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Messaggi di Agosto 2014

Fiabba numero uno

Post n°428 pubblicato il 25 Agosto 2014 da valerio.sampieri
 

La Fiabba dell'orco e la bambina

C'era una volta una bambina piccina piccina picciò che non credeva agli orchi. Aveva grandi occhioni verdi ed era una delizia.
Un giorno questa bambina si imbattè in un orco poliglotta, non nel senso che conosceva molte lingue straniere, ma nel senso che l'unica lingua che aveva la usava come se fossero dieci e nei modi più disparati. Mica la usava soltanto per parlare, questo (p)orcone, no! Se non ti stavi attento e gli stavi nelle vicinanze, zaffete, questo (p)orcone ti piantava una slinguazzata dove capitava capitava: tra capo e collo, in dell'occhi, sulle mani, sulle braccia ... insomma, ti riduceva una fetecchia di fracicume!
La bambina imprudente si sarebbe dovuta accorgere che l'orco slinguazzatore era un orco per via dei sopracciglioni a mustacchio a tortiglione, ma dato che lei era un poco capatosta e non credeva agli orchi, niente da fare! Lei diceva "nòo, nòo, nòo! Luìi nòon èe ùun orcòo!" (lei parlava così perché non conosceva le lingue straniere, non avendo studiato il napoletano classico), dato che lei non credeva all'esistenza degli orchi.
L'orco mustacchioso tortiglioso, lì per lì, cominciò a far roteare la sua linguaccia puntuta, ma la bambina continuava a dire "nòo, nòo, nòo! ..." ecceccecc e l'orco ci restava male, dicendosi: "Ma che gusto c'è a spaventare le bambine, se loro non si spaventano?" E gli venne una prima crisi di identità, soprattutto perché, causa rimbecillimento senile, si era scordato i documenti nei calzoni che non aveva fatto lavare a secco e quindi aveva perduto irrimediabilmente la carta di identità.
Ma non basta!. La bambina capocciona che non credeva agli orchi -e, da quando aveva conosciuto questo orco, nemmeno ai sopracciglioni tortigliosi- cominciò a chiamare l'orco Angelo. Il povero orco, che si chiamava Righetto, si fece prendere una seconda crisi di identità, che in realtà furono altre due, in quanto nel frattempo si era rifatto i documenti e, essendo affetto da rimbecillimento senile, si era scordato di chiamarsi Righetto e sulla nuova carta di identità aveva fatto scrivere come nome Spinterogeno e ciò ingenerava ulteriore confusione nella sua mente bacata in quanto alcuni amici, chissà perché, lo chiamavano Pancrazio.
Povero orco! cominciò ad ingobbirsi ed a diventare sempre più piccino, al punto che, un bel giorno, vinse un premio galattico riservato al nano più alto del mondo, ma ciò non valse a consolarlo, perché nel frattempo era scoppiata l'afa e lui pativa il freddo. Forse non è molto chiaro il nesso logico in questa ultima frase, ma dato che sto scrivendo una fiabba, me ne strabuggero bellamente e scrivo quello che cacchio mi pare!
Oh, ma dimmi tu se devono venirmi a correggere le fiabbe!
La bambina, che nel frattempo era diventata un po' malandrina, a forza di essere slinguazzata dalla saliva magggica dell'orco rimbecillito, diventato il nano più alto del mondo, aveva sgamato il problema e si divertiva a chiamare l'orco con i nomi più svariati, aggravando la sua crisi di identità. Il povero orco, a furia di rifare i documenti, fu costretto a comprare un capannone industriale per adibirlo a deposito dei suoi documenti ormai inservibili, dato che ogni 10 minuti era costretto ad andare in comune per cambiare identità.
Il povero orco finì sul lastrico e dovette andare a vivere sotto i ponti.
La bambina, che nel frattempo -abbondantemente annaffiata da tutti gli schitazzi orcheschi- era cresciuta talmente tanto da aver vinto il premio riservato alla gigantessa più bassa del mondo, si pentì di essere diventata così filibustriera e cominciò a credere agli orchi, ma, nel frattempo quel povero orco era diventato un catorcio, autoconvincendosi di essere una locusta in quanto, essendo divenuto il nano più alto del mondo, non poteva più andare a cavallo, ma soltanto a cavalletta.
Insomma, i due si incontrarono e si spiegarono, decidendo di non credere più alle favole. L'orco si riprese bene, tanto da trasformarsi da catorcio in mezzo catorcio solamente. La bambina si trasformò in una splendida ragazza che non credeva più alle favole, ma credeva agli orchi. Entrambi decisero di assumere nuove identità.
I due si baciarono delicatamente, si abbracciarono, e si amarono così, tenendosi con le mani nelle mani e nessun cinese puzzolente osò avvicinarsi a loro.
La morale di questa bellissima fiabba, ovviamente, è che i cinesi puzzano!

Er Fiabbatore

 
 
 

L'automobile e er somaro

Post n°427 pubblicato il 25 Agosto 2014 da valerio.sampieri
 

L'automobile e er somaro

- Rottadecollo! - disse un Somarello
ner vedè un'Automobbile a benzina.

