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ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

Messaggi di Maggio 2017

GOD GRANT ME...

Post n°226 pubblicato il 31 Maggio 2017 da ElettrikaPsike
 

 

 

Dopo aver delineato in tante situazioni la lontananza tra la morale e l'etica forse, ora, è il caso di ricavare anche per l'estetica una piccola concessione da quest'ultima.

Così parliamo di arte in termini di comandamenti.

 

E, forse, potrebbero suonare così:

 

                                                    DEcALoGo dell' ArTE


1. Non avrai altri padroni all'infuori della tua anima e della tua ispirazione. Non sarai tu a servire la tua penna, la tua macchina fotografica o il tuo strumento. Non sono i mezzi a fare l'arte, è dell'artista e della sua mente il lavoro e tu non ti prostituirai di fronte ad essi.

2. Non ti farai immagine dell'esistente; al contrario da quello che c'è creerai altri luoghi inesistenti che tu solo hai visto e vedi.

3. Non cercare il bello invano. Solo chi non sa vedere racconta il bello evidente. Non è artista chi vede la bellezza solo laddove è visibile e già accessibile a tutti.

4. Ricorda ti santificare le regole, di studiare e onorare il passato per potertene, poi, un giorno liberare e procedere oltre.

5. Uccidi il già visto. Sacrifica il mondo sotto gli occhi di tutti e guarda e vedi per poterne produrre un altro parallelo, introvabile e non riconducibile in nessun luogo: una realtà e una dimensione che, di fatto, non sono riscontrabili in questa.

6. Non commettere atti dilettanteschi: cerca l'essenziale per fare del piccolo il grande e del grande il piccolo.

7. Ruba, contaminati, assorbi da ogni dove; ma solo per prenderne le distanze stravolgendo e ricomponendo gli ingredienti a tua immagine e somiglianza.

8. Non imitare né il conosciuto né il visibile, ed abbi il coraggio di raccontare la verità attraverso l'invisibile.

9. Non desiderare la realizzazione di altri; ma caratterizzati affinché le tue opere possano non essere mai confuse con altri lavori o essere riconducibili ad altri autori.

10. Non avere timore di non essere accolto. Chi cerca consensi per essere accettato può incontrare solo la mediocrità, mentre l'arte non è un cammino accompagnato da certezze o da conforto.


 

                                           

 

 

 

E parafrasando le parole del teologo protestante K. P. Reinhold Niebuhr, chiudo con quella nota supplica, che inizia con:    

                                                    "GOD GRANT ME…

 

la capacità di vedere quello che gli occhi non vedono,

la forza per fare dell’invisibile espressione

e la volontà per condividerlo.

Dammi il coraggio di danzare con l'impossibile;

 ma anche l'umiltà per continuare a camminare sulla terra.

Soprattutto, però, concedimi la saggezza,

 affinché possa comprendere quando è il caso di fare,

di volta in volta,

l'una piuttosto che l'altra cosa...

                                                                               (Āmēn!)


 

 


 
 
 

SURE, PROFUGHI E IMMIGRAZIONE

 

La stessa grande nebbia appoggiata sulle differenze fra il cattolicesimo romano ed il Verbum Christi, e che si ritrova anche fra i versetti biblici e le sure coraniche, si appoggia ugualmente su termini molto più prêt à parler e di pertinenza sociale, inseriti in un contesto molto e troppo umano/disumano, quali: profughi, immigrati, perseguitati, rifugiati e simili. 

Ed i confronti si accendono soprattutto su alcune domande specifiche come l'interrogativo che fa parlare tutti i salotti fuori e dentro la tv, soprattutto nelle prime 48 ore dopo un attentato, vale a dire se la Bibbia ospiti (traduzioni e interpretazioni dei testi fallaci a parte) versi meno violenti rispetto al Corano o, ancora, come sia giusto muoversi riguardo al flusso di tutti coloro che si presentano in Italia e in Europa.

Partiamo da alcuni punti se non altro franchi. Quattro punti.

