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HO FATTO UN SOGNO - I HARD A DREAM

Post n°1 pubblicato il 11 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

russotto-san-riccardo-pampuri-fotocompagnia dei Globuli Rossi - Logo sanriccardopampurimedicocondotto

HO FATTO UN SOGNO - I HARD A DREAM

 

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Padre LEONE HABERSTROH un sacredote modello - di Angelo Nocent

Post n°2 pubblicato il 13 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

Padre LEONE HABERSTROH un sacredote modello

Termina ufficialmente l'anno dedicato ai Sacerdoti ma che non terminino mai le nostre preghiere

Il Sacerdote.


per implorare a Gesù la Sua grazia per ogni sacerdote e il dono di nuove vocazioni.
                                               Silvia
Padre LEONE HABERSTROH
sacerdote modello
 
 
 
 
Cara Silvia,
                      raccogliendo questo tuo invito la mia mente è andata subito a un sacerdote che ha segnato la tua Vita: Padre LEONE HABERSTROH  della Società del Verbo Divino.
 
Il Cap. IX della sua biografia titola: SPECIALE SOLLECITUDINE VERSO I SACERDOTI.
 
Si legge che tra i suoi penitenti numerosi erano i sacerdoti e i religiosi. Per essi aveva una particolare cura e attenzione. Era con loro ottimista e comprensivo. La sua parola era sempre di fiducia e di incoraggiamento. Talora sembrava quasi eccessivamente benevolo e ottimista.
 
Anche se evangelicamente esigente, Padre Leone ha cercato di mostrare sempre tanta comprensione per le difficoltà e le amarezze dei sacerdoti.
 
Egli, di fronte alle forme di secolarizzazione che si rivelarono in tanti preti nel clima del postconcilio, con le numerose defezioni sacerdotali e religiose, evitava i lunghi e complicati ragionamenti. Preferiva invece puntare lo sguardo decisamente sull'esempio di Cristo. Una logica elementare la sua: se vuoi essere autentico collaboratore del Divin Maestro per salvare il mondo, devi metterti da vero seguace sulla Sua stessa strada.  Ragionamento che, naturalmente, vale anche per i laici i quali non hanno diritto a sconti speciali.
 
Usava portare l'sempio di Cristo rifiutato e inconpreso. Lo ricordava con tale affetto e lo presentava con una tale ammirevole amabiltà che anche i sacerdoti più avviliti e depressi si rianimavano.
Il suo segreto era di additare sempre un ALTO IDEALE: la santità. E il modello chi se non CRISTO?
 
Per molti anni confessore dei chierici nel Seminario Maggiore di Padova, era solito ricordare: "La santità consiste...non tanto nell'amare Dio, quanto nel lasciarsi amare da Lui, o piuttosto consiste nell'amare lasciandosi amare da Lui, accettando il Suo amore, perché accettare di essere amati significa amare, significa dare". 
 
Di lui è detto che capiva con intuitività ed immediatezza i problemi e le situazioni che gli venivano presentati; dava consigli sobri e precisi, infondeva soprattutto coraggio e fiducia liberatrice.
 
Aveva il dono della positività, quasi sconcertante, certe volte. Nella sua riservatezza, era dolce e squisitamente delicato, interiormente libero ed aperto al nuovo.
 
Viveva la spiritualità dell'Amore infinito; il cuore delle sue esortazioni era sempre la centralità di CRISTO e stimolava alla fiducia nell'azione dello Spirito Santo.
 
Fu anche ispiratore di una associazione per l'aiuto dei sacerdoti malati e anziani, in difficoltà e che si trovavano soli: "LA FONTE DI MARIA",
 
La sua è un'eredità da proporre e da accogliere.
 
Nei momenti in cui veniva manifestata nei suoi confronti la riconoscenza, Padre Leone godeva con la semplicità di un fanciullo.
 
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POTENZA DELLA PROFEZIA EVANGELICA - Don Enrico Ghezzi

Post n°3 pubblicato il 14 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

' Don Enrico Ghezzi davanti all'urna di Santa Teresa di Gesù Bambino,  quand'era parroco di Santa Melania.

POTENZA DELLA PROFEZIA EVANGELICA

Roma, Pasqua 2010.

Cari Amici,

                    Buona Pasqua!

 

Passano’ anche i miei anni, come le infinite Pasque della storia umana, tutte segnate dal ‘fulgore di luce (cfr. Lc.24,49) che riempì Gerusalemme in quel mattino del nuovo ‘eone’ (mondo).

Il ‘giardino’ (Gv.19,41) dov’era il ‘sepolcro’ di Gesù, è il nuovo ‘eden’, l’habitat della nuova creazione.

 

Vi scrivo, cosa piuttosto rara, volendovi comunicare i miei pensieri e i sentimenti circa la potenza della ‘profezia’ evangelica, che ora sembra muta, sostituita da una specie di ‘agenzia dell’etica’.

 

Nella Pasqua, finalmente risentiamo la voce potente della profezia che riempie il cuore di luce e di speranza; come scrive Giovanni, lo splendido interprete dei ‘sentimenti’ di Gesù, davanti alla passione-morte-risurrezione-glorificazione di Gesù:

 <Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine> (13,1).

Come vedete il passaggio’ (Pasqua) tra’ la morte e la gloria’, Gesù lo vive in una totale donazione di amore.

L’amore è la ‘profezia’ che ha realizzato la Chiesa fin dalle sue origini.

Possiamo ancora oggi essere Chiesa nel mondo, perché siamo stati amati ‘fino alla fine’: è l’amore di Gesù verso gli uomini, che continua ad essere la profezia, la forza e l’energia profetica che ci fa essere nel suo amore come suoi discepoli.

 Cari amici: è questa dunque la vera e unica speranza che ci unisce nel cammino quotidiano e ci rende vivi all’interno della storia umana. La ‘parola di Dio’ annunciata in Gesù e dolcemente affermata nel ‘passaggio’ pasquale, dell’ultima cena, è quella realtà che indichiamo come ‘profezia’, e che Paolo scrivendo ai Romani, a proposito del vangelo, chiama <potenza di Dio>(Rm.1,16).

 La ‘profezia’ è il ‘vangelo’ che è ‘potenza di Dio’ dove sappiamo ‘di essere amati da Dio’ ( Rm 1,7).

L’essere nell’amore di Gesù è la nostra fede e la nostra ‘profezia’ che non può venire meno.

 Leggendo e contemplando il ‘testamento di Gesù, come Giovanni ci tramanda nei capitoli 13-17, noi possiamo ‘affidarcialla Parola che in noi si trasforma in ‘profezia’: un annuncio pieno di speranza.

Scrive dunque Giovanni, raccontando anche a noi, le parole e i sentimenti di Gesù:  

  • <Non sia turbato il vostro cuore…>(14,1),
  • <Non vi lascerò orfani, verrò di nuovo>(14,18),
  • <Pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga sempre con voi, lo Spirito della verità>(14,15-16), <rimanete nel mio amore>(15,9>,
  •  <Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati>(15,12).

Mai così apertamente Gesù, come in queste ‘parole’ di addio, ci comunica il dono della nostra partecipazione alla stessa vita trinitaria: comunione in Gesù e nel Padre mediante l’amore dello Spirito.

Quale altra energia divina e profetica poteva trasmetterci Gesù? Entriamo, con le sue ‘parole’, nell’intimo del mistero di Dio!

