Mondo Parallelo

Quando la sera mi torna alla mente un pensiero che durante il giorno ho sempre voluto scansare, sento che accade come se fosse un libro preso a caso dallo scaffale, di quelli mai letti per mancanza di voglia, per mancanza di tempo, per mancanza di una notte da dedicargli; e so che altrimenti non potrei dormire senza sapere se, nel capitolo avanti, avevo ragione a pensare quel che l’autore voleva narrare, e rendermi conto con un sorriso, che con lui ero tutt’uno nel suo raccontare. E poi, dubbioso, dopo aver letto un capitolo strano, guardo di nuovo il titolo di copertina, caso mai avessi sbagliato e vi fosse scritto il mio nome, non si sa mai! Perché, a volte, i titoli sono un po’ ambigui e l’uno all’altro si posson confondere, non solo quando, quelle parole già da me erano state lette, ma proprio perché io, le avevo già dette! E piano si va snocciolando sotto i miei occhi, il racconto che adesso ha preso una piega un po’ forte e, il filo di prima un poco si è perso, tra scene di sesso e frasi d’amore descritte con troppo vigore, ma ci vuole uno stacco ogni tanto al cambiar delle scene, al mutar degli eventi, altrimenti tutto diviene banale, e il racconto perde il suo impatto iniziale. Poi chiudo gli occhi e mi vien da sognare un capitolo nuovo, da aggiunger a quello già divorato con lo sguardo di chi, come me, in un attimo scorre un testo cogliendo in poche parole, il senso di quanto narrato. Il tempo mi è sempre stato tiranno, e da lui proprio ho imparato a scorrer veloce, senza perdere traccia, di quello che dir si voleva e per poter poi controbattere ed essere pronto, a fare succinto e spiegare con una, ciò che in tante parole era nascosto. Di parole, in fondo, non ne ho spese poi molte, le ho stillate col contagocce durante i miei anni passati, tra mille pagine che di contro nulla spiegavano più del niente che vi era descritto. L’unica cosa che solo si capiva d’impatto, ricordo, era il semplice argomento trattato stilato in stoiche e belle parole. Il resto era solo un corollario di inutili frasi per confondere meglio ciò che prima era chiaro. E allora, ho potuto capire, non per evitar di dire sciocchezze, che di parole giuste ne ho indovinate poche, non per il fatto che fossero errate, ma perché, a ben pensarci, sono futili se non hai a chi dirle, ed anche se ci fosse chi le potrebbe capire, in certi momenti ci vorrebbero tanta fantasia, immaginazione e voglia di essere, quello che sempre ho voluto apparire, nient’altro di più di quello che sono. Così poche ne ho dette per litigare, abbastanza per far sorridere, pochissime non sincere, ma solo per circostanze pericolose per altri, e per me. E sempre sono convinto che le parole gettate lì, solo fiato, lasciano il tempo che trovano, come uno di quei programmi alla televisione, che se ti fermi a guardarli per curiosità, ti fan passare il tempo, e durante la pubblicità non ti ricordi cosa stai vedendo!  E ricordo, adesso che son arrivato alla pagina del capitolo sette, del libro che ho in mano, di avere incontrato ed usato, anche quelle parole amare, inutili, che fanno piangere, sorridere, riflettere, e scivolano via come le gocce sull'impermeabile; alcune trafiggono anche se fai l'indifferente, o indifferente lasciano la maggior parte della gente: ho sempre creduto, che per le cose importanti le parole non servono, servono i fatti, ma sono d'accordo quando comunque puntualizzano, o fanno chiarezza anche se già parlano gli occhi.  A me interessa che facciano capire e sorridere e pensare, suscitare commozione o far nascere un sentimento come un ricordo, far ballare nel sogno i colori d’un arcobaleno;  scoprire magari che, se non le ascolta nessuno, che piacciano o no, non mi interessa poi tanto, perché io sono come un bambino e giocar con le parole mi dà gioia, me ne ha sempre data, anche adesso che sto leggendo le parole di un altro.  A volte, per rendere il gioco più interessante, ne trovo di nuove che son solo sinonimi, ma sono più dolci di quelle che leggo, e adesso mi accorgo che il libro è all’ultima pagina aperto, e le mie parole stanno finendo, perciò chiudo dicendo: “Ne scriverò comunque di nuove, anche se magari non ha senso e in fondo, qui sopra di me, ci sono le stelle che la notte non hanno bisogno di sentir parlare, solo di stare fisse in silenzio ad ascoltare! Perché il loro libro è il cielo e le loro parole son fatte dei raggi del loro brillare, pennelli di luce su pagine aperte in perenne armonia con chi le legge e dentro il suo cuore da tempo già le ha scoperte.

Giov@nni