo! D'artronne
beveva troppo, eppoi,
a dilla qui fra noi,
ancora je piaceveno le donne...
Eh! A quell'età... Nun è pe' faje torto,
ma quasi quasi è un bene che sia morto!

Ecco che a un certo punto,
quanno er corteo se ferma, l'avvocato
s'accosta ar carro, e doppo ave' guardato
un fojo bianco indove cià un appunto,
comincia a di': - Coll'animo strazziato
parlerò de le doti der defunto.
Addio per sempre, addio,
povero amico mio,
nobbile e raro esempio de virtù !
Nun te vedremo più! ...
- Quant'anni aveva? - Un'ottantina appena...
- L'ha ammazzato la balia ! - E quann' è stato?
- Jeri a le quattro... - Immaggina che scena!
- Era ammojato? - No.
- Ma ciaveva l'amica... - Questo sì:
una certa Fannì
che lo chiamava sempre zio Cocò.
- Lui puro s'è voluto divertì'....
Poveraccio, però!

Trilussa
Da: Le finzioni de la vita

 
 
 

Fiori d'acanto (1)

Post n°1453 pubblicato il 07 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Fiori d'acanto

I

L'amore mio è una tresteverina,
Arta ribbusta e bbella ch'è un amore:
Già un'aria de me ne... cche ccià un sapore
Che nun ce l'ha nnemmanco una reggina.

Me ce smammo, a sintilla, si ddiscore,
Me c'incanto, a vvedella, si ccammina:
Già 'na céra, si vvedi, accusi ffina,
Che ppare vellutata com'un fiore.

Quanno me guarda co' quell'occhio nero.
Me dice sempre: «Ah Ggiggi, Giggi mio.
Io pe' tte stò in continuvo pensiero;

Ciò ssempre er dente amaro: io me ciaddanno:
Ma ssi mme pianti, stassi in braccio a Ddio,
Attacchetel'ar deto che tte scanno!»

Giggi Zanazzo
27 marzo 1886.
(Da: "Poesie e prose scelte", Perino, pag. 25)

 
 
 

Li teatri de Roma

Le note al seguente sonetto del Belli sono tratte dal volumetto -di sole 38 pagine- "Alcune poesie in dialetto romanesco di G. G. Belli scelte ed illustrate dal P. Daniele Olckers o. s. b. ", Monaco, Tipografia accademica F. Straub, 1878.

4. Li teatri de Roma.

Otto teatri fanno (1) in sta staggione
De Carnovale si mme s'aricorda,
Fiani, (2) Ornano, (3) er Nufraggio, (4) Pallaccorda, (5)
Pasce, (6) Valle, (7) Argentina (8) e Ttordinone. (9)

Crepanica (10) nun fa, manco er Pavone, (11)
Ma c'è invece er casotto; (12) e ssi ss'accorda
Quello de le quilibbrie e bball' in corda (13)
Caccia puro Libberti (14) er bullettone.

Nun ce sò Arcidi (15) grazziaddio cuest' anno,
Che st' Arcidi so arte der demonio,
E cquer che fanno vede è ttutto inganno.

Io però, si Ddio vò, co Mmanfredonio
Vad' a piazza Navona che cce fanno
La gran cesta der gran Bove d'Antonio. (16)

Giuseppe Gioachino Belli
(Sonetto 343)

Note:

