Messaggi di Agosto 2014

Lo scontro nel partito repubblicano

Post n°800 pubblicato il 27 Agosto 2014 da amici.futuroieri
 

L’ora di un Tea Party reale - nel 2016!
Ralph Nader
15 maggio 2014

Il Partito Repubblicano istituzionale - leggete la Camera di Commercio corporativa degli Stati Uniti e i loro leccapiedi potenti che controllano il Partito al Congresso - è in procinto di sconfiggere il Tea Party.
Il senatore Mitch McConnell, il leader della minoranza repubblicana, previde questo quando a marzo disse al New York Times che il suo marchio del repubblicanesimo aziendale stava per “schiantare” gli sfidanti che i Repubblicani storici dovranno affrontare nelle loro primarie.

Il piano per “schiacciare” i candidati del Tea Party è dettagliato, molto ben finanziato e in attuazione.
Durante le prime primarie in North Carolina, tanti soldi repubblicani sono andati al legislatore statale, Thom Tillis, una grande vittoria sul suo avversario del Tea Party, Greg Bannon.
Altri candidati del Tea Party in Kentucky e in South Carolina hanno perso, anche se, questo Martedì, nelle primarie repubblicane per il Senato USA in Nebraska ha vinto un candidato del Tea Party.

I dirigenti del GOP e il loro stratega, quello di George W. Bush, Karl Rove, vogliono vincere.
Non vogliono che altri candidati come Sharron Angle (Nevada) o Christine O’Donnell (Delaware) vincano le primarie del Senato solo per auto-distruggersi nelle elezioni generali con i democratici.
Vogliono evitare il ripetersi dell’incubo del 2010 ormai ben compreso.

Per due tornate elettorali - 2010 e 2012 - il GOP ha riconosciuto e accolto con favore l’energia che il Tea Party ha portato al partito repubblicano e ha cercato, con un certo successo, di cavalcare queste dinamiche supportate tutti i giorni da servizi di Fox News.
La sconfitta di Obama nel 2012 e l’ultima goccia – la caduta dei governativi impopolari nel 2013 guidati dal senatore Ted Cruz – convinse i capi del GOP a rinunciare all’assimilazione o al compromesso con il Tea Party, sia nei collegi elettorali che al Congresso.

Finalmente un John Boehner Speaker frustrato li vinse, unendosi al senatore McConnell e agli uomini con i soldi di Wall Street in una guerra non dichiarata contro i duri del Tea Party che si rifiutarono di mediare sulle loro convinzioni.
Ciò che il National Journal chiama “la strategia primaria della terra bruciata” nel GOP è più pesante della pubblicità televisiva.
Essa comprende “ricerca di un’opposizione” contro gli sfidanti e altri assalti pesanti che sono di solito riservati alle battaglie di novembre contro i democratici.

Il prossimo mese di primarie statali probabilmente registrerà le vittorie GOP contro i candidati del Tea Party, distribuendo i soliti mantra di “meno governo, meno tasse e deregulation” per mostrare ai loro elettori che i dirigenti del GOP sono conservatori e non Rinos (repubblicani solo di nome).

Naturalmente, i repubblicani ribelli hanno sentito prima questi mantra solo per vedere il GOP tornare indietro a Wall Street venendo da Main Street, multinazionali sopra le piccole imprese, e contratti governativi sempre più grandi per un capitalismo clientelare, con tasse più basse per i ricchi e potenti e oneri in più per la maggior parte dei lavoratori in lotta, indipendentemente dalle loro etichette politiche.

Dopo essere stati eliminati alle primarie del 2014, i Tea Party rinunceranno e torneranno all’ovile, disprezzati ed emarginati?

Saranno in grado di fare come hanno fatto molti della sinistra progressista cioè segnalare che non hanno nessun posto dove andare, perderanno il loro potere contrattuale e sceglieranno di accettare il candidato “meno peggio” sui temi del Tea Party tra il GOP ed i Democratici?
Se faranno questo, essi svaniranno nella storia.
D’altra parte, possono perseguire un programma che distingua il “conservatorismo” dal “corporativismo”.
Possono opporsi al capitalismo amicale e allo stato corporativo, contrastare l’attacco alla sovranità e la distruzione del lavoro gestita con accordi commerciali, e premere per più libertà civili con meno indagini governative e aziendali.

Possono spingere per far cadere le banche enormi “troppo grandi per fallire”, per evitare un altro crollo economico, e per sostenere la proprietà comunitaria e gli affari controllati.
Essi possono opporsi a guerre incostituzionali e all’Impero.
In breve, queste scelte rispecchiano la filosofia politica di Ron Paul che ha un significativo sostegno pubblico.

Il Tea Party ha già alcuni asset formidabili; riconoscimento del nome sui mass media diffuso, energia umana dimostrata, affluenza alle urne competente, capacità di raccolta fondi, supporto ai conservatori think tank amici e, purtroppo, poca competizione elettorale per gli obiettivi di cui sopra.
E il Tea Party li mostra! Essi non sono inclini ad essere sostenitori dalla poltrona.
Il Tea Party ha anche candidati di fama nazionale, senatori e governatori simpatizzanti, che, se stimolati, potrebbero essere i loro alfieri e sostenitori.

Sul lato negativo, le posizioni del Tea Party su molte questioni di salute e normativa di sicurezza e sui servizi sociali non sono condivise dalla maggioranza degli elettori.
Anche i loro candidati preferiti per la Casa Bianca non sono capaci di battere il GOP.
Rand Paul, per esempio, può provare per più di una tornata elettorale a dimostrare che può fare appello ai repubblicani tradizionali.

Tuttavia, la possibilità dei Tea Party di ottenere almeno dal cinque al dieci per cento del voto totale nel 2016 può essere sufficiente ad attirare una leva politica contro una tirannia bipartitica.

Nelle nostre aste politiche decadenti, sempre alla ricerca di denaro, ciò sarebbe più fresco  con autentici conservatori libertari che attaccano le corporazioni imperiose che fanno alleanze minimali con il nostro paese e la sua gente.

Tradotto da F. Allegri il 27 agosto 2013.

 
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Il bike sharing

Post n°799 pubblicato il 25 Agosto 2014 da amici.futuroieri
 

Scheda sul bike sharing
Earth Policy Release
14 Maggio 2014

La prevalenza di biciclette in una comunità è un indicatore della capacità di fornire un trasporto a prezzi accessibili, della minore congestione del traffico, del calo dell’inquinamento atmosferico, dell’aumento della mobilità, e dell’offerta ginnica alla popolazione mondiale crescente.
I programmi di bike - sharing sono un modo per diffondere le biciclette tra le masse.

All’inizio del 2014, circa 600 città di 52 paesi attuano programmi avanzati di bike sharing, con una flotta complessiva di oltre 570.000 bici.
La Spagna è il leader mondiale con 132 programmi diversi di bike - sharing.
L’Italia ne ha 104, e la Germania 43.

Il programma più grande del mondo di bike - sharing è a Wuhan, la sesta città della Cina, con 9 milioni di persone e 90.000 bici condivise.
Nel 2013, la Cina ha attuato 82 programmi di bike sharing, con una flotta enorme combinata di circa 380.000 biciclette.

Gli Stati Uniti attuano 36 programmi moderni di bike sharing.
Con una serie di nuovi programmi in cantiere e con le espansioni pianificate dri programmi esistenti, la flotta statunitense è impostata per quasi raddoppiare le oltre 37.000 biciclette condivise pubblicamente entro la fine del 2014.

Da quando il sistema del Vélib fu lanciato a Parigi nel 2007, il numero dei ciclisti sulle strade è aumentato del 41 per cento.
Quasi 24.000 bici possono essere ritirate presso le oltre 1700 stazioni tra la città e i sobborghi.
Il sistema Barclays Cycle Hire di Londra fu lanciato nel 2010 con 6.000 biciclette ed è cresciuta a oltre 9.000.
Nuove piste ciclabili e nuovi tracciati ciclabili designati hanno contribuito a crescere l’utenza.

Le città del bike - sharing stanno scoprendo che la promozione della bicicletta come opzione di trasporto può portare a una maggiore mobilità e a strade più sicure per tutti.

Il bike sharing, le piste e le altre infrastrutture amiche della bicicletta sono una manna per le economie locali.
Con oltre la metà della popolazione mondiale che oggi vive nelle città, c’è un enorme potenziale per i governi municipali e per gli urbanisti per aumentare l’uso della bicicletta.