 Quello di Gesù poi, è un amore che ‘arde e non si consuma’ ( Li amò fino alla fine’), come nell’esperienza di Mosè, davanti al roveto ardente del Sinai( Es.3,2) dove il nome di Dio è rivelato come ‘Essere (Es.3,14); ora anche Gesù, nella sua comunione con Dio, ce ne rivela la sua intima natura: Dio è Padre, e noi siamo messi in comunione di amore col Padre:

 <Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui >(14,23).

 Cari amici, è questa la ‘nostra Pasqua’.

Questa verità è la nostra profezia, cioè la presenza in noi della Parola di Gesù, che può trasformare la vita da pigra, inquieta, informe e stanca della nostra quotidianità, anche quando facciamo parte della chiesa, in una nuova rinascita di grazia e di speranza.

 La Pasqua dunque, è questo nostro ‘passaggio’ dalla sfiducia alla speranza, dalla banalità di gesti e parole, alla luce della grazia che si rinnova nella gioia della fede, dallo smarrimento alla bellezza della contemplazione, dall’inerzia della mediocrità alla passione della verità vissuta nella carità e nella misericordia.

Ecco perché non possiamo stare nella chiesa con un atteggiamento che sia soltanto di rimorchio e di accondiscendenza alla gestione clericale della vita sacramentale, dove spesso anche la Parola è piuttosto balbettata o maltrattata o piegata a fini particolari e rimane Parola senza speranza.

Se così avviene, dove poter fondare la certezza e la ragione della nostra fede, della nostra conversione, della nostra permanenza nella grazia della Parola di Gesù?

 Come vivere concretamente in noi l’immagine di comunione tra la vite e i tralci’, descritta ancora con tanta intensità nelle parole del ‘testamento’ di Gesù?

 <Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena> (15,11).

Tutto questo per dire che la nostra fede e la speranza nel vangelo debbono avere risposte e testimonianze autorevoli a partire da coloro che Gesù, nella liturgia del ‘giovedì santo’ che stiamo vivendo proprio in queste ore, ha scelto perché siano al servizio di tutta la comunità cristiana:

< Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.> (Gv..13,14.15).

Perché dunque continuare ad essere dubbiosi, incerti, scontenti, stanchi, indifferenti, arrabbiati con la nostre chiese o con la società, quando troviamo nel messaggio pasquale di Gesù tutta la forza, l’energia divina, la potenza che danno <ragione alla nostra speranza>(1Pt. 3,15), come ricorda la lettera di Pietro ai primi cristiani?

E’ lo stesso Gesù che nel suo grande testamento ci dona le ragioni della ‘nostra speranza’: mai infatti, come nei capitoli di Giovanni che abbiamo continuamente indicato, Gesù ci dà la ragione della profezia che dobbiamo testimoniare: ci è stato infatti donato il dono del Paraclito, dello Spirito di verità, dello Spirito che è amore:

<Quando verrà il Paraclito che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli vi darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me, fin dal principio>(15,26-27).

  •  Non è forse questo il dono trinitario della Pasqua che ci è dato come ‘pienezza e compimento’ di tutta la rivelazione cristiana e della nostra fede?
  • Perché nascondere o vanificare i doni di Dio seminati nel nostro cuore?
  • Perché trascinare spesso una vita cristiana o parrocchiale senza dare un senso o una progettualità alla nostra fede?
  • Perché sopravvivere interi anni nella indifferenza o nella stanchezza di una vita spirituale che non abbiamo mai vissuto? 
  • Ci sarà data allora una speranza che la festa pasquale’ sulla quale si è formata e cresciuta la chiesa, possa passare’ trascinandoci fuori da una vita spirituale mediocre e insignificante?
  • Continuando a restare nelle nostre case, gestendo la nostra vita quotidiana nel lavoro, nella professione, nella famiglia e nella società, potremo mai arrivare a condurre anche per noi stessi, una vita cristiana nella speranza, nella pace e nella gioia di una esistenza religiosa che non sia mortificata, o limitata dagli schemi prefabbricati, dall’esercizio un po’ logoro delle messe, dei sacramenti e dalle attività che ci vorrebbero coinvolgere ma che restano prive di interessi, di motivazioni interiori, infarciti da quel devozionalismo religioso su cui sembra sempre più scivolare la pratica delle nostre comunità religiose?
  • C’è insomma una possibilità di ridare vita, profondità, entusiasmo al nostro contenuto della fede?

 

Questo potrebbe essere il nucleo di un mio progetto che vorrebbe indicare nella potenza della Parola’ la riscoperta delle radici della nostra fede e del nostro continuare ad essere credenti al messaggio del vangelo di Gesù.

Ritornare ad essere il ‘popolo della Parola’.

Ricordo qui che la Parola

  • è il Verbo di Dio nella carne,
  • è Gesù Cristo Figlio di Dio,
  • è l’Eucaristia,
  • è il Cristo nella liturgia,
  • è lo Spirito di Dio in noi e nella chiesa.

 La riscoperta nella vita e nella nostra pratica religiosa, di questo ‘fuoco divino’ donato da Dio durante il progredire del suo disegno nella storia degli uomini e di tutto il cosmo, attraverso il Verbo che è Gesù, può aiutarci a uscire dall’incertezza e dall’indifferenza che sta avvolgendo una grande parte anche del mondo cristiano.

 L’alternativa sembrano gruppi e movimenti che invadono la chiesa con fanatismo e intolleranza, togliendo libertà ad altre esperienze religiose e personali, arrivando perfino ad escludere intere parti del popolo dalla fraternità e dalla carità.

 Una situazione questa che ormai, per molta gente, sta diventando intollerante. Col tempo rischia di fare della chiesa ‘popolo di Dio’ una chiesa di gruppi o addirittura di ‘sette’.

 Vorrei con tutto il cuore, che i Vescovi, proposti dalla tradizione a vegliare sulla genuinità delle fede, aprissero gli occhi a tali deformazioni del popolo di Dio: già Paolo fece una triste esperienza delle divisioni nelle comunità che lui stesso aveva fondato come appare chiaro nella chiesa dei Galati: <O stolti Galati, chi vi incantato>?(Gal.3,1).  

Vorrei continuare su queste riflessioni che sono nate in me nel mattino del Giovedì santo (1° aprile) e trascritte prima della messa ‘nella cena del Signore’, qui in questa chiesa della Madonna dell’Orto che molti di voi ormai conoscono.

Cosa dunque vorrei proporre alla fine di questi pensieri?

Cerco di sintetizzare in qualche punto.

  1. Allargare quello che già facciamo negli incontri del lunedì dei tempi forti, a nuove persone interessate, usando gli strumenti moderni di Internet per diffondere la ‘notizia’.

  2. Comunicare ad amici e conoscenti che trovano difficoltà nel rapporto con le chiese o sono delusi dalla presentazione della parola sul Verbo di Dio, la possibilità di un ascolto attento e condiviso.

  3. Ridonare luce e potenza alla parola di Dio, a quanti avvertono con sofferenza la monotonia delle celebrazioni, sempre più infarcite da gestualità formali e da un apparato esteriore che rasenta la spettacolarità teatrale.

  4. Riscoprire nella Parola celebrata e annunciata la presenza della Sapienza di Dio e dell’unzione dello Spirito.

  5. Ritrovare nella Parola il ‘fuoco divino già presente in ogni persona mediante la potenza creatrice di Dio e ora rivelata nel Verbo per il quale < tutto è stato fatto> e <In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini> (Gv 1,3.4).