1. Cioè rappresentazioni di opere teatrali.
2. piccolo teatro sotto il palazzo degli Ottoboni duchi di Fiano nel Rione di Colonna, dove si davano spettacoli di burattini (marionette), il quale teatrino era molto frequentato dai Romani a cagione d'una maschera romana detta Cassandra, gli arguti motti di cui piacevano assai.
3. vien così nominato dal palazzo Ornani (piazza Navona) dirimpetto a S. Nicola de' Lorinesi.
4. detto poi della fenice.
5. Pallacorda nel Rione Campo Marzo dirimpetto al Palazzo di Firenze. Si chiama anche Metastasio.
6. Teatro della pace chiamato così per la vicinanza della contrada e Chiesa della pace.
7. Teatro Valle de' marchesi Capranica nel Rione di S. Eustachio accanto all' università della Sapienza.
8. Teatro di Torre Argentina nello stesso 'Rione ebbe il nome dal Cardinale Francesco Argentino o Argentina che fece fabbricare il palazzo colla Torre detta Argentina.
9. Tordinona o teatro di Apollo nel Rione di Ponte. Dicesi Tordinona perchè ivi un tempo v'era un vasto edifizio ed una torre che si chiamava Torre di Nona ad uso di pubbliche carceri di Roma sin al Pontificato d'Innocenzo X che trasportò le prigioni in via Giulia.
10. Teatro Capranica nel Rione Colonna sulla piazza Capranica.
11. Piccolo teatro domestico del Duca Francesco Cesarini.
12. Casotto di burattini che era portato da luogo in luogo.
13. Ballatori sulla fune o corda detti funamboli ed altri simili.
14. Teatro Alibert detto anche delle dame nel Rione Campo Marzo poco distante dalla piazza di Spagna e dalla via del Babuino. Ebbe il nome dalla famiglia de' conti Alibert, che lo fece erigere.
15. Atleti. 16. Si veda la nota 3.
17. Uno spropositone proprio alla romanesca in vece di dire: le gran gesta di Buovo d'Antona. Dietro quel romanzo (falsamente attribuito all' arcivescovo Turpino, l'autore di cui probabilmente fu un religioso di S. Andrea a Vienna in Delfinato, che lo compose verso il 1192) in cui si narrano finte avventure di Carlo Magno e dei suoi paladini specialmente di Orlando nacquero in Italia molti altri romanzi, tra' quali anche Buovo d'Arttona di 22 canti in ottave.

 
 
 

La lite

Post n°1451 pubblicato il 07 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

La lite

Ma che te credi che li tu' barbotti,
gnente, gnente, me metteno pavura?!
Mbè: cerca a nun fà tanto la cratura:
perché, si nu' lo sai, già me l'hai rotti.

Ma te ci azzardi puro a fà li rotti?!
Mannaggia la madosca! so' figura
d'agguantatte, infrociatte. pe' le mura
e sfragnettece a furia de cazzotti!

- Levete Pippo! - Fermo patrò Lello.
- Con me?! con me?! T'ho visto, sai tllo visto!
Con me ciài core de caccià 'r cortello?!

Si ciariprovi de riarzà 'na mano,
te squarto, quant'è vero Gesucristo,
e me te magno er core sano sano!

Giggi Zanazzo

 
 
 

La vedova co ssette fijji

Le note al seguente sonetto del Belli sono tratte dal volumetto -di sole 38 pagine- "Alcune poesie in dialetto romanesco di G. G. Belli scelte ed illustrate dal P. Daniele Olckers o. s. b. ", Monaco, Tipografia accademica F. Straub, 1878.

3. La vedova co ssette fijji.

E' un mese ch' er ppiù ffijjo piccinino
Lo manno (1) a scôla cqui a l'iggnorantelli (2)
E ggià pprincipia a ffà li bbastoncelli (3)
E a rrescità all' ammente l'abbichino. (4)
 
Uno a Ttatagiuvanni (5) fa l'ombrelli,
Un' antro a Sammicchele (6) è scarpellino,
E ar più granne ch' è entrato all' Orfanelli (7)
J' impareno li studi de latino.

Le tre ffemmine, Nina se n'annette, (8)
Nannarella se l'è ppresa la nonna,
E Nnunziatina sta a le Zoccolette. (9)

E io la strappo via, povera donna,
Cor rimette le pezze a le carzette
Sin che nun me provede la Madonna.

