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Post n°29 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da Ikarus68
Cheta
acqua sei.
Io:
ponte
crollato.
Scosso: vortici impetuosi
mi scuotono ancora.
Ti guardo.
Sei essenza che muta: da acqua ferma
a pietra immota, poi
un uccello nel cielo d’inverno,
un’Idea, un Atto,
e l’innominabile pulsione…
Nella boscaglia di rovi e ortiche
sterco di ratto, penne di corvo…
fruscii fra gli arbusti secchi.
Non ho pregiudizi su di te, bambina,
né mi spaventano le tue demonizioni; di te
so tutto, puttana vudù: conosco bene
l’odore svelto del predatore che passa.
Vivi nel nero, o regina straniera:
vesti di nero, nero tulle, pizzo nera
e la tua pelle è pallida e perlacea
e il tuo respiro
è quello d’una tomba sbarrata.
Quando mi baci
sento il fetore di dimore abbandonate
e di sudici sottoscala, e di cantine
murate, dove
s’ammassa quel silenzio oscuro e viscoso
che solo certi luoghi dimenticati
hanno.
Quando mi parli, amore,
sento il richiamo afflitto della civetta
e il gemito del vento di febbraio
quando spira tra i rami nudi dei pioppi.
Post n°28 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da Ikarus68
Urlo. No: silenzio. Inquieta veglia..
Non c’è forza nella mia (sarx) carne, nè volontà (pneuma) nelle ossa.
Poichè la volontà sta nelle ossa.
Solo una stanchezza che fa strisciare e io, verme dagli occhi senz’iride, striscio.
Sono stanco, stanco delle scimmie, i lupi e gli avvoltoi e degli scorpioni che si nascondono sotto sassi sbiancati dal sole.
Stanco di tutto.
Oh, se solo potessi aver fede nelle apparizioni della Vergine Maria, o nei cerchi nel grano, nei tarocchi egizi, nelle linee di nazca o, volendo, nell’esistenza di un dio saggio e benevolo seduto su un trono di luce. Oppure confidare in un giro di vite materiale: fare soldi e farli fruttare, vivere in uno shangri-la ben arredato, avere giovani donne ai miei piedi e l’occhio vacuo (ma chi se ne frega?) di chi ha pisciato via l’anima nell’acqua azzurra (colore di Maria) di una piscina riscaldata. Come potrei arginare il caos, la decadenza, la dissoluzione e il continuo passaggio da uno stato di ordine apparente ad un altro?
Se solo il tempo scorresse più lento...
così da schivare le frecce e i dardi dell’alterna fortuna, affinchè il fango ripugnante si decori della corretta apparenza, rapprendendosi in un caglio di quieta essenza che giustifichi la mia smidollata indifferenza.
O trovare una donna nel cui fertile ventre di madre depositare (e poi dileguarsi come un tagliagole nella macchia) un altro seme di impermanenza.
Post n°27 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da Ikarus68
Un’osservazione approssimativa: l’indice puntato alla linea di demarcazione tra luce ed ombra, mentre qualcuno mormora: “da lì tutto nasce e tutto muore.”
Seduto in riva al mare, un sorriso sulle labbra, gli occhi a seguire forme lanceolate, che in balzi schioccanti ad me venunt.
Ah, se fossero fiamme chinerei la testa, chiuderei lo sguardo, ma fiamme non sono: non emettono né luce né calore: inspirano tenebra da tenebra, espirano raggelanti vapori e miasmi.
Orlati occhi di scaglie colpiti dal sole offuscato, rifranto da lenti convesse: cecità parziale, ma sufficiente per farmi cadere in mezzo alle bestemmie, le risate e i battimani: non vi sia pietà alcuna per il volgare saltimbanco!
Questa testa imbottita di stracci che sa solamente estrarre risate da dentro quei ventri da rettili-aracnidi, mentre digeriscono il fiero pasto sotto l’adorato sole alieno.
Lo accetto? Ma sì! Addirittura faccio l’occhiolino! Accenno, alzandomi in piedi, pure un inchino, per ritrovarmi, subito dopo, portato a braccia, nell’angusto averno di afflitta lontananza, deposto a terra, accerchiato e pianto da vecchie in gramaglie, le indaffarate streghe dal mento peloso, gli occhi d’ossidiana, le mammelle pendule e morte sotto il luttuoso vestimento.
Poi, di nuovo in piedi! Canto uno stornello allegro e bello faccio un prillo, e tanto di cappello!