Ed intanto, smettiamo di chiamare questa guerra, una guerra religiosa, perché prima di ogni altra cosa quella che passivamente, indirettamente, attivamente e nascostamente si sta combattendo oggi è una guerra di ideologie fra civiltà addotte. Una guerra, come tutte le guerre, imbastita sugli interessi cavillosi (esclusivamente economici e politici) che utilizza sure, versetti, mentalità parziali, costumi fanatici, abitudini assolutiste, comportamenti estremi e borderline per cucire pretestuosi schermi religiosi e bandiere di fedi.

Quindi:

Punto 1.    Il culto religioso fine a se stesso non c’entra perché i precetti della jihad che istigano a qualsiasi mezzo senza remore per diffondere l’islam, se non fossero impugnati da chi sa perfettamente come servirsene ripiegando sull’esaltazione feticista di menti deboli per perseguire tutt’altri compensi, resterebbero muti e inattivi, come un qualsiasi esplosivo disinnescato. E Dio, naturalmente, in qualsiasi forma lo si senta o lo si voglia pensare, c’entra ancora meno.

 

Punto 2.   Ciò detto, guardiamo il Corano, la Bibbia, il cattolicesimo, l’islamismo: ammettendo l’inesattezza della trasmissione dei testi da ambo le parti che risultano in più passi inquietantemente intolleranti, intransigenti, selettivi e violenti, esistono comunque alcune differenze  che sono, di fatto, sostanziali.

La differenza fra la violenza documentata agli atti dell’Antico Testamento e quella leggibile sulle sure coraniche consiste fondamentalmente nel fatto che quella leggibile nell’Antico Testamento è una violenza essenzialmente descrittiva che non vuole essere una prescrizione trascendente l’ambito teologico, in sostanza non è un imperativo categorico. Al contrario, il Corano ordina questa violenza reiterandola in azioni temporali senza scadenza, in quanto la "guerra santa", nell'economia dell'islamismo, è un obbligo, un dovere imprescindibile dettato da parole invariabili di una divinità irremovibile, finalizzato alla conversione universale per acquisire la sovranità sulle altre nazioni.

E se la violenza è un onere che sciaguratamente condiziona in modo coercitivo ogni fedele all’islam, la motivazione, come affermava il giurista Majid Khadduri, si ritrova nel fatto che "la jihad è considerata da tutti i giuristi, praticamente senza eccezioni, come un obbligo collettivo di tutta la comunità musulmana".

 

Punto 3.    Le figure di riferimento, all'interno del cristianesimo e nell’islamismo sono il Cristo e Maometto. Come per i cristiani il modello a cui rifarsi è il modus vivendi del Nazareno, i musulmani sono indirizzati verso l’emulazione del messaggero di Allah, da tutti gli islamici considerato un eccellente esempio di condotta e maestro dal quale attingere saggezza comportamentale e stile di vita.

Ed è questo, evidentemente, il problema.

Almeno da quel che si evince dalla sunna del profeta musulmano (e tale norma comportamentale, non scordiamolo, è anche un costante riferimento del pensiero giuridico e sociale della comunità dei musulmani) che dimostra come l'ambito religioso e quello politico siano, di fatto, indissolubilmente intrecciati.

Le abitudini di altruismo, abnegazione e pacifismo manifestate dal modello che si propongono di seguire i cristiani, probabilmente, le conosciamo tutti, almeno teoricamente; mentre è imbarazzante ma anche necessario ricordare che Maometto partecipò a 19 guerre e che non rimase mai troppo a lungo a Medina senza ordinare saccheggi, incendi e distruzioni di fortificazioni, scorrerie o stupri. E se questa sunna del profeta è il solo modello tramandato per i seguaci del culto islamico, come icona inappuntabile di irreprensibilità, come ci si può appellare, nel cercare con essi un’interazione, a valori umani (ancor prima che religiosi) quali la moderazione, la non violenza e l’amore, inteso come comprensione totale dell’alterità, riconosciuta come parte integrabile a noi stessi?

E se, naturalmente, gli esempi sopracitati di violenza sventagliata non sono pratiche accolte e seguite da tutti i musulmani, certo è che ogni islamico osservante sarebbe, comunque, legittimato dal Corano stesso qualora decidesse di compiere, invariabilmente, una qualsiasi azione ad immagine e somiglianza di un siffatto profeta.