  6. Essere al servizio della Parola per tutti coloro che chiedono di ‘ascoltare’ la voce di Dio, senza gli estremismi del radicalismo esasperato, dove alla grazia viene spesso ribadita soltanto l’assoluta pesantezza del peccato, come se Gesù ancora non fosse venuto in mezzo a noi con la sua misericordia (cfr. Lc 15).

  7. Stabilire, in un tempo breve, una domenica pomeridiana per una ‘assemblea’ che indichi i nostri scopi e il nostro servizio.

 

L’invito è rivolto a tutti, come faceva Gesù: ai piccoli, ai poveri, ai malati, ai peccatori, ai dubbiosi, ai delusi della chiesa, ai lontani indifferenti, ai non-credenti, ai praticanti abituali che non provano nessuna emozione, ai periferici stanchi e demotivati da ogni speranza, ai devozionisti ai quali manca il Cristo nella loro vita.

Ho scritto questi appunti, oggi giovedì santo, ripensando a Gesù presente tra noi nell’eucaristia e nel sacerdozio, di fronte ormai alla passione del venerdì santo di domani che vede le sofferenze di tutti gli uomini riunite nella croce e nel corpo di Cristo confortato dalla madre, dalle altre donne e da Giovanni, il discepolo amato (cfr. Gv.19,25-27).

 Ora, ripensate con calma e sapienza le proposte che ho suggerito.

 Vi ringrazio e vi rinnovo la speranza della Pasqua, l’annuncio del sepolcro vuoto nel racconto di tutti i quattro evangelisti, con le apparizioni del Signore risorto.

 Con affetto. Don Enrico.

 Il mio indirizzo elettronico: donenrico.ghezzi@libero.it In attesa di risposte e proposte.

 >>>>GHEZZI Don ENRICO<<<<< 

   

 

 

 
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"PROFETI" DEL XX SECOLO -Presentazione di Luciano Monari

Post n°4 pubblicato il 14 Giugno 2010 da angeloglobulirossi
Foto di angeloglobulirossi

  

All rights reserved to legal owner.Don Giancarlo Conte
Editrice Berti

"Profeti" del XX Secolo

Volume di 260 pag. - Finito di stampare nel maggio 2010,presso Grafiche Lama - Piacenza

Fonte come da titolazione, rilevato da Ciani Vittorio x l'Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.

Luciano Monari vescovo di Brescia

Presentazione

Ho riletto con piacere questi ventidue ritratti che don Conte ha intitolato: "Profeti del XX secolo." Don Giancarlo scrive bene, in modo chiaro, gradevole da leggere, come un buon giornalista. Ma, soprattutto, questi ventitrè medaglioni scrivono un pezzo della storia ecclesiale italiana, quel pezzo nel quale sono direttamente coinvolto. In questo modo, scorrendo le pagine, ho ripercorso tanti anni della mia vita: la semplicità iniziale, le speranze, a volte le illusioni, le fatiche, le delusioni, le conversioni... Sono stati anni complessi per la Chiesa italiana e per ciascuno di noi e ne diventiamo sempre più consapevoli. Ma nello stesso tempo sono stati anni fecondi, di gestazione. «Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).

Queste parole del Secondo Isaia risuonano ancora ai nostri orecchi come invito a capire bene il tempo in cui viviamo, a saper intravedere il disegno che Dio traccia attraverso tutto il nostro impegno e anche attraverso il nostro peccato. Siamo stati, siamo protagonisti di una storia che ha senso, che tende a una pienezza. Non siamo sicuri di aver imbroccato la strada giusta; anzi, a volte abbiamo l'impressione di stare percorrendo un vicolo cieco, che non ha uscite. È allora bene che ci fermiamo a prendere fiato, a riflettere, a smascherare e correggere i nostri pregiudizi, a costruire idee che rispondano davvero alla realtà e non ai nostri desideri. Per questo sono grato a don Giancarlo per l'impegno che ha messo nello stendere queste pagine; anche questo è un servizio che ci aiuta a camminare e a crescere.

Il messaggio positivo che ho colto dalla lettura di questo libro è semplicissimo: in questi anni che abbiamo passato ci sono stati dei veri profeti in mezzo a noi e ne siamo consolati. Vuol dire che lo Spirito non ha abbandonato la Chiesa italiana: nonostante i nostri peccati e le nostre infedeltà, lo Spirito continua a soffiare e questo rende possibile la speranza. Il mondo in cui viviamo è difficile da capire e ancor più difficile da orientare, ma lo Spirito continua a soffiare; sentiamo la stanchezza di una corsa che ci ha tolto il fiato, ma lo Spirito continua a soffiare; soffriamo di una sordità selettiva per cui non riusciamo a distinguere alcuni suoni, ma lo Spirito continua a soffiare.

Insomma, se guardiamo dai tetti in giù siamo costretti a confessare col Qohelet: «Vanità delle vanità (...); non c'è niente di nuovo sotto il sole.» (Qo 1,1.9). Ma se riusciamo a sollevare lo sguardo, non mancano i segni della vicinanza attiva di Dio; non siamo costretti a rimpiangere la parola dei profeti del passato; ci sono ancora profeti tra noi, c'è ancora per noi la possibilità di ascoltare la parola di Dio che illumina gli eventi alla luce del Vangelo.

Ma qui nascono una serie di interessanti interrogativi. Don Conte pone tra i profeti Giuseppe Dossetti e Alcide De Gasperi. Tutti sanno che Dossetti è stato l'oppositore politico di De Gasperi all'interno della Democrazia Cristiana e che quindi la visione politica dei due era effettivamente diversa; profeti entrambi? Ancora: ricorda don Conte l'impegno di De Gasperi per la CED, la Comunità Europea di Difesa, cioè in pratica la formazione di un esercito europeo; d'altra parte un altro profeta, Tonino Bello, esorta i soldati a interrogare la propria coscienza sulla legittimità dell'uso delle armi: profeti entrambi?

Don Conte ha fatto chiaramente una scelta nelle testimonianze che presenta. Qualcuno potrebbe aggiungere altre figure che non coincidono 'ideologicamente' con quelle presentate; penso, ad esempio, a figure come don Gnocchi, o il card. Dalla Costa o, addirittura, Giovanni Paolo II.

Non m'interessa ora definire i criteri che permettono di qualificare qualcuno 'profeta'. M'interessa ricordare che ci possono essere profeti con interpretazioni diverse (anche contrapposte?) della realtà. Se questo è vero, ne segue che non esiste un'unica interpretazione vera del tempo presente, un'interpretazione che renderebbe false tutte le altre interpretazioni.

Esistono diverse possibili interpretazioni che si ispirano al Vangelo e che, con la luce del Vangelo, cercano di illuminare la realtà. Sono molto belle le parole con cui il card. Martini presenta la figura di padre Turoldo (pag. 213): molto belle perché non canonizzano padre Turoldo, non ne assolutizzano le posizioni. Al contrario inseriscono queste posizioni nel dramma complessivo della sua vita, della sua personalità. Ai profeti non possiamo chiedere che ci diano posizioni definitive da tenere nei confronti della storia; dobbiamo piuttosto lasciarci stimolare da loro, dalla loro fedeltà al Vangelo, dalla loro apertura alla realtà per fare noi stessi, in modo responsabile, il cammino difficile ma necessario del discernimento.

Un'ultima osservazione: nel libro di don Conte la gerarchia non fa una gran bella figura. Non sono pochi i casi in cui l'autore presenta una gerarchia arroccata in difesa di abitudini o sicurezze del passato e incapace di capire il nuovo della profezia. Non mi metto ora a difendere la gerarchia perché mi si potrebbe accusare di essere Cicero pro domo sua. Ma mi sembra utile insinuare almeno qualche dubbio.

