Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

 

Tra inverno e primavera

Post n°362 pubblicato il 24 Febbraio 2024 da ElettrikaPsike
 

 

NEI CAMPI DI NEVE

VERDISSIMO IL VERDE

DELLE ERBE NUOVE.

 

 

VENTO DI PRIMAVERA.

PORTANDO CON ME L'ANIMA IN LOTTA,

IN PIEDI SULLA COLLINA.

 

 

 

"E poi si fece Festa

E noi Ðeinauti facciAM͈ ͈O festa

sul vero Amore che si prova per sé

e gli altri

Facciamo Festa sul bisogno di chi

f a t i c o s a m e n t e

deve scavallarsi oltre

le proprie battaglie interiori"

 

M͈ ͈ㆪ ͟🅟

 

 

E IMMENSAMENTE

GRAZIE

Mist!

 


 
 
 

PER NON DIMENTICARE CHE COSA NON SI DEVE RIPETERE

 

ED IL MODO MIGLIORE PER RICORDARE E' METTENDO IN PRATICA

I DIRITTI DI OGNI UOMO.

 

Chi veramente crede ed esercita la memoria, inevitabilmente, capisce perché si deve fermare ogni genocidio.

 

Anche oggi commemoro, come ogni anno, la Shoah. Ma sia chiaro che ogni singolo genocidio va rievocare anche i fantasmi di tutti gli altri. Di quelli accaduti in Armenia, Ucraina, Cambogia, Ruanda, Bosnia, via via fino ad arrivare ad oggi, al conflitto tra Israele e Hamas, a quell’intento che può trasformarsi di fatto in una reale azione genocida. E chi veramente vuole fare pratica di memoria – ed ha vissuto profondamente, nella propria coscienza, l’Olocausto – non può far finta di non capire.

 

 

Ma la Shoah – va detto – è stata un episodio a parte, ed è giusto ricordare il perché, affinché si smetta di pensare che si stanno applicando due pesi e due misure nell’esigere questa commemorazione ad ogni costo.

 

Senza timore di smentita, infatti, possiamo dire che è una necessità quella di ricordare che l’Olocausto è stata l’unica pagina – in tutta la storia dell’uomo – ad essere comprensiva di ogni elemento connaturato nel termine genocidio.

Esacerbato in ogni suo sintomo, e pressoché impossibile da concepire, lo sterminio condotto dalla Germania nazista durante la seconda guerra (ed ancor prima del suo scoppio) ai danni dell’Europa, ha portato non solo all’annichilimento di milioni e milioni di ebrei dalla superficie terrestre – 7.000 dei quali erano italiani – ma è andata anche rigorosamente a colpire altri gruppi etnici (persecuzione di Rom e Sinti) ed appartenenti ad altro credo (come i Testimoni di Geova) senza scordare il feroce e sistematico accanimento perpetuato ai danni degli omosessuali, delle persone con deficit mentali e dei malati psichiatrici.

E questo solo per citare una parte di quegli esseri umani annientati e che sono stati quantificati – in termini numerici – fino a 20 milioni. Senza considerare i massacri di tutti i civili avvenuti in Polonia ed in Russia.

Non dimentichiamoci, pertanto, il perché di questa giornata della memoria. E l’evidente ragione di essere celebrata in ogni caso e per sempre.

Per questo va chiarito che, contrapporre in una sorta di grottesco aut aut, la memoria della Shoah - terminata a metà degli anni’40 - a quanto sta accadendo oggi a Gaza per mano israeliana, in risposta ai folli crimini di Hamas, non ha senso. Anche perché, esattamente come i civili palestinesi non sono Hamas, neppure gli israeliani che oggi stanno compiendo crimini di guerra sono quelli che furono vittime dell’Olocausto.

Le colpe dei padri non dovrebbero mai ricadere sui figli – anche se, inevitabilmente, le conseguenze li colpiscono, lasciando cicatrici e ferite profonde da rimarginare - come le colpe dei figli (ed, in questo caso, dei nipoti) di tutti quegli ebrei che furono deportati e sterminati, non sono da imputare ad essi.

La responsabilità di ogni azione è individuale e non si eredita.

Se Israele oggi sbaglia, le sue colpe non devono cancellare, né oscurare in nessun modo la storia delle vittime del passato, perché la memoria della Shoah è di tutti e per tutti, anche (ed oggi, soprattutto) di quegli uomini, quelle donne e quei bambini intrappolati a Gaza o nei campi profughi di tutto il Medio Oriente.