Ed anche collocando l’esempio di Cristo in un contesto a parte, volendo affiancare al confronto con la sunna di Maometto solo i patriarchi totalmente umani ed imperfetti descritti nella Bibbia, da Abramo a Giacobbe, Mosè, Davide e Salomone (anche se nessuno di essi si avvicinò mai ai costumi così esaltati dal Corano), dobbiamo riconoscere che ogni qualvolta essi mentirono, si abbandonarono all’ira, all’adulterio o a qualsiasi altra mancanza verso la morale ebraica, furono ripresi dal severo Dio giudaico che pregavano e non certo premiati o posti sul pulpito della condotta più esemplare.

Ed ora una specificazione sui vocaboli più invertiti e confusi riguardo agli stranieri che in Italia arrivano, si stabiliscono o muoiono prima ancora di  sbarcarvi.

Ultimo punto: 4.    Profugo è il termine che definisce la condizione di chiunque sia costretto ad abbandonare la sua terra, il suo paese, la sua patria in seguito a eventi bellici, a persecuzioni politiche o razziali, oppure a cataclismi e grazie a quanto sancito dalla Convenzione di Ginevra può richiedere asilo nell’attesa di sapere se gli verrà concesso o meno lo stato di rifugiato politico.

Gli uomini, le donne e i loro figli che scappano dalle proprie case in Siria, in Nigeria, in Somalia o in Sudan a causa del fondamentalismo musulmano, sono profughi. E queste persone possono legittimamente richiedere asilo.

Tutti gli altri non sono profughi; ma immigrati. E gli immigrati senza il permesso di soggiorno sono definiti, letteralmente, clandestini.

 

E profugo, immigrato e clandestino non sono sinonimi.

 

 

 

L'immagine utilizzata per il post è l'opera "Lo straniero" di Daniele Baron.

 

 

 

 
 
 

DALLE FAVOLE AGLI INCUBI: Ossimori, antinomie e pretesti

 

 

Prima di iniziare a presentare l’assunto, anteporrò all’argomento vero e proprio due premesse dovute. E sono premesse dovute soprattutto per evitare rallentamenti sul flusso del discorso con chiarimenti e precisazioni accessorie e fuorvianti rispetto al tema centrale del post.

La prima è questa: Non conoscevo, se non di nome, il giornalista e scrittore Antonio Socci. E sia chiaro, non posso esprimere nessun giudizio riguardo alla sua produzione letteraria perché prima di essermi ritrovata accidentalmente di fronte ad alcuni estratti di critiche verso il pontefice (e considerazioni convinte riguardo a profezie & affini) mai avevo letto nulla di suo.

Seconda e ultima precisazione: Mi sento molto vicina al cristianesimo ed amo la figura del Cristo; ma proprio per questo non sono né mi posso considerare cattolica. E questa non è un'antinomia, tra l’altro per i motivi già espressi in altri miei post in cui ho riportato la differenza sostanziale e formale che divide, talvolta nettamente, le due fedi (naturalmente per motivi logistici di tempo e spazio non posso, qui, riprendere l’argomento; ma per l’economia del discorso rimando al ciclo di post che tratta in modo specifico e minuzioso ogni divergenza affermata tra le due forme di culto: http://blog.libero.it/elettrikamente/13329161.html).

Puntualizzate queste due fondamentali premesse, va da sé che ogni mia considerazione qui di seguito, anche volendola fantasiosamente leggere come dettata da giudizi di parte, di fatto, esula da qualsivoglia visione faziosa o insinuante interessata a difendere una delle parti piuttosto che l’altra a priori.

                                                          

 

Ed ora partiamo dai fatti: In un girovagare senza esclusione di territorio su internet, per una serie di concatenazioni associative e rimandi di parole ed argomenti, sono approdata ad alcune citazioni incriminate tipo questa: "Quel diavolo di Gesù".

L’incongruenza dell’espressione mi ha spinto ad approfondire, così ho letto il trafiletto.