Un primo campo in cui la gerarchia pare a don Conte cieca e sorda è quello del rapporto col comunismo. Pio XII sembra addirittura ossessionato dal pericolo comunista, mentre, suppone don Conte, sarebbe stata necessaria una posizione più flessibile. Naturalmente non sono in grado di entrare nell'analisi storica di tutte le posizioni prese dai vescovi italiani. Mi sembra però necessario distinguere due piani: quello pastorale e quello politico.

Che pastoralmente si dovesse essere attenti a ciascuno, ai motivi per cui ciascun comunista sceglieva di essere tale, alle strategie migliori per relativizzare l'equazione: ricerca di giustizia sociale = adesione al comunismo, sono cose verissime. Ma non si può dimenticare quale fosse la realtà effettiva. Se nel '48 l'Italia avesse scelto il comunismo, il futuro non sarebbe stato gradevole né per la Chiesa e nemmeno per le masse operaie: è vero o no? E se la risposta è: sì, è vero; allora dobbiamo essere anzitutto grati a coloro che hanno operato perché questa disgrazia non avvenisse.

Questi hanno operato non solo per il bene della Chiesa, ma dell'Italia e anche degli operai. È vero che l'adesione al comunismo era per molti solo una scelta di giustizia sociale; ma è altrettanto vero che questa adesione era politicamente usata per far prevalere un partito di osservanza comunista e sovietica (il memoriale di Yalta era ancora là da venire!).

Voglio dire allora che alcuni dei personaggi presentati da don Conte non erano veri profeti? No: sono convinto che fossero davvero profeti; ma non si deve per questo prendere il loro messaggio come se fosse vero in modo ultimativo. Era vero perché ricordava con passione evangelica un atteggiamento necessario di attenzione alle persone; ma richiedeva di essere integrato con l'attenzione ad altre dimensioni della realtà.

Un secondo tema spinoso che torna frequentemente è naturalmente quello della pace. Dovremmo riuscire a essere tutti d'accordo perché è difficile trovare oggi chi abbia un'ideologia bellicosa del tipo di quella di Eraclito: la guerra è la madre di tutte le cose. E invece proprio sul tema stesso della pace rischiamo di farci guerra.

Parlando di Tonino Bello, don Conte ricorda la sua opposizione radicale all'uso della forza e le contrappone la posizione della CEI (Ruini): "Le scelte politiche non ci competono" o di altri vescovi (Biffi, Saldarmi...): "Pace sì, pacifismo no." Naturalmente l'autore ci spinge a condividere la posizione di Tonino Bello, a considerare diplomatica quella di Ruini, evangelicamente ambigua quella di Biffi e Saldarini.

In un suo recente e prezioso libretto il card. Martino distingue tra pacifismo profetico e pacifismo politico. Il pacifismo profetico sogna il mondo come deve essere, giusto e pacifico; e, a partire da questo sogno, critica il presente con le sue violenze. Il pacifismo politico esamina la realtà e si propone i passi possibili verso un mondo più giusto e in pace. Il pacifismo profetico può dire con Isaia che le spade debbono essere trasformate in vomeri e le lance in falci (ricordando che Isaia dice: 'alla fine dei giorni'); ma il pacifismo politico deve necessariamente interrogarsi sulla liceità e i modi dell'uso della forza. Se non fa questo, se s'illude sognando un mondo senza violenza, non fa il bene dell'uomo ma prepara solo ingiustizie maggiori per i più deboli.

La società ha bisogno delle due forme di pacifismo: di quella profetica perché spezza gli equilibri consolidati e nutre il desiderio di mete nuove; di quella politica perché rende effettivo il cammino verso la pace. Abbiamo quindi bisogno di tutti quei profeti che don Conte richiama. Ma sarebbe pericoloso usare questi profeti per dichiarare non evangelica la posizione di chi fa pazientemente i conti con la realtà.

Grazie a Dio ci sono ancora profeti in mezzo a noi: a proposito di loro Paolo scriveva ai Corinzi: «Tutti potete profetare, uno alla volta, perché tutti possano imparare ed essere esortati. Ma le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti, perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace.» (l Cor 14,31-33)

† Mons. Luciano Monari,
Vescovo Brescia


 

Don Giancarlo Conte si sente un fante della Chiesa

 

All rights reserved to legal owner."Io sono nato prete": parola di don Giancarlo Conte. Il quale racconta che a 8 anni si faceva l'altarino (mentre il fratello Ubaldo giocava col teatrino dei burattini). E' stato chierichetto fino a 16 anni, pensando sempre di fare il prete. "La mia vita - dice - è sempre stata orientata in questo senso". Ha fatto il ginnasio e la prima liceo classico al "Gioia" (suo compagno di banco era Piergiorgio Bellocchio), poi a 18 anni e mezzo entra in seminario al Collegio Alberoni e nel 1955 è consacrato sacerdote. Oggi ha 74 anni ben portati e se gli chiedete come si sente un prete della sua età alla vigilia del 50° anniversario dell'ordinazione sacerdotale, risponde che si sente un vecchio prete, ma non un prete vecchio.

All rights reserved to legal owner.Don Conte viene da una famiglia più che numerosa, affollata, undicesimo di 14 figli. E' nato a Treviso, il padre veneziano era colonnello dell'esercito (la sua fotografia in uniforme la tiene accanto a sè sul suo tavolo di lavoro); la madre umbra era nativa di Gubbio. La sua famiglia si è trasferita a Piacenza nel '36; da allora non ha più lasciato la nostra provincia.

"Un fante della Chiesa", si è definito una volta. "Sì - spiega - forse la parola fante mi viene dal vocabolario paterno, anche mio padre Angelo era di fanteria, nell'esercito considerata l'arma delle grandi fatiche, quella che è sempre in campo. Nella Chiesa ci sono i teologi, i maestri di spiritualità, i diplomatici e ci sono pure i fanti, ossia i parroci, i preti non specialisti, ma sempre in trincea, a quotidiano contatto con il popolo, con la gente di ogni età e condizione. Mai e poi mai avrei fatto il prete se non per fare il parroco".

Curato, parroco ed anche insegnante in istituti scolastici statali. E tornando ai suoi verdi 74 anni, sentiamolo mentre dice: "Con la mia gente mi chiamo da solo vecchietto, ma devo dire che non mi sento affatto vecchio. Gioco, scherzo e rido coi bambini e i ragazzi come facevo 50 anni fa, sono tifoso della Juve come ai tempi del ginnasio e poi leggo moltissimo e riesco a tenermi aggiornato come avessi 20 anni".