- Indove passi tu, nasce un macello!
Hai sbudellato un cane, una gallina,
un porco, un'oca, un pollo...
Povere bestie! Che carneficina!
Che sfraggello che fai! Rottadecollo!

- Non fiottà tanto, faccia d'impunito!
- rispose inviperita l'Automobbile. -
Se vede che la porvere e lo sbuffo
de lo stantuffo t'hanno intontonito.

Nun sai che quanno io corro ciò la forza
de cento e più cavalli? E che te credi
che chi vò fa carriera se fa scrupolo
de quelli che se trova fra li piedi?

Io corro e me ne infischio e nun permetto
che 'na bestiaccia ignobbile
s'azzardi de mancamme de rispetto!

E ner dì ste parole l'Automobbile
ce mise drento tanto mai calore
che er motore, infuocato, je scoppiò.

Allora cambiò tono. Dice: - e mò?
Chi me rimorchierà fino ar deposito?
Amico mio, tu capiti a proposito,
tu solo poi sarvà la situazzione!...

- Vengo - je disse er Ciuccio - e me consolo
che cento e più cavalli a l'occasione
hanno bisogno d'un somaro solo.

Trilussa

 
 
 

Noè e er pollo

Noè e er pollo

Quanno venne er diluvio universale
Noè schiaffò le bestie drento all'Arca
pe' protegge l'industria nazzionale.
Più, ce se mise lui,
co' li tre fiji sui,
e quattro donne pe' scopa' la barca.
Piove che t'aripiove, in pochi giorni
tutta la terra diventò un gran mare
da nun distingue' manco li contorni.

L'acqua sfasciò li ponti,
arivò su li tetti de le case,
arivò su la cima de li monti:
nun rimase che l'Arca solamente,
sballottolata in mezzo a la corrente.

Ecchete che una sera
Noè chiamò le bestie una per una,
ma er Pollastro nun c'era.
— E che ce fai co' la Gallina sola
— je chiese un'Oca — se te manca er Gallo,
ch'è er perno de la razza pollarola? —

(Ar tempo der diluvio, pe' fortuna,
l'oche ancora parlaveno, per via
ch'allora nun posaveno in nessuna
cinematografia).
— Perchè nun è montato quer vassallo?
— strillò Noè — Sarebbe un ber disastro
de dovè' rimane' senza pollastro!

Bisogna ripescallo...
— Ah, no! — rispose er Pollo
ch'era rimasto a mollo —
Io preferisco de morì' affogato
piuttosto che resta' sacrificato
con un padrone che me tira er collo.
Sarà quer che sarà, per conto mio
nun m'arimòvo! Addio! —

Fu allora che Noè
volle attastallo ne li sentimenti.
Je disse: — Nu' la senti
la Gallina che strilla coccodè?
Povera cocca! Soffre tante pene,
piagne, sospira... Quanto te vó bene!
-Nun parla che de te... —

A 'ste parole er Pollo arzò la testa
con un chicchirichì tanto de core
che je fece trema' tutta la cresta.
E er pensiero de lei fu così forte
che disse: — Vengo! Hai vinto la partita!
La Morte, spesso, è mejo de la Vita,
ma l'Amore è più bello de la Morte!

Trilussa
Tratta da "Le finzioni de la vita", Licinio Cappelli Editore, 1918, pagg. 19-21

 
 
 

A un pittore

A UN PITTORE

Mentre che sta
DDISEGNANNO U' RITRATTO

Attenta, Cencio mio, per carità
Ddisègnemelo bbene 'st' angioletto,
Si je lo fai che ride, quer visetto,
Abbad' a le bbucètte, chè je fa.

E cquanno fai que' ll'occhio bbenedetto,
Ggiudizio, Cencio mio, nun lo fissa',
Sinnò quela smorfiétta, te l'ho ddétto,
T'incanta, Cencio mio, te po' acceca'.

Metteje su la testa una garzia,
Una violétta, un fiore dilicato....
Ppiàceno tanto à la ciumaca mia.

Insomma fa, che cquann'uno la vede,
Possi di' fra ddé sé mmaravijato:
« Bbeato bbella mia chi tte possiede. »

Giggi Zanazzo
6 novembre 1882

Tratto da "Prose e poesie scelte" (Roma, E. Perino, 1895, pag. 123)

Attenta = stai attento
Bbucette = fossette
que' ll'occhio = quell' occhio. Quando una parola finisce e quella seguente inizia con "l" o "r", la lettera finale si elide e si raddoppia l'iniziale della parola seguente
Ciumaca = ragazza. Ciumaca è una delle possibili denominazioni dell'organo femminile. Belli scrisse un sonetto, "La madre de le sante", composto unicamente da tali denominazioni

 
 
 

Estri matti

Post n°424 pubblicato il 24 Agosto 2014 da valerio.sampieri
 

Quanno me vie' quell'estro de pazzia,
De scrive in povesla,
Me ne vad'in Trestevere debbotto;
E llì, ccom' un merlotto,
M'incanto a ssenti' questi e quelli llà,
Che stanno a raggionà'.
Una dice a ssu' fìa, da la finestra,
Ch'è ccotta la minestra:
"A Nenaceccia, te possin ammazzatte,
Nun venghi su a strozzatte?"

