Mondo Parallelo

Venne quello che amavo, quello che chiamavo, e che non aveva nome. L’aquilone era libero nel vento ed il filo soltanto lo teneva aggrappato alla terra, ai lamenti del mondo che lo stava a guardare curioso, e che invidiava il suo libero volo sostenuto da un tenue telaio di piccoli legni di pioppo. E sopra il tramonto si stagliava nel vento, facendo d’un piccolo rombo una forma sublime che nel cielo sembrava un puntino piccino, quasi un raggio di sole, perché di rosso lo avevo tinto, il rosso è il suo colore. E vola con le ali del sogno, portato dal vento, il mio aquilone appeso a un filo sottile, come fosse il mio cuore che si leva nel sole, per liberarsi del suo fardello tinto del nero della notte, fatto di fili intessuti di tante amare tristezze: quelle che a volte io stesso  voglio far affiorare perché, per poter capire, spesso bisogna anche dagli occhi far sgorgare le lacrime, così, senza dolore, quasi per poter assaporare un sentimento che altrimenti non avrebbe valore e non  avrebbe senso, ma resterebbe sospeso come il mio aquilone, parole soltanto, senza valore. Solo parole e nessun rimpianto, solo un po’ di voglie represse e desideri sbiaditi nelle grotte del tempo. Vola il mio aquilone adesso nel vento, non quello che spazza i cieli senza difese, quello che si insinua negli astri senza capanne, nelle lune senza ragione dei miei umori e dei miei desideri, nevi perenni che si sciolgono al sole e, sopra, lieve, lo sfrecciare dell’aquilone. Nevi di quelle cadute da una mano, un nome, un sogno, una fronte. Come l'essenza di un tuffo all'indietro senza guardare di sotto e dietro alle spalle, ma leggendomi dentro un mistero, lasciato al libero volo di un foglio di carta rossa nel cielo, e anche quello che ai miei capelli legò un giorno il colore del grano. Il colore castano, se proprio vogliamo esser pignoli. Quello che io amavo, quello che amo è tutto lì nel volo libero sopra le nubi bianche. Senza graffiare i venti, senza ferire foglie né muovere cristalli. Quello che ai miei capelli legò il silenzio. Per scavarmi, senza farmi male, una riviera di luce dolce nel petto e rendere la mia anima nuda, nel volo di un aquilone tenuto dal filo stretto nelle mie mani. E il desiderio di lasciare quel filo si fa sempre più grande, come quello che adesso me lo fa spezzare per lasciarlo volare al di là dello spazio, in fondo ai silenzi infiniti che mi bruciano dentro, quando vorrei perdermi in quell’azzurro macchiato di rosa, quando il mio aquilone piano scompare alla vista, volando sopra stagni, sopra monti e vallate, sopra foreste e nubi e mari senza fine, oltre il sole, oltre la curva del cielo, e l’estremo confine; e ancora, sorpassando le sfere stellate, tu vai, aquilone dipinto di rosso, tu vai con agilità, come un nuotatore che s’inebria dell’onda, tu, lietamente, attraversi l’immensità profonda. Ancora ti scorgo altissimo sopra l’orizzonte, puntino quasi indistinto, macchietta di rosso e allora dai, vola tu che puoi!  Sì tu puoi farlo! Vola, vola ben oltre i confini dell’uomo, gli amori mai nati, i desideri svaniti, i sogni scordati; purificati in alto, nell’aria fatta tersa, bevi, come liquore che il cielo puro versa, il chiaro fuoco che gli spazi riempie con i suoi sospiri e crepitii lontani, scrollandosi la noia e le altre grandi pene che opprimono la vita e la rendono nebbiosa. Vai, tu, aquilone, felice con la tua rossa ala vigorosa slanciata verso terre luminose e serene, e con te i miei pensieri si tingono del tuo colore, poi di un rosa  che sfiora e si posa sulle cime dei monti lontani, come allodole in viaggio nel cielo di questo mattino in cui libero ti ho lasciato al tuo destino, in libertà volare. Così, come un sorriso che mi nasce dentro, mentre volo con te aspettando il tramonto con il cuore gonfio di pace, contemplando il mare lontano che adesso tace. Come chi, come me, ora sta zitto con gli occhi fissi a coglier nel volo d’un aquilone smarrito, una sensazione che dolcemente plana sulla vita, per poter ascoltare delle tacite cose e dei fiori, il linguaggio, col cuore!

Giov@nni