Messaggi del 11/03/2017
La storia di Cusani, condannato, negli anni 1990 di “Mani pulite”, racconta di sé: ‹‹È chiaro che sapevo benissimo di aver fatto una cosa illegale quando lavoravo (consulente finanziario ndr) per il gruppo Ferruzzi-Montedison, il secondo gruppo industriale italiano. Molto meno chiaro era, nella cultura d’allora, il senso dell’illegittimità: pagare il sistema era da tutti considerato legittimo, spesso il prezzo per fare le cose, nella mia vicenda per essere costretti a vendere, non volendo, la chimica Enimont allo Stato: un prezzo percepito come accettato di fatto pur intuendo che la chimica così sarebbe finita. Come fu››. Cusani racconta ai ragazzi delle scuole di aver maturato in carcere la consapevolezza di un meccanismo di smottamenti progressivi: ‹‹Le micro scelte in apparenza insignificanti, che durante il periodo formativo uno compie autoassolvendosi perché così fan tutti, aprono una breccia. Poi nella maturità diventano macro scelte. Ti dicono: “Il tuo obiettivo è quello” e tu, che ti sei abituato a pensare che il fine giustifichi i mezzi, fai di tutto per raggiungerlo. Dopo quello che ho attraversato ho cambiato il mio paradigma: il fine non giustifica i mezzi, come autorizzava Machiavelli, sono i mezzi a dare senso al fine. L’ho imparato da un grande filosofo italiano Giorgio Agamben. Diversamente giustifichi tutto: dalle stragi naziste, alle purghe staliniane››.
Il giudice Gherardo Colombo provoca i ragazzi: ‹‹…Noi adulti dovremmo insegnare ai ragazzi la lealtà. Anche voi ne avete il senso: se uno di voi denuncia l’altro che scarica versioni di latino gli date della spia (risate). Ma pure scaricare versioni è sleale: verso il professore e verso voi stessi, che siete qui per imparare e così non imparate. Dunque è un senso di lealtà un po’ distorto…›› (FC n. 11 del 12 marzo 2017). |
“Un ragazzo osa la domanda più cruda, logica, necessaria: ‹‹Com’è che uno che nel 1968 voleva fare la rivoluzione s’è schierato così con il potere?››. Risponde Sergio Cusani, 68 anni, condannato per corruzione per Enimont ed Eni Sai, ha finito nel 2000 di scontare la pena (è stato 4 anni in carcere e sei mesi ai servizi sociali) e dal 2009 è riabilitato per lo Stato. Collabora con Fiom-Cgil e si occupa dei diritti dei detenuti. ‹‹Ero nato nella bambagia, a 17 anni contestai mio padre, molto autoritario, e me ne andai di casa. Quando nel 1973 Roberto Franceschi, mio compagno, fu ucciso da un proiettile sparato dalla polizia davanti alla Bocconi, la mia università, per tirarmi fuori, mi presentò suo padre, Aldo R., grande concessionario di Borsa. Studiavo economia, mi presi un abito buono e iniziai a seguire la finanza. Mio padre mi affidò dei soldi da gestire, li persi: “Erano i soldi per la tua casa a Milano”, mi disse. Lo sfidai: “Diventerò più ricco di te”. Ma come capita ai figli che contestano i padri e poi ne riproducono inconsciamente il modello, ai tempi ero affascinato dalle figure forti, decisioniste: Serafino Ferruzzi, Bettino Craxi, Raul Gardini… Sono entrato nel meccanismo del potere e ne ho subìto il fascino, perverso››” (FC n. 11 del 12 marzo 2017). |
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