Due stanno su la porta a ffa' l'amore
Sentiteli discore :

"Io — dice lui — secca la lingua mia.
Si' pparlo co' Mmaria"

E lei: "Ve cianno visto sor vassallo;
Vorèssivo negallo?"

Lui: « Oh! ssapete che mme so' stufato?
E Ilei: « Mòri scannato! »

E io? Godo. E ssapete che ffarebbe?
Mentre stanno a pparlà', l'abbraccerebbe!

6 Aprile 1883.

Giggi Zanazzo da "Prose e poesie scelte" (Roma, E. Perino, 1895, pag. 119)
Fonte: open library

 
 
 

Picchiabbò

Carlo Alberto Salustri, meglio noto come Trilussa, non fu solo autore di un notevole numero di poesie e sonetti in dialetto romanesco, ma anche di opere in prosa e molto altro ancora (spesso illustrò lui stesso le sue opere).

Picchiabbò -ossia La moje der Ciambellano- è il titolo una favola il cui titolo si ispira al nome del nano di corte di Re Pipino decimosesto, opera di pura fantasia di contenuto altamente umoristico. Secondo Trilussa "L'umorismo è lo zucchero della vita. Ma quanta saccarina in commercio", recita la didascalia ad un disegno di Guasta che illustra l'edizione del 1927 del volumetto di sole 90 pagine (Edizioni d'Arte Fauno, Roma), del prezzo di Quattro lire.

La favoletta (che si conclude con il classico "Larga la foja stretta la via se v'ho scocciato la corpa è mia. Ché quanno a tavola se mischia vino sorte la favola de Re Pipino") è stata inserita nella "Biblioteca del Fauno" che, alla data del 1927, comprendeva altri dieci titoli:

Le Finzioni della vita (Cappelli, 1918)
Favole (Novissima, 1920)
Le favole (Mondadori, 1920, 45° migliaio)
I sonetti (Mondadori, 1921, 44° migliaio)
Nove poesie (Mondadori, 1922, 29° migliaio)
Le storie (Mondadori, 1923, 39° migliaio)
Ommini e bestie (Mondadori, 1924, 34° migliaio)
Lupi e agnelli (Mondadori, 1924, 18° migliaio)
Le cose (Mondadori, 1926, 15° migliaio)
La Gente (Mondadori, 1927)

Alla stessa data erano "sotto i torchi" altri quattro volumi:
Parole e fatti (Versi)
Il sesto giorno della creazione (Racconto)
Angioli e diavoli (Poemetto)
Noè e l'arca (Scene antidiluviane)

Ovviamente, i volumi sopra elencati non esauriscono la sterminata produzione letteraria di Trilussa. Non escludo, in futuro, di trascrivere, in tutto o in parte, l'intera favola, illustrata con divertenti disegni, dopo aver verificato di non violare diritti di qualsiasi genere.

Naturalmente, ove decidessi di recedere dal proposito di abbandonare definitivamente il blog.

 
 
 

Riflettere prima di parlare ...

Post n°422 pubblicato il 21 Agosto 2014 da valerio.sampieri
 

La prudenza nell'esprimersi non è mai troppa ...

 

 
 
 

Sbajato ...

Post n°421 pubblicato il 20 Agosto 2014 da valerio.sampieri
 

Embè, c'è poco da dì!

 

 
 
 

L'ingiustizzie der monno

Post n°420 pubblicato il 17 Agosto 2014 da valerio.sampieri
 

L'ingiustizzie der monno

Quanno che senti di' "cleptomania"
è segno ch'è un signore ch'ha rubbato:
er ladro ricco è sempre un ammalato
e er furto che commette è una pazzia.

Ma se domani è un povero affamato
che rubba una pagnotta e scappa via
pe' lui nun c'è nessuna malatia
che j'impedisca d'esse condannato!

Così va er monno! L'antra settimana
che Yeta se n'agnede cór sartore
tutta la gente disse: - È una puttana. -

Ma la duchessa, che scappò in America
cór cammeriere de l'ambasciatore,
- Povera donna! - dissero - È un'isterica!...

Trilussa

 
 
 

La messa de San Lorenzo

La messa de San Lorenzo

Un giorno, a Ssan Lorenzo, entrò un ziggnore
E aggnéde in zagristia co un colonnato,
Acciò un prete sciavessi scelebbrato
Una messa d’un scudo de valore.

Er prete in ner momento fu ttrovato:
La messa se cantò a l’artar-maggiore;
E un’anima purgante ebbe l’onore
De volà in paradiso a bbommercato.

Ma appena er prete se cacciò la vesta,
Accortose la piastra ch’era farza,
Attaccò un Cristo, e ffesce una protesta.

E ll’anima sarvata ebbe er martorio,
Stante la messa che nnun j’era varza,
De tornassene addietro in purgatorio.

Giuseppe Gioachino Belli
26 aprile 1834

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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