Giuseppe Gioachino Belli
(Sonetto 311)

Note: In questo sonetto si fa menzione d'alcuni di quei tanti istituti di carità dei quali Roma abbondava.
1. mando.
2. L'istituto de' fratelli delle scuole cristiane o ignorantelli fu fondato in Francia da G. B. Lasalle nato a Reims nel 1651, morto nel 1719 e dichiarato venerabile nel 1840. 1 suddetti fratelli aprirono in Roma varie scuole elementari come a S. Salvatore in Lauro, alla Trinità de' Monti ad a S. Maria a' Monti.
3. a scrivere colla penna.
4. a mente l'abbaco, abbachino.
5. E l'ospizio degli orfani abbandonati comunemente detto Tatagiovanni. Un tal Giovanni Borgi, maestro muratore romano cominciò nel 1784 a raccogliere in sua casa gli orfani che andavano raminghi per le pubbliche strade senza mezzi di sussistenza. Egli li faceva lavorare presso gli artigiani e la sera li raccoglieva in sua casa vestendoli, alimentandoli né trascurava di dar loro una educazione morale. Gli orfanelli lo chiamavano Tata (padre), onde l'ospizio ebbe il nome Tatagiovanni. Il detto ospizio si truova in S. Anna dei falegnami nel Rione di S. Eustachio. Vi sono ammessi orfani di padre e madre romani, privi di parenti facoltosi all' età di 7 anni e vi vengono educati sin all'età di 20 anni.
6. L'ospizio apostolico di S. Michele a ripa grande il quale ebbe le sue origini da Tommaso Odescalchi elemosiniere d'Innocenzo XI e favorito dai Papi, specialmente da Innocenzo XII e Pio VI diventò di grand' estensione. Esso si divide in quattro comunità: 1) dei vecchi, 2) delle vecchie, 3) delle giovani, 4) dei giovani. Vi si praticano sotto buoni maestri le professioni di stampatore, legatore di libri, falegname, ebanista, sartore, calzolaio, ferraio, scarpellino, metaniere, cappellaro, tintore, lanaiolo, ed imbiancatore. Si esercitano anche alla scoltura d'intaglio e di ornato, all' incisione e fusione dei caratteri, all' incisione di medaglie e carnei, in rame, poi il lavoro degli arazzi e tappeti in figura ed ornato vi si esercita e si coltiva anche la musica.
7. E il conservatorio de' poveri orfanelli fondato da Paolo III nelle abitazioni unite alla Chiesa di Santa Maria in Equirio nel Rione di Colonna (il volgo dice in Aquiro). Quegli orfanelli che mostransi abili alle lettere possono esser promossi allo studio nel prossimo Collegio detto Salviati.
8. Se ne andò, cioè morì.
9. Intorno alla voce zoccolo (rozzo calzamento con la pianta di legno) il nuovo dizionario domestico di arti e mestieri del prof. Sergent dice:,,Dassi alla parola zoccolo una terminazione femminina quando questo calzamento è a uso di donna; che allora la forma ne è non poco diversa per la minore altezza del tomaio, e per la totale mancanza dei quartieri.'' Il conservatorio delle zoccolette o conservatorio de' SS. Clemente e Crescentino, fondato da Innocenzo XII e compito da Clemente XI è nel Rione di Regola e ricevQ povere fanciulle sin dai sette anni, le quali altre volte portavano zoccole ai piedi, onde dal volgo erano chiamate "zoccolette.".

 
 
 

Massimo della Pena

Post n°1449 pubblicato il 07 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Stupidario Giuridico - Massimo Della Pena - BUM Mondadori - Milano 1993, pag. 56 - Le parti lese - umiliati e offesi, ma spesso se lo meritano.

Mentre baciavo la mia fidanzata si è affacciato al finestrino impugnando una pistola e minacciandomi di scendere dall'auto.

Altro che provocazione. E' stata un'aggresssione bella e brava!

Se non scappavo, quello era capace di sterminarmi a botte.

Minacciandomi con la pistola, mi voleva costringere a opporre la mia firma sulla cambiale.