Ma solo quando il suo sangue andò a raccogliersi in una bacinella smaltata, capì, in un istante di fulgida chiarezza, di non esser lui quello che vedeva: carne morta non muore.
Post n°26 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da Ikarus68
Ai las, Ai per que-m fai tan mal traire ? qu'ilh sap be de que m'es gen qu'el seu pretz dir e retraire sui plus seus on piegz en pren qu'ela-m pot far o desfaire com lo seu no li-m defen ni de leis no-m volh estraire si be-m fai morir viven.
E tu mi fai tremar le vene e i polsi, mentre il respiro della pioggia, lievesospirante, viene fuggiasco alla mia pelle, a calmare questo mai addolcito male, che s’aggrega con forza dietro la fragile velatura del mio volere.
S'esforça ma dolor!
Due occhi - che occhi non sono, ma sfere perfette di marmo screziato - misurano il lento movimento del mio divenire, in scatti concentrici, lesti e nervosi.
Nella sala un terzetto d’archi esegue un timido Chopin, così poco adatto ad una notte di rese e lotte.
L’inevitabilità di questa sera di ottobre mi annulla, scivolando sulle mie limitate prospettive, portando l’odore di foglie secche che bruciano e il suono risolutivo d’una porta sbattuta.
Il soffitto ha il colore di un cielo in tempesta: non ci sono ombre a delineare le cose.
All’improvviso, da dietro gli orli di questa piana di tetti, rotola il borbottio di un tuono: tintinnano appena i vetri della finestra e vibra l’esile diaframma dell’anima mia, stanca; si attenua il brusio degli spettri, che ancora si attardano sul tè e sui biscotti, disposti su piatti orlati d’azzurro, (perché questi sono il mio corpo e il mio sangue) tra la teiera e le tazzine di fine ceramica. (offerti in sacrificio per voi)
Mi guardo alle spalle, come se qualcuno m’avesse chiamato, ma c'è solo lei, seduta davanti all’ovale luminoso dello specchio; sotto il pettine vibra pelo di belva color dell’ebano, le cui punte immagino elettriche, ardenti. “Se solo potessimo essere due granelli di rena perduti sul fondo del mare ...”, sussurro, ma lei sembra non aver udito le mie parole, che infatti precipitano sul pavimento come uccelli dalle ali spezzate.
Dovrei uscire subito da questa stanza, invece di rimanere qui, con l’ottusa tenacia di una marionetta, dimenticata nell’angolo più buio e polveroso di una soffitta deserta; o dovrei ascoltare le mie stesse inutili digressioni e poi ribattere, a vuoto e assenza, con altrettanto inutili considerazioni? O forse dovrei unirmi a loro, gomito a gomito con pazzi e assassini, ma sempre per dire qualcosa a qualcuno, che nemmeno fingerebbe di ascoltare; e - in fondo – non dire niente di ciò che meriterebbe d’essere detto e non tacere niente di ciò che sarebbe meglio tacere.. E quando tutto fosse finito, (detta l’ultima parola, espirato l’ultimo silenzio) giocare un’ultima partita a scacchi, dall’esito scontato, e perduto il re, chiudere la scacchiera e capire che é ormai troppo tardi, anche per un’ultima stretta di mano.
Mentre il tempo passa, marcato da contrappunti di tuono, io mi riverso nel vuoto ceduto al mio orrore, in un distacco tanto definitivo quanto formale. E l’ultima cosa che vedo, con avvilente chiarezza, é il pavimento che mi s’addossa veloce.
Più tardi sono in riva ad un mare irato e rumoroso; alle mie spalle, distese d’erica in fiore.
Post n°25 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da Ikarus68
Arenaria granito porfido; fuoco: fuoco smisurato, che cuoce e dà alla luce un mostro di terracotta dal volto sgrezzato e rilucente.
Viene, nella notte di velluto in una folata di scintille, fitte (come stelle) come vespe di uno sciame impazzito (in un secchio di ferro).
Golem dallo sguardo di falco procede per le mie interne vie, deserte - spaventoso e ululante, mi raggela il sangue, spinge la paura a raschiare nel mio cervello come unghie che cigolano su una parete scabrosa.
Cerco di correr via, ma l’universo mi tiene schiacciato al suolo.
Poi, su di me, l’ombra sua s’accresce, eclissa zenith e nadir, e io mi faccio piccolo, tanto che potrei (fallo! Fallo ora che puoi!) eclissarmi fra atomo e atomo.
Ma, come ogni volta, mi trova: cagna da usta, piomba su di me, m’azzanna l’anima.
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