Con costi annuali nella maggior parte delle città ben al di sotto dei $ 100, il bike sharing è di gran lunga più conveniente rispetto al costo medio di 7.800 dollari stimato da AAA per chi possiede una macchina e fa 10.000 miglia all’anno.
Durante il primo anno nel quale le persone abbandonano la guida regolare per diventare un pendolare in bicicletta, si possono perdere 10 libbre o più.
# # #
I dati e le risorse aggiuntive sono disponibili su www.earth-policy.org.
Sentitevi liberi di passare queste informazioni ad amici, familiari e colleghi!
Contatti per la ricerca: Janet Larsen e Emily E. Adams
Earth Policy Institute
1350 Connecticut Avenue NW, Suite 403, Washington, DC 20036

Tradotto da F. Allegri il 25/08/2014

 
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Camilla nei boschi di Vitolini

Post n°798 pubblicato il 23 Agosto 2014 da amici.futuroieri
 

Camilla nei boschi di Vitolini
23 agosto 2014
Di F. Allegri
La mucca Camilla è stata ritrovata!
Lei era in Moscheri, il bosco di Marcello ovvero sul colle accanto a Violini e poteva essere soltanto li.
La sua fuga è durata un mese e 6 giorni, (dal 14 luglio al 20), ma io non parlerei di fuga: si è trattato di un vagare nel sottobosco, lungo il ruscello che le ha assicurato acqua a sufficienza e una quantità minima di erba da mangiare.
Anche la mucca Camilla era diventata una bestia mitica: era la mucca in fuga.
Ricordo per inciso e riepilogo, in questi mesi abbiamo sentito parlare del serpente di Montecatini, della pantera di Cerbaia e dell’uccello di fuoco di Cerreto Guidi.
L’ultima protagonista è quindi la mucca in fuga.
Fuga è una parola crossa; in realtà, io parlerei di ricerche approssimative e mal orientate, sicuramente troppo estese: mi sembrano troppi gli avvistamenti e troppo ampia l’area delle ricerche.
La mucca si era mossa poco e si era inoltrata in una zona dove poteva bere e mangiare.
La polemica animalista contro il rischio di abbattimento ha confuso ulteriormente la situazione.
Camilla si poteva ritrovare in poche ore anche se il bosco di Mascheri è ormai una zona disabitata e poco frequentata in questa stagione.
Io conosco bene quei posti perché proprio lassù viveva mia nonna e io trascorsi la mia infanzia tra il bosco di Moscheri e l’oliveta circostante.
Non si sa dove è stata catturata di preciso, ma io ipotizzo che il luogo non comunicato sia la casa dove un tempo viveva Amedea, un’amica dei miei nonni che morì negli anni ottanta del secolo scorso.
Si sa che la cattura dell’animale è stata facile e con minimi problemi di trasporto vista la mole dell’animale e si pensa anche indolore.
Finalmente, la mucca riposerà nella sua stalla, in compagnia dei suoi vitellini che hanno quasi un anno e sono del tutto indipendenti.
Chissà se Camilla avrà nostalgia di questa scampagnata?
Di sicuro io farò una passeggiata nei luoghi della mia infanzia …..

 
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Esempi di follie istituzionali

Post n°797 pubblicato il 22 Agosto 2014 da amici.futuroieri
 

Esempi di follie istituzionali
22 agosto 2014
Di F. Allegri
Anche quest’anno, l’estate porta un aumento di cattiva informazione specie per le persone che vanno in vacanza e che in questi mesi leggono qualche giornale in più.
Va detto subito che muta la selezione delle notizie da diffondere.
Questo scritto si ispira alla lettera settimanale di Ralph Nader del 8 maggio 2014 che si intitola: “Denunciamo le follie Istituzionali”.
Il tema è quello degli enti folli che caratterizzano gli USA, ma anche molti stati occidentali.
Negli USA, ma anche altrove, molta follia istituzionale si lega alle questioni sanitarie e all’allarmismo su alcune malattie e non su altre.
Per Nader, gli enti folli sopravvivono perché psichiatri e psicologi si rifiutano di studiarli e perché i mass media li alimentano e ne fanno parte.
Ecco cosa dice Nader a Psichiatri e psicologi: “Quali sono i segni che un ente è clinicamente folle? Per oltre 35 anni ho cercato di convincere gli psicologi e gli psichiatri specializzati e le loro associazioni professionali a studiare questo grave argomento di studio e le proposte correttive. Ahimè, senza alcun risultato. Essi sono completamente occupati con la salute mentale degli individui”.

Subito dopo Nader si rivolge ai mass media e ci fa un esempio preciso: “Un sintomo della follia istituzionale si rivela quando i mass media diventano più selvaggi coprendo parole offensive mentre ignorano le azioni sistematiche che riflettono quelle parole. Nel 2009, Donald Sterling, proprietario dei Los Angeles Clippers nel NBA, patteggiò 2,725 milioni di dollari con il Dipartimento di Giustizia per aver violato la legge escludendo i futuri inquilini afro - americani e ispanici dai suoi condomini. Rispetto alla copertura delle sue parole razziste, questa ingiustizia ricevette poca copertura dai notiziari. La settimana passata, tutti avete sentito quello che era il replay infinito del suo bigottismo privato che molti collegano alla sua fidanzata e a tutte le condanne dei ricchi giocatori, degli allenatori e degli ex giocatori. Dov’era la loro indignazione nel 2009? Che dire delle decine di migliaia di braccianti servi della gleba nel sud est asiatico, che sono schiavizzati per fabbricare a distanza le scarpe di Michael Jordan e di LeBron James?”.

Dopo questa considerazione, Nader entra nel tema sanitario partendo da una critica al presidente Obama e al clamore mediatico che circonda alcune notizie e non altre: “In Malesia, nell’incontro con il capo dello Stato, mentre faceva la sua visita, il presidente Obama decise di commentare il caso Donald Sterling. Eppure, durante la sua settimana di incontri con i leader dell’Asia orientale, il presidente Obama non ha portato l’attenzione sulla principale minaccia per la salute che quella regione crea agli USA - le epidemie virali mortali che potrebbero raggiungere questi lidi come fecero altri virus letali in passato. I Centri federali per il Controllo delle Malattie (CDC) avrebbero beneficiato di un supporto presidenziale per una maggiore cooperazione e per gli allarmi precoci in quelle nazioni. La copertura mediatica del primo anniversario degli attentati alla maratona di Boston (3 morti, 264 feriti) è stata totale mentre ai 2 rapporti allarmanti e recenti diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sotto-finanziata e dal CDC che allertavano sui molti altri milioni di morti che potrebbero risultare dalla super prescrizione di antibiotici che creano super batteri resistenti, è stata data poca attenzione. L’OMS ha avvertito che il mondo sta tornando al periodo pre - antibiotici, quando c’era poca protezione medica contro batteri e virus. Questo non è solo una proiezione futura. Ogni giorno più di 200 americani muoiono negli USA dalle infezioni correlate all’assistenza, come le infezioni ospedaliere indotte, secondo il CDC e altre fonti. Ogni giorno!”. Va sottolineato e aggiunto che questa è la vera notizia sanitaria che nessun giornale diffonde.
In questi giorni imperversa l’epidemia di ebola, ma io mi chiedo: come mai in maggio nessuno parlava del MERS? Ecco la notizia perduta: “Il primo caso di corona virus mortale dall’Arabia Saudita ha raggiunto l’Indiana, dove un visitatore di ritorno da quel paese è arrivato con un virus poco studiato denominato MERS. Collegata ai cammelli infetti, questa malattia ha preso la vita a oltre un terzo delle sue vittime, e ha già provocato circa 100 morti. Avete visto una copertura sui media adeguata come per le recenti gaffes verbali dei politici o per il cattivo comportamento delle stars di Hollywood? Se questo virus, già confermato in una dozzina di paesi, iniziasse a trasmettersi da uomo a uomo, ‘Katy sbarra la porta’!”.

In tema di tutela sanitaria, nader aggiunge una critica alle spese militari. Altro tema che la stampa non tratta: “La marina di Obama è ridondante dopo che è stata varata una nave che costa $ 12,5 miliardi. Ora ci sono dodici di questi elefanti bianchi strategici, per la protezione delle forze imperiali, mentre ci sono fondi insufficienti per i paesi che vogliono scoprire il patrimonio genetico di questo virus o studiare il caso che riguarda il suo modello di diffusione. Il presidente Obama ha proposto nel suo bilancio fiscale del 2015 tutti i ‘30 milioni di dollari’ necessari per identificare i ceppi batterici più resistenti e delineare i loro focolai e per preparare i trattamenti. “Questi “terroristi tossici” invisibili, in apparenza molto pericolosi, non decidono la gravità e le risorse come fanno i terroristi umani o le esigenze insaziabili del complesso industriale degli armamenti”.

La scelta stessa delle priorità politiche è condizionata dalle verità appena scritte che Nader commenta così nella sua conclusione: “Non ci sono veramente parole più adeguate per descrivere questa inversione grottesca delle priorità se non parlando di ‘follia istituzionale’. Esiste anche sotto forma di banalizzazione di massa dovuta alla selettività dei media. Manifestazioni pubbliche serie e spesso tempestive e i report sui rischi ampiamente percepiti e sui danni esistenti vengono ignorati. Basta guardare solo ciò che riempie con spettacoli nazionali il pomeriggio e il week-end della rete televisiva, usando le nostre onde radio pubbliche gratuitamente. Guardate le molte pagine dei giornali dedicate allo sport, alla moda e ai guai delle celebrità, comparandole con lo spazio dedicato alle lettere al direttore o alla copertura delle attività civiche locali e nazionali che si concentrano sul miglioramento civile o sul risolvere problemi diffusi con le soluzioni disponibili. Troppa copertura delle ‘notizie’ è dedicata alla dissolutezza e ai fatti insignificanti. I neuro-scienziati, come Antonio Damasio, hanno ipotizzato che l’edonismo incontrollabile, che prende gli individui, può essere, a livello sociale, ugualmente auto-distruttivo e disfunzionale. Un giorno, immagino, qualcuno organizzerà una “società nazionale delle persone serie” che contesteranno questo corporativismo edonistico a livello nazionale in modo da esaminare la sua distruzione del potenziale umano e di ciò che trasmettiamo ai posteri. Possiamo iniziare chiedendoci il motivo per cui le multinazionali - queste istituzioni più sfruttate a livello sensuale – possono andarsene così spesso utilizzando, gratuitamente, la nostra proprietà, comune (onde radio pubbliche, le terre pubbliche, internet, le migliaia di miliardi di dollari per la ricerca e lo sviluppo che il contribuente da loro) contro gli interessi di “noi, il popolo” e, più crudelmente dei nostri figli”.
Scriverò spesso di disinformazione in generale e di quella estiva.