Dato che continuava a insultarmi gli ho detto: "Non si permetta di moderarmi i termini".

Spero che questa che questa condanna gli serva da monitor.

Se quel farabutto non mi risarcisce entro domani, inventerò una causa per danni.

Io sono il vero danneggiato, e intendo defalcare ogni responsabilità nella vicenda.

Sporgo denuncia contro i seguenti atti penali offensivi.

A questo punto, mentre fuggiva con la mia macchina, mi sono aggrappato alla targa, che essendo provvisoria mi è rimasta in mano.

Non ho potuto inseguire gli scippatori a causa del traffico cianotico.

I carabinieri e i pompieri dicono di no, ma io sono sicuro che è stato un incendio doloroso.

 
 
 

A proposito d'un re ...

Post n°1448 pubblicato il 07 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

A proposito d'un re ...

Jeri parlavo cor burattinaro
ner mentre preparava er teatrino
pe' fa' la pantomima d'Arlecchino
ch'ammazza Pantalone finto avaro.

— Purtroppo, — me diceva — er burattino
ar giorno d'oggi è diventato raro
pe' via ch'er legno costa troppo caro
e nun c'è più la fabbrica a Berlino.

Prova ne sia che all'urtima traggedia
per aggiusta' le gambe der Tiranno
ho rotto li piroli d'una sedia;

e per ave' la testa d'un sovrano
ho scritto in Grecia: ma me spediranno
un burattino de seconna mano.

Trilussa
(Da: "Le finzioni de la vita", Licinio Cappelli, Rocca San Casciano, 1918)

 
 
 

Le Cchiese de Roma

Le note al seguente sonetto del Belli sono tratte dal volumetto -di sole 38 pagine- "Alcune poesie in dialetto romanesco di G. G. Belli scelte ed illustrate dal P. Daniele Olckers o. s. b. ", Monaco, Tipografia accademica F. Straub, 1878.

Abbiamo detto, che il popolano di Roma si rifa i nomi proprii a modo suo. Nel seguente sonetto sene trovano molti esempi.

2. Le Cchiese de Roma.

Quer vecchio a la Madon (1) de la Pusterla (2)
Secco secco, arto arto, bbrutto bbrutto,
Che sse maggnò de sabbito una merla
Cotta co li lardelli e cco lo strutto:

Sto quequero (3) de vecchio, che ssa ttutto,
Disce che Ssan Lorenzo paneperla (4)
In todesco vo ddì pan' e ppresciutto:
Ma sta volata je se pò credèrla?

Nun ze nega però che in quant'a cchiese
A Rroma uno ppiù bbazzica e ppiù ttrotta
E ppiù bbuffe ne trova a sto paese

C' è Ssan Spirito in Zassi (5) a la longara.
Metti San Biascio (6) poi de la paggnotta.
Poi la Minerba (7) e ppoi la Pulinara (8).

Senti quest' antra e impara:
Santa Maria in Cacabberi (9): e ssi cerchi,
Trovi er Zudario (10) e la Madon de Scerchi (11).

Levamo li cuperchi
A st'antre dua: San Neo e Ttacchineo (12)
E la Madonna de Campocarlèo (13).

Lì a San Bartolomeo (14)
C' è in faccia San Giuvanni Gabbolita (15)
E cc'è a piazza de Sciarra (16) er Caravita (17).

Ma cqua nun è ffinita:
Ce sò li Stimiti (18) e ppoi due ppiù bbrutte,
Sastèfino der Cacco (19) e Sammautte (20).

E nun l'ho ddette tutte.
C'è er San Tomasso accenci (21) e l' Imperione (22),
San Lorenzo immiranna (23) e'r Gonfalone (24).

Poi vie ll'antra porzione
De San Giorgio in velàpro (25), e in certi vicoli
La cchiesa de Sastèfino in pescicoli (26).