Leggendo, ho così scoperto che l’articolo era opera del giornalista sopracitato di cui non ricordavo aver mai letto nulla e che poi ho scoperto essere un cattolico convinto ed un conduttore televisivo piuttosto noto oltre che un caso editoriale non di poca portata. Vale a dire da quando si è assunto come manifesto vivente nella critica verso l’ultimo pontefice.

Partendo dal presupposto che alcune posizioni legittimamente sostenute da Socci non sono per milleeuno motivi da me condivise né condivisibili, come ad esempio la credenza riguardo a profezie di vario ordine e tipo o l’ammissibilità di anatemi divini e giudizi universali frutto di esecrazioni mariane (definite anche da Maurizio Crippa - il vicedirettore de il Foglio che a differenza mia conosce il giornalista ed afferma pure di stimarlo in qualità di scrittore - come un “ciarpame senza pudore a metà tra il fantasy allucinogeno che rifiuta l’evidenza empirica e la panzana sedevacantista”) non ho voluto, comunque, lasciarmi condizionare e continuo a leggere.

E l'ho fatto mentre simultaneamente cercavo qui e là informazioni riguardanti la produzione letteraria di Socci (restando, però, sempre volutamente asettica, con lo stesso impersonale distacco utilizzato per eseguire un intervento di sternotomia mediana longitudinale) giusto per collocarlo in un quadro un minimo esaustivo che potesse darmi un’idea un pochino più precisa del come e del perché scrive quello che scrive.

E così, disinfettata da ogni possibile pregiudizio, trovo sul suo blog una flame war (a quanto pare notissima) da lui accesa contro Bergoglio ed apprendo non soltanto che una bella fettina di mondo lo conosce; ma anche che questa piccola grande crociata intrapresa dal giornalista è seguita ed accolta a suon di like da gran parte dei social network più celebri e popolari del regno.

Ed allora, vi chiederete, qual è il punto?

Il punto sta qui: Non entro in merito sulla sua opinione riguardo al papa, anche perché, da cattolico praticante quale si dichiara essere, all’inizio Socci era naturalmente sostenitore del pontefice (e non sarebbe potuto essere diversamente dal momento che il cattolicesimo, a priori, è asservito al papato).

Infatti esprimeva dichiarazioni lusinghiere come “Papa Francesco è maestro e padre per tutta la chiesa” che io, altrettanto naturalmente, da cristiana non cattolica quale sono (e quindi non asservita a queste istituzioni) non avrei mai potuto affermare, visto che non considero affatto la chiesa come sinonimo della casa di Dio, né considero “maestro” alcun essere umano in virtù di un ruolo imposto da terzi.

Fin qui tutto coerente; mi stupisco, però, ugualmente per altre cose.

Da quando Socci si compiaceva per l'elezione pontificia le cose sono un po’ cambiate ed il giornalista ha cambiato idea riguardo al papa. Il fatto di cambiare idea, di per sé, è legittimo e certo non desta scalpore; sono però le motivazioni che si adducono per avvalorare il cambiamento e soprattutto la mancanza di correttezza, trasparenza e logica con cui vengono esposte, a sollevare le perplessità e l'imbarazzo.

Da conoscitore dei testi sacri che, tra l'altro menziona per autenticare gran parte delle sue considerazioni, non capisco come in primis Socci stesso, considerato una fra le intelligenze più raffinate sul panorama culturale cattolico, ma poi anche chiunque lo legga ed ancor di più chi lo pubblica, non si rendano conto delle contraddizioni esplicite tra quello che il giornalista afferma e quanto riporta per avvalorarlo.

Prendiamo passo per passo, sorvolando sulle molteplici discrepanze tra i Vangeli e l’istituzione cattolica che i cattolici continuano ostinatamente a non considerare, come quella sopra riportata riguardo alla condizione di un pontefice considerato come “maestro e padre per tutta la chiesa” quando nello stesso Vangelo di Matteo si legge “Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo” perché sono ormai incongruenze già date per assunte e proseguiamo...

Qui di seguito ho invece raccolto una piccola (e sicuramente parziale) sfilata di contraddizioni pronunciate dal giornalista come pretesti d’attacco.

