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Investiamo in educazione
Post n°2692 pubblicato il 30 Giugno 2018 da namy0000
‹‹Investiamo in educazione, che porta sicurezza, ma pensiamo anche ai ragazzi, quelli che studiano, che apparentemente stanno bene, ma poi, alla sera, una volta alla settimana, cercano quello che chiamo il black out››, dice Mauro Mergola, parroco salesiano. Black out. Non se ne va dalla mia testa, questa semplice espressione. Continuo a pensare a quanto sia efficace, rispetto a uno dei comportamenti di massa di una generazione, quella dei millennians, dei nativi digitali, che è sempre connessa: ma connessa a cosa? … Ma, a qualunque contenuto (altra parola che m’infastidisce: contenuto? Ma che cosa contiene davvero quel mare di parole scritte a vanvera in cui ci s’imbatte spiando qualche blog?) un giovane sia collegato, un fatto è certo. Il black out avviene. Il parroco, in un’inchiesta che ho fatto per Repubblica, la racconta così ‹‹Si stordiscono, con alcol e altro. È a questi che noi, qui a San Salvario, diciamo “dai un senso alla sera”, non ti giudichiamo, ma ti lasciamo la porta della chiesa aperta, anche solo per affacciarti e sentire il silenzio. Non sono pochi che dicono: “qui non c’è rumore”. E così, anche agli abitanti del quartiere, quelli che la sera vedono arrivare centinaia, migliaia di ragazzi, provo a far capire che dobbiamo avere inquietudine per il male che si fanno, non per il rumore che fanno››. E se Mergola avesse visto giusto? Se questa rischiasse di diventare una generazione black out? Detto spassionatamente e sinceramente, un po’ li comprendo. La fuga non è mai stata un’opzione, l’oblio magari può aiutarci in qualche momento, ma se non siamo Beaudelaire, se non stiamo dentro i Fiori del male, se non siamo tossicomani, se non siamo vittime dell’eroina quando ci svegliamo ritroviamo quello che abbiamo lasciato. Senza sconti. E lo sanno anche questi ragazzi, che sono stravolti dalle incertezze, sudano su libri e libri, in università sempre più selettive e sanno che le prospettive sono nebulose. Alcuni vengono da famiglie indebitate, sono figli di chi ha perso il lavoro, di esodati, di angosciati. Come possono resistere? E così ogni tanto il black out diventa una facile conseguenza: e forse noi genitori, come fa don Mergola, dovremmo tenere aperte le porte. Sempre. Essere oggi genitori significa giudicare un po’ meno severamente, aiutare un po’ più amorevolmente. A volte, viene a pensare, che il black out non è solo dei giovani, c’è stato un black out anche nel ruolo dei padri e delle madri. Molti non sanno dire No. Ma occorre farlo. C’è un sovraccarico di corrente, aiutiamoli a tarare meglio il contatore delle energie di questi figli iper-connessi, degli amici dipendenti dai social, dei perditempo di facebook. Se possiamo, ovvio. Se anche noi non viviamo in un altro black out: quello dell’attenzione (Piero Colaprico, giornalista e scrittore, Scarp de’ tenis, dic. 2017-genn. 2018). |
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