Creato da viburnorosso il 02/06/2011
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Mio padre non era certo un uomo di sinistra, anzi, stava più a destra, un liberale, diciamo, in anni in cui certe simmetrie disegnavano ancora una geometria di pensiero.
Io invece avevo scelto con convinzione il lato opposto.
Senza mai avere un ripensamento.
A parte quella volta a fine settembre a Leningrado (Città eroica, come recita la scritta cubitale a neon su piazza dell'Insurrezione), nel '92, l'umidità che si infiltrava sotto l'elegantissima giacca di lana da marinaio di mio padre - a lui quell'autunno non serviva più - e poi la neve - neve a tradimento, per giorni e giorni, a fine settembre dico -
ecco, quella volta lì forse un attimo di vacillamento ce l'ho avuto, e mentre il vento del Baltico mi schiaffeggiava la faccia, sulla prospettiva Nevskij, molli fantasie borghesi si insinuavano nelle mie granitiche convinzioni sovietiche, roba tipo il pensiero di un piumino Ciesse o "Forse era meglio andare in Erasmus a Barcellona".
Ma io non ho ceduto neanche allora alle sirene del capitalismo e mi sono mantenuta salda nei mie valori.
Mio padre comunque, quando la giacca di lana blu da marinaio la usava ancora, di questa cosa che io mi ero piantata senza cedimenti a sinistra, non si crucciava. Anzi, tutt'altro. Io non so che piano avesse in mente, forse pensava che col tempo avrei cambiato idea da sola, oppure, più semplicemente, la sua personale idea di "libertà" gli impediva di impedirmi di essere quella che volevo essere.
Me lo dimostrava in una quantità di dettagli. Quando viaggiavamo, per esempio, infilava nel mangianastri una mia vecchia cassetta degli Intillimani, l'ascoltavamo in sottofondo, quando arrivava il pezzo del Pueblo Unido, lui alzava il volume al massimo e lo cantava insieme a me. Poi riavvolgeva il nastro col rewind, e lo metteva di nuovo, due, tre, anche quattro volte. Aveva imparato perfettamente quanto tempo doveva tenere spinto il pulsantino per fermarsi all'inizio esatto della canzone.
Quei viaggi purtroppo sono finiti che ancora non si erano inventati i CD, ma sono stati fondamentali per il mio processo di autodeterminazione, politica e non solo.
Per questo motivo io, con l'autoradio mp3, ho fatto lo stesso per mio figlio.
Ora che è cresciuto ogni tanto mi ricorda quando da piccolo gli facevo ascoltare "canzoni d'indottrinamento". Lui le chiama così.
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Caro Walter,
caro Alemanno che non mi ricordo come ti chiami e manco mi interessa ricordarlo,
caro Ignazio
e anche tu cara Virginia,
cari tutti voi che avete avuto a cuore le sorti della città eterna (eterna come la durata dei suoi cantieri),
vi ricordate quando 10 anni fa avete deciso che era un'operazione di fondamentale importanza raddoppiare la Tiburtina?
Vi ricordate che avete abbattuto centinaia di pini secolari per compiere quest'opera imponente e colossale che avrebbe risolto i problemi di traffico dell'umanità? del resto cosa sarà mai una macchia di verde antico di fronte alla fluida modernità di una rotatoria?
Bene, e vi ricordate anche quando avete deciso di rifare lo svincolo di San Basilio, per costruircene uno più bello e funzionale di prima?
Che poi a me anche quello di prima pareva funzionale, dico quello che avevate finito di realizzare l'anno precedente all'inizio dei Grandi Lavori, quello con l'ulivo in mezzo, che l'ulivo fa molto urbanizzazione civile e cortese. A me già pareva funzionale, ma voi avete deciso di rifarlo e io non ho avuto nulla da obiettare, perché ho pensato che il nuovo sarebbe stato ancora più bello e funzionale, magari con tre ulivi invece di uno, oppure con le palme, che se non se le mangia il punteruolo rosso, fanno molto urbanizzazione globalizzata, come le banane al Duomo a Milano, per dire.
Vi ricordate il decennio interminabile trascorso nei Grandi Lavori, che ha regalato a questa impresa una connotazione epica e planetaria?
Ecco, bene, ora che la grande opera è conclusa, e sta lì in tutta la sua imponente maestosità - non ci avete messo né l'ulivo, né le palme, ma va bene lo stesso, che noi ci sentiamo cittadini del mondo anche con l'aiuola di gerani - insomma, ora che è tutto pronto e finito, che aspettiamo ad inaugurarla?