Partiamo da una considerazione che Socci scrive, tra l’altro dandola aprioristicamente per assunta, come una verità universale e incontrovertibile.

Il primo maggio scorso, nel suo blog, affermava: “Il papato per secoli è stato una delle più alte autorità morali del mondo” ed io mi chiedo soltanto in quale storia, perché ammettendo (pur non condividendo) che la chiesa cattolica collochi in una istituzione le sue fondamenta (in contrasto con la chiesa di cui parla Gesù nelle scritture che, invece, non è mai stata una struttura composta da basi terrene “non di mura doveva essere costruita la dimora dello Spirito”) vorrei sapere, comunque, in quale film trasmesso al mondo, il papato sia stato questo grande esempio di autorevole moralità nella storia…

Ma il giornalista deve essere assolutamente convinto di questa fantasia che ha veramente del cinematografico in quanto, in data 7 aprile, su Libero, scriveva testualmente che “nella Chiesa molti hanno le mani nei capelli, perché stanno accadendo cose mai viste. Ci sono stati papi di tutti i tipi in duemila anni, ma non era mai capitato un papa che in chiesa, nell' omelia della Messa, pronuncia frasi che - in bocca a chiunque altro - sarebbero considerate bestemmie” (riferendosi all’affermazione del papa “Gesù che si è fatto diavolo” menzionata all’inizio).

Io non entro qui in merito alle frasi perché non ho neppure sentito l’omelia in questione; ma va da sé che, appurato il senso della frase, tra l'altro plurispiegato dagli stessi portavoce del Vaticano che hanno specificato come l’affermazione non abbia nulla di sacrilego in quanto va considerata e letta nell'ottica “dell’ assunzione di ogni peccato del mondo su di Sé, da parte del Cristo”, per quanto possa essere attaccabile una mancanza di specificazioni ulteriori da parte del papa o eventualmente anche la presenza di inesattezze formali in un’affermazione che potrebbe essere motivo di travisamento, la correttezza intellettuale imporrebbe una lettura del discorso nel suo ragionamento integro e non attraverso l’estrapolazione di una frase dal testo.

Inoltre l’attacco al cripticismo, soprattutto in un ambito teologico, è abbastanza paradossale, dal momento che lo stesso Cristo è stato, per antonomasia, portatore eccellente di parabole e metafore nei suoi discorsi, considerati dai più come volutamente criptici.

In ogni caso, qui, mi sembra una bestemmia anche l’affermare che “Ci sono stati papi di tutti i tipi in duemila anni, ma non era mai capitato un papa bestemmie” in quanto dalla clerogamia alla santa inquisizione, non tralasciando la pedofilia e l’incesto, di papi ne abbiamo avuti più di qualcuno che le peggiori bestemmie le hanno proprio commesse…

Ma proseguiamo.

Socci rimprovera il papa per aver definito “solenne sciocchezza” il proselitismo. Con che basi lo faccia, però, ed anche perché nessuno, fra quelli che sicuramente gliel’avranno fatto notare, abbia ricevuto risposta, non si sa…

Ad esprimere per primo un concetto simile, infatti, fu lo stesso Ratzinger (molto stimato dal giornalista) quando disse "La Chiesa non deve fare proselitismo ma deve svilupparsi, piuttosto, per attrazione, come fece Cristo con la forza del suo amore" riprendendo, a sua volta, le parole del Vangelo di Matteo: “Guai a voi, perché scorrete mari e terre per fare un proselita…” (Matteo 23:13-15, 2).

Mi sorprende come tanto a Socci quanto a chi si considera cattolicissimo figlio di Costantino (perché, sia chiaro, chi è cattolico ha le sue radici in un culto voluto da un imperatore pagano nel 313 dopo Cristo che, con il cristianesimo, lo si voglia o meno ammettere, non ha mai avuto molto da spartire) possa sfuggire buona parte del Vangelo di Matteo; ma ancora di più mi sorprende che Socci possa aver confuso due termini dall’ etimologia molto diversa fra loro, vale a dire “etica” e “morale”.

