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Passaggio di testimone

Post n°206 pubblicato il 05 Dicembre 2012 da viburnorosso
 

 

Quando avevo 16 anni la mamma di C. perse il lavoro: per poter fare fronte alle sue necessità si inventò un mestiere che all’epoca non esisteva, quello di burattinaia a domicilio.
Oggi, più semplicemente, si direbbe animatrice di feste per bambini.

Il sabato pomeriggio, e a volte anche la domenica, io e C. le davamo una mano. Per quanto faticoso, era un gioco che aveva il sapore dell’indipendenza.
Con i soldi guadagnati, infatti, ci coprivamo le nostre spese settimanali: biglietti dell’autobus, libri e trucchi.
Il massimo poi era passare un mezzo pomeriggio davanti agli espositori del reparto profumeria dell’UPIM, sapendo di avere in tasca abbastanza spicci da poterci comprare un rossetto ed addirittura un rimmel.

È stato così che ho imparato il mestiere che mi ha permesso di mantenermi per tutto il periodo dell’università e, ancora molto tempo dopo, durante gli anni del precariato lavorativo.
Ho continuato a raccontare storie fino all’altroieri, fino a che ho sentito che loro, le storie, potevano fare a meno di me e forse io di loro.
Ogni tanto, con la scusa di un nipotino da festeggiare, prendo baracca e burattini e ricomincio, perché la verità è che non riesco completamente a smettere.  
Ma non era di come mi sto disintossicando dalle mie dipendenze che volevo raccontarvi. Perciò, andiamo oltre.

Il mese scorso una mia giovane amica psicologa che porta avanti nel quartiere delle iniziative di aggregazione per agli adolescenti, mi ha chiesto se volevo organizzare un corso di formazione per animatori con il gruppo di ragazzi con cui lavora.

Io mi sono fatta prendere dall’entusiasmo, perché mi pare sempre una bella cosa far circolare un sapere, e le ho immediatamente detto di sì, senza però considerare che mi sarei confrontata con degli adolescenti!

Arriva la data stabilita. L’appuntamento è fissato di sabato pomeriggio alle 4, ma i ragazzi si presentano tutti con un quarto d’ora-mezzora di ritardo, tanto perché sia subito chiaro che la puntualità è una nozione secondaria.

Arrivano alla spicciolata, con i brufoli nascosti dal fard e gli imbarazzi mascherati dietro ai telefonini.
Salutano con l’aria stanca di chi ha virato in noia gli entusiasmi infantili.
Tra loro parlano poco, si infervorano solo quando raccontano di aver superato il livello 3 dell’ultimo giochino sullo smartfon.

Inizio a raccontare e spiegare: mi sento vagamente fuori posto.
“Possibile che anche io negli anni dell’età ingrata risultassi così irritante?”, mi chiedo.
“Pure peggio!”, mi rispondo.
Forte di questa certezza, dissimulo l’imbarazzo e passo ad alcune dimostrazioni pratiche. Perché alla fine, più che ad imparare concetti, i ragazzi sono interessati a fare.

Cominciano a mostrare un certo interesse. Uno mi fa vedere il cane che ha modellato con un palloncino (doveva essere un bassotto e sembra una giraffa). Lo guardo soddisfatta e gli dico “Spacca ‘na cifra!”.
Mento sapendo di mentire, ma loro in compenso si sciolgono.
Non solo, sembra impossibile, ma si stanno addirittura divertendo.

“Fico”
“Guarda questo”
“Ammazza, robba difficile, semo a livello 4! Come hai fatto?”
“Fai restart. Ariprovace!”
“Bella se’!”*

Alle 5,30 la mia amica fa una pausa per la merenda. Ha preparato il ciambellone e portato un paio di aranciate. Alcuni escono dalla sala per andarsi a fumare una sigaretta, un paio di loro approfittano dell’interruzione per baciarsi nella penombra dell’ingresso. Ovviamente faccio finta di non vederli.

La seconda metà del pomeriggio è tutta in discesa. Ci ritroviamo in un battibaleno che sono le 7,30.
“Abbiamo già finito?” chiedono.

Alla fine mi è sembrato un gran bel modo di passare il testimone del mestiere da cui ho tanto imparato.
Anche se, come dicevo, non sono del tutto sicura di non ricascarci.
Perché è difficile smettere con le cose che ci fanno divertire.

 

 

 

 

 

*Nel dialetto romanesco se’ è la forma apocopata di secco, lett. “magro, smilzo”, utilizzato in funzione metonimica come appellativo affettuoso col significato di “persona per la quale nutro simpatia, indipendentemente dalla stazza corporea”.

 

 
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