 
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CONTE DON GIANCARLO: felice di fare il prete - Intervista Umberto Fava

Post n°5 pubblicato il 14 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

Conte don Giancarlo: felice di fare il prete

 Di Umberto Fava

Fin da rAll rights reserved to legal owner.agazzo ha avuto tre sogni circa il suo domani: fare il prete, l'insegnante o il giornalista. Ha scelto di fare il prete, ma si è accorto che, facendo il prete, poteva essere anche insegnante, e non solo a scuola, e scrivere pure sui giornali.
Parliamo di don Giancarlo Conte, da 33 anni parroco di San Giuseppe Operaio alla Galleana, la popolosa parrocchia (oggi 8.500-9.000 anime) nata con lui nell'ottobre del 1971. Dove c'era il nulla, i prati della periferia cittadina, ha creato la nuova chiesa (la prima - piccola e provvisoria - aveva trovato ospitalità nell'asilo San Giuseppe ora scomparso), l'oratorio-canonica, il campetto sportivo e il periodico mensile "Camminiamo insieme". Fra le iniziative da lui varate ci sono la casa per vacanze e ritiri spirituali ricavata nella vecchia canonica di Pieve Stadera, a 600 metri sulle colline di Nibbiano; e poi la casa vacanza di Vigo di Fassa, in Trentino, la "favolosa Vigo", che da 43 anni si porta amorevolmente nel cuore, da quando era ancora curato a Pianello e poi quando era collaboratore alla Santissima Trinità fino ad oggi. La casa in Val di Fassa è stata recentemente acquistata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano e data in uso gratuito alla parrocchia di San Giuseppe Operaio. Don Conte, uno dei pochi preti che portano ancora la tonaca, figura alta e sottile e capelli che gli anni hanno imbiancato e che spiccano sul nero dell'abito talare.

Neppure il vescovo quando si muove per la città porta la tonaca. Il fatto di averla conservata può essere visto come il segno di una mentalità o di una attitudine conservatrice?
"Se conservatore vuol dire tradizionalista a tutti i costi, direi assolutamente di no. La veste non è per me un problema ideologico o una scelta di anticonformismo. Per quello che riguarda la cura della mia persona sono piuttosto un pigro, e con la veste mi sento sempre a posto".

E non ci inciampa mai?
(sorridendo) "No, mai. E non mi dà neanche fastidio".

Nemmeno quando deve abbottonare tutti quei bottoni?
(sempre sorridendo) "No, anzi mi dà qualche vantaggio".

E quale?
"Non sa da quante multe di polizia, vigili urbani e carabinieri mi ha salvato".

Da 33 anni (l'età di Nostro Signore) parroco di San Giuseppe Operaio, la parrocchia di cui � stato fondatore e che le ha fatto diventare i capelli bianchi.
"Per un prete poter dare vita ad una nuova parrocchia penso sia una delle gioie più grandi. E' un'impresa, un impegno che porta preoccupazioni e problemi, ma che nel tempo, se sei riuscito a tirarti dietro una comunità, senti che ti ha riempito la vita".

Non ha mai desiderato altre realtà parrocchiali magari più importanti, incarichi diocesani più prestigiosi?
"Assolutamente no. Quando un parroco ha un popolo come il mio, non può ambire ad altro".

Il problema, o i problemi, che ha incontrato quando è arrivato qui; e quelli con cui ha a che fare oggi.
"Nel '71, quando l'indimenticabile vescovo Manfredini mi affidò l'incarico di fondare la nuova comunità parrocchiale, erano anni difficili. Eravamo sulla scia del '68 e della contestazione giovanile. Mi accorsi presto di quanto fosse importante iniziare bene con giovani cristianamente formati e con la testa a posto. Me li ero per così dire tirati su nelle due estati precedenti a Vigo, perchè diventassero il nucleo di partenza di una comunità nuova, coraggiosa e libera da quelle tentazioni estreme per cui tutto il cristianesimo era orientato solo verso il sociale".

Come andò?
"Ci fu chi tentò, venendo da fuori parrocchia, di farci deviare, ma riuscimmo, i giovani ed io, a mantener fede ai nostri progetti: aiutare i ragazzi dell'allora Villa Grilli, delle Case Minime e di via Zanetti a comprendere che c'era un altro mondo oltre quello della strada e dei bar. Quelli erano tre piccoli quartieri che contavano allora complessivamente mille abitanti, 150 dei quali bambini e ragazzi, e Vigo fu la casa della Provvidenza dove tutti i 150 sono passati e dove hanno certamente ricevuto una spinta a migliorare. E poi c'era la povertà di tanta gente, una povertà vera, che però non rendeva triste o cattiva la vita".

I problemi di oggi?
"Oggi i problemi sono quelli di tutto il mondo cristiano. Non ci sono più, cioè, problemi specifici di questo quartiere, ma quelli generali di una società cresciuta nel benessere, ma insoddisfatta, e che agli ideali dei decenni precedenti ha anteposto l'interesse economico. Ne consegue un abbandono della pratica religiosa abbastanza notevole, ma che in questi ultimi anni mi pare si sia fatto più contenuto. Poi c'è l'enorme problema giovanile".

I giovani sono cambiati? E in che modo?
"I giovani sono cambiati moltissimo, ma questo non vuol dire che siano peggiorati. Il cambiamento è forte sia nel bene che nel male. La crisi della famiglia (separazioni e divorzi, calo delle nascite) indubbiamente si riversa sui giovani, i quali rimangono tuttavia legatissimi alla famiglia".

Cambia la famiglia e cambiano i giovani.
"Sì. Religiosamente parlando, dei miei giovani devo dire che, pur essendoci una gran parte che vive ai margini della chiesa, c'è anche un gruppo consistente che resta in parrocchia anche dopo la Cresima. Questo è frutto delle scelte pastorali compiute fin dagli albori della parrocchia, grazie ai giovani meravigliosi che mi hanno aiutato e che io considero i cofondatori di San Giuseppe Operaio".

In questa prospettiva quanta importanza hanno avuto Vigo di Fassa e Pieve Stadera?
"Vigo salta sempre fuori perchè, offrendo la possibilità di belle esperienze comunitarie, permette ai ragazzi di conoscere la Chiesa nella sua vera natura di comunità. Il prete conosce i ragazzi e i ragazzi vedono il prete in una dimensione più ravvicinata e familiare. Gli incontri di preghiera, le messe al campo durante le gite, i momenti di confronto e di riflessione creano un clima che è "esportabile" anche in città. Non c'è un discorso a Piacenza e un altro a Vigo: c'è una continuità e un legame che creano vicinanza e amicizia".

E Pieve Stadera?
"Pieve è un Vigo a pochi chilometri da casa. La sua storia è legata a mons. Manfredini. Quando venne meno nel 1980 la possibilità dei soggiorni estivi prima a Rezzanello e poi a Roncovero di Bettola, il vescovo, che teneva moltissimo a questa iniziativa a favore dei più piccoli che non potevano salire a Vigo, un giorno mi disse: vai a vedere Pieve di Stadera. Andai a vedere e subito nel luglio di quell'anno con un campo di lavoro di giovani volontari abbiamo reso abitabile la canonica, tanto che a dicembre cominciarono i ritiri per ragazzi e giovani e nell'estate successiva i soggiorni residenziali. Pieve è soprattutto una casa di incontri spirituali: ogni sabato una quarantina di ragazzi vi sale con me per il ritiro. Poi ci sono i soggiorni estivi di tre settimane per i bambini e quelli per gli anziani. E' una preziosa struttura che serve anche ad altre parrocchie".

Prima curato a Pianello, poi collaboratore di don Antonio Tagliaferri alla Santissima Trinit� a Piacenza: due tappe fondamentali del suo cammino sacerdotale.
"Pianello rimane nella mia memoria come la luna di miele nei ricordi degli sposi: sette anni in un paese che mi ha accolto e amato come forse oggi non accade più; un paese dove, anche per merito dell'intelligente parroco mons. Luigi Molinari, mi è stato possibile esercitare il mio compito di prete in ogni campo e con grande libertà di azione. Là iniziai quelli che diventeranno i capisaldi di tutta la mia vita di prete: i ritiri spirituali di ragazzi e giovani, i campeggi, le riunioni dei genitori e poi il bollettino parrocchiale. Là insomma ero il "siur curatt", il pretino che non è il garzone, ma il prete giovane che porta vivacità e novità.