È già passato un anno che ce la fate osservare in lontananza, attraverso il passaggio ristretto del vecchio svincolo, ormai dimezzato per fare spazio a questo meraviglioso nuovo capolavoro; siccome ci metto almeno due semafori rossi a superalo, tutti i giorni, all'andata e al ritorno, nell'attesa ho avuto tutto il tempo di farmi un'idea: e vi assicuro che il nuovo svincolo mi piace, veramente! è venuto benissimo!
Quindi, su, rompiamo gli indugi, levate quelle ingombranti transenne e condividete quest'opera con la cittadinanza riconoscente!
Oppure vogliamo aspettare che la faccenda diventi di competenza della Soprintendenza per i Beni Archeologici?
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I pini marittimi si risvegliano dalla grande nevicata, oscillano pigri le possenti chiome, flettono mollemente i rami carichi.
Spruzzano intorno impalpabili sbuffi zuccherosi che si dissolvono prima di toccare l'asfalto.
Innocui frammenti di allegria conficcati nella noia di un semaforo rosso.
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Durante gli anni dell'università facevo la borsista nella biblioteca di lingue, così mi mantenevo agli studi e intanto imparavo cose bibliotecarie, che nella vita hai visto mai.
La biblioteca allora era ancora nella sede di Castro Pretorio, nel seminterrato: vi si accedeva dall'interno, attraverso un complicato labirinto di scale e corridoi. I dipendenti potevano passare anche dalla piccola rampa in fondo al cortile nascosta dietro alle siepi di gerani. A me piaceva di più quest'ingresso, perché stava bene con la versione che preferivo della leggenda, quella che il seminterrato, quando lo stabile era ancora una clinica, ospitasse la nursery.
L'altra versione, invece, narrava che nel seminterrato ci fosse stato l'obitorio.
Non ci credevo ovviamente, però dava un certo brivido pensarci, soprattutto quando eri sola nella temibile sala dei compact, quella con gli armadi metallici alti fino al soffitto che per spostarli azionavi un pulsante e tra gli scaffali si apriva un varco, ma giusto il tempo di afferrare il libro prima che ti si richiudessero addosso.
"Quando non trovi un libro, chiedi sempre ad Antonio" mi dicevano.
Antonio era un'istituzione già allora.
Se ne stava in disparte, spesso impegnato in accese discussioni con qualcuno dei suoi amici, ma se ti avvicinavi subito si interrompeva, ti prendeva di mano il modulo di richiesta prestito/consultazione, leggeva il codice Dewey, memorizzava ad alta voce quella insensata sequenza di numeri e lettere e spariva deciso nel labirinto di corridoi. Poco dopo ritornava con l'esatta edizione del libro che stavi cercando.
Non so come facesse, anche perché non era in grado di leggere quasi nessuna delle lingue in cui quei titoli erano scritti, né forse aveva mai guardato un libro oltre la copertina: credo si lasciasse guidare da un suo misterioso algoritmo di classificazione, che gli permetteva di individuare in qualunque momento l'esatta posizione di un testo in mezzo a centinaia di migliaia di suoi simili, compresi volumi non catalogati, antiche collezioni fuori inventario e numeri orfani di riviste.
Anche quando la biblioteca ha traslocato, e ci siamo tutti trasferiti all'Alfa Romeo di via Ostiense, lui è riuscito in pochissimo tempo a ridare una collocazione mentale a tutti quei libri: dal polveroso scantinato con i gerani sul cortile, alla nuova sede a due piani di acciaio e cemento, lui sapeva esattamente dove si trovava quello di cui avevi bisogno. Senza possibilità di errore.
L'ho incontrato prima dell'estate fa nel grande parcheggio davanti alla vasca rettangolare che tutti affettuosamente chiamiamo piscina.
"Vibu, come stai? Lo sai che a giugno vado in pensione?" mi ha detto avvicinandosi. Abbiamo scambiato due parole, giusto il tempo di congratularmi e poi è tornato subito dai suoi amici. Mentre mi allontanavo sentivo che discutevano, uno di loro ha alzato la voce, ma lui lo ha zittito con una risata. Chissà cosa si dicevano.
Oggi ho saputo che Antonio se ne è sono andato. Gli mancava troppo la biblioteca, qualcuno ha commentato.
Io non so esattamente dove sia ora, ma mi piace immaginare che nella nuova sede dove l'hanno trasferito, ci siano montagne di volumi che attendono di essere ricollocati su infiniti scaffali, secondo precisi e meticolosi criteri, noti solo a lui.
E ai suoi misteriosi amici.
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