Rileggendo il pensiero del filosofo ceco ed allievo di Husserl, Jan Patočka, secondo il quale l’esistenza non va considerata solo nell’esser-gettati dentro il mondo, ma nell’esservi accolti, radicandosi in esso, ritengo che, quella che viene definita l’avanzata della vita nella notte – caratterizzata dalla solidarietà tra gli uomini – come unica forza morale realmente efficace di fronte alla guerra (la sola che sebbene non possa dimostrarsi totalmente in grado di debellarla, può almeno porle alcuni limiti e restrizioni) sia un sentimento molto più divino che umano, almeno nel suo senso più autentico. Ed è molto difficile – se non impossibile – pensare di riuscire a pregare per il nostro nemico.

D’altro canto, è proprio la passione dell’impossibile – quella che, nella filosofia di Derrida, si esplica in una fede che sospende la legge, lasciando spazio ad un ordine del tout-autre e ad un concetto di giustizia proiettata verso una prospettiva a venire e in divenire, rifiutando ogni rigido diritto consolidato e aprendosi al per-dono e all’ospitalità – a ritenere possibile la rinuncia ad una parte di se stessi per consentire agli altri di esistere e di poter essere.

Con le sole logiche della ragione e dei fatti, non credo si possa pensare che il conflitto tra Israele e Palestina abbia una possibilità di trovare la soluzione che ci aspettiamo. Ma, a mio modo credo – o mi piace voler credere – nell’impossibile di Derrida, che non vede nell’impossibilità una chiusura definitiva e categoricamente assoluta al possibile, bensì un impossibile che conduce alla possibilità, introducendosi in esso.

Se crediamo davvero che l’Olocausto ci abbia insegnato qualcosa, forse è il momento di non comportarci come chi, in passato, se ne è lavato le mani. Ogni momento della storia ci obbliga ad alzarci in piedi e ci costringe ad un esame di coscienza. Magari prima che altri genocidi vengano rievocati – come nuovi fantasmi – ogni anno, durante la commemorazione di quello perpetuato ai danni degli ebrei.

 

“Dove eravamo quando Hitler incominciò a ululare il suo odio nel Reichstag?

quando i nostri vicini venivano trascinati nel cuore della notte a Dachau?

quando ogni paese della Germania aveva un binario morto dove i carri bestiame erano riempiti di bambini che venivano portati allo sterminio?

Dove eravamo quando i bambini gridavano nella notte?

Eravamo sordi? Ciechi? Muti?”

– Vincitori e vinti –


 

 
 
 

Haiku per un inizio

Post n°360 pubblicato il 08 Gennaio 2024 da ElettrikaPsike
 

 

 

 

 

La campana del tempio tace,

ma il suono continua ad uscire dai fiori.

 

 

 
 
 

Il canto di Natale degli assenti

 

Di norma, per il mio modo di pensare, non dovrebbe avere un senso distinguere l’omicidio di un uomo da quello di una donna in modo netto, essendo tutti esseri umani indipendentemente dal genere

e mi rendo conto che il fatto stesso di utilizzare un termine ad hoc per indicare l’assassinio di una donna

– come, appunto, femminicidio –

potrebbe ancora indurre qualcuno a pensare istintivamente ad un neologismo forzato.

In realtà, però, definire l’uccisione di una donna con questo specifico vocabolo non è affatto una superflua indicazione del genere della vittima, come sarebbe in un contesto di violenza mortale “neutra”, dove è puramente accidentale che la persona uccisa sia una donna o un uomo;

ma il preciso indicatore del movente.

Difatti, la parola in sé specifica che l’assassino è un uomo e che il motivo per cui la donna viene uccisa è proprio il fatto di essere una donna.

Va da sé che la vita di un uomo non conta certamente di meno; ma se non è mai stato necessario coniare un termine corrispettivo per il genere maschile e se non si sente mai parlare di “maschicidi” è solo perché, statisticamente, i casi di uomini assassinati per motivi legati alla gelosia, al possesso o semplicemente per misandria da parte delle donne, sono considerevolmente minori rispetto al contrario.

Quindi, una motivazione per questa granguignolesca parola esiste. E ce lo gridano gli innumerevoli fantasmi delle creature di sesso femminile che restano appese tra un addobbo e una pallina colorata sui nostri alberi di Natale.

Ed è per loro questo “canto” e per tutte le persone di cui sentiamo fortissima la presenza dell’assenza.

 

Ti diranno che ho vissuto, che ho osato volare molto in alto

in un mondo senza aria...

Te lo giuro, sono morta combattendo.

Te lo giuro, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.

Ti ricorderai di me quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.

Perché lo so, tu non ti fermerai.

Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.

Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.

Combatti perché possano urlare più forte di me.

Perché possano vivere senza paura, proprio come ho vissuto io.

Se domani sono io, se domani non torno, distruggi tutto.

Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

 

 

 

 
 
 

VERGOGNOSE PARTIGIANERIE IN GUERRA

 

Premessa al post cit. rteo

"Per comprendere la storia di quel territorio e dei suoi abitanti più o meno stanziali bisognerebbe risalire nei secoli. Gli accadimenti di oggi devono far ampliare il campo della riflessione. Bisognerebbe, perciò, osservare anche il ruolo delle superpotenze rispetto ai conflitti in atto, perchè ci sono sempre potenze egemoni, che lucrano sulle tragedie degli altri popoli. E tuttavia neppure basterebbe per poterne trarre delle conseguenze..."

Per questo, qui, oggi voglio dire semplicemente questo...

 

 

Non sopporto questa spaccatura che suddivide in tifoserie ciò che sta accadendo, neanche si trattasse di una partita allo stadio. Le varie fazioni, infatti, in casi come questo, oltre ad essere evidentemente fuori luogo non possono che essere anche inevitabilmente ipocrite.

L'unica cosa per la quale vale la pena di parteggiare, ed è evidente, è la risoluzione equa del conflitto e la sola cosa che dovrebbe avere un senso, se davvero non fossimo impegnati a strumentalizzare ogni disperazione altrui, è la garanzia dei diritti di entrambe le parti ma, ovviamente, perché questo possa accadere sarebbe necessario che esistesse una cosa semplice e rara chiamata rispetto.

Lo stesso rispetto che manca anche a noi quando, guardando due popoli farsi a pezzi con la loro guerra, parteggiamo per l'uno o per l'altro con le nostre bandiere sventolanti, ma senza il quale nessuna pace potrà mai diventare un minimo duratura.

E se, da un lato, è piuttosto chiaro che il rispetto non possa essere contemplato da chi si trova all'interno di scenari oltre ogni possibilità di un'umana comprensione, è però evidente che può essere almeno dimostrato da coloro che li osservano da una debita distanza.

In guerra è essenzialmente impossibile non oltrepassare la linea di confine tra ideali e torti, ragioni e cadaveri; ma le uccisioni, le torture e le esecuzioni con tanto di esibizione eclatante dell'oltraggio e della deturpazione delle vittime non possono essere assolti con alcuna giustificazione comprensibile.

E' lampante che Hamas ed altri gruppi armati palestinesi abbiano flagrantemente violato il diritto internazionale contro Israele in un modo impossibile da scordare; ma è ugualmente palese la strage sui civili di Gaza perpetrata dalla rappresaglia israeliana.

E non è certo seppellendo altrettanti bambini, adolescenti, uomini e donne - già di fatto impotenti e poveri e a loro volta vittime di Hamas - né mettendo in atto la sistematica oppressione di un popolo con la cessazione delle forniture di acqua potabile, di elettricità, di sostentamento, di medicinali e carburante o con il trasferimento forzato di massa (anche questo - esattamente come la punizione collettiva - facente parte dei crimini di guerra) che Israele troverà la sua giustizia o la sua pace. Perché tutto questo esula dal suo legittimo diritto di difendersi e di rispondere all'orrore subito. Inoltre, così facendo, non troverà mai neppure la sua effettiva vendetta, perché non sono quelli i nemici da colpire. Gli obiettivi di Israele, ovviamente, sono Hamas e la Jihad islamica nella Striscia, mentre i colpi dell’esercito di Tel Aviv raggiungono le scuole, gli ospedali e le persone terrorizzate in fuga.

Qui ci troviamo nell'ambito del tutto sbagliato. Si sono passati i limiti e si sono inceneriti. Resta la polvere dell'umanità, la polvere della giustizia e quella della morte. E così anche le armi al fosforo bianco, il cui utilizzo è regolamentato dal terzo protocollo della Convenzione delle Nazioni Unite - e chiaramente vietato contro i civili - inceneriscono ogni residuo di lucidità umana.

Ma se Israele sembra avere firmato già a suo tempo la convenzione pur non sentendosi vincolata sull'utilizzo delle armi incendiarie, non è certo la sola ad eludere i divieti legali perché queste armi chimiche (che, ricordiamolo, provocano ustioni fino alle ossa e danni permanenti quando respirandone le esalazioni) risultano essere utilizzate tanto in Palestina quanto in Ucraina, indipendentemente dalla loro proibizione.

D'altro canto, viene da chiedersi, in quale scenario bellico una convenzione internazionale sia stata realmente rispettata. Personalmente non conosco guerre senza stragi di civili consapevolmente impotenti.

Tutte le Costituzioni vengono parzialmente inapplicate ed ognuno di noi assiste continuamente al paradosso politico in cui viene affidato al potere stesso il compito di riformare il potere e ciascuno di noi guarda inerte chi, seduto al Consiglio di sicurezza, si trova ad assolvere autonomamente se stesso dai crimini bellici commessi.

