Un Faro Nella Notte
... nel mare in tempesta delle emozioni.
HO SOLO VOLUTO PROVARE...
Non sono una blogger e non ho velleità di scrittrice, né ambizioni in tal senso.
Non ho molto tempo per seguire un blog e non amo particolarmente mettere a nudo la mia anima e lasciar scorrere i miei pensieri più reconditi per farli leggere a persone a me sconosciute o virtualmente amiche.
Amo invece scrivere per e con un interlocutore specifico e ben definito ed amo il contraddittorio. Ma a volte mi capitano tra le mani pensieri simpatici o interessanti e profondi che mi fanno fermare un attimo di più a riflettere, o rappresentativi di miei stati d'animo particolarmente intensi, e vorrei lasciarli fissati...
Non sarà, pertanto, nulla di più di un block notes per i miei appunti emozionali.
Un caro saluto a tutti quelli che passano da qui.
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Post n°32 pubblicato il 13 Marzo 2008 da EMOZIONE_e_PASSIONE
Ho letto questa metafora di Eraclito per sostenere che l'armonia si nutre di contrasti: L'arco è composto di due parti: il legno che tende a raddrizzarsi da una posizione forzatamente curva, e la corda che invece lo tiene piegato. Nutro forti dubbi però sul fatto che questa metafora possa essere applicata ai rapporti umani... |
Dio ci ha dato i sensi perché possiamo vedere e odorare e toccare l'anima del mondo. Alda Merini (foto by flickr.com) |
“La gelosia è un soffio che porta allo sfinimento, mentre il perdono consola, la speranza è un soffio che viene trattenuto e la passione, invece, che viene liberato.” Soffio: Regia: Kim Ki-Duk Una giovane madre in crisi coniugale (il marito la tradisce) si innamora di un detenuto condannato a morte che ha tentato di suicidarsi. Riesce a incontrarlo nel parlatorio sconvolgendo i suoi sentimenti e suscitando reazioni nei suoi compagni di cella, uno dei ne quali ne è geloso. Il marito scopre quanto sta accadendo e cerca di recuperare il rapporto. La donna offre al condannato quel respiro che lui si è sottratto, ma di cui anche lei sente il bisogno. Un respiro che può però anche trasformarsi repentinamente nel suo contrario: la soffocazione. Non so commentarlo…Uno dei film più drammatici che ho visto recentemente e che mi ha fortemente toccato. Ieri sera sono uscita dal cinema con un peso sul cuore ed una tristezza profonda. Consigliato a chi ama un genere di film lento, contemplativo, meditabondo. A chi alla velocità dell’azione preferisce la lentezza delle immagini, a chi alle parole urlate preferisce il silenzio delle parole non dette, a chi ama sondare profondamente l’animo umano e conoscerne le tensioni e i tormenti interiori…
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"Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico." Centochiodi. Regia: Ermanno Olmi Un giovane professore di filosofia della religione, che insegna all’Università di Bologna, con un clamoroso gesto simbolico di ribellione – "crocifigge" letteralmente cento preziosi libri antichi della biblioteca universitaria – abbandona la propria vita di intellettuale affermato, scompare senza lasciare alcuna traccia e, mentre le forze dell'ordine lo cercano per quel vandalismo sacrilego, sceglie di stabilirsi in un cascinale in rovina lungo le rive del fiume Po, dove «impara a vivere con lentezza, a entrare in sintonia con la natura» e viene accolto con semplicità dagli abitanti del luogo che lo chiamano, scherzosamente ma non troppo, Gesù, per il suo aspetto e la sua scelta di vita. Un film intenso che tratta di temi importanti come la cultura, la fede, la religione, la carità cristiana (non intesa come elemosina), ma che proprio per questo, poteva, e doveva, essere più sviluppato ed approfondito, dando più spessore a dialoghi spesso troppo scarni. Emotivamente forte la scena iniziale dei libri crocifissi al pavimento ed interessante quella tra il professore ed il sacerdote il quale, inorridito dello scempio compiuto sui libri per lui sacri, nemmeno per un istante cerca di comprendere le motivazioni del gesto. A dimostrazione della sovente poca disponibilità al dialogo degli uomini di Chiesa. Da apprezzarne comunque il rimprovero verso la cristallizzazione del sapere e fare tesoro della sua morale: tutta la cultura e la sapienza che si possono acquisire dai libri rimane sterile e fine a se stessa se non viene trasformata e utilizzata per arricchire la nostra umanità. |
A Te, che mi conosci, ma non mi capisci, che mi guardi da lontano, senza più tendermi la mano. A Te, che dalle mie inquietudini sei fuggito spaventato, sconfitto da una razionalità che non ti ha aiutato. A Te, che sei anima viva nei miei pensieri e che ancora accendi di passione i desideri. A Te, voglio dedicare questa filastrocca, semplice, infantile ed anche un po’ sciocca, con qualche nota sicuramente stonata, ma che lo stesso qui voglio lasciar fissata.
