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Cirque Bidon

Post n°2044 pubblicato il 19 Febbraio 2017 da namy0000
 

“Cirque Bidon (Bidone) è il circo alternativo più vecchio che ci sia, esiste da 40 anni e sta tornando in Italia dopo 15 anni di assenza, viaggiando come ha sempre fatto, trainato da cavalli. Un convoglio di carrozzoni trainati da cavalli procede in fila indiana sulla strada. Vanno a cinque all’ora e stranamente nessuna delle auto in coda protesta. Tutt’altro. C’è qualcosa di curioso in questa sfilata di rimorchi di legno: panzuti purosangue dalla criniera giallastra pesta gli zoccoli sull’asfalto, in testa uno strano vecchio col barbone bianco e un berretto afflosciato su una crespa zazzera, le ruote gommate delle roulotte trotterellano sulle buche come se non ci fosse alcuna fretta, e sulla fiancata c’è scritto chiaramente di cosa si tratta. È il Cirque Bidon, in trasferta direttamente dalla Francia all’Italia, meta: Rezzato, in provincia di Brescia, dove per tre sere di fila si farà lo spettacolo. Bidon vuol proprio dire letteralmente “bidone”, ma in francese è usato per indicare una farsa, una sola, una fregatura. È stato un successo: 450 persone la prima sera, tutto esaurito anche quelle dopo. Il capomastro del baraccone sembra Babbo natale, e in effetti ha vissuto in diversi boschi, e ha alle spalle una storia di vagabondaggio che starebbe bene in un libro. Si chiama François, ha 70 anni, e questo circo d’altri tempi se l’è inventato lui quando aveva trent’anni. ‹‹Erano gli anni 1970 e lavoravo a Parigi come scultore e cesellatore del bronzo, ma mi annoiavo. Fare sempre le stesse cose, nello stesso posto, volevo andar via. C’era appena stato il maggio francese, speravo che nel mondo cambiassero un po’ le cose. Sognavo che le persone imparassero ad avere rapporti più umani tra loro, che non esistesse più lo sfruttamento, che la società funzionasse in modo più libero. E invece dopo poco tempo tutto tornò esattamente come prima. Restai molto deluso. Dissi a me stesso: eh bien, non è facile cambiare la società ma posso almeno cambiare la mia vita››, racconta. François vende tutto quello che ha e comincia a viaggiare e si immagina una vita diversa. Si ritrova in un bosco a nord della Francia dove incontra una giovane donna che vive nella natura, nuda, con due bambine. ‹‹La sua casa sembrava un pollaio, mangiava minestra di ortiche e patate dell’orto, non avevano acqua, era una trapezzista che aveva lavorato nei grandi circhi francesi, ma aveva mollato tutto perché voleva fare qualcosa di diverso, un circo più poetico, familiare, con carrozzoni trainati da cavalli. Ah oui, ci siamo innamorati››. Insieme cominciano ad allenarsi: lei minuta, 42 chili, lui gigante (antenati vichinghi). Piroettano tra gli alberi del bosco ma dopo due anni l’amore finisce. François torna alla civiltà ma quell’idea del circo coi cavalli l’ha contagiato e in breve diventa il suo sogno. ‹‹Qualche tempo dopo mi ritrovo in Normandia ad aiutare un amico che faceva il fabbro – racconta – quando a un certo punto vedo arrivare una carovana di zingari. Non li avevo mai visti prima: è il destino, pensai. Uno di loro mi dice che aveva appena preso la patente e voleva vendere tutto. Ci mettiamo d’accordo. Dovevamo incontrarci dopo 15 giorni, ma lo zingaro non si presenta. Mi arrabbio e mi dico: vorrà dire che questi carrozzoni me li costruisco io››. Il primo lo completa nel 1973. È una baracca con le ruote, due volte bidon. Ma l’avventura comincia. François trova un cavallo ‹‹e meno male che era bravo – dice – perché ha avuto pazienza. Non avevo mai posseduto un cavallo, non sapevo neanche cosa doveva mangiare… Poi finalmente riuscii a mettere insieme 8 amici, il cirque Bidon nacque così. Fu tremendo. Fu davvero duro. Non eravamo abituati a quella difficile vita. Dopo 2 settimane eravamo rimasti in 3. Io facevo il mangiafuoco, ma mi faceva schifo, mi ripromisi di imparare almeno a fare il giocoliere. Noi eravamo incapaci, e per questo ci chiamammo Bidon, un modo per dirlo prima alla gente, così non si potevano lamentare, però facevamo ridere, raccontavamo storie, facevamo sognare. Dicevo a me stesso: tieni duro. Così attraversammo la Francia e voilà… eccoci qui››(Scarp de’ tenis, agosto-settembre 2016).

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