 
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Elementi di una guerra di propaganda

Elementi di una guerra di propaganda
19 agosto 2014
Di F. Allegri
Alcuni amici mi hanno chiesto di valutare la guerra che è in corso da mesi in Ucraina e che sembra destinata a continuare nei prossimi mesi.
Il tema attuale da discutere di più è la sua durata: ci sarà ancora la guerra in autunno oppure no?
Posso scrivere che un inverno di guerra in Ucraina sarebbe molto doloroso per le popolazioni civili delle aree coinvolte e per quelle delle aree confinanti.
Potrei fermarmi qui perché sono cosciente che le nostre informazioni dal fronte sono minime e tutte da verificare.
In questo contesto posso fare un approfondimento sul tema generale delle guerre di propaganda che accompagnano le guerre vere, specie in zone contese tra gli imperialismi dominanti.
Il nuovo governo ucraino ha due potenti alleati, gli USA e la Nato i quali sostengono l’esercito di quel paese con mezzi materiali e militari e con i loro servizi segreti speciali esperti anche di guerra psicologica e di comunicazione in tempo di guerra.
Questa mi è sembrata molto attiva in queste ultime settimane che registrano un equilibrio di sangue sul terreno.
Chi fa e cos’è una guerra di propaganda?
I tedeschi hanno mandato in Ucraina il gruppo “Combat Camera” che si occupa di comunicazione di guerra e i gruppi Kunduz e IEB dell’OPINFO che si occupano della formazione di un’opinione pubblica e di comunicazione interculturale.
Dal Belgio è arrivato un gruppo per la guerra psicologica (psy-op).
La NATO ha mandato l’ISAF che abbiamo conosciuto in Afganistan.
Gli USA hanno mandato un loro team inquadrato nel 109° Afghan Corps che si occupa di informazione e propaganda, propaganda nera e guerra psicologica che sarà coadiuvato da altri due reparti specializzati.
Questo coinvolgimento occidentale non va sottovalutato: siamo ad un passo dalla guerra guerreggiata che al momento non è uno sviluppo probabile di questo tipo di impegno dato che le truppe NATO non avrebbero le coperture necessarie e neanche un vero interesse generale o economico allo scontro.
Detto questo, la situazione ha una sua gravità.
Va ricordato che ogni guerra di propaganda da un contributo importante alla vittoria di una guerra.
La guerra di propaganda svolge un lavoro di rieducazione delle opinioni pubbliche neutrali e anche di quelle degli stati avversi.
La guerra di propaganda seleziona con cura le sue menzogne, demonizza l’avversario, quando è necessario disinforma e la stampa quotidiana svolge il suo lavoro con completezza e talvolta con l’ipocrisia del caso.
Il bersaglio preferito della guerra di propaganda occidentale è sicuramente Vladimir Putin, non mancano i comunicati sulle atrocità dei filo – russi che sono insorti in quelle regioni.
Dal lato del KGB mi sembra evidente che una seconda disinformazione nega l’evidenza quando non si ammette un coinvolgimento russo.

Queste sono mie sensazioni a naso, non vado oltre.
Nelle guerre di propaganda, va considerata infine la cosiddetta “Black Propaganda” che consiste in informazioni false e in materiali informativi che sembrano provenire da una fonte del nemico, ma che vengono in realtà dalle solite fonti.
La prima vittima di ogni guerra è la verità.

 
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I falsi referenda: con esemplificazioni

I falsi referenda: con esemplificazioni.
16 agosto 2014
Di F. Allegri
La mia ultima fatica universitaria prima di lavorare alla tesi fu una ricerca a livello mondiale sull’uso dei referenda nella vita politica degli stati.
Io mi rivelai come uno degli studenti più brillanti ed ebbi l’onore di studiare il caso californiano che insieme a quelli svizzeri e italiani è un modello valido per gli studi di questo fenomeno politico.
Le conclusioni che traemmo allora restano valide: laddove l’iniziativa referendaria appartiene al popolo c’è un notevole sviluppo dell’istituto referendario.
Oggi riparto da qui è mi pongo la seguente domanda: come influiscono i partiti e le lobbies sui referenda?
Parto da un scritto del 1° maggio di Ralph Nader che si intitolò: “Fermiamo gli scrocconi corporativi di Cleveland”. Il 6 maggio i contribuenti di Cleveland sono andati alle urne per votare un referendum molto particolare ovvero per esprimere il loro favore o la loro contrarietà al finanziamento pubblico della costruzione di grandi arene sportive e usate da società sportive già sovvenzionate in molti modi.
Chi ha votato SI ha scelto di servire le varie corporazioni arroganti e si è rilevato come un seguaci del sistema politico locale in cerca di facile consenso.
Il principio da difendere con un NO è semplice: le entrate delle imposte vanno usate per opere pubbliche più importanti e necessarie.
Un contribuente può pagare per costruire scuole, strade, ponti, biblioteche, ospedali, per migliorare i trasporti pubblici e per altri bisogni della comunità, al contrario gli stadi e gli impianti sportivi vengono dopo.
Come mai si è tenuto un simile referendum?
Da un lato con questa scelta si ottiene un consenso popolare alla cessione di denaro pubblico ai grandi ricchi locali: Si unisce il consenso popolare al vantaggio di parte!
Normalmente i giganti dello sport cercano di evitare i referenda usando altri mezzi, dai contributi elettorali alla persuasione diretta di sindaci e politici alla ricerca di facile popolarità.
A questo proposito cito Nader direttamente: “Quando i capi delle grandi leghe sportive non possono evitare un voto pubblico, inducono in errore il pubblico con l’idea che la costruzione di impianti sportivi sia utile per creare posti di lavoro, ma la gran parte degli economisti sa che essa non è sicuramente un modo efficace economicamente per creare posti di lavoro”.
Ecco una bugia diffusa: l’abbinamento di atti politici alla creazione di posti di lavoro.
Questa è una vera epidemia diffusa che talvolta non si diffonde e allora viene seguita da certe minacce di routine legate ai risultati sportivi della squadra di turno.
Nel binomio tra sport e politica può accadere anche di peggio, ecco cosa aggiunge Nader: “Quando tutto questo fallisce, i baroni dello sport chiedono di ricevere le entrate derivate da imposte odiose e altri piccoli aiuti ben scelti (come la tassa di parcheggio, di ingresso, di soggiorno, dei videogiochi, quella sul nolo dell’auto, e l’esenzione dalla tassa di proprietà), oltre a mantenere prezzi elevati per biglietti, cibo e parcheggio”.
Tutto è guadagno, tutto crea consenso.
Nader ci dice: “Questa è la situazione a Cleveland – una metropoli deindustrializzata, ingiustamente povera, con il più grande datore di lavoro che oggi è la Cleveland Clinic. Le persone più benestanti possono andare a vedere i Cleveland Browns, i Cleveland Indians e i Cleveland Cavaliers – i cui stadi hanno i nomi delle società e non sono chiamati ‘Taxpayers Stadium, Arena and Field’. I proprietari sportive super-ricchi, o i re del welfare aziendale, sanno che ‘le tasse cattive’ aiutano a ottenere più voti per i loro stadi”.
Qui il cenno alla globalizzazione è evidente e si capisce come Cleveland non sia un caso isolato, ma un modello da analizzare.
La vincita del SI porterà a una tassa ventennale su alcolici e sigarette con la quale coloro che hanno questo vizio pagheranno per far godere altri viziati e per arricchire il potente di turno.
Il nuovo impianto sportivo costerà tra i $ 250 a $ 350 milioni.
Nader ha aggiunto: “Le imposte proposte escludono le contee adiacenti dove vive il cinquanta per cento o più dei tifosi paganti. Cuyahoga County, che comprende la città di Cleveland, ha già tasse alte sulla proprietà, sulle vendite e sulla scuola rispetto alle contee vicine. La disoccupazione, i prezzi dei beni di prima necessità e la disuguaglianza sono molto elevati nella Cuyahoga County assediata secondo Roldo Bartimole, probabilmente il più grande giornalista investigativo di Cleveland di questo ultimo mezzo secolo (vedi il Cleveland Leader per maggiori informazioni). Qualsiasi aumento delle tasse – cattive o diverse - va destinato alle necessità della comunità locale, non all’intrattenimento”.
Torno su un tema che affronto volentieri.
Ecco cosa dice Nader sulla creazione del consenso popolare visto come atto deliberato dai potentati: “I capi dello sport del tempo libero sanno che la carta vincente che permette loro di continuare con i loro modi da scrocconi come capitalisti amiconi è quella di sfruttare la gioia dello spettatore derivata dall’essere parte di un gruppo di fan locale. Il non detto di tali richieste toglie la gioia a chi guarda la TV e la da ai fans che minacciano di andare in un’altra città mollando tutto. Tutto puzza di avidità, potere e estorsione. E’ certo che i Clevelanders, i Browns, gli Indians e i Cavaliers non andranno via. Sanno quanto “aiuto” (oltre $ 1 miliardo dal 1990) i vostri politici hanno già dato a queste squadre. I padroni dello sport amano definirsi come dei capitalisti. Quindi lasciate che si comportino come tali e che investano il proprio denaro e fateli smettere di trasformare le vostre tasse nei loro profitti. La Coalition Against the Sin Tax (CAST) vuole piena divulgazione degli “obblighi” segreti imposti al pubblico in questi contratti di benessere aziendale esistenti in modo che i residenti possano sapere cosa sta succedendo dei loro soldi (vedi Coalition Against the Sin Tax per ulteriori informazioni). “Chi ci preoccupa?” potrebbero dire i non Clevelanders. Meglio pensare al nuovo. I miliardari sportivi avidi sono in tutto il paese. Non smettono mai di espandere la loro ricchezza che cresce a spese degli altri. Fino a quando voi non li fermerete”.
Il condizionamento del ricco e privato non è l’unico ipotizzabile.
In Italia abbiamo un altro potere condizionante che cresce e si diffonde mentre degenerano le istituzioni: penso ai partiti in crisi di consenso o a personaggi o gruppuscoli ambiziosi che vogliono partecipare alla lotta politica quotidiana in modo non trasparente.
Anche gli ultimi 4 referenda su giustizia e acqua pubblica sono stati una falsificazione.
Se i primi due sono serviti alle parti in lotta per il potere per poter stabilire la loro forza reale nel breve periodo i due sull’acqua hanno ottenuto il risultato accessorio di far alleare PD e PDL.
Dei referenda nazionali sul tema degli acquedotti cittadini sono già di suo una forzatura da criticare e io l’ho fatto spesso.
Oggi posso chiudere dicendo che su questa piccola forzatura di sinistra, le lobby hanno costruito un nuovo castello consociativo enorme.
Chi crede nella bontà degli acquedotti comunali deve circoscrivere la propria lotta al proprio comune mentre chi si interessa alle questioni nazionali vere può solo constatare la degenerazione in corso delle istituzioni.