Riprendendo le parole di Bergoglio, infatti, Socci critica il papa per aver affermato che Gesù avesse "mancato verso la morale" nel salvare l'adultera dalla lapidazione.

Non vedo incongruenza in questa frase pronunciata dal papa, né il motivo di indignazione o di stupore, dal momento che la scelta del vocabolo “morale” in questo caso è perfettamente pertinente ed esatta.

La morale, infatti, come tutti sappiamo, letteralmente altro non è che “la tradizione dei padri”, in altri termini un'insieme di regole comportamentali e di usanze accettate legittimamente. In questo specifico caso la religione dei giudei, essenzialmente giuridica e legalista, ammetteva e permetteva tra le sue consuetudini (o costumi morali che dir si voglia) anche la lapidazione per le donne adultere.

Ed è naturale, e quasi lapalissiano ancora più che ovvio, che Cristo abbia contrastato quella morale, visto che era una morale - vale a dire un’usanza - che giustificava l’assassinio, per promulgare, al suo posto, il perdono e la pietà.

Cristo ha certamente mancato verso la morale, perché ha portato l’etica laddove prima non c’era.

Mi stupisco che Socci non abbia colto questa differenza e non posso credere che non la conoscesse; ma d’altra parte è anche possibile che pur conoscendo il significato dei due termini continui a considerarli equivalenti perché la differenza tra l’ etica e morale, sostanzialmente, potrebbe anche essere la stessa che divide il cristianesimo dal cattolicesimo.

I cattolici, infatti, pur conoscendo la storia e pur sapendo che il cattolicesimo è un’istituzione nata più di trecento anni dopo Cristo per volere di uomo mosso da ogni volontà ed impeto possibile esclusi quelli spirituali, non trovano nulla da eccepire nel fatto che questi, nel legalizzare il cristianesimo, abbia condito secondo il suo personale gusto e consumo la parola di Gesù di Nazareth con il giudaismo e una dose abbondante di paganesimo romano.

Tutto questo, evidentemente, dev'essere per loro un piccolo particolare, un’inezia da nulla.

Ma c'è dell'altro.

Un’altra accusa che il giornalista, nel gennaio del 2016, muoveva contro il papa, riguardava l’affermazione in cui Bergoglio sostenne di credere semplicemente in Dio e non in un Dio cattolico, dal momento che “non esiste un Dio cattolico”.

Io  credo che difficilmente si potrebbe trovare eretica un'affermazione simile, a meno che non si sia deciso di giocare al gioco di Torquemada ai tempi dell’Inquisizione Spagnola...

Certamente escludo che Socci sia un fautore dei roghi (o, quanto meno, non voglio pensarlo) e neppure voglio ipotizzare che abbia la stessa struttura mentale degli inquisitori cattolici, quindi è proprio per questo che non comprendo come possa sollevare obiezioni su un concetto che è assolutamente cristiano, in quanto è proprio del cristianesimo il fatto di non venire promosso un Dio di religione ma un Dio di relazione e di comunione…

Ed allora di che parla? Ci siamo persi qualcosa, chi ha spento la luce e messo sotto chiave la semantica?

Aiuto, c’è nessuno?

Da quando un Dio appartiene ad una religione? Al limite un Dio è rappresentato, amato, omaggiato e glorificato attraverso una religione, cioè un insieme di culti che testimoniano il rapporto che lega l’uomo al divino…ma non può essere o non essere di una religione…

Un simile svarione dialettico ed ontologico che farebbe sorridere, se pronunciato da un bambino durante il catechismo, genera qualche perplessità se viene scritto (e pubblicato e divulgato) da un giornalista maggiorenne e accreditato, riconosciuto dal suo ambiente come garanzia attendibile di cultura.

Quindi, per favore, fatemi capire…un Dio cattolico quale sarebbe? Una divinità che nasce per la volontà di un uomo (tal Costantino, pure non propriamente irreprensibile) oltre che, paradossalmente, solo 313 anni dopo la nascita e l’avvento del Suo stesso Figlio - il Verbo-del quale, di fatto, è Padre ma anche, in virtù della Trinità, Sua perfetta immagine?

