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Messaggi del 11/10/2015

Storia nostra 56-60

Storia nostra
di Cesare Pascarella

La Storia nostra di Cesare Pascarella parte da La fondazione di Roma e prosegue con altri episodi della storia di Roma, per proseguire poi con il Medioevo, Napoleone, il quarantotto, l'assedio di Roma, Garibaldi, fino al congresso di Parigi, per un totale di 44 capitoli e poco meno di 300 sonetti. L'opera è però incompleta ed alcuni sonetti sono stati soltanto abbozzati (come ad esempio i sonetti 59 e 60 di questo post).
Ho già pubblicato i dodici sonetti de La fondazione di Roma sul blog Bibliofilo Arcano, ma non dispongo dei sonetti dal numero 13 al 55. Seguo invece le pubblicazioni di Rugantino in Dialetto Romanesco reperibile online a partire dal numero 13116.

LVI

Per esempio, si c’era l’occasione
Che faceveno qui a Piazza de Siena
La corsa de le bighe, quello, appena
Che lui n’avesse avuto cognizione,

Mentre Villa Borghese era già in piena,
E fra l’urli de la popolazione
Li cavalli pistaveno la rena
Davanti ar parco de la commissione,

E staveno già pronti tutt’in riga
E aspettaveno tutti la partenza,
Se presentava lui sopra la biga,

E lí, si caso mai nun eri astemio
De campà’, bisognava usà’ prudenza,
Mannanno avanti a tutti, e daje er premio.

LVII

Cusí, si, famo er caso, se trovava
Pe’ ’n’ipotesi fra la sciccheria,
Mentre a Piazza Colonna se sonava
La Norma er Fausto la Cavalleria:

Si era ’na serata che j’annava
De vela, e se trovava in allegria,
Senza pensacce tanto je pïava
L’estro de sonà’ lui ’na zinfonia.

Zompava sopra ar parco de Vessella
E je diceva: Qua commanno io;
Pïava la bacchetta e la cartella

E poi strillava: Avanti, pizzardoni!
Forza! E quelli cor muso sur leggio
Daje a soffiaje drent’a li tromboni.

LVIII

’N’antra vorta voleva fa’ er tenore.
Per esempio, chiamava er segretario
Der Costanzi che c’era er Trovatore,
E se faceva preparà er vestiario.

E diceva: «Divampa er mio furore»
Lo canto io. Chiamava l'impresario
E la sera diceva ar direttore
De la scena: Tirate su er sipario.

Quello l’arzava; e lui veniva avanti
E diceva: Si mai ci avete idea
De fischiamme, v’ammazzo a tutti quanti.

E figurate tu! L’anfiteatro,
Le portrone, li parchi, la platea...
Da l’applausi veniva giú er teatro.

LIX

Ma te dirò che fin ch’avesse fatto
’Ste cose solamente, io te l’ammetto
Che nun sarebbe stato gnent’affatto
Bello, sotto qualunque sia rispetto;

Ma in fine de li fini avressi detto:
- Va bene, compatitelo ch’è matto! -
Ma er male era che poi tutt’in un tratto
Le cose se cambiaveno d’aspetto,

Perché s’inferociva co’ la mente
E detto un fatto je veniva l’estro
Der quarto d’ora d’ammazzà’ la gente.

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LX

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Ché tanto nun l’avemo mai vedute
Le catacombe, giú for de le mura,
Che se troveno sotto a le tenute!

Nu’ lo sapemo che dovunque smovi
La terra, trovi giú ’na seportura
Che piú ne cerchi e piú tu ce ne trovi!

Cesare Pascarella (1858 - 1940)
Da: Storia nostra

 
 
 

La storia der monno 7

Post n°2097 pubblicato il 11 Ottobre 2015 da valerio.sampieri
 

La storia der monno

XXXI

E scesero l'ebbrei co’ la pagnotta
come fanno da noi li pecorari
quanno che fa neve a Capracotta,
co’ le cioce, le pecore e somari,

e annaveno vennenno la ricotta.
Ereno scarcinati montanari
e quelli cittadini e gente dotta;
li giudii faceveno l’affari

perché quell’antri, invece che alla grana,
penzaveno a cercasse la fortuna
sopra le stelle e, co’ maniera strana,

senza avecce la pratica opportuna,
staveno sveji la nottata sana
a contemplasse er cèlo co’ la luna.

XXXII

Diceveno: - Se monta facirmente
sopra ’sto cèlo, co l’architettura:
basta ’na scala forte e resistente;
annnacce a piedi è cosa più sicura. -

Eppure era ’na razza intelligente!
Ma voleveno vince’ la natura
senza li razzi e senza er propellente,
sortanto a mezzo de ’n’imparcatura.

Fu decisa così la costruzzione
e ce messero a capo Minchiore;
e chi je dava torto e chi raggione,

perché alla gente piace de discore.
Er prete diede la benedizzione,
messe la prima pietra della tore.

XXXIII

E puro er Padreterno scese a vede’
che staveno facenno ’sti fregnoni.
Prese ’na pietra, ce se messe a sede'
e dimannò perché tanti matoni.

E quelli j’arisposero: - Che crede?
Che dice lei? Che noi nun semo boni
d’arivà in paradiso? - Ce vò fede -
rispose lui - e voi sete cojoni. -

E subbito je venne ’na penzata,
proprio da padreterno, accusì fina
che penzannoce fece ’na risata.

«Mo v’accommido io, pe’ la matina!»
E je confuse a tutti la parlata
che quella gente diventò cretina.

XXXIV

Raggionaveno tutti a ’na maniera,
ma però se capiveno ar contrario.
Si un diceva «pace, bona sera»
l’antro capiva «guera» ar suo frasario;

pareva da stà all’Onu, alla frontiera!
E fecero un linguaggio immagginario
pe potesse capì, però nun c’era
né l’arfabeto, né er vocabbolario.

Inzomma era ’na tale confusione
che Abramo disse a Sara: - Annamo via,
ché, si restamo qui, addio raggione! -

E fatta d’ogni cosa masseria,
guidanno co’ li cani e cor bastone
le pecore, escì fora de Turchia.

XXXV

Era Sara più bella della Lollo,
più de Bardò, più mejo de Sofia;
ci aveva ’na capoccia sopra er collo
ch’era davero ’na fottografia;

quanno faceva poi vede’ lo scollo
chi lo vedeva entrava in fantasia.
Co’ la posta moderna, ar francobollo
ce metteveno lei, parola mia!

Era Sara p’Abbramo ’na passione,
ci annava pazzo, se la spupazzava,
se la teneva sempre ar padijone.

Quante ricotte che j’arigalava!
Però bisogna dì che, in concrusione,
Sara, chissà perché, nun je fijava.

Gustavo Quadrini
Tratti da: La storia der monno
Cento sonetti spubbricati ner 1962

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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