Oggi è Israele che sta evidentemente compiendo un crimine e non si può negare; ma pensare che sia la sola a non rispettare i diritti umani sarebbe ingenuo, inesatto e, non ultimo, anche un poco ipocrita. Difesa e crimine non sono affatto sinonimi, sia chiaro, benché molto spesso si sovrappongano con estrema facilità, ma i terroristi di Hamas - qualcuno si è risentito, obiettando addirittura l'utilizzo del termine, sebbene la parola sia tristemente letterale e non richieda affatto di essere avvalorata - sono il nemico numero uno dei palestinesi, prima ancora degli stessi israeliani. Il loro attacco, infatti, non può in alcun modo essere realisticamente accolto come esempio di una semplice resistenza finalizzata per sovvertire i soprusi che i palestinesi hanno dovuto subire da Israele perché così non è. L'integralismo politico-religioso di Hamas si può definire solo con un termine: aberrante.

Purtroppo, però, esiste anche l'altra faccia, quella dell'integralismo ebraico volto a condizionare il governo. Ed è per questo che trovo semplicemente raccapricciante una tifoseria di Israele che resta pressoché insensibile davanti alle vittime palestinesi, esattamente quanto trovo ripugnante quella che, nell'essere pro-Palestina, oltraggia senza ritegno le vittime israeliane. Va ricordato, infatti, che nel corso degli anni di questa prolungata e lugubre storia dell'orrore, innumerevoli morti imputati ad Israele sono stati, invece, gli ignari capri espiatori di Hamas, utilizzati come scudi umani dall'organizzazione terroristica durante le esercitazioni nei campi di addestramento.

Allo stesso tempo, però, va anche specificato a chiare lettere che, per quanto effettivamente nella Striscia di Gaza la maggioranza delle persone abbia votato favorevolmente all'elezione di Hamas, questo non deve in alcun modo significare che tutti i palestinesi siano automaticamente potenziali terroristi disposti a diventare martiri della Jihad. E lo dimostrano con i numeri e con i fatti quelle 600 mila persone in fuga che si sono mosse verso sud. Inoltre, si dovrebbe tenere anche in considerazione il fatto che un milione e mezzo di quegli stessi palestinesi che vengono assiduamente accusati di non ribellarsi e di non possedere sufficiente volontà per reagire sono profughi sin dalla nascita e che la quasi la totalità di essi riesce a sopravvivere esclusivamente attraverso agli aiuti umanitari.

Dovremmo ricordarlo noi e dovrebbe ricordarlo Israele perchè non vi è alcun dubbio che il genocidio sia quanto di più abnorme si possa pensare e - sia chiaro - quello ai danni del popolo ebraico non va dimenticato (e nemmeno si potrebbe mai farlo) pertanto chiunque abbia un barlume di lucidità non può non riconoscerlo e chiunque abbia un briciolo di cuore, dinanzi ad esso, non desidera aggiungere altro; ma, al contempo - ed anzi, proprio in virtù del loro passato - mi chiedo come gli israeliani possano esprimere la volontà di sterminare un altro popolo, dal momento che loro stessi hanno subito tutto l'orrore dell'Olocausto.

Dopo la Seconda guerra, infatti, consegnare nelle mani israelitiche una personale e sicura Terra Promessa è stato probabilmente il segno emblematico di un risarcimento che il mondo non si è sentito di negare alle vittime della Shoah ma, nello stesso tempo, proprio alla luce di quella ricompensa, i palestinesi hanno visto affidare al popolo ebraico una nuova nazione collocata proprio all'interno dei loro legittimi territori. Quindi no, non banalizziamo con troppa disinvoltura una questione lunga quasi 100 anni e non liquidiamola con eccessiva sicumera appellandoci alle solite ragioni economiche che fondano l’asse Usa-Israele.

Non ci sono mai morti di valore superiore rispetto ad altre e naturalmente la morte dei soldati è cupa e triste come quella dei civili, ma quella di questi ultimi è un effetto collaterale e proprio per questo ci stravolge con una portata devastante. Pertanto non ci sono e non ci dovrebbero essere popoli per cui è più giusto rattristarsi ed altri per cui è onesto non rattristarsi affatto.

Di fazioni e fratture estremiste, saccenti, pretenziose e pretestuose ne abbiamo già decisamente troppe e Palestina ed Israele ne sono un'insana dimostrazione; ma anche noi che le sosteniamo o le condanniamo, dividendoci in due tifoserie e puntando allo stesso modo il dito verso l'una o verso l'altra, non ci dimostriamo troppo diversi.

Non fosse altro che per la medesima e grossolana supponenza.

 

 

 

 

 
 
 
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