A questo punto mi dovrei rivolgere al signor Socci direttamente o, meglio, a chi l’ha pubblicato e l’ha letto, per domandare loro se si rendono un minimo conto di cosa è stato affermato nel tentativo di confutare ciò che ha pronunciato il papa…

Sintetizziamo? In sostanza Socci afferma che Dio è un seguace di una dottrina inventata dall’ imperatore Costantino...perché è solo questo, signori, che significa la frase “Dio è cattolico”.

Ma ce n’è ancora…

Leggo anche, e la mia perplessità diventa assoluta incredulità, che il giornalista si è sdegnato del fatto che il papa possa aver detto la seguente frase: “A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo".

Ed io mi/vi/gli chiedo…ma cosa c’è di così anticristiano in questo?

Non è stato forse Cristo il primo a sganciarsi dalle convenzioni e a sovvertire non solo il linguaggio; ma ogni aspetto completamente ortodosso, convenzionale e socialmente accettato? O, per il signor Socci e chi lo pubblica e lo legge, è forse tornato ad essere più importante il sabato dell’uomo?

Peccato, perché non mi sembra che Gesù abbia avuto mai dubbi al riguardo.

E devo, davvero, essere io a ricordare a inappuntabili conoscitori dei Vangeli in che modo lo stesso Cristo tenne in considerazione gli atteggiamenti di scribi e farisei, così ligi, morali (morali=rispettanti delle tradizioni, come sopra) ed osservanti delle leggi?

E devo essere io a ricordare come Gesù stesso venne, proprio da queste figure, denigrato e definito “un mangione e un beone, amico dei pubblicani e peccatori”?

L’ho già scritto in più spazi ma non fa male ripetere per chi si fa sordo pur avendo in dono la capacità uditiva: i Vangeli , che lo si voglia o meno sono i primi modelli assolutamente anticonformisti.

Non è il sacerdote, il fariseo, l’osservante della legge a suscitare la simpatia di Gesù che, invece, più volte nel corso della sua vita ha manifestato un atteggiamento lontano ad ogni esteriorità religiosa, considerata come una probabile anticamera di ipocrisia; ma è sempre l'altro, il diverso, l'escluso l’esempio da imitare.

Come già scrissi in precedenti post e in altra sede, il Gesù tramandato da quei Vangeli che il clero e i farisei-scribi d’oggi leggono e citano da pulpiti sempre più alti, si sente più vicino proprio a coloro che sono oggetto di diffidenza, quando non propriamente di aperta discriminazione. E così i pubblicani, i poveri, le prostitute, i ripudiati, gli "eretici/scismatici" samaritani e persino gli invasori romani sono considerati maggiormente affini alla Sua parola e meritevoli. E non solo di ricevere una parola di conforto; ma anche di apprezzamento.

E, si, per quanto non sia facilmente accettabile dall’essere umano, è anche tipicamente cristiano e perfettamente conforme alla parola di Cristo l’atteggiamento del celebrare e festeggiare e accudire maggiormente la pecorella maggiormente lontana dall’ovile anziché affossarla e bastonarla o caricarla di anatemi.

Ma sia molto chiaro, scrivendo questo io non ho martelletti in mano, non sono un giudice; infatti non condanno e non mi sento l’Alfa e l’Omega della verità assoluta, non sono Dio (almeno io ne sono consapevole, ed è già qualcosa). Sono solamente una persona che, però, in quanto tale, può esprimere un’opinione e sviluppare un giudizio su quanto vede e legge, parziale ed imperfetto (come tutti i giudizi e tutti i campi visivi sono, senza scomodare il relativismo) ma vivo.

E proprio per questo ancora un’ultima cosa, sul discorso divorzio, sacramenti e la possibilità di dare la comunione ai divorziati, la dico…

Io non voglio credere che a Socci sia sfuggito, oltre al Vangelo di Matteo e qualche altro passo del Nuovo Testamento, anche il fatto che il matrimonio non è un sacramento cristiano. Ma, nel caso, rammentare una o due cosette non può fare male.