E alla Santissima Trinità?
"A Pianello erano anni più facili, c'era un fondo solido di religiosità tradizionale che consentiva però anche cose nuove. Il passaggio alla Santissima Trinità non mi è stato difficile, anche se mi ha spalancato davanti un mondo più vasto e complesso. Lavoravo con catechisti meravigliosi e ben preparati (a catechismo venivano 1500 bambini), gruppi di giovani, varie associazioni. Don Antonio mi concesse la sua fiducia e così potei realizzare la riapertura dell'oratorio e proseguire sulla strada di Vigo. Ho potuto fare esperienze nuove e irripetibili, come la crociata della bontà e i tornei notturni di calcio".

Dopo questi due capitoli si è aperta la fase dell'insegnamento.
"Ritengo che l'esperienza di sei anni nelle scuole superiori mi abbia aiutato a conoscere meglio il mondo giovanile coi suoi problemi proprio negli anni cruciali del dopo-Concilio, del post-Sessantotto e della contestazione".

A quanti giovani curati ha fatto da chioccia?
"La parrocchia di San Giuseppe Operaio nata nel '71 non ha avuto subito un curato. Il primo fu don Francesco Gandolfi (attualmente parroco di Mezzano Scotti e assistente degli allievi di polizia), che mi venne assegnato nell'ottobre del '75. Dopo di lui altri sette: il penultimo don Paolo Camminati, ora assistente dell'Azione Cattolica, e l'attuale don Gianluca Barocelli, consacrato prete lo scorso giugno".

Lei è prete con la tonaca, ma anche con la penna. Non sfuggono i suoi interventi sui giornali (anche su Libertà) su problemi spesso di scottante attualità.
"Fin da seminarista ho collaborato col bollettino parrocchiale di San Lazzaro, e poi via via da prete con quello di Pianello, col Richiamo della Santissima Trinità e poi col Nuovo Giornale col quale tuttora collaboro settimanalmente. Ho scritto abbastanza spesso su Avvenire e meno frequentemente sul Popolo e da qualche anno anche su Libertà. Le preferenze vanno a problemi religiosi, ma non mi sono mai tirato indietro dal trattare anche temi sociali, di costume, di parapolitica, argomenti sui quali sento l'opportunità o la necessità d'intervenire. Scrivendo mi sento sempre e prima di tutto prete, e credo che essere prete non mi impedisca di esprimermi anche su temi non strettamente ecclesiali. Nel fare questo combatto delle idee che mi sembrano sbagliate, ma rispetto le persone. Credo di non aver mai avuto nemici con cui battagliare, ma ideologie a cui oppormi".

Si considera un parroco felice, un prete a cui piace lavorare.
"L'essere attivo fa un po' parte della mia natura. Diventato prete, ho trovato anche i motivi ideali per dedicarmi con tutte le forze al mio lavoro. Il mio stato di felicità dipende molto oltre che dal mio temperamento anche dalla situazione di parrocchia e di popolo in cui sono".

Il breviario: lo leggeva don Abbondio (nella celebre scena dei Promessi Sposi). I preti lo leggono ancora? Lei?
"M'immagina leggere il breviario in viale Martiri della Resistenza? Anch'io quand'ero curato a Pianello lo recitavo per strada col parroco. Ma i tempi sono cambiati. Oggi lo recito al mattino presto o alla sera in chiesa o in casa insieme al curato. Per i preti è un libro molto importante. Vede? (Mi mostra il breviario) E' per questo che a furia di sfogliarlo si consuma così tanto.

 
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La "bella ragazza" di Medjugorje - Don Giancarlo Conte

Post n°7 pubblicato il 20 Giugno 2010 da angeloglobulirossi
Foto di angeloglobulirossi

Madonna di Medjiugorje

 Immagine scattata a Medjugorje dal signor Giuseppe Tomarchio di Mascali (Catania) il giorno 01 agosto 2009 alle ore 15,06 al volto della statua che si trova dentro la chiesa di Medjugorje.

LA "BELLA RAGAZZA" di Medjugorje

La storia delle apparizioni della Madonna

 

di DON GIANCARLO CONTE

All rights reserved to legal owner.Per la terza volta sono stato a Medjugorje nei giorni scorsi, con il confratello don Giuseppe Castelli e un gruppo di venti amici. Quella storia mi ha colpito fin dall'inizio (1981): i sei ragazzi che dicono di vedere la Madonna mi offrono il convincimento di essere attendibili e dotati di sincera genuinità. È vero che l'approvazione della Chiesa tarda a venire, ma riflettendo sulle due grandi apparizioni precedenti - Lourdes (1858) e Fatima (1917) - non mi meraviglio troppo. L'antica saggia prudenza della Chiesa e la sua fatica nell'accettare le "apparizioni" - in questo nostro tempo ipercritico e restio al soprannaturale - giustificano la cautela. Anche se - è il parere di illustri teologi e pastori - le fanno correre il rischio di eccessiva severità.

C'è una ulteriore ragione che giustifica la prudenza della Chiesa: le apparizioni sono ancora in corso e ciò la induce a rimandare il giudizio definitivo a quando esse si saranno concluse. La buona fede dei protagonisti - i veggenti e i loro preti - e le testimonianze di un elevato numero di studiosi, preti, Vescovi e Cardinali recatisi a Medjugorje mi rendono dunque sereno nell' accogliere le apparizioni di Medjugorje come tali. Anche se come cristiano e prete ne sarò convinto in modo assoluto solo quando la Chiesa avrà pronunciato nel nome di Cristo il verdetto definitivo.

MEDJUGORJE, IL LUOGO - Un paesino di mille anime, annidato ai piedi di due colline (Križevac e Podbrdo) da cui deriva il nome Medjugorje che significa "fra due monti". Una piccola comunità di contadini che riescono a sopravvivere in qualche modo con il duro lavoro della coltivazione del tabacco e della vite. Attualmente fa parte della Repubblica Federale di Bosnia ed Erzegovina, estesa il doppio del nostro Piemonte, con circa quattro milioni di abitanti, con Sarajevo per capitale. La cartina geografica a fondo pagina ci mostra Medjugorje al di là dell'Adriatico all'altezza pressappoco del nostro Abruzzo.

LE PRIME APPARIZIONI - Tutto inizia nel pomeriggio di mercoledì 24 Giugno 1981. Sei ragazzi (Ivanka, quindicenne; Vicka, Miriana e Ivan sedicenni più Ivan ventenne e Milka dodicenne) si trovano a vivere un'esperienza straordinaria. Giunti per caso su una collina sassosa, chiamata Podbrdo, diranno di aver visto la Madonna duecento metri da loro: è una meravigliosa figura luminosa di donna con un bambino in braccio.

La visione non parla, fa solo segno con la mano ai ragazzi di avvicinarsi, ma nessuno di loro si muove. Stupore e terrore ma anche entusiasmo li fanno correre a casa. La figura "scompare". Sono le 18.15: l'"apparizione" dura solo pochi minuti. Quando i ragazzi raccontano ai genitori l'accaduto essi si spaventano e ordinano loro di stare zitti. Ci troviamo infatti in un paese comunista in cui i ragazzi a scuola sono ancora costretti a imparare a memoria frasi intere di Lenin, che escludono fede e miracoli.