 
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La plastica nel mondo

La crisi del sacchetto di plastica: un quadro globale
Janet Larsen e Savina Venkova
www.earth-policy.org/plan_b_updates/2014/update123
Earth Policy Release
Piano B Aggiornamento
1 maggio 2014

In tutto il mondo, un trilione di sacchetti di plastica monouso è usato ogni anno, quasi 2 milioni ogni minuto.
L’uso varia ampiamente tra i paesi, da oltre 400 l’anno per molti cittadini dell’Europa orientale, ad appena 4 all’anno per le persone in Danimarca e in Finlandia.
I sacchetti di plastica, fatti di gas naturale impoverito o di risorse petrolifere esauribili, vengono spesso utilizzati solo per pochi minuti.
Dopo durano nell’ambiente per centinaia di anni, possono essere triturati in pezzi sempre più piccoli, ma mai si rompono completamente.

Nel corso dell’ultimo secolo, la plastica ha invaso il pianeta.
Da una parte, la plastica sembra un materiale miracoloso, con usi benefici che vanno dai dispositivi medici al rendere i veicoli più leggeri e più efficienti.
D’altra parte, si tratta di una maledizione, che permette la produzione di massa a buon mercato, apparentemente, di materiali usa e getta che riempiono le discariche, offuscano gli oceani, soffocano la fauna, e sporcano i panorami.
Riempite con additivi che non hanno un record di sicurezza, le materie plastiche sono state collegate a una serie di problemi di salute, tra i quali alcuni tipi di cancro e all’infertilità.
Mentre la plastica può essere usata e riciclata con saggezza, la maggior parte di quei prodotti non può.
Forse nessun altro elemento simboleggia i problemi della nostra cultura dell’usa e getta meglio del sacchetto di plastica monouso.

Data la moltitudine di problemi associati con i sacchetti di plastica, molte comunità di tutto il mondo hanno cercato di liberarsi dalle loro dipendenze mediante l’attuazione di divieti o con tasse sui sacchetti.
La più antica imposta esistente sul sacchetto è in Danimarca. Passò nel 1993, questo regolamento influenzò i costruttori si sacchetti di plastica che pagarono una tassa in base al peso del sacchetto.
I negozi furono autorizzati a far gravare il costo sui consumatori sia con le tariffe sulla borsa o assorbito nei prezzi di altri oggetti.
L’effetto iniziale di tale sistema fu un calo impressionante del 60% nell’uso del sacchetto.

Una delle misure più note sul sacchetto è l’imposta nazionale irlandese, adottata nel 2002.
Essa fu la prima a tassare direttamente i consumatori, a partire da una tassa di 15 centesimi di euro (20 cents) per sacchetto.
Entro 5 mesi dalla presentazione della misura, l’utilizzo del sacchetto scese di oltre il 90%.
I rifiuti furono ridotti notevolmente.
Tuttavia nel corso degli anni, l’uso del sacchetto riprese a insinuarsi, così nel 2007 la tassa è stata aumentata a 22 centesimi di euro, e nel 2011 la legge è stata modificata con l’obiettivo di mantenere l’uso annuale di sacchetti pari o inferiore ai 21 sacchetti a persona.
F. Convery della University College di Dublino definisce la tassa irlandese sul sacchetto “la più popolare in Europa”, e pensa che sarebbe dannoso politicamente il rimuoverla.

Infatti, molte comunità guardando le misure di riduzione del sacchetto di plastica sperano di emulare il successo irlandese.
Altri paesi europei dove i consumatori pagano per i sacchetti di plastica — sia attraverso leggi che con iniziative volontarie — sono il Belgio, la Bulgaria, la Francia, la Germania, la Lettonia e i Paesi Bassi.
In tutta l’Unione europea, gli Stati membri dovranno prendere misure per ridurre l’uso della borsa di plastica dell’80% entro il 2019.

La riduzione della quantità di materie plastiche in ambiente marino è stata una delle principali cause della normativa in Europa e altrove.
In una nota sulla sua proposta di riduzione della plastica, la Commissione europea osserva che “nel Mare del Nord, gli stomaci del 94% di tutti gli uccelli contengono plastica.
I sacchetti di plastica sono stati trovati nello stomaco di diverse specie marine in via di estinzione, come le tartarughe verdi, le tartarughe marine, le tartarughe comuni, l’albatros dalle zampe nere, e nelle focene.”
In sintesi, “almeno 267 specie diverse sono note per aver sofferto per l’intrappolamento o per l’ingestione di rifiuti marini”.

Il desiderio di proteggere le balene che migrano al largo della costa della Tasmania portò al primo divieto locale dei sacchetti di plastica in Australia nel 2003.
Ora la metà degli stati e dei territori australiani vieta i sacchetti di plastica.


Al di là dei mari, i motivi per agire contro la plastica variano dalle epidemie di malaria associate ai sacchetti per la raccolta dell’acqua in Kenya fino alle fogne intasate con i sacchetti di plastica che esacerbano le inondazioni in Bangladesh, Camerun, e nelle Filippine.
I bovini soffocati dai sacchetti di plastica hanno dato impulso alla regolamentazione del sacchetto nei paesi con ranch in Texas e nelle comunità indiane interessate alla vacca sacra.
Nella capitale della Mauritania, si stima che il 70% di bovini e ovini siano morti per l’ingestione di un sacchetto di plastica; negli Emirati Arabi Uniti, la preoccupazione è per i cammelli.
(Per altri dettagli sulle lotte contro la borsa di plastica nel mondo vedi www.earth-policy.org.)

Una strategia mondiale rigorosa contro il sacchetto di plastica potrebbe esserci in Ruanda.
Da quando il divieto è entrato in vigore nel 2008, i passeggeri delle linee aeree che arrivano da fuori nel paese raccontano di essere costretti a cedere i sacchetti al momento dell’arrivo.

Non è chiaro, tuttavia, con quanto successo il divieto riduca il consumo complessivo di sacchetti, in particolare nelle aree meno urbane, a causa di un mercato nero attivo per i sacchetti.
In Sud Africa, dove i sacchetti di plastica trovati tra i cespugli e gli alberi erano diventati così comuni che erano chiamati il fiore nazionale, un divieto sui sacchetti non biodegradabili e sottili che facilmente si lacerano e volano via entrò in vigore nel 2003.
I sacchetti più spessi sono tassati.
La tassa del sacchetto di plastica in Botswana, che iniziò nel 2007, ha portato un dimezzamento dell’uso della borsa tra i principali rivenditori.
Tutto sommato, almeno 16 paesi africani hanno annunciato il divieto di alcuni tipi di sacchetti di plastica, con diversi livelli di efficacia.