E’ scontato, banale, storicamente risaputo eppure si tende a non dare mai rilevanza alcuna al fatto che, all'incirca per i primi mille anni della storia della chiesa cattolica, l’istituzione matrimoniale, oggi assunta al ruolo sacramentale, non fu affatto riconosciuta come un sacramento (neppure dalla chiesa cattolica), tanto che la sua regolamentazione veniva disciplinata esclusivamente dalle leggi ecclesiastiche.

Da quando allora, magicamente, è diventato un sacramento? All’alba del Rinascimento, con il Concilio di Firenze. Quando la chiesa esplicitò che il matrimonio dovesse essere considerato dai fedeli come un rito a tutti gli effetti sacramentale. E lo decise compiendo una scelta deliberatamente umana che non trovava alcun supporto o radice in nessuna Scrittura. Naturalmente per un’unica ragione storica ed incontrovertibile, vale a dire per il fatto che tra tutti i sette sacramenti promulgati dal cattolicesimo soltanto il battesimo e l’eucarestia trovano la loro derivazione dai Vangeli…

Che dire, dunque, di quei restanti cinque “segni e strumenti medianti i quali lo Spirito diffonde la grazia di Cristo”? Che dire, cioè, della cresima, della confessione, dell’unzione degli infermi, dell’ordine sacro e del matrimonio?

Forse, con un tantino di onestà da parte della chiesa cattolica, magari, sarebbe più trasparente non dichiarare, per esempio, che lo Spirito Santo considera strumenti per diffondere la grazia di Cristo cinque rituali inventati da lei a tavolino e di cui il Nazareno non ha mai fatto menzione…

 

Perché, signor Socci, se si vuol spaccare il capello, spacchiamolo pure al millimetro; ma ovunque e dovunque, please.

                                                                               

 
 
 

Che la forza della fantasia sia con te…

Post n°223 pubblicato il 06 Maggio 2017 da ElettrikaPsike
 

 

                                            THE EARTH IS YOUR MOTHER

                                                  (LEI DONA E LEI PRENDE)

 

 

Le armate hanno prima conquistato; ma sono perite alla fine.

I regni sono sorti e poi sono scomparsi...

 

La Terra è nostra madre lei dona e prende,

ci immerge nel sonno e nella sua luce ci risveglieremo.

 


PERCHE' NOI TUTTI 

Siamo parte di una storia, parte di un racconto.

Tutti siamo in viaggio

e nessuno rimane.

Siamo parte di una storia

a volte bella, a volte folle.

 

E NESSUNO

 ricorda come sia cominciata...

 



E noi stiamo giocando, dissociando, ricomponendo, mescolando,

come bambini eterni che giocano il gioco della creazione.

Parafrasando le canzonette di Bennato:

Solo favole,

ma non c'è finzione

perché l'unica illusione è quella

della realtà (di un certo tipo di ragione!)

Però a quelli in malafede sempre a caccia delle streghe dico:

no! non è una cosa seria...    

E' così, e se vi pare, ma lasciateci sfogare...

Non abbiate la men che minima paura,

non si fa politica

 e né si hanno,

pretese di cultura...

Perciò neppure serve il metterci alla strette

perché quello che si fa, giocando, su Tirillio,

sono solo favolette...

 

 

 

                                                        It's Only a Game

           Ma l'uomo è veramente uomo soltanto quando gioca

                                                       (Friedrich Schiller)


                                   

 

 

NOTA: Le immagini sono state reperite dal web.

Qualora i legittimi proprietari lo richiedano, verranno subito rimosse. 

 
 
 

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JE SUIS CENACOLO'

 

Per chi ama scrivere,

per chi ama leggere.

Per chi è innamorato delle parole:

 

JE SUIS CENACOLO' 2015

Il Contest Letterario a colpi di BIC

blog.libero.it/WORDU/

Un Blog di PAROLE…

C H E    A R R I V A N O,

C H E    P A R T O N O,

C H E    R E S T A N O.  

Come un grifo, tra terra e cielo.

 

 

IL CENACOLO SI E' CONCLUSO ED ORA...

ABBIAMO IL LIBRO!

  

 

http://issuu.com/wu53/docs


 

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