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Un tarlo che rode la vita

Post n°3059 pubblicato il 19 Giugno 2019 da namy0000
 

‹‹UN TARLO CHE RODE LA VITA MA SI PUO’ FERMARE››

Il peso, in termini di numeri, equivale a 4 manovre finanziarie messe insieme. Per giocare d’azzardo nell’anno 2017, gli italiani avevano speso 101,8 miliardi di euro: oltre 5 miliardi in più rispetto al 2016. Sembrava un limite invalicabile. Ma il 2018 ha segnato un altro record: 107,3 miliardi di euro, il 5,6% in più rispetto al 2017. Tutti gli altri consumi (vestiario, alimenti, ristorazione…) ristagnano o scendono dal 2007, anno della grande crisi. In controtendenza, la spesa per scommesse, slot machine e lotterie cresce al galoppo: più 120% dallo shock finanziario. Non c’è sferzata della crisi economica che faccia rallentare, a parte una lieve flessione nel solo anno 2012. Perché? ‹‹C’è una sola spiegazione››, dice il sociologo Maurizio Fiasco, presidente di Alea, associazione per lo studio del gioco d’azzardo e consulente della Consulta nazionale antiusura, ‹‹se denaro e tempo di vita impiegati a giocare subiscono un’irresistibile ascesa, lo si deve a una forza attrattiva ben diversa da quella che caratterizza altre merci: l’addiction, la dipendenza psicologica da gioco d’azzardo. Una patologia riconosciuta anche dallo Stato italiano, ma trent’anni dopo che l’aveva indicata l’Organizzazione mondiale della sanità. Il vantaggio dei “giochi” è dato da una condizione di malattia di massa. Per esempio, la spesa delle famiglie per l’abbigliamento è scesa, in media, del 25% in questi ultimi dieci anni. Quella per cibi e bevande si è abbassata di 5 punti. Dimezzate le spese odontoiatriche. La gente si cura meno e con ridotta attenzione alla medicina preventiva. Ma si spende di più per giocare››. Un consumo, quest’ultimo, che è puramente dissipatore. ‹‹È accaduto››, continua Fiasco, ‹‹che il diffondersi dell’addiction sia stata indotta e sfruttata dall’industria del settore con strategie di marketing ad hoc. Oggi in Italia sono offerte 51 tipologie di “gioco” tra lotterie, varietà di slot, scommesse on line, dagli eventi sportivi all’ippica. E ogni format di “gioco” è accuratamente concepito su misura: in base all’età, al sesso, ai luoghi della quotidianità. Per “giocare” sempre e ovunque››.

È possibile invertire la tendenza o si continuerà ad assecondare l’industria che vuole allargare all’infinito la spesa per il “gioco”? ‹‹Il punto è questo››, ragiona Fiasco, ‹‹un siffatto modello industriale e di business può stare in piedi e aumentare il suo fatturato a una sola condizione: che la frequenza di “gioco” continui a essere alta o altissima. Se le giocate diminuiscono, la macchina rallenta e rischia di non macinare più profitti e di segnare invece perdite››.

Fiasco, oltre all’aspetto economico, illumina anche un versante meno battuto di questo fenomeno nazionale: ‹‹Questa “marcia trionfale” sta intaccando il profilo antropologico degli italiani››, spiega. ‹‹Se noi convertiamo in tempo sociale di vita la quantità monetaria della spesa di 107 miliardi per il “gioco” del 2018, comprendiamo che si sfiorano i 100 milioni di giornate lavorative. Per spendere soldi occorre bruciare tempo. E quello impiegato dagli italiani per l’azzardo equivale al 30% delle giornate che dedicano alle vacanze. Dunque un’idrovora che sottrae tempo di vita e, invadendo l’esistenza nella quotidianità, produce conseguenze pesantissime sull’apparato neurobiologico e sulle relazioni interpersonali››.

Come frenare questa deriva? Con le leggi. Molti Comuni si sono mossi in ordine sparso. A livello di Regioni, chi è andato avanti fino in fondo è stato il Piemonte, che nel 2016 ha approvato la legge di contrasto al gioco d’azzardo patologico che prevede il divieto di collocare le slot entro un raggio di distanza dai 300 ai 500 metri rispetto a realtà sensibili come scuole, asili, oratori e parrocchie, e di rimuovere gli apparecchi già esistenti se vicini a questi luoghi. La legge obbliga anche i Comuni a chiudere per almeno tre ore al giorno le sale giochi. È entrata in vigore il 20 novembre 2017 e ha funzionato, come evidenziato dalla relazione dell’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali) del Piemonte: ‹‹Per quanto riguarda il gioco fisico››, si legge nel report a firma di Niccolò Aimo e Marco Sisti, ‹‹a fronte di una dinamica di lieve aumento dei volumi di gioco nel resto d’Italia, il Piemonte presenta una diminuzione intorno al 5% annuo, nel periodo di piena applicazione della legge regionale›› (FC n. 24 del 16 giugno 2019).

 
 
 
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