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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°462 pubblicato il 24 Marzo 2014 da enodas


 

Osservo il paesaggio che scorre oltre il finestrino. Verso Segovia, o Sego, come scrive sul telefonino la ragazza seduta vicino a me. Su un autobus chiamato La Sepulvedana. Ecco, per me basterebbe questo ad aggiungere una tonalità di colore in più ad un paesaggio che si svela così, attraverso un vetro che scivola via. Viaggerò in bus, nel cuore della Spagna. La mattina presto, con i bambini che vanno a scuola da paese a paese, nel primo pomeriggio con una ragazza che studia a Madrid e torna verso casa.
E' un paesaggio dolce, appena lasciata Madrid. Mi fa venire in mente quello del centro Italia. Con un soffio di vento freddo che arriva dalle montagne, intorno, punte bianche che si incuneano nell'azzurro del cielo. Sceso. Mi pizzica il volto, e già mi affanno tra salite e discese. Le prime, soprattutto. Sego. Città medievale, una cattedrale in cima alla collina e le mura che corrono fino al castello, sulla punta di una rocca che precipita nel verde. Clamore di armi e riflessi dorati sulle armature. Eppure, le strade sono silenziose, quasi vuote. Quasi senza presenza, come lo spazio enorme della cattedrale. Mi sembra di calarmi in un angolo di storia che sembra più di un'eco che rimbalza tra i muri delle case, uno sopra l'altro, uno sopra millenni di storia. Che sulla strada, o sotto di essa é tracciato il percorso dell'acquedotto romano, che riforniva quella stessa rocca del castello. Poi, esce fuori all'improvviso, monumentale, di colpo vertiginoso, accompagna scale che scendono e scale che si arrampicano. Una, due arcate, due arcate che potrebbero essere tre, dal basso in alto, sullo sfondo di un cielo blu. Prima di immettermi giù lungo una strada, che scivola, ancora, e si arrampica, non lo so, come una figura, in lontananza, mentre da dietro l'angolo, chissà se per quella via, musicanti itineranti disperdono note avvolti nei loro mantelli.

 

 

Sono partito con l'autobus della mattina. Ho disceso le strade della città deserta quando ancora era buio. A malincuore, le ho lasciate dietro di me. Quasi nel silenzio di una notte che ancora allungava le mani. Assonnato per l'orario, che non ho potuto scegliere. Il bus si ferma attraverso agglomerati di case, tra un punto e l'altro della Castilla y Leon, raccoglie ragazzini che vanno a scuola. Ed io, con loro sono in viaggio per Avila, arrivo che é tutto chiuso, e quell'aria fredda dai monti vicino mi afferra le ossa. E così questa volta la mattina, cammino per una città deserta, entro le navate di una cattedrale buia e silenziosa, unica porta aperta per le funzioni mattutine che mi protegge dal freddo.
Ho la cioccolata calda davanti, il pane tostato ed una bottiglia d'olio d'oliva. Che qui tra l'altro si dice quasi aceto, ma é un sapore, quello dell'olio d'oliva sul pane caldo, che mi entra quasi nell'anima, dove sono ancorate quelle cose che da sempre parlano di noi. Così come la cioccolata, densa, che ho tra le mani, che sale il profumo alle narici, quasi credevo d'averlo dimentiato e risveglia, in me, come l'uomo al bancone di un bar deserto che me la porge, dagli occhi bonaccioni.
E l'aria si scalda, la porta si schiude, e salgo delle scale, in cima alla cinta muraria che corre tutto attorno ad un pezzettino di medioevo racchiuso entro trorrioni merlati, che sembrano troppo perfetti per essere ancora lì. Li scalo uno ad uno, lungo tutto il camminamento, o quanto é consentito, solo metà da nord a sud, sui tetti delle case, sopra i bastioni coperti di verde, tra fronde di pini, rosoni scavati nella pietra e campane silenziose.

 

 

Era la città delle spade, e non lo sapevo. E' la città dei cavalieri, e pure questo non ne ero molto sicuro, Eppure già qui si spalancano le porte della Mancha, e la sagoma del cavaliere che leggeva libri e si lanciava contro i mulini a vento, e quella del suo scudiero compaiono ovunque nelle vetrine. I mulini chissà, saranno là, oltre le colline, oltre la piega del Tago che gira attorno la città. Non immaginavo Toledo così bella. Lo capisco da subito, appena passato sotto la porta senza capire dove fossi e dove dovessi andare. Che queste strade di un altro mondo, vecchio di secoli, tutte in salita, in discesa, formano un labirinto affascinante. Mi colpisce il silenzio, ancora. Quello che improvvisamente si dissolve come si spalanca la piazza di fronte, nel cuore della città. Mi colpisce perché sembra carico di una storia intera, sotto le volte imponenti e la foresta di pilastri della cattedrale, dietro lo scrigno di tesori che sono dispersi tra le calli. Ecco, le spade sembrano quasi tintinnare, incrociarsi una con l'altra e sferragliare, dietro l'angolo, come il lavoro preciso di un artigiano che incide sull'argento o il colpo di pennello sulla ceramica.
Ho deciso che non me ne andrò tanto presto, domani. Ma sono fuori dalla città, la osservo, mentre mi arrampico sulla sponda di fronte, oltrepasso un eremo, scambio due parole con qualcun'altro che mi vede la macchina fotografica nelle mani. La carretera. In salita, neanche a dirlo. Mentre a scendere é il sole, lasciando le luci accendersi, ed un alito di vento a portare fin quassù qualche sguardo sognatore, qualche altro ad osservare il giorno lasciato alle spalle.

 

 

Mi affascina sapere che proprio da questa porta passò il pittore, appena giunto in città. Come quel suono lontano, quasi un'evocazione, di campane, nelle tenebre del tempo. Si fermò qui, e non vide qualcosa di molto differente da ciò che vedo ora. Così, su quelle stesse note, evoco i suoi passi tra le strade illuminate la sera. Scendo giù fino alla Juderia, il vecchio quartiere ebraico, dove peraltro quel pittore visse, e poi ancora fino al ponte, prima di svoltare verso il convento, lasciando l'ultima sinagoga alle spalle, risalendo le scale, sotto il passaggio. Mi immergo nel silenzio di queste strade. Suggestione. Una musica lontana, ed il movimento di un gatto che fa cadere qualcosa, sui ciottoli, la interrompe, un attimo soltanto; le luci delle taverne invece filtrano, così come una voce dietro un portone. Risalgo fino al castello, la Placa Mayor, la stretta strada che gira attorno la cattedrale, tutto questo labirinto che gira attorno ad un centro spirituale e di potere, nel profondo della Spagna, mi perdo una notte d'inizio primavera.

 

 

[...]

 

 
 
 
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