In Cina, dove l’inquinamento del sacchetto di plastica è molto diffuso, alcune città e province hanno cercato di introdurre politiche volte a limitare il suo uso nel 1990, ma la loro scarsa applicazione ha portato a un successo limitato.
Prima che Pechino ospitasse i Giochi Olimpici del 2008, una legge nazionale introdusse il divieto dei sacchetti extra sottili e chiese ai negozi di addebitare una tassa su quelli spessi.
Il governo cinese ha riferito che l’uso del sacchetto è sceso di oltre due terzi, anche se il rispetto sembra essere imprevedibile.
Alcune città nel sud-est asiatico, la fonte di molte esportazioni dei sacchetti di plastica nel mondo, hanno legiferato per ridurne l’utilizzo.

Negli USA, 133 tra città e contee hanno approvato norme contro il sacchetto di plastica.
I divieti del sacchetto riguardano un californiano su tre e praticamente tutti gli hawaiani.
Il consiglio comunale di Chicago ha votato per un divieto del sacchetto a aprile 2014.
Dallas e Washington, D.C., sono tra le poche giurisdizioni che carica 5-10 cents per ogni sacchetto di plastica o di carta; in entrambe le città, le tasse sono state istituite per ridurre il numero di borse nei fiumi locali.
In Canada, gran parte degli interventi anti-Bag è volontaria, con un certo numero di rivenditori che partecipano.
Le province dell’Ontario e del Quebec hanno dimezzato il loro uso del sacchetto con una serie di misure, tra le quali incentivi ai negozi che usano borse riutilizzabili e tasse ai rivenditori.
I negozi di liquori in Manitoba, Quebec e Nova Scotia hanno vietato il sacchetto di plastica per la merce.

Anche l’America Latina ospita una serie di iniziative per ridurre i rifiuti e i sacchetti di plastica, tra i quali il divieto nelle città cilene di Pucon e Punta Arenas e negli stati di Buenos Aires e Mendoza in Argentina, per citarne alcuni.
In un paio di stati brasiliani le borse per le merci devono essere biodegradabili. Lo Stato di Sao Paulo vietò i sacchetti di plastica monouso gratuiti a partire dal gennaio 2012, consentendo che le borse riutilizzabili o biodegradabili pesanti fossero vendute a 10 cents, ma la misura fu rimossa da un'ingiunzione in tribunale supportata a livello industriale, e nonostante il sostegno dell’organizzazione dei supermercati.
Allo stesso modo, Città del Messico vietò i sacchetti di plastica nel 2009, ma, sotto la pressione dei produttori di materie plastiche, la misura è stata sostituita prima dell’esecuzione con un’iniziativa di riciclaggio — una tattica comune usata dai gruppi industriali in tutto il mondo contrari ai divieti o alle tasse più severe.

I sacchetti di plastica hanno un costo chiaro per la società che ancora non è versato interamente.
La riduzione dell’uso dei sacchetti usa e getta è una piccola parte del passaggio da un’economia usa e getta ad una basata sull’uso prudente delle risorse, dove i materiali sono riutilizzati e non progettati per una rapida obsolescenza.

# # #
Sentitevi liberi di passare queste informazioni ad amici, familiari e colleghi!
Contatto per i media: Reah Janise Kauffman
Contatto per la ricerca: Janet Larsen
Earth Policy Institute
1350 Connecticut Avenue NW, Suite 403, Washington, DC 20036

Tradotto da F. Allegri il 14/08/2014.

 
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Magistratura e democrazia

Post n°793 pubblicato il 10 Agosto 2014 da amici.futuroieri
 

INTRODUZIONE
La traduzione dello scritto settimanale di Ralph Nader di oggi affronta il tema del rapporto tra magistratura e democrazia in USA, ma l’esempio permette considerazioni generali in materia di partecipazione di qualità e sul tema dei campioni del popolo.
Lo scritto riguarda due magistrati della corte suprema USA in pensione.
Sono Paul stevens di 94 anni e Sandra Day O’ Connor di 84.
Si tratta, senza dubbio, di 2 anziani di prestigio, esperti di diritto e profondi conoscitori del sistema politico nel quale vivono.
Lo scritto avvia una nuova sfida per Ralph Nader e i suoi seguaci: la creazione di 2 istituti per promuovere la giustizia nei tribunali, la partecipazione e la critica politica.
Ci sono i giusti riferimenti, gli obbiettivi espliciti e anche un esempio come riferimento:il Brennan center for justice di New York che già opera in quello stato.
Il punto fondamentale è che un ex magistrato può fare politica, specie se è stato prestigioso e se ha avuto un vasto seguito di supporter e collaboratori.
Il tema ha una sua importanza anche nel contesto italiano dove ci sono situazioni particolari nello status di giudice e una eccessiva prossimità con il ruolo di politico.
La questione della O’ Connor permette una seconda premessa: il sistema elettorale dei giudici USA (che ultimamente piace ad alcune minoranze italiche) è profondamento sbagliato, secondo questo ex magistrato sarebbe meglio un sistema per meriti e titoli.
Uno come quello italiano …… con qualche correzione.
Il titolo di questo scritto del 23 aprile è “Avviamo gli istituti per la giustizia Stevens e O’ Connor?”.
Parte con la domanda: “Cosa fanno i giudici in pensione della Corte Suprema degli Stati Uniti con il loro tempo e la reputazione? Uno di loro – il giudice Paul Stevens, 94, ha pubblicato da poco un altro libro Six Amendments: How and Why We Should Change the Constitution; Questo nuovo lavoro si aggiunge ai suoi scritti e saggi vigorosi post-pensionamento. Un’altra – il giudice Sandra Day O’ Connor, 84, è stata occupata a lottare con le persone contrarie ad una sua scelta in sul Tribunale. Ha messo in dubbio la saggezza del suo voto sul Bush v. Gore e sul finanziamento della politica senza limiti consentito dalla decisione su Citizens United emessa dopo che lasciò la corte. I suoi discorsi che dichiarano i servizi legali attuali per i poveri come troppo inadeguati e che sostengono come il nostro paese abbia bisogno di più servizi pro bono di avvocati e di studenti di legge supervisionati sono tra i più specifici ed eloquenti tra quelli fatti sulla vergogna della professione di avvocato. Lei promuove il miglioramento dell’educazione civica nelle nostre scuole e la “selezione di merito per i giudici” al posto del costringere i nostri giudici a procedere con fondi elettorali ricevuti da interessi specifici”.

E’ un bel elenco di titoli di merito e Nader vuole valorizzarli nel modo seguente: “Sembra il momento per tali attività civiche umane vibranti di ispirare degli istituti permanenti nel loro nome –lo Stevens Institute per la Giustizia e l’Istituto O’ Connor per la Giustizia”.

A chi si rivolge Nader? Lo dice subito: “Data la loro lunga permanenza alla High Court, i giudici Stevens e O’ Connor hanno avuto almeno 100 collaboratori ad aiutarli. Molti aiutanti sono ormai avvocati di successo, ricchi, mentre altri sono professori di diritto e giudici. Potrebbero organizzarsi e lanciare queste istituzioni con una base di finanziamento solida che potrebbe attirare donazioni, soprattutto se i due giudici sosterranno questa idea. In breve tempo, la foresta impoverita della democrazia americana - il diritto e la giustizia - potrebbe essere alimentata da 2 alberi di rovere”.

Subito dopo Nader chiarisce la sua fonte di ispirazione: “Sto solo sognando? Affatto. Un modello efficace esiste alla New York University Law School chiamato Brennan Center for Justice. Fu fondato nel 1995 dalla famiglia e dagli ex collaboratori del giudice della Corte Suprema William J. Brennan. Con un budget annuale di $ 10 milioni, il Brennan Center dispone di una forza notevole per preservare e rafforzare la nostra democrazia, dove le persone vengono prima. E’ descritto come “ Think Tank di parte, dalla parte dell’interesse pubblico e dalla parte delle comunicazioni” che lavorano per la “giustizia uguale per tutti”. Il Centro utilizza strumenti di educazione e di potere attraverso i tribunali, il legislatore e fa rete con gruppi di base e funzionari pubblici per dare forza ai cittadini che desiderano partecipare al processo decisionale del governo e alle elezioni. Il Centro si tuffa nella nostra disordinata politica plutocratica - la corruzione del denaro politico, l’ostruzione per gli elettori e i candidati, il sartiame delle elezioni attraverso la ridefinizione dei distretti, i costi dell’incarcerazione di massa e sulle esecuzione basate su pregiudizi razziali - e si concentra sempre sulle soluzioni. Va dove vanno in pochi, il Brennan Center for Justice ha iniziato a denunciare le azioni illegali dai presidenti e criticato il legislatore Statale di New York come “il più disfunzionale [legislatore statale] degli Stati Uniti”, perché è tiranneggiato dai “due leaders dei partito di maggioranza delle rispettive camere”. Il Centro sta premendo per una serie di riforme etiche, una commissione indipendente per i collegi elettorali e un sistema di finanziamento pubblico per le elezioni statali che potrebbero essere applicabili ai legislativi di altri Stati.
Immaginate di andare ad una scuola di diritto in cui gli studenti/stagisti hanno un ruolo esperienziale a tempo pieno con il personale per raggiungere la giustizia sostanziale e procedurale – quella che il senatore Daniel Webster chiamava la grande opera degli esseri umani sulla Terra.
(Vedete http://www.brennancenter.org per maggiori informazioni)”.