La clamorosa notizia però passa di bocca in bocca per tutto il paese, tanto che nel pomeriggio dell'indomani giovedì 25 giugno un consistente gruppo di persone si raccoglie sulla collina. Fra di loro ci sono quattro dei sei ragazzi della sera prima (due sono trattenuti in casa per timore dai genitori) più due che si uniscono loro: Marija, sedicenne e Jakov di dieci anni, l'unico bimbo fra tanti adolescenti. Si forma così il sestetto che poi diverrà stabile dei sei testimoni "scelti" dalla Vergine.

Anche stavolta la figura luminosa fa segno ai ragazzi di avvicinarsi ed essi eccitati corrono verso la cima del monte. Vengono scambiate le prime domande semplici e familiari. Ivanka, cui è morta la mamma da appena due mesi chiede: "Dove si trova mia mamma?". L'apparizione le risponde: "È felice, si trova con me in Paradiso". E aggiunge: "Tua madre desidera che tu sia obbediente con la nonna". Un altro domanda: "Perché hai scelto proprio noi che non abbiamo niente di speciale?" E Lei, sorridendo: "Non scelgo i migliori". Miriana le chiede: "Tornerai?" la Signora annuisce con il capo e scompare. Il pomeriggio seguente - venerdì 26 giugno - più di mille persone, richiamate anche da una forte luminosità che proviene dalla collina (luce straordinaria vista da molti testimoni, uno dei quali ce l'ha confermata personalmente) si arrampicano insieme ai veggenti.

Vicka ha con sé una bottiglia di acqua benedetta. Le donne più anziane avevano infatti suggerito: "Spruzzate acqua santa sulla figura misteriosa, chissà che non sia il diavolo ad apparire!". "Se sei la Madonna resta con noi, se non lo sei vattene via!" esclama Vicka aspergendo l'acqua santa. La Madonna sorride per poi rivelarsi esplicitamente: "Io sono la Beata Vergine Maria". Poi pronuncia la parola chiave del suo messaggio: "Pace! Pace! Pace! Andate nella pace di Dio, angeli miei". ("Angeli miei" è un modo di dire tradizionale in Croazia parlando ai bambini).

I veggenti si raccolgono in preghiera con il rosario, recitano il Credo e i sette Pater-Ave-Gloria, cari alla devozione locale. Prima che scendano dalla collina la Madonna riappare e ripete a Marija:"Pace! Pace! Il mondo può essere salvato soltanto tramite la pace, ma il mondo avrà pace soltanto se troverà Dio. Dio c'è, ditelo a tutti... La pace deve regnare tra gli uomini e Dio, e tra gli uomini".

Nel primo pomeriggio di sabato 27 giugno - quarto giorno - la polizia convoca i veggenti perché forniscano spiegazioni alle autorità. Prelevati dalle loro case da due automobili e sottoposti a lungo interrogatorio, sono poi condotti in un poliambulatorio per i primi esami medico-psichiatrici e per controllare se si drogano o bevono. Il medico li dichiara tutti perfettamente sani di mente. Alle 18, tornati liberi, corrono per arrivare sulla collina in tempo per l'apparizione. Vicka interroga la Vergine: "Perché non appari a tutti in chiesa?" e Lei risponde: "Beati quelli che credono senza aver visto!" Poi chiede: "O Vergine, cosa vuoi da questo popolo?". "Che coloro che non vedono credano come quelli che vedono".

L'indomani domenica 28 giugno più di quindicimila persone assistono stupefatte alla quinta apparizione. Mai in un paese comunista dell'Est si era visto fino ad allora un così numeroso assembramento spontaneo per motivi religiosi. Da notare che il parroco di Medjugorje, il francescano padre Jozo, nei giorni della prime apparizioni è assente, impegnato nei pressi di Zagabria a predicare gli esercizi spirituali alle suore francescane. E quando tornerà non si convincerà sulla verità delle apparizioni, finchè un giorno egli stesso vedrà la Madonna in chiesa. E da allora difenderà i veggenti fino a subire torture e 18 mesi di carcere.

SONO CREDIBILI I VEGGENTI? - Le apparizioni si susseguono quotidianamente, finchè un mattino la polizia porta i ragazzi all'ospedale psichiatrico di Monstar, capoluogo dell'Erzegovina, dove dodici medici sono pronti per visitarli e dichiararne l'infermità mentale. Per indurli a confessare chi sa quale imbroglio, i poliziotti li minacciano: "Vi terremo qui insieme ai matti". Vicka esclama: "Sappiamo bene che dobbiamo morire!" e tutti e sei si dichiarano pronti. Alla fine la dottoressa che guida l'equipe medica sbotta: "Non sono pazzi i ragazzi ma è pazzo chi li ha condotti qui!". E conferma il loro equilibrio mentale-psichico.

Dirà poi alla polizia segreta: "Io mussulmana sono rimasta colpita dal coraggio dimostrato dal piccolo Jakov che si sente protetto dalla Madonna in cui mette tutta la sua fiducia. Più lo accusavo di aver inscenato una menzogna, più si mostrava sicuro e convinto, pronto anche a morire. Ciò è inspiegabile in un bimbo di dieci anni. Non siamo riusciti a spaventarlo".

Ritornati a casa per l'apparizione, i sei ragazzi ricevono un nuovo messaggio: " Non ci sono che un Dio e una Fede. Che la gente creda fermamente e non abbia timore di nulla". Tra la folla c'è un bimbo di tre anni, Danijel, che soffre di un male inesorabile, non parla, nè cammina se non sorretto. I suoi genitori supplicano, i veggenti intercedono. La Vergine attraverso loro incoraggia i genitori a pregare per la guarigione, che avverrà puntualmente entro pochi giorni, prima di una lunga serie.

Nei primi cinque anni i registri parrocchiali ne riportano più di trecento, ritenute "miracolose" e di cui viene depositata documentazione. In quello stesso giorno una donna-medico che - si saprà dopo - era stata mandata dalla polizia per screditare le apparizioni, esprime il desiderio di toccare la Vergine. "Guidata" dai veggenti raggiunge con la sua mano un punto nell'aria corrispondente alla spalla della Madonna e si sente percorsa da un brivido. Pur essendo non credente, dirà: "Qui accade davvero qualcosa di straordinario".

Il racconto delle successive apparizioni (non più sul colle, perché la polizia lo proibisce) ma nella sagrestia della chiesa parrocchiale) e vicende ad esse collegate come pure degli argomenti a favore della credibilità dei veggenti - sottoposti a diuturni esami psichiatrici, ipnoterapeuti, psicologici di ogni tipo - si farebbe troppo lungo per questa pagina, sicchè sono costretto a procedere telegraficamente.

La polizia comunista perde la testa e usa il pugno di ferro, alternando minacce, imbrogli, durissimi interrogatori, convocazioni dei genitori, fino a torturare e incarcerare il parroco per ben diciotto mesi, accusandolo di aver inventato tutto per contrastare il comunismo. Oltre al disprezzo per la religione, il regime crede di scorgere nelle presunte apparizioni un complotto politico degli "ustascia" (movimento patriottico croato di estrema destra e violento). La polizia arriva inoltre a diffondere volantini con accuse infamanti ai preti e ai veggenti e con una caricatura della Vergine, armata di mitra, che appare nel cielo davanti ai ragazzi.

I MESSAGGI DELLA VERGINE - Costituiscono l'essenziale delle apparizioni. Il grande teologo francese René Laurentin li ha studiati a fondo trovandoli in perfetta linea con il Vangelo e li riassume nei seguenti cinque argomenti.