Vôi ppiù nnomi ridicoli
De Subburra (27) Rescèli (28) e Strapuntina (29)?
Se pô ppassà Santa Maria Carina (30).

Manco a scappà in cantina
Da li tre Ssan Giuvanni uno se sarva
Dell' Aino (31), de la Piggna (32) e de la Marva (33).

Farai la coccia carva (34)
E ssempre n'averai de le ppiù belle:
Ortr'a Ssan Sarvator de le cupelle (35)

Ce ne so c'a vvolelle
Di ttutte sce vorìa (36) de stenne un fojjo
Cquà da Scossciacavalli (37) a Ccampidojjo.

E pe cquesto nun vojjo
Protenne tanto che nun vadi ar lecco
Cuer vecchio amico mio, brutto, arto e ssecco.

Giuseppe Gioachino Belli
(Sonetto 342)

Note:

1. Madonna. 2. E' la chiesa Santa Maria in Posterula nel Rione di Ponte detta così dalla famiglia che la fondò. 3. quacquero. 4. San Lorenzo in Paneperna nel Rione dei Monti, una delle più antiche chiese di Roma nel luogo dove S. Lorenzo soffrì il martirio. Il soprannome di Paneperna stimasi derivato da un tal Perpenna Quadraziano, che probabilmente vi aveva l'abitazione o secondo altri da un* elemosina che ivi si dava ai poveri cioè pane e perna. 5. Santo Spirito in Sassia coll' ospedale annessovi nel Rione di Borgo presso la via della Lungara, notissima chiesa fondata da Ina re degli Anglo-Sassoni. 6. S. Biagio della Pagnotta, antichissima chiesa sulla via Giulia, da Gregorio XVI concessa ai monaci Armeni della congregazione Mechitarista che vi celebrano secondo il loro rito e in certi giorni vi fanno la distribuzione de' pani benedetti. Questa chiesa però era già chiamata della Panetta o Pagnotta, primachè fosse concessa agli Armeni, perchè nel giorno della festa vi si distribuiva il pane. 7. S. Maria sopra Minerva dei P. P. Predicatori, chiesa notissima nel Rione della Pigna. 8. Santo Apollinare del Seminario Romano nel Rione del Ponte. 9. Santa Maria in Cacaberis, chiesa nel Rione di Regola. La denominazione in Cacaberis si vuol dedurre dalla voce latina cacabus, cioè caldaia o vaso di rame di cui si lavorava gran numero nei contorni. 10. E la chiesa del ss. sudario de Savoiardi nel Rione di S. Eustachio. Una compagnia di Savoiardi e Piemontesi la fece edificare nel 1605. 11. S. Maria in Cerchi al circo Massimo. 12. La chiesa de' ss. Nereo Achilleo e Domitilla poco distante dalle terme Antoniane sulla via Appia antica nel Rione di Ripa. 13. S Maria in Campo Carico nel Rione dei Monti. La denominazione di questa chiesa proviene dalla contrada; poiché ivi abitava la famiglia Leoni ed eravi un piccolo campo (piazza) detto Caroli Leonis. Carlo Leone fu poi corrotto dal volgo in Carico. 14. S. Bartolomeo sull' isola tiberina, chiesa notissima. Dirimpetto a questa Chiesa si trova 15. La chiesa di S. Giovanni Calibita o Calabita detto S. Giovanni di Dio coli' ospedale annessovi de' P. P. Benfratelli (Fate bene fratelli). 16. La piazza di Sciarra sul corso prende nome dal palazzo Sciarra. Sta vicino 17. L'oratorio di S. Francesco Saverio detto del Caravita per essere stato edificato dal P. Pietro Caravita d. C. d. G. nel 1711 con elemosine; in questo e negli annessi oratori si fanno dai secolari degli esercizi notturni di pietà sotto la direzione dei P. P. d. C. d. G. 18. Sacre stimate di S. Francesco. Questa chiesa era altrevolte dedicata ai SS. Quaranta Martiri. La ebbe nel 1595 la confraternita delle stimate di S.Francesco istituita da Federico Pizzi chirurgo romano. 