Dopo aver illustrato brevemente l’attività dei due giuristi, Nader conclude così: “La motivazione per sviluppare questi istituti può iniziare con gli ex collaboratori dei giudici Stevens e O’ Connor che trascorsero un anno o due di lavoro in prossimità di questi giuristi e della Corte. Chi tra di loro farà un passo indietro contro l’avvio del processo di estensione delle carriere e dello spirito di questi famosi giudici a vantaggio dei posteri?”

Tradotto da F. Allegri il 10/08/2014

 
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Il divieto della busta di plastica in USA

Il divieto della busta di plastica in USA
Janet Larsen e Savina Venkova
www.earth-policy.org/plan_b_updates/2014/update122
Earth Policy Release
Plan B Aggiornamento
22 aprile 2014

Los Angeles ha inaugurato il nuovo anno “2014” con il divieto di distribuzione dei sacchetti di plastica alle casse dei grandi rivenditori al dettaglio, ciò la rende la più grande delle 132 città e contee degli USA con norme anti-sacchetto di plastica. Un movimento che acquista slancio in California diverrà nazionale.
Più di 20 milioni di americani vivono in luoghi con divieti o tasse sul sacchetto di plastica.
Attualmente 100 miliardi di sacchetti di plastica passano per le mani dei consumatori USA ogni anno — quasi un sacchetto a persona al giorno.
Legati tra loro, potrebbero circondare l’equatore 1.330 volte.
Ma questo numero diminuirà presto quando più comunità, tra le quali grandi città come New York e Chicago, cercheranno modi per ridurre il disastro della plastica che rovina i paesaggi e intasa fognature e corsi d’acqua.

Anche se ormai è onnipresente, il sacchetto di plastica ha una storia relativamente breve.
Inventato in Svezia nel 1962, il sacchetto di plastica mono uso è stato reso popolare dalla Mobil Oil negli anni settanta, nel tentativo di aumentare il suo mercato di polietilene, un composto derivato dai combustibili fossili.
A molti clienti americani non piacque il sacchetto di plastica quando fu introdotto nel 1976, erano disgustati dalle cassiere che dovevano leccarsi le dita per mettere le borse sul piano e s’infuriavano quando un sacchetto pieno di generi alimentari si rompeva o rovesciava.
Ma i rivenditori sostennero ancora la plastica perché era più economica e prendeva meno spazio rispetto alla carta, e oggi una generazione di gente difficilmente può concepire lo shopping senza ricevere un sacchetto di plastica alla cassa.

La popolarità dei sacchetti di plastica deriva dalla loro leggerezza e dal loro costo basso percepito, ma sono proprio queste qualità che li rendono sgradevoli, difficili e costosi da gestire.
Oltre 1/3 di tutta la produzione di plastica è per l’imballaggio, progettata per usi a breve termine.
I sacchetti di plastica sono fatti dal gas naturale o dal petrolio che si è formato nel corso di milioni di anni, ma spesso sono utilizzati per pochi minuti prima di essere scartati per andare in una discarica o all’inceneritore — se non volano via e finiscono prima come rifiuto.
L’energia necessaria per fare 12 sacchetti di plastica guiderebbe una vettura per un miglio.

Nelle discariche e nei corsi d’acqua, la plastica è persistente, durerà centinaia di anni, rompendosi in pezzi più piccoli; farà percolare i componenti chimici con l’invecchiamento, ma non scomparirà mai completamente.
Gli animali che confondono la plastica con il cibo possono impigliarsi, ferirsi o morire.
Recenti studi hanno dimostrato che la plastica delle borse scartate oggi assorbe sostanze inquinanti come pesticidi e rifiuti industriali che si trovano nel mare e le consegna in grandi dosi alla vita del mare. Le sostanze nocive possono quindi risalire la catena alimentare fino al cibo che la gente mangia.
Le materie plastiche e i vari additivi che contengono sono stati legati a una serie di problemi per la salute umana, compresa la distruzione del sistema endocrino e riproduttivo, l’infertilità, e pure ad alcuni tipi di cancro.

La California — con la sua costa lunga e le spiagge abbondanti dove i rifiuti di plastica sono fin troppo comuni — è stata l’epicentro del movimento USA contro i sacchetti di plastica.
San Francisco fu la prima città americana a regolare il loro uso, con un divieto per i sacchetti di plastica non degradabili nei grandi super mercati e nella catena delle farmacie nel 2007.
Come parte della sua strategia globale per arrivare ai “rifiuti zero” entro il 2020 (la città manda ora l’80% dei suoi rifiuti ai riciclatori o ai composter invece che alle discariche), estese il divieto del sacchetto di plastica ad altri negozi e ai ristoranti nel 2012 e nel 2013.
Chi riceve carta riciclata o sacchetti degradabili paga almeno 10 cents, ma — come è comune in città con divieti per il sacchetto di plastica — i sacchetti per prodotti o altri oggetti miscelati sono ancora autorizzati a costo zero.
San Francisco è pure una delle città californiane che vietano l’uso di contenitori per alimenti in polistirene (comunemente detto polistirolo), e ha fatto un passo ulteriore nei confronti degli imballaggi di plastica usa e getta vietando la vendita di acqua in bottiglie di plastica in città.

Tutto sommato, i divieti al sacchetto di plastica coprono 1/3 della popolazione della California.
I sacchetti di plastica acquistati dai rivenditori sono scesi da 107.000.000 di libbre nel 2008 a 62 milioni nel 2012 (secondo uno studio), e i produttori di plastica e dei sacchetti non ne hanno preso atto.
La maggior parte dei divieti ha affrontato azioni legali dei gruppi industriali della plastica come l’American Chemistry Council (ACC).
Anche se le leggi hanno sostanzialmente tenuto in tribunale, la minaccia di un’azione legale ha dissuaso molte comunità dall’agire e ritardato il processo per gli altri.

Ironia della sorte, se non fosse, in primo luogo, per l’intervento dell’industria delle materie plastiche, la California avrebbe forse molti meno divieti definitivi per il sacchetto di plastica.
Invece, più comunità avrebbero optato per la scelta di una tassa per ogni sacchetto, ma questa opzione fu vietata nell’ambito della legislazione statale supportata dall’industria nel 2006, che prescrisse ai negozi alimentari californiani di fare il riciclaggio del sacchetto di plastica.
Già nel 2010, la California fece un primo tentativo per introdurre un divieto statale sui sacchetti di plastica, ma i lobbisti dell’industria ben finanziati lo impedirono.
Probabilmente un nuovo disegno di legge sarà votato nel 2014 con il sostegno della California Grocers Association, nonché dei senatori statali che si erano opposti l’ultima volta.

La storia di Seattle è simile.
Nel 2008 il consiglio comunale approvò una norma che richiedeva a drogherie, negozi di alimentari e farmacie di addebitare 20 cents per ogni sacchetto mono uso consegnato alla cassa.
Una campagna da 1,4 milioni di dollari guidata dall’ACC fermò il provvedimento prima che entrasse in vigore con un referendum, e gli elettori respinsero l’ordinanza ad agosto 2009.
Ma la città non si arrese.
Nel 2012 vietò i sacchetti di plastica e aggiunse una tassa da 5 cents per i sacchetti di carta.
I tentativi di raccogliere le firme per abrogare questa norma non hanno avuto successo.
Altre 11 giurisdizioni dello stato di Washington hanno vietato i sacchetti di plastica, tra esse la capitale dello stato, Olympia.

Un certo numero di governi statali hanno discusso proposte di legge anti-sacchetto di plastica, ma non hanno applicato con successo una tassa statale o vietato i sacchetti.
Le Hawaii hanno un divieto statale virtuale, mentre le sue 4 contee popolate hanno deciso di eliminare i sacchetti di plastica alle casse dei negozi, l’ultimo divieto partirà dal luglio 2015.
La Florida, un altro stato rinomato per le sue spiagge, blocca giuridicamente le città che volessero emanare una norma anti sacchetto.
L’ultimo tentativo di rimuovere questo ostacolo è stato demolito nel mese di aprile 2014, anche se i legislatori dello stato dicono che rivedranno la proposta nel corso dell’anno.

L’opposizione ai sacchetti di plastica è emersa in Texas, nonostante che lo stato consumi il 44% del mercato statunitense delle materie plastiche e serva come sede di alcuni importanti produttori di sacchetti, come Superbag, uno dei più grandi.
Otto, tra città e cittadine dello stato hanno divieti attivi sul sacchetto di plastica, e altri, come San Antonio, hanno considerato di saltare sul carro.
Austin ha vietato i sacchetti di plastica nel 2013, nella speranza di ridurre gli oltre 2.300 dollari che stava spendendo ogni giorno per ripulire la città dai rifiuti e dai sacchetto di plastica.
Le piccole città di Fort Stockton e Kermit vietarono i sacchetti di plastica nel 2011 e nel 2013, rispettivamente, dopo che gli allevatori si lamentarono perché dei bovini erano morti dopo averli ingeriti.
I sacchetti di plastica sono anche noti per contaminare i campi di cotone, s’impigliano nelle presse e danneggiano la qualità del prodotto finale.
L’inquinamento della plastica nel bacino del Trinity River, che fornisce acqua a oltre la metà di tutti i texani, è stato un motivo valido per Dallas per mettere una tassa da 5 cents sui sacchetti di plastica che sarà in vigore nel 2015.

Washington, DC, è stata la prima città USA a richiedere ai rivenditori di cibo e alcol di addebitare ai clienti 5 cents per ogni sacchetto di plastica o carta.
Parte di questo gettito va ai negozi per aiutarli con i costi di attuazione della normativa, e in parte è designato per la pulizia del fiume Anacostia.
La gran parte degli acquirenti del D.C. oggi per abitudine portano con se i loro sacchetti riutilizzabili; un sondaggio ha rilevato che l’80% dei consumatori usano un minor numero di sacchetti e che oltre il 90% delle imprese ritiene la norma positiva o neutrale.

La contea di Montgomery nel Maryland seguì l’esempio di Washington e approvò una tassa da 5 cents per i sacchetti nel 2011.
Uno studio recente che ha confrontato gli acquirenti in questa regione con quelli della vicina contea di Prince George, dove la legislazione anti-bag non c’è, ha trovato che i sacchetti riutilizzabili sono 7 volte più popolari nei negozi di Montgomery County.
Quando i sacchetti sono diventati un prodotto e non un omaggio, gli acquirenti hanno pensato se il prodotto valesse il nichel extra e subito hanno preso l’abitudine di portare le loro borse.

Una strategia dell’industria della plastica — preoccupata per il calo della domanda dei suoi prodotti — è un tentativo di cambiare la percezione pubblica dei sacchetti di plastica, promuovendo il riciclaggio.
Il riciclaggio, tuttavia, non è una buona soluzione a lungo termine.
La stragrande maggioranza dei sacchetti di plastica — il 97% o più in alcune zone — non vanno al riciclaggio.
Anche quando gli utenti hanno buone intenzioni, i sacchetti volano via dai contenitori messi all’aperto presso i negozi di alimentari o fuori dai camion del riciclaggio.
I sacchetti che arrivano agli impianti di riciclaggio sono la rovina dei programmi: quando sono mescolati con altri rifiuti riciclabili bloccano e danneggiano le macchine di smistamento che sono molto costose da riparare.
A San Jose, California, dove meno del 4% dei sacchetti di plastica sono riciclati, la riparazione del macchinario inceppato dai sacchetti costava alla città circa $ 1 milione all’anno prima che il divieto dei sacchetti entrasse in vigore nel 2012.
Delle proposte di restrizioni al sacchetto di plastica sono state accantonate in varie giurisdizioni, tra cui New York, Philadelphia e Chicago, a favore di programmi di riciclaggio.
New York City potrebbe, tuttavia, procedere con una legge proposta nel marzo 2014 per mettere una tassa di 10 cents sui sacchetti monouso.
Chicago valuta il divieto del sacchetto.

I sacchetti di plastica hanno avuto effetti di vasta portata nei loro quasi 60 anni di esistenza.
Il rafforzare la legislazione per limitare il loro uso sfida il consumismo usa e getta che è diventato pervasivo nel mondo dell’energia “artificialmente” a buon mercato.
Poiché la produzione di gas naturale in USA è salita ed i prezzi sono caduti, l’industria della plastica vuole aumentare la produzione interna.
Tuttavia, l’uso di questo combustibile fossile per fare qualcosa di così breve durata, che può volare via alla minima brezza e inquina a tempo indeterminato, è illogico — specie quando c’è un’alternativa pronta: la borsa riutilizzabile.
# # #
Uno nuovo scritto dell’Earth Policy Institute sarà sull’azione internazionale contro i sacchetti di plastica.
Ulteriori informazioni, incluse una linea temporale e la tavola sulla normativa sul sacchetto di plastica negli Stati Uniti, è disponibile a www.earth-policy.org.
Sentitevi liberi di trasmettere queste informazioni ad amici, familiari e colleghi!
Media Contact: Reah Janise Kauffman
Contatto per la ricerca: Janet Larsen
Earth Policy Institute
1350 Connecticut Avenue NW, Suite 403, Washington, DC 20036

Tradotto da F. Allegri il 06/08/2014.

 
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Un nuovo scritto per e sulla pace

Post n°791 pubblicato il 04 Agosto 2014 da amici.futuroieri
 

INTRODUZIONE
Ho deciso di scrivere una presentazione breve della mia nuova traduzione di uno scritto di Ralph Nader che affronta in modo originale e moderno il tema della pace nel sistema mondiale degli imperi concorrenti.
E’ dal 2004 che parlo di pace, ma ogni momento è buono per farlo.
Questo scritto è del 17 aprile e fu fatto in occasione del primo anniversario dell’attentato di Boston.
E’ un pezzo scritto per i sostenitori e per gli amici americani di Ralph Nader, ma serve molto al pacifismo italiano che con pigrizia e piccoli numeri prova a riproporre quei temi finto pacifisti che il KGB diffuse in Italia negli anni settanta per creare minoranze politicizzate e aliene dalla realtà politica internazionale e ai suoi conflitti reali.
Il mondo ha bisogno di pace, la ripresa economica invece può farne a meno, anzi ha bisogno di guerre più consistenti, le servono conflitti che permettano ad alcuni stati di arricchirsi a scapito di altri e in questo momento gran parte del nord Africa e del Medio Oriente sono in fiamma e sembrano destinati a restare tali anche nei prossimi mesi.
Non si può fare molto, io scrivo e traduco pezzi sulla pace, ne farò altri

Boston e Baghdad
17 aprile 2014
Ralph Nader

La grande Boston ei suoi cittadini sono al centro dell’attenzione dei media, in riconoscimento del primo anniversario degli attentati della Boston Marathon che fece tre vittime innocenti e ferì più di 264 persone, alcune gravemente.
I leader della città hanno elogiato l’eroismo dei primi soccorritori e lo spirito profondo della comunità (“La forza di Boston”).
Salutando 2.500 bostoniani invitati, comprese le famiglie in lutto, il Vice Presidente Biden ha detto “Voi siete diventati il volto della volontà americana, non diversamente da quanto accadde l’11/9 ..., per tutto il mondo che ci guarda. Il mondo sa tutto di voi. Sanno del vostro orgoglio, sanno del vostro coraggio, sanno della vostra decisione, sanno chi siete”.
Seguì un corteo lungo Boylston Street, con gli zampognari che suonavano.

Intanto a 6.000 miglia di distanza in Iraq, ci sono attentati terroristici con morti civili innocenti, quasi ogni giorno.
Un esempio: In data 9 aprile 2014, il New York Times ha riferito che “La capitale irachena, Baghdad, ha subito una serie di attacchi violenti Mercoledì, quando otto auto-bombe e due colpi di mortaio hanno ucciso ben 25 persone”.
Il 27 marzo 2014, il Times riferì che “una serie di attentati a Baghdad ha ucciso almeno 33 persone e ne ha ferite decine”.
Un ragazzo di 7 anni disse a suo padre che “aveva sentito così tante esplosioni che poteva distinguere i diversi tipi di bombe”.
Il 9 marzo 2014, il Times riferì che un attentatore suicida aveva ucciso almeno 45 persone e ferendone più di 100.
Uno studente di college in ospedale, commentò: “le mie gambe non ci sono più”.
Il 6 marzo 2014, il Times riferì di bombardamenti che avevano ucciso almeno 30 tra clienti e lavoratori di mercati pubblici.
I morti civili sono stati 9.571 l’anno scorso, secondo il gruppo affidabile Iraq Body Count.

Tutto questo carneficina, che segue la distruzione dell’Iraq fatta da George W. Bush e Dick Cheney, e le sue conseguenze, si sta verificando in un paese che è meno di 1/23 degli USA con meno di 1/9 di popolazione, e con pochi ospedali e centri di emergenza.

E questo sangue si sparge quasi ogni giorno su gran parte del loro paese lacerato.
Gli iracheni sanno che ciò accadrà pure nei prossimi giorni e senza una fine prevedibile.
Non vi è alcuna commemorazione annuale per celebrare le loro perdite.
I loro ricordi dei propri cari sono offuscati da una costante paura di ciò che è accaduto che accade, giorno dopo giorno a causa di violenza, fame, povertà, malattie dovute all’acqua contaminata, al collasso dei servizi pubblici di base dall’elettricità alla sanità, alla sicurezza.
Ciò ha comportato la fuga dall’Iraq delle persone più disperate.

Torniamo a marzo 2003, quando le montature, gli insabbiamenti segreti e la propaganda del regime Bush/Cheney portarono all’invasione illegale e incostituzionale dell’Iraq.
Sotto la dittatura traballante dell’ex alleato di Washington, Saddam Hussein, che comandava un esercito mal equipaggiato, non disposto e non in grado di combattere e circondato da tre vicini di gran lunga più potenti, Hussein aveva fatto una mossa regionale minacciosa.
L’Iraq non era una minaccia per gli Stati Uniti, non aveva armi di distruzione di massa, ed era il nemico mortale di al-Qaeda.

Tuttavia, George W. Bush - del sedicente clan Bush “Kick-Ass” – ideò “il colpisci e terrorizza” contro una popolazione indifesa e sostituì il dittatore Saddam Hussein, con la guerra brutale, gli squadroni della morte e con il conflitto settario, che ha portato ad oltre un milione di vite perse, a milioni di profughi (molti dei quali bambini), con un “sociocidio” in quella terra antica.

Quando il consigliere capo anti-terrorismo del presidente Bush, Richard Clarke, lasciò la Casa Bianca nel 2003, scrisse nelle sue memorie che l’invasione dell’Iraq fatta da Bush era proprio ciò che Osama bin Laden voleva far succedere.
Al-Qaeda non aveva alcuna presenza in Iraq prima dell’invasione, ma ora il gruppo lo devasta, insieme ad altri affiliati in altri paesi a causa della miopia politica di Bush.
La costruzione dell’impero USA causa gli attacchi e il distacco delle popolazioni civili locali, produce vittime straniere e americane e consuma qui tanti dollari dei contribuenti USA necessari per ricostruire il nostro paese.

La storia è causa ed effetto.
La continuazione della propensione alla guerra di un Impero e l’uso regolare della forza in politica estera produrrà più contraccolpi forti.
Cercare la pace, prevenire i conflitti attraverso la diplomazia guidata dalla giustizia - quel grande strumento di pace - è diventato un ripensamento a Washington, DC

“Boston Strong” può essere di più che guardare indietro a una tragedia con rigidità.
Può nutrire, partendo dalla Rivoluzione Americana, una sensibilità crescente che la tirannia all’estero è un export di Washington che sfida la nostra Costituzione e i migliori istinti delle persone che si oppongono alle guerre all’estero per il petrolio di un impero aggressivo estraneo alla legittima difesa nazionale.

La nostra compassione collettiva è aiutata dallo sviluppo dell’empatia basata sui fatti.
Quella tragedia orribile alla maratona di Boston dello scorso anno può portare ad un rapporto costruttivo con gli iracheni che hanno sofferto per mano del governo Bush/Cheney e delle forze letali che l’invasione viziosa mise in moto.

Tradotto da F. Allegri il 4 agosto 2014

 
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Il consenso all'ordine delle cose

Post n°790 pubblicato il 01 Agosto 2014 da amici.futuroieri
 

Il Maestro - primo atto – seconda conversazione
Il consenso all’ordine delle cose

13 Aprile 2014
Di I. Nappini

Clara Agazzi: Quella è la cosa che sai far meglio, leggere in ciò che è inconscio.
Ti conosciamo tutti come persona capace di capire paure e problemi altrui.
Ma ti prego di parlarci in modo limpido e chiaro, senza misteri. Siamo qui per ascoltarti.

Paolo Fantuzzi: Franco credo che dovresti proprio parlare in modo più diretto e meno complesso. Non tutti hanno studiato per anni all’università come te.

Stefano Bocconi: Giusto! Parla in modo semplice, diretto.

Franco Fusaro: Non dovete aver paura. Inizierò con una favola e con un piccolo episodio di vita.
La favola è questa.
Immaginate una cosa da medioevo fantasy, roba da Warhammer o Dungeos&Dragons e cose simili.
Un mostro simile a un rettile dal corpo abnorme e deforme e con una testa serpentina e dal collo lungo dimora oltraggioso e pericoloso nella taverna sulla strada per la città. Tre avventurieri tentano di liberare l’edificio dalla triste presenza.
Il primo con una spada di legno dopo aver tirato due o tre colpi scappa al primo mostrarsi della furia della bestia. Il secondo, una paladina, infilza più volte la spada nel corpo marcio della bestia e ne viene travolta e schiacciata dal peso. Il terzo avventuriero raccoglie la spada del secondo, studia il comportamento della creatura, osserva bene l’ambiente in cui si muove e capisce il punto. Deve tagliare la testa serpentina. Lo fa e libera quel posto dalla triste presenza.
La morale è questa se si usano strumenti inutili si è forzati alla fuga, se si hanno gli strumenti giusti ma si usano male e si usano dove non serve si viene travolti e schiacciati dai problemi.
Se si hanno i mezzi, anche pochi e si ha la capacità di capire quando e dove usarli, allora si può venir a capo del problema, del dubbio, dell’angoscia.

Vi vedo perplessi. Ora mi chiarirò raccontando di un piccolo episodio di vita.

Mi trovai a ragionare di una cosa che avevo scritto sul mio blog con un sapiente e erudito ma in quei giorni un po’ depresso. Più o meno questo fu il dialogo. Iniziai con:ho letto un vostro commento negativo sul blog. Ne sono stupito vi conosco come una persona interessata a certi temi. Un critico del sistema capitalista e industriale.
L’erudito depresso rispose che avevo tradotto e commentato un saggio su Industria alimentare, ecosistemi, parchi marini. Tutte belle parole, ben scritte, sicuramente vere.
Ma per l’erudito il pubblico in Italia non è in grado di capire davvero il pezzo e la sua logica. Il blog è capito davvero a suo avviso da poche decine di persone. Non solo qui mancano i grandi numeri, ma nemmeno ci sono nel Belpaese. L'umano italiano per l’erudito è di per sè una creatura chiusa e limitata, vede solo il suo strettissimo interesse e solo la via di fuga che gli è data dalla realtà in mondi virtuali da playstation, nel gioco del calcio, nella moda per chi può pagarsela e cose simili.
Secondo lui solo ristrettissime minoranze di singoli attenti alle grandi questioni possono interessarsi alla questione dell’ecosistema marino, inutile dire che l’argomento tratta una questione vitale per l’essere umano nelle forme di massa con cui s’esprime nella civiltà industriale.

La questione fra me e lui divenne: i milioni di divertiti e distratti vogliono cercare, capire, scoprire?
Egli credeva proprio di no perché in Italia il non sapere, il non cercare, il non capire, il non chiedersi nulla è una rigorosa scelta di vita.
L’opera buona di questo ricercare e ragionare quasi domestico deve avvenire all’ombra del grande silenzio dei molti.

Stefano Bocconi: Giusto. Se non interessa, avranno di meglio. Se uno ha il suo e gode e ha i soldi che cosa importa se il resto del mondo muore. Vale il principio che se il mondo muore ma io sono ricco e felice tutto è buono anche affogare nel Titanic. Si tratta di un grande spreco non usare la testa per far soldi o cavar piccoli piaceri dalla vita che compensino il non essere nati nababbi o diventati gente ricca e famosa.

Paolo Fantuzzi: Sei un tipo proprio diretto, può crepare il mondo ma l’importante è il tuo portafoglio.

Stefano Bocconi: Questo è come dici. Cosa ha fatto il mondo per me? Io ho dovuto strappare alla malvagità e alla durezza della natura umana ogni maledetto euro che ho guadagnato. Non amo il denaro ma è quel che sostiene la mia esistenza. Ho cercato tante volte di negare ma non è possibile. Se non avessi quei soldi sudati sarei un niente per i nove decimi dell’umanità e per la quasi totalità dei miei concittadini.

Franco fa segno d’ascoltarlo attentamente
Franco Fusaro: Risposi all’erudito che l’egoismo individuale è contenuto in piccole dosi anche nell’altruismo che all’apparenza può sembrare ingenuo o svampito. Scrivere sul mondo, capire i suoi dettagli, le sue connessioni è anche impadronirsi di un sapere proprio, delineare una mappa dell’agire umano e dei suoi possibili sviluppi, in una parola afferrare la realtà. Può capitare che questo passi dai parchi marini o dal futuro del prezzo del tonno inscatola nel supermercato. La domanda da porsi è cosa cercano i milioni di distratti e di confusi o di umani persi in divertimenti alienati.
L’erudito rispose che cercavano una via di fuga, l’uscita di sicurezza dal presente in un mondo di fantasticherie o di favole da cronaca calcistica o rosa.
Allora risposi che il problema non era i molti che non venivano al blog o disertavano i temi dell’ecologia ma quel che cercavano davvero. Al loro male esistenziale e materiale e forse al male del mondo avevano già risposto a modo loro con una fuga dalla realtà simile però a una pausa, a una breve vacanza. Essi prendevano congedo dai loro problemi e dal quotidiano per qualche ora, per qualche giorno per placare le paure e l’angoscia e il male di vivere e poi tutto tornava come prima.
Ma questa non è stupidità o scelta, ha un nome diverso.
Si chiama CONSENSO.
Chi si diverte oggi spesso esprime una forma elementare e immatura di consenso verso l’ordine esistente sia pur prefigurando o ostentando altri valori, altre logiche.

Clara Agazzi: Ma come è possibile negare e confermare i valori dominanti nello stesso tempo?
Franco Fusaro: Quell’erudito ti potrebbe rispondere che non si tratta dello stesso tempo ma di due: uno della realtà e uno della sua negazione impossibile che diventa quindi consenso.
Questo perché il mondo altro, ossia il mondo desiderato, è il mondo dei fumetti, del campionato, del cinema, delle riviste di moda.

 
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