E ripenso a quando, un tempo ormai lontano, nei tuoi lunghi viaggi, con gioia, ti accompagnavo. Diventavo piccolina e mi addormentavo nel tuo taschino e tu, guidando felice, sorridevi alla tua Campanellino, che quando poi si risvegliava, di polvere magica ti inondava e abbracciandoti con ali luccicanti, tutto il bene ti dimostrava.
Mesi, anni, secoli sono trascorsi da allora? Non so… Il tempo è capriccioso e molto strano, però. Con te correva furioso come un giovane puledro al galoppo, senza te si dilatava e si fermava come un vecchio cavallo zoppo.
E tornando con la memoria alle nostre lunghe conversazioni, a volte di quotidiane parole, più spesso vivide discussioni, rivedo i nostri volti che si parlano così da vicino, nella penombra delle candele e delle fiamme del camino, tu, con una sigaretta tra le dita, io con un calice di vino, avvolti nell’effimera e complice intimità del nostro destino. Ripenso alle assenze, alle mancanze, ma anche alla felicità a sprazzi. Per questo ti dico: ti aspetterò ancora nella nostra sala degli arazzi. |
O meglio, e più correttamente, la mia percezione del tempo. Più nemico che alleato. Lo inseguo, lo rincorro, lo bramo, vorrei fermarlo un po’, ma lui è sempre più veloce di me. Precorro gli spazi nella paura di non riuscire ad afferrare i miei sogni e i miei desideri… Lo sento sotto la pelle, nei battiti del cuore, nei fremiti: sta arrivando la primavera! |
"La gente pensa a noi infinitamente meno di quanto crediamo." Rifugiatosi nella propria auto parcheggiata davanti alla scuola della figlia, dopo l'improvvisa morte della moglie, e trasgredendo le regole dell'efficienza e della produttività, Pietro Paladini/Moretti è abitato da una sorprendente calma e rimane in attesa del dolore e della vita dopo il dolore. Osservando il mondo dal punto in cui ha scelto di fermarsi, scopre a poco a poco il lato oscuro degli altri, che sotto il peso del proprio fardello accorrono a lui e che soccombono davanti alla sua incomprensibile calma. Un'umanità che patisce fino allo spasimo e che dinanzi alla quiete si meraviglia. Non è il dolore a dominare l’animo dell’uomo, di cui lo stesso protagonista si sorprende, ma un turbamento profondo, come se fosse necessaria un’interruzione, una pausa, un cambiamento: apparentemente è la preoccupazione per la bambina (equilibrata, saggia, positiva) a spingere il padre a modificare la sua vita, a lasciare l’ufficio e a chiudersi nell’auto parcheggiata davanti alla scuola, facendo trascorrere in quel luogo i giorni e i mesi, in realtà questa scelta risponde a un bisogno tutto egoistico di interrompere una vita di cui solo in quel momento l’uomo sente la totale insufficienza e la mancanza di senso. In questo caos esperienziale, in questo tentativo di rompere le regole, sarà proprio la bambina a lanciare una richiesta di normalità, l’esigenza di ridare un ordine, magari diverso, alle loro vite, l’urgenza di sentirsi appoggiata al padre e non suo rifugio o alibi. Estremamente complesso, in un film, riuscire ad esteriorizzare l'interiorità, a dare immagine e voce a riflessioni intimistiche sulla vita e sulla morte... |
"La conversazione era il dono supremo: lo scambio appassionato di parole. L’amore non era che un accessorio." David Herbert Lawrence “L’amante di Lady Chatterley Quanto può essere intensa la mancanza delle parole e il suono di una voce se queste sono consuetudini che ti legano come filo spinato e che, se ti allontani, feriscono profondamente. Il rumore del silenzio adesso è assordante… E l’assenza fa male…