  1. Pace: è il primo messaggio della Vergine, autodefinitasi "Regina della Pace". "La pace non viene da voi, ma da Dio. Non c'è pace, figlioli, dove non si prega"... "Se voi pregate per la pace nel mondo, ma non avete la pace nel cuore, questa preghiera non ha molto valore...". "L'allontanamento da Dio ha come frutto la mancanza di pace nei vostri cuori...".
  2. Fede: incontrare la pace è trovare Dio, ma per trovare Dio è necessario aprirsi alla fede. "Sono venuta perché qui ci sono buoni credenti... Beati coloro che non hanno visto e credono... il popolo creda e perseveri nella fede..." "Testimoniate con gioia la fede a coloro che ne sono lontani". "Figlioli, decidetevi seriamente per Dio, perché tutto il resto passa, solo Dio rimane".
  3. Conversione: è l'atteggiamento che consente di incontrare Dio e cambiare vita. "Sono con voi e gioisco per la vostra conversione... Gioite perché Dio vi ama e vi dà la possibilità di convertirvi e di credere di più. Vi supplico, convertitevi!" "Dite a tutto il mondo: convertitevi e non aspettate.... Quelli che trovano Dio, trovano una gioia grande; perciò convertitevi al più presto".
  4. Preghiera: è l'appello più insistente e accorato. "Pregate, pregate, pregate". "La preghiera è gioia... Se non pregate non potete sentire Dio". "Consacrate un tempo del giorno per l'incontro con Dio nel silenzio e scoprirete il senso della vostra vita". "Meglio una sola Ave Maria con il cuore, che un intero Rosario con distacco". "Una famiglia non è nella pace se non prega". "Leggete la Bibbia nelle vostre case: collocatela in un luogo ben visibile, in modo che sempre vi stimoli a leggerla e a pregare".
  5. Digiuno: La veggente Vicka afferma: "La Madonna ci invita al digiuno a pane e acqua due volte alla settimana. "Praticate il digiuno, perché con il digiuno conseguirete la realizzazione del progetto che Dio ha su Medjugorje. Vi invito al digiuno e alla rinuncia. Figlioli, rinunciate a ciò che vi impedisce di essere più vicini a Gesù .... Solo con la preghiera e il digiuno si può fermare la guerra...".

LA GUERRA IN JUGOSLAVIA - Nel decimo anno delle apparizioni che proseguono regolarmente - giugno 1991 - scoppia la guerra che smembrerà la Jogoslavia negli attuali sei Stati (vedi cartina). Croazia e Slovenia sono le prime a proclamare la loro separazione dalla Federazione iugoslava. Immediatamente l'esercito serbo invade la Slovenia. Già nei primi scontri muoiono un centinaio di civili, le prime vittime di una lista che diventerà interminabile. Due mesi dopo le ostilità si estendono anche in Croazia.

Nell'aprile del 1992 inizia il martirio di Sarajevo, conseguente al fatto che anche Bosnia ed Erzegovina decidono la propria indipendenza. I serbi attaccano con violenza sanguinosa: decine di chiese cattoliche devastate, migliaia di civili deportati, bombardamenti aerei, la famigerata "pulizia etnica" contro le popolazioni croate e mussulmane, omicidi, faide, campi di concentramento, espulsioni, distruzione delle case, stupri etnici e collettivi organizzati per umiliare la razza croata.

Gli eventi bellici incidono naturalmente sul flusso dei pellegrini a Medjugorje, il cui santuario solo miracolosamente sfugge alla distruzione. I pochi coraggiosi che giungono dall'estero (italiani in primis) si prodigano insieme alla popolazione locale nel soccorrere profughi, feriti e affamati. Questo durerà fino agli accordi di Dayton del 21 novembre 1995.

LA POSIZIONE DELLA CHIESA - Oltre a quanto già detto all'inizio di questa pagina è bene sapere che su supposti fenomeni soprannaturali la Chiesa (cioè la Santa Sede) non è solita assumere in prima istanza una posizione propria, preferendo lasciare il giudizio al Pastore della Diocesi e ai Vescovi della Conferenza Episcopale della Nazione interessata ai fatti. Ciò è avvenuto anche per Medjugorje.

Il Vescovo locale - dopo una prima necessaria difesa d'ufficio dei veggenti di fronte ai soprusi delle autorità comuniste - si è purtroppo mostrato eccessivamente duro e pregiudizialmente contrario senza addurre motivazioni serie, ma solo dubbi ipotetici e opinioni personali, che la Chiesa rispetta senza però farle sue.

Ci sono forse anche ragioni storiche alla base della scelta del Vescovo, che lo spazio di questa pagina non consente di esporre. Sulla stessa linea è anche l'attuale suo successore, già suo discepolo. La Conferenza Episcopale Jugoslava - dal canto suo - si è limitata ad affermare che "sulla base delle indagini condotte finora non è possibile affermare che si tratti di apparizioni soprannaturali" (1991).

Importante quel "finora", che significa: non è ancora accertato il carattere soprannaturale. Che però non è escluso. È interessante a questo punto conoscere il pensiero (privato) di Papa Giovanni Paolo II. Si potrebbe scrivere un intero volume sulle testimonianze delle personalità (soprattutto Vescovi e Cardinali) che lo hanno interpellato su Medjugorje. Dalle sue risposte tutti hanno tratto la convinzione che Giovanni Paolo II crede (ora purtroppo dobbiamo dire "credeva") alle apparizioni. Siamo costretti a poche e brevi citazioni.

Ad un arcivescovo italiano che gli chiede come comportarsi con le persone che vanno a Medjugorje, il Papa domanda: " Che cosa fa questa gente?" E alla risposta: "Va in pellegrinaggio...prega, si confessa..." il Papa conclude: "E allora lasci che ci vadano". Ad un altro Vescovo di ritorno da Medjugorje Giovanni Paolo II chiede: "Lei ci crede?" Ma il Vescovo rinvia a lui la domanda: "E Lei, Santo Padre, ci crede?". Dopo un breve silenzio il Papa scandendo le parole dice: "Ci credo, ci credo, ci credo!".

Un Arcivescovo francese afferma: "Io so per certo che il Papa è convintissimo dell'autenticità delle apparizioni". Ad un gesuita slovacco, consigliere del Papa per i paesi dell'Est, di ritorno a Roma, il Papa domanda: "Sei passato da Medjugorje?" "No, Santo Padre, il Vaticano me lo aveva sconsigliato". Il Papa resta per qualche attimo perplesso, poi fa un gesto con la mano come per dire "non ti preoccupare" e aggiunge: "Vacci in incognito e mi riferirai ciò che hai visto".

 Un cardinale cecoslovacco a sua volta rivela queste parole di Wojtila: "Se non fossi Papa sarei già a Medjugorje a confessare". Ora sarebbe logico domandarsi quale è il pensiero del nuovo Papa Benedetto. Forse è un po' presto. Si sa che da Cardinale non è mai intervenuto personalmente con dichiarazioni ufficiali. Lo ha fatto attraverso il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, Mons. Bertone (attuale Arcivescovo di Genova) che in un documento del 1998 rispondendo a un vescovo francese che lo aveva interpellato su Medjugorje si rifà alla dichiarazione della Conferenza Episcopale dell' ex Jugoslavia.

La Chiesa si preoccupa comunque che sia garantita ai fedeli che si recano a Medjugorje una adeguata assistenza spirituale. Il che avviene da sempre per gli oltre 25 milioni di pellegrini che dal 1981 a oggi sono stati a Medjugorje. Ed è anche questo che chi scrive ha cercