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E’ un inseguirsi tra le righe

questo continuare a cercarsi

 dove l’altro smette.

Una connessione spontanea

Senza alcuna richiesta

 

 

 

Sensibilità tenerezza ardore

sono collegate al cuore

Talvolta arrecano lacrime e dolore.

Ma si è vivi nella sofferenza

e morti nell’indifferenza.

Sunny_Poems

 

 
Creato da: fabiana.giallosole il 18/02/2012
COPDUS - Coordinamento Provinciale Docenti Utilizzati di Sassari

Messaggi del 12/10/2015

 

Scuola

Post n°4051 pubblicato il 12 Ottobre 2015 da fabiana.giallosole
 
Tag: Scuola

Da “Repubblica.it”


Scuola, i 500 euro per l'aggiornamento non sono nello stipendio


Il ministero assicura che la somma arriverà a ogni singolo insegnante tramite "un'erogazione straordinaria" in quanto "non costituisce reddito" e non va tassata

 

Salvo Intravaia

Docenti italiani in fibrillazione: i 500 euro per la formazione e l'aggiornamento non sono nello stipendio di ottobre. Ma dal ministero dell'Istruzione tranquillizzato gli oltre 700mila maestri e professori che attendono questa cifra per acquistare un computer o iscriversi ad un corso di aggiornamento. "I 500 euro non sono nello stipendio perché non costituiscono reddito". La cifra, fanno sapere da viale Trastevere, arriverà ad ogni singolo docente "attraverso una erogazione straordinaria, ulteriore rispetto allo stipendio".

Il dicastero spiega anche che "l'erogazione è già stata disposta e i docenti riceveranno nei prossimi giorni un cedolino aggiuntivo rispetto a quello già visualizzabile da oggi relativo allo stipendio di ottobre".

L'allarme è scattato quando gli insegnanti italiani si sono accorti che, visualizzando l'importo dello stipendio di ottobre nel cervellone della Pubblica amministrazione, mancavano all'appello proprio i 500 euro previsti dalla "Buona scuola" che ha anche previsto che non si tratta di emolumenti e per questo non vanno tassati.

I 500 euro annuali potranno essere utilizzati dai docenti per l'acquisto di software, hardware e corsi di aggiornamento. Ma anche per comprare libri e per assistere, senza dovere sborsare l'importo di tasca propria, a spettacoli teatrali e cinematografici.

 
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Concorso

Post n°4050 pubblicato il 12 Ottobre 2015 da fabiana.giallosole
 

 

Da “Il Messaggero”


 Un concorso per portare in Italia 500 professori


Un concorso nazionale dedicato esclusivamente ai professori universitari che insegnano all'estero. Una manovra, quella annunciata ieri sera da Matteo Renzi a Che tempo che fa, che mira ad attrarre in Italia i cervelli. Anche quelli fuggiti dal Belpaese proprio per mancanza di opportunità. «Nella legge di stabilità – ha assicurato il premier - ci sarà una misura ad hoc per portare in Italia 500 professori universitari anche italiani. Un modo per attrarre i cervelli con un concorso nazionale basato sul merito e gli diamo un gruzzolo per progetti di ricerca». Immediate le reazioni e nel mondo universitario già si scaldano gli animi. Non è la prima volta infatti che un governo promuove una procedura per i docenti all'estero. Spesso con scarsi risultati. Il fenomeno infatti è inarrestabile: secondo dati Istat 2015, i dottori di ricerca che nel 2004-2006 hanno abbandonato l'Italia erano il 7%, nel 2008-2010 il dato è schizzato al 12,9%. Negli ultimi 10 anni sono partiti ben 10mila ricercatori. Una fuga costante, anche se dal 2001 è in piedi il progetto “Rientro dei Cervelli”, varato dall'allora ministro dell'università Ortensio Zecchino, che incentivava gli atenei a sottoscrivere contratti dai 6 mesi ai 3 anni a docenti italiani o stranieri impegnati in università all'estero. Cinque anni dopo, nel 2006, erano 466 gli studiosi rientrati in Italia, tra cui 300 italiani, impegnati nelle varie discipline. Nel 2009 il programma cambia volto, prende il nome di “Giovani ricercatori Rita Levi Montalcini” ma parte con un iter lento ed estremamente farraginoso: solo 3 anni dopo, nel 2012, arriva la nomina del comitato di valutazione e un anno dopo, nel 2013, i nomi dei 24 vincitori. Diminuiscono i fondi e, parallelamente, le candidature per un progetto che non decolla. In quattro anni, il progetto riporta in Italia solo 55 ricercatori. Un flop. E allora, oggi, l'annuncio di Renzi fa insorgere il mondo accademico: «Il rischio è che si tratti della solita propaganda – commenta Francesco Sinopoli, segretario nazionale università della Flc Cgil – se ci sono i soldi per 500 gruzzoletti, sarebbe meglio fare 500 assunzioni con un concorso aperto ovviamente anche a chi sta all'estero. In Italia le assunzioni sono bloccate dal 2007, il sistema è al collasso con una riduzione dal 2009 del 22% dei professori universitari, negli ultimi dieci anni è stato tagliato il 97% dei precari e le immatricolazioni sono diminuite dalle 340mila del 2003-2004 alle 260mila del 2013-2014».


Lorena Loiacono

 

 
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Valutazione prof

Post n°4049 pubblicato il 12 Ottobre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “L’Espresso”


Del perché alla fine nessuno riuscirà a valutare davvero i prof


di Mariangela Galatea Vaglio

Una delle parti più strombazzate della riforma della scuola di Renzi è il "Comitato di Valutazione", ovvero un gruppo di persone che dovrebbero da quest'anno valutare gli insegnanti per assegnare ai più meritevoli un bonus economico (che in realtà si ridurrà molto probabilmente a pochi euro in busta paga, ma vabbe'). Il Comitato di Valutazione non è però una novità. Esiste da anni, infatti, in tutte le scuole, ed era formato in precendenza dal Dirigente (ovvero da quello che tutti continuano a chiamare "il Preside") e da alcuni colleghi, ma i suoi compiti erano più limitati: doveva infatti a fine anno dare una valutazione positiva o negativa sui colleghi neoassunti, consentendo loro di superare così il cosiddetto "anno di prova", e diventare quindi insegnanti di ruolo a tutti gli effetti.

Da quest'anno, invece, il Comitato "giudicherà" anche l'operato dei colleghi già in ruolo, e sarà formato non solo dal Dirigente e da due insegnanti, ma anche da  due genitori e, per gli istituti superiori, anche da un rappresentante degli alunni.

La cosa, strombazzata come una novità epocale, si è già in parte arenata nei meandri della burocrazia ministeriale, giacché a tutt'oggi non è ancora stato spiegato come e con che criteri dovrebbero essere scelti ed eletti i due genitori del Comitato. Saranno quelli eletti in Consiglio di Istituto? Si autocandideranno? Saranno scelti con elezioni ad hoc fra i genitori ? Nell'attesa che qualche circolare ministeriale chiarisca le modalità, l'unica indicazione finora filtrata è di aspettare a nominare o eleggere chicchessia, e aspettare. Siamo in Italia, del resto.

Fra gli insegnanti e persino fra i Dirigenti (sì, non si dice mai, ma fra quelli che sono spesso meno entusiasti della Riforma Renzi ci sono anche loro, i Presidi, che si trovano buttati in prima linea a gestire tutto senza avere neppure sotto mano precise indicazioni), il Comitato di Valutazione non è particolarmente amato. Non è solo il problema morale o etico di finire in un Comitato dove vai a giudicare i colleghi con cui lavori a fianco a fianco ogni giorno. Non è solo il problema economico che neppure è chiaro come sarai eventualmente retribuito per farlo (e, insomma, se devo rischiare di inimicarmi mezzo istituto, desidererei almeno essere certo che ne valga la pena dal punto di vista della busta paga, perché attirarsi l'odio di molti e per giunta anche gratis richiederebbe una buona dose di spirito di sacrificio o sarebbe indice di un serio problema psicologico nel valutatore).

E' proprio che persino gli insegnanti con decine di anni di esperienza quando devono fornire dei criteri per giudicare i colleghi o anche il proprio lavoro si sentono piuttosto perplessi e non sanno bene cosa suggerire. Il tema, da anni, è al centro anche della ricerca a livello universitario, e neppure i guru della didattica ne vengono a capo. Figuriamoci noi, che della didattica siamo gli operai.

Sì, lo so che chi non lavora nella scuola e la vede da fuori ogni volta che sente questo discorso comincia a dire che ecco, sono le solite manfrine sindacali, noi professori non vogliamo farci valutare, siamo presuntuosi e nullafacenti e odiamo rendere conto del nostro operato. So anche che i genitori che saranno chiamati ad entrare nel Comitato vi arriveranno pieni di entusiasmo e convinti di saper immediatamente stilare dei criteri per capire se il prof. Tizio è bravo e il prof. Caio no. E so anche che dopo poche sedute finiranno per arenarsi davanti agli stessi problemi con cui ci scorniamo noi, che questo mestiere lo facciamo ogni giorno.

Intendiamoci: valutare un insegnante pessimo è relativamente facile se il professore, più che pessimo, è pure un buzzurro scorretto e infingardo. Se arriva in ritardo a lezione, ciondola nei corridoi per prendere il caffè o manda gli alunni a ciondolare perché glielo portino, legge il giornale platealmente in classe invece di fare lezione, non interroga, non spiega nulla, salta lezioni adducendo fantasiose malattie, etc. Ma questi individui qua, anche se molti non lo sanno e il Governo ha fatto finta di ignorarlo quando ha magnificato la sua nuovissima riforma, già prima potevano essere sanzionati se il Dirigente ci si metteva di tigna. Questi, dunque, di sicuro non potranno concorrere al famoso "bonus" in più. E del resto, visto che comunque si tratta di pochi spiccioli al mese, probabilmente non si strapperanno nemmeno per questo le vesti.

Il problema sono gli altri, che poi sono la maggioranza dei professori e degli insegnanti italiani. Quelli che in classe ci sono, spiegano, interrogano, hanno i registi mediamente in ordine, sono mediamente puntuali, non ciondolano per i corridoi, prendono saltuariamente il caffè dalle macchinette e magari finiscono di berlo giusto in attimo prima di iniziare a parlare, fanno lezioni mediamente comprensibili e più o meno centrate a seconda dell'argomento o della giornata, o anche dell'ora (perché è umano, alla quinta o sesta ora non sei brillante come alla prima, e spesso ci sono classi che per jella di orari mal combinati vedi solo alla quinta e sesta ora per tutto l'anno). Quelli che fanno il loro dovere, spesso con coscienza e con dedizione, ma a seconda degli anni hanno risultati altalenanti, proprio perché ogni classe è diversa e non sempre il feeeling scatta con tutti gli alunni.

Ecco, questi qua, come li valutiamo? Perché la Riforma ci dice che dovremmo premiarli sulla base degli apprendimenti degli alunni. Ma per valutare questi famosi apprendimenti, non ci sono in realtà parametri oggettivi. No, per piacere, non ditemi che si deve guardare le prove degli INVALSI. Gli INVALSI, anche se si volesse sceglierli come parametro per misurare se uno insegna bene (e tutti dimenticano sempre che non sono pensati per quello, tanto per cominciare), sono però prove di italiano e matematica. Quindi, anche a volerli assumere come criterio, non servono a nulla per capire, per esempio, se un collega di arte o di inglese fa bene il suo lavoro. Allora spiegatemi: se uso gli INVALSI il bonus lo do solo ai colleghi di lettere e di matematica e gli altri ciccia? Per giunta, gli INVALSI li faccio solo in determinate classi, non tutti gli anni. E per gli altri anni su che dati mi baso per verificare gli apprendimenti?

Ok, direte voi, ma i genitori possono ben capire se un professore in classe è bravo o no, e anche i colleghi. Ecco, pure su questo ho qualche dubbio. O meglio, io sono assolutamente sicura che siano certi di saperlo. Ma quando poi si va a indagare su quali basi siano fondate le loro granitiche convinzioni, le si scopre alquanto scricchiolanti.

Per esempio, i colleghi. Posso io mettere la mano sul fuoco che il collega X sia bravo? Ho dei criteri oggettivi per dirlo? A dire la verità, no. Prima di tutto perché io ed il collega X possiamo insegnare materie diverse. Io, per esempio, insegnato italiano. Posso avere una idea abbastanza precisa di come si imposti una efficace lezione di italiano, e sarò per giunta convinto che il metodo che io scelto per le mie lezioni sia il migliore del mondo, ma confesso che non sono in grado di valutare per esempio una lezione di matematica, o di tecnica, o di inglese. Quella che a me potrebbe sembrare una lezione poco riuscita magari invece usa qualche tecnica utilissima per l'insegnamento di quella disciplina specifica. Poi, anche  la mia valutazione della impostazione didattica del collega potrebbe essere molto viziata dalle mie convinzioni poco oggettive: mettere un insegnante che odia i lavori di gruppo a valutare un collega che invece li ama, o viceversa, e vedrete scorrere il sangue.

Ma, in assenza di dati oggettivi sull'apprendimento nelle classi, che non ci sono, come valutare chi dei due ha ragione, alla fin fine? Inoltre c'è anche il piccolo particolare che io, per quanto collega, non sono fisicamente in classe mentre l'altro spiega, e magari non ho la sua stessa classe. E le classi diverse fanno la didattica: perché ogni classe è una strana alchimia e non esistono in realtà soluzioni che funzionano bene in tutte.

Avrebbe più senso se, come si fa in altri paesi europei, ci fosse almeno una rete di ispettori che vanno sistematicamente nelle scuole e danno una valutazione "esterna" basata su criteri enunciati a livello nazionale e uguali per tutti, che poi viene passata alla scuola. Non sarebbe nemmeno quella "oggettiva", ma almeno avrebbe il pregio di essere un occhio dal di fuori sull'operato di ogni singolo docente. Ma soldi per fare questo non ci sono, quindi ciccia.

Se già sono impicciato io a valutare, e faccio lo stesso mestiere, non oso pensare in quali peste si troverà un genitore eletto in Comitato. Che se poi è genitore di uno degli alunni del valutando, be', un qualche problema di conflitto di interessi ce lo potrebbe avere, e se non è genitore non sa in pratica neppure di chi si parla, quindi è ancora più in difficoltà. Si dirà: infatti il Comitato non discuterà i singoli casi di insegnanti, ma solo fornirà dei criteri generali per la valutazione. Eh, ok, e qui ricadiamo nel caos di prima: su che basi, su che dati e in base a cosa?

L'indicazione data dai sindacati a questo punto è stata chiara: i docenti che accetteranno di fare parte del Comitato di Valutazione dovranno cercare di far approvare criteri che non abbiano come base il merito del singolo, ma il suo impegno nella istituzione scolastica. Cioè in pratica dovranno dire che va premiato chi si offre di ricoprire cariche in commissioni, fa il coordinatore di classe, il vicepreside o il fiduciario di plesso, etc., dedicando a queste attività molte ore oggi spesso solo in parte retribuite o fatte per puro volontariato. Che, lasciatemelo dire, è un'altra di quelle cose che mi lasciano piuttosto perplessa. Perché io lo so, come lo sappiamo tutti noi insegnanti, che senza queste figure di colleghi che partecipano alle commissioni e ai comitati la scuola non andrebbe avanti, e troverei giusto che venissero retribuiti di più di quello che oggi avviene. Ma non ho capito però cosa esattamente questo abbia a che fare con il lavoro "vero" dell'insegnante, che è, banalmente se vogliamo, insegnare.

Il collega che accetta di fare gli orari, organizzare le gite, far funzionare le commissioni e spesso dedica a questo valanghe di ore è certo meritorio. Però non è il bravo insegnante. Perchè il bravo insegnante molto spesso tutti questi incarichi non li prende o ne accetta pochi proprio perché preferisce stare a casa a preparare le lezioni per il giorno dopo, correggere le verifiche, leggere libri per aggiornarsi. Se passa l'idea che per ottenere aumenti e gratifiche uno debba necessariamente ingorgarsi di compiti extra a scuola e entrare in dieci commissioni e sottocommissioni passando tutti i pomeriggi a occuparsi di faccende sostanzialmente burocratiche, il rischio, serio, è che tutti, ma proprio tutti passeremo sì il pomeriggio a scuola, e questo renderà felici quelli che si arrabbiano perché secondo loro lavoriamo poche ore. Però non avremo più tempo, salvo farlo di notte e male, per preparare le nostre lezioni. Quindi magari risulteremmo tutti sulla carta meritori e dediti al lavoro, ma i nostri alunni alla mattina si ritroveranno in classe dei mezzi zombi che ammaniscono lezioni impapocchiate.

Ecco, quando noi insegnanti ci arrabbiamo per la nuova idea di valutazione che la Riforma Renzi introduce, i motivi sono questi. Non è che non vogliamo essere valutati, o temiamo di esserlo. E' che, siccome valutiamo per mestiere i nostri alunni, sappiamo anche quanto difficile sia farlo e quanto spesso arbitrari rischino di essere i criteri, soprattutto se vengono concertati con gente che non è nemmeno del mestiere e poco conosce le dinamiche della scuola e delle classi. Il rischio è che a risultare meritevoli e degni di avere aumenti siano alla fine fine i professori più "simpatici", o quelli che magari sanno fare meglio le pubbliche relazioni, che vendono per metodi didattici vincenti quelli che più seguono le mode del momento e piacciono ai genitori o al Ministero (per esempio, adesso vietato parlare di lezioni frontali e via con tutto quello che è "digitale", anche se non è poi provato che serva a qualcosa davvero). Oppure che risultino bravissimi sulla carta colleghi che invece fanno solo uno spaventoso monte ore a scuola ad occuparsi di questione pratiche, ma poi magari non aggiornano i metodi o la proposta in classe da decenni, perché, molto banalmente, sono così presi a fare altro che non hanno più tempo per insegnare davvero.

Io da insegnante, al di là del fatto che possa essere giudicata meritevole o meno e guadagnarmi quella manciata di euro in più che il Comitato alla fin fine distribuirà, mi domando prima di tutto se ciò abbia un senso.

Scatenare dinamiche che grazie al cielo ancora non c'erano o erano molto ridotte nel mondo della scuola, cioè la competitività esasperata fra insegnati (che invece funzionano bene quando lavorano in team) per accapparrarsi pochi spiccioli, rovesciare su un corpo docente già provato e spesso umiliato anche l'ansia si essere valutato con criteri comunque abbastanza aleatori e poco efficaci, non mi sembrano i metodi migliori per rendere l'ambiente scolastico più vivibile e nemmeno più efficiente.

E questo è l'ambiente in cui saranno immersi i ragazzi.

Sarà un buona scuola, e io un gufo, ma non mi pare granché.

 
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Docenti infanzia

Post n°4048 pubblicato il 12 Ottobre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “La Tecnica della Scuola”


I docenti della scuola d’infanzia passeranno alle Regioni?


Alessandro Giuliani

 

"Chi assumerà le docenti e i docenti della scuola dell'infanzia, se il percorso dello 0-6 vede come protagoniste le Regioni e il tentativo di esternalizzare l'insegnamento?”.

A chiederlo pubblicamente, il 12 ottobre, è la senatrice Sel Alessia Petraglia, prima firmataria insieme agli altri senatori di Sel, di un'interrogazione parlamentare rivolta al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.

Secondo Petraglia, “la preoccupazione è legittima, vista la disparità di trattamento operata all'interno del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 107/15 che ha escluso questo segmento pedagogico dalle immissione in ruolo sull'organico di potenziamento, ma si è garantito solo il turn over”.

In particolare, pesa l’assenza dei docenti nelle fase C del piano straordinario d’assunzioni. Quello che, da solo, copre oltre la metà dei posti andati a ruolo con la riforma della Buona Scuola.

Sel, attraverso il documento, chiede dunque di sapere "come il governo intenda risolvere l'assunzione delle 23 mila maestre della scuola dell'infanzia, escluse dall'organico di potenziamento e quindi come voglia ampliare il tempo scuola di questo segmento formativo senza l'adeguato personale, che rappresenterebbe anche una risposta reale ad un bisogno di miglioramento di welfare".

Eppure, il nostro sistema pre-scolastico è riconosciuto tra i migliori al mondo. Secondo il partito d’opposizione non vi sono dubbi: "la prerogativa tutta italiana di una scuola dell'infanzia riconosciuta nel contesto istruzione con programmi specifici, ma con un'apertura di insieme allo 0-3, va difesa dalle logiche dei tagli che infrangono il modello su cui la scuola dell'infanzia si regge", conclude l’interrogazione parlamentare.

 
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Riforma pensioni

Post n°4047 pubblicato il 12 Ottobre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “OrizzonteScuola”


Riforma pensioni: flessibilità rinviata al 2016; Renzi dimentica donne ed esodati?


di Lucrezia Di Dio

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato che la flessibilità in uscita nella riforma pensioni slitterà al 2016. Il premier ha spiegato che non si farà in tempo a intervenire con la Legge di Stabilità 2016 poiché intervenire rapidamente e di fretta potrebbe causare più danni che benefici.  

"Non abbiamo ancora trovato la soluzione per consentire di andare in pensione un paio d’anni prima. Se si interviene sulle pensioni senza saggezza si fa danno, quindi proporremo la soluzione nel 2016 quando i numeri saranno chiari" afferma Renzi.

Il premier annuncia che nella manovra ci sarà posto per riportare in Italia i professori universitari espatriati poiché a 500 di loro sarà assegnata una certa quantità di denaro per i progetti di ricerca nelle Università.

E le pensioni? Le promesse di flessibilità in uscita, di tutela degli esodati e delle donne? Dopo tante ipotesi avanzate e discusse, il governo si tira indietro e rimanda la riforma delle pensioni  al prossimo anno. Senza, tra l’altro, una parola su esodati e donne, le due categorie che si era assicurato, sarebbero state tutelate in ogni caso, pur rimandando la riforma delle pensioni. La riforma delle pensioni è rimandata al 2016 con l’obiettivo di "trovare un meccanismo per cui chi vuole andare un po’ prima in pensione prendendo un po’ meno soldi possa andarci; ora dobbiamo vedere quanto prima e quanti soldi".

Il premier non da tempistiche precise sulla realizzazione ma una certezza assoluta: qualunque sia il metodo di pre pensionamento che il governo deciderà di adottare dovrà essere a costo zero per le casse dello Stato.

Secondo la leader della Cgil Susanna Camusso, in linea con il pensiero della UIL,   rinviare la riforma delle pensioni è un errore gravissimo. Secondo Annamaria Furlan, segretario generale della Cisl, c’era bisogno di un segnale importante come risposta alle imprese, ai giovani e a tutti i lavoratori. ."Vogliamo capire - ha aggiunto - se per il governo, che ha fatto tante ipotesi, ha chiuso e riaperto più volte, questa è una cosa seria o se sono solo annunci a seconda degli spot televisivi che poco interessano agli italiani".

 

 
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 CHI SIAMO

Il Coordinamento provinciale dei Docenti Utilizzati di Sassari (COPDUS), si è costituito ufficialmente nel mese di settembre 2011, in seguito alla necessità di fronteggiare il nefasto articolo 19 della Legge 111 del 15 luglio 2011 col quale si dispone la messa in mobilità intercompartimentale dei docenti inidonei o il declassamento a personale ATA con conseguente riduzione stipendiale.

Esserci costituiti in gruppo è stato per tutti noi fondamentale in quanto ci ha dato da subito la forza e la determinazione, entrambe importanti, per intraprendere tutte quelle azioni di lotta civile allo scopo di trovare soluzioni al problema che ci ha visti coinvolti, assieme ad altri quasi 4000, a livello nazionale.

Ritrovarci con cadenza settimanale ci fa sentire, non solo più uniti e aggiornati sull'evolversi della nostra situazione, ma soprattutto più sicuri e positivi nell'affrontarla.

Per questo motivo, e non solo, abbiamo col tempo sentito il bisogno di creare questo BLOG ossia uno spazio per informarci ed informare anche coloro che trovandosi nella nostra situazione pur non facenti parte del coordinamento di Sassari, avranno piacere di visitarci e saranno i benvenuti.

Al tempo stesso vogliamo che questo sia uno spazio oltre che di informazione anche di incoraggiamento al "ce la faremo" e al "non smettere" e quindi non vuole avere e non avrà aspetti e contenuti sterili o "istituzionalizzati".


e-mail: copdus@gmail.com oppure fabianagiallosole@libero.it

 

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