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Lo Zahir, termine derivato dalla cultura araba, è un pensiero ricorrente cui la mente non riesce a smettere di pensare, il "chiodo fisso". Lo Zahir è un'ossessione che non può essere dominata. Si insinua lentamente e lievemente nella mente fino ad impossessarsene completamente. Colui il quale ne diventa preda non può far altro che seguire l'onda del pensiero che lo accompagna costantemente e vivere l'inquietudine che ne deriva È la paura ossessiva per la perdita di una persona amata, il vuoto lasciato nel cuore della persona da un lutto improvviso, la spirale delle sensazioni, delle emozioni e del bagaglio dei ricordi che inevitabilmente le parole, i luoghi del vissuto comune e le esperienze condivise riportano ad ogni momento alla mente. Rievoca nell'individuo la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco, di aver imboccato una strada senza uscita. Lo Zahir si può risolvere solo con il raggiungimento della pace ritrovata in seguito alla ricongiunzione, ovvero allo stato di quiete dato dalla condizione di perenne consapevolezza di impossibilità di raggiungere il proprio fine, la soluzione del problema. Ecco, questa è l'esatta definizione di quelli che io chiamo i miei "pensieri emozionali circolari". |
Non è l'amore il collante più forte tra due persone, ma il sesso. Le leggi della fisica vi diranno che è più difficile separare due corpi uniti al centro che due collegati tra loro in qualche punto vicino alla cima o al fondo. Chiunque abbia scandagliato i recessi della mente e del corpo potrà confermare che quest'ultimo, con i suoi molti, pressanti bisogni, è il vero motore della vita. La mente si limita ad indicargli la strada, o a consolarlo con omelie altisonanti quando non c'è alcuna strada da seguire. Tratto da "L'alchimia del desiderio" di Tarun J Tejpal |
“Tutto il vigore e l’eccitazione della vita viene dalla nostra sensazione che le cose si decidono da un momento all’altro e che l’esistenza non consiste nel monotono susseguirsi degli eventi”. A livello di senso comune, credere nel libero arbitrio coincide col credere che un essere umano sia un “agente morale” i cui modi di agire sono liberi, non predeterminati, poiché l’intera catena di causa ed effetto si arresta di colpo mentre ci fermiamo a riflettere. Data questa libertà, tutti noi siamo responsabili delle nostre azioni e quindi passibili di giudizio nel bene e nel male, Ma fino a che punto siamo liberi di scegliere? Un articolo che ho letto recentemente ha evidenziato, dal punto di vista della scienza, altre ipotesi su cosa sia veramente il libero arbitrio, visto che non esiste un vero e proprio accordo e dove, fisici, neuroscienziati ed informatici si sono uniti ai filosofi nel dibattito su cosa sia il libero arbitrio e se ne siamo davvero dotati. E’ stato evidenziato come, negli ultimi anni, molteplici esperimenti hanno indicato che la mente conscia è come una scimmia che cavalca una tigre di decisioni subconscie e azioni in divenire, inventandosi delle storie per illudersi di averne il controllo. In pratica, il cervello conscio si mette alla pari con quello che il cervello inconscio sta già facendo. La decisione di agire è solo un’illusione: la scimmia si inventa una storia su ciò che la tigre ha già fatto. Secondo altri fisici si tratta, invece, di un prerequisito per elaborare teorie e progettare esperimenti, e che quindi le nostre decisioni e le nostre azioni sono causate dal fatto che scopriamo ciò che già esiste nel nostro cervello. L’evoluzione, la storia e la cultura ci hanno fornito di sistemi di feedback che ci danno la capacità esclusiva di riflettere e ponderare le cose e di immaginare il futuro. Pertanto, qualsiasi scelta facciamo è libera e potrebbe essere diversa, ma non è casuale. Forse non capiremo mai se le nostre azioni sono determinate o casuali, nel frattempo, però, continueremo a prendere decisioni nell’illusione di essere padroni del libero arbitrio.