19. S. Stefano del Cacco nel Rione della Pigna, poco distante dal palazzo Altieri. 20. San Macuto piccola chiesa nel Rione di Colonna dedicata a S. Macuto vescovo di Brettagna. Essa è poco distante dal Panteon e ancor meno dalla chiesa di S. Ignazio in via del Seminario attigua al palazzo Borromeo ov' è il collegio de' Nobili ed il Collegio Germanico-Ungarico. 21. S. Tommaso a Cenci nel Rione di Regola sopra il monticello formato dalle rovine del teatro di Balbo, ove abitavano i Cenci. Francesco Cenci, padre della Beatrice, rifece questa chiesa. (Di quella infelice famiglia scrisse l'anno scorso l'egregio Signor Bertolotti archivista di Roma nella Rivista Europea.)
22. San Tommaso in Parione detta in Parione dal Rione ove sta 23. San Lorenzo in Miranda nel Rione di Campitelli. Tra gli antichi tempi eretti da Romani nel foro questo è il più intiero, essendo stato fatto circa l'anno di nostra salute 178 dall' Imperator Marc' Aurelio Antonino il filosofo al suocero Marco Antonino Pio ed a Faustina sua moglie ambo divinizzati. Questa chiesa fu detta in Miranda per esser collocata fra i maravigliosi vestigi del foro Romano. 24. E la chiesa di santa Lucia del Gonfalone nel Rione della Regola. Essa si chiama anche Sa. Lucia in Chiavica a cagione d'una gran cloaca vicina. La confraternità del gonfalone è la più antica di Roma ed il suo principale istituto era quello di redimere gli schiavi e perciò alza nello stemma la croce a colori rosso e turchino. 25. S. Giorgio in Velabro nel Rione di Ripa, una delle più antiche chiese di Roma detta così dal luogo ove fu edificata. 26. Dirimpetto alla suddetta chiesa di S Giorgio in Velabro è la chiesa di S. Stefano in Piscinola detta così dal mercato di pesce ch'un tempo si faceva qui, 27. E la chiesa di Sa. Agata alla Suburra detta anche de' Goti nel Rione de' Monti. 28. Sa. Maria in Ara coeli notissima chiesa detta anticamente in Capitolio, eretta sugli avanzi del tempio di Giove Capitolino. 29. Sa. Maria in Traspontina che si truova al di là dal ponte di S. Angelo nel Borgo nuovo. 30. Sa. Maria in Carinis. 31. S. Giovanni in Aino nel Rione della Regola. Vuoisi derivare questa denominazione in Aino da qualche famiglia, che fondò la detta chiesa. 32. S. Giovanni della Pigna detta così dal Rione in cui si truova; appartiene alla confraternità della pietà verso i poveri carcerati istituita da un certo Giov. Talliere d. C. d. G. 33. S. Giovanni della Malva (in mica aurea detta così dal pane dorato che vi si distribuiva?) chiesa nel Rione di Trastevere ora distrutta. 34. testa calva, cioè invecchierai. 35. S. Salvatore delle coppelle nel Rione di S. Eustachio denominata cosi dalle botteghe dei coppellar! e barilari che vi abitavano. 36. Ce ne sono (tante) ch'a volerle dir tutte ci si vorrebbe . . . 37. piazza Scossacavalli colla chiesa di S. Giacomo Scossacavalli nel Rione del Borgo. Secondo una vecchia tradizione Sa. Elena imperatrice volle far portare alcune reliquie insigni, fra le quali due grandi pietre, che vi si conservano, a S. Pietro in Vaticano. Ma i cavalli giunti in questo luogo non vollero più muoversi non ostante le continue percosse che ricevevano, onde fu di mestieri lasciare le dette reliquie in questo luogo, che da ciò prese il nome di Scossacavalli.

 
 
 
 
 

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