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La falsificazione della memoria, il suo aggiustamento, la riduzione, l'invenzione e, persino, l'omissione dell'esperienza, è comune a tutti gli esseri umani, fa parte della vita psichica. Quanto è inaffidabile la mente umana, e quanto è malleabile, allorché deve adeguare le proprie convinzioni o negare l'intollerabile. Da "Trauma" di Patrick McGrath |
La malinconia ha le onde come il mare, ti fa andare e poi tornare Ha la luce calda e rossa di un tramonto Sembra quasi la felicità, sembra quasi l’anima che va Luca Carboni |
Riflettendo su quanto in questi ultimi anni la mia visione della vita abbia lentamente, ma progressivamente, virato da un concetto di assolutismo ad uno di relativismo, ho letto alcuni pensieri del filosofo inglese John Locke. Il pensiero che qui riporto credo che renda molto chiaro il suo principio della relatività. “Di un certo numero di scacchi che si trovano disposti su alcuni quadretti della scacchiera dove li abbiamo lasciati, noi diciamo che si trovano immobili allo stesso posto, anche se la scacchiera sia stata portata nel frattempo da una stanza all'altra... La scacchiera, diciamo ancora, è allo stesso posto se rimane nella cabina, mentre forse il piroscafo con le vele spiegate ha navigato per tutto il tempo. La nave si dice che è allo stesso posto se ha mantenuto la sua posizione rispetto alla terra vicina, mentre la terra stessa ha frattanto compiuto il suo giro. Cosi dunque scacchi, scacchiera, e piroscafo pur sembrando fermi hanno cambiato di posto relativamente a corpi più lontani.”
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Vi è un certo fattore-rischio nella ricerca di un intimo rapporto fra noi ed un altro essere umano. L’acquisita coscienza del nostro bisogno dell’altro può colmarci di sgomento. Ci rende fragili e vulnerabili. Il paradosso sta nel fatto che, se da un lato avvertiamo la necessità di aprirci a qualcuno, per un altro verso vorremmo farlo senza rischio. Vorremmo donarci senza impegno, vorremmo l’intimità senza la vulnerabilità. Ma in verità l’intimità è raggiungibile solo quando siamo decisi a proiettarci davvero verso l’altro senza garanzia. Il desiderio di intimità è segno di forza, non di debolezza; di maturità, non di necessità nevrotica. Quando l’amore si accompagna ad una profonda intimità, ci è dato di ascendere al livello più alto dell’esperienza umana. In quella dimensione esaltante, noi di buon grado rinunciamo al nostro ego e vediamo balenare il beato rapimento che può essere nostro. I confini si confondono, non vi sono limiti. Diventiamo un’anima sola, pur rimanendo, al tempo stesso, due. Leo Buscaglia
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Poiché l'amore non viene mai vissuto due volte allo stesso modo, esso continuamente ci provoca e sconcerta. Qualunque nuovo amore sollecita comportamenti nuovi ed esclusivi, uso incondizionato del nostro intuito, della nostra ragione. Ogni situazione diversa da quelle antecedenti porta con sé esigenze assai complesse. In ogni nuovo amore noi siamo portati a far valere le nostre esperienze pregresse, ma solo per scoprire che sono completamente inutili. Questo ci obbliga ad elaborare inediti strumenti per gestire ed affrontare il rinnovarsi in altra chiave delle nostre emozioni amorose. Il vecchio stile, i vecchi atteggiamenti, le vecchie consuetudini, non rispondono più agli imperativi dei nostri nuovi sentimenti. Ma non dobbiamo temere il mutevole volto dell'amore: in amore sbagliamo soltanto quando ci comportiamo come se lo conoscessimo alla perfezione. Leo Buscaglia |
Inviato da: argo_felix
il 23/04/2010 alle 16:44
Inviato da: cinqueasterischi
il 13/07/2009 alle 23:42
Inviato da: EMOZIONE_e_PASSIONE
il 02/07/2008 alle 15:10
Inviato da: monnalisa_e_nebbia
il 02/07/2008 alle 14:11
Inviato da: AmanteSegreto.69
il 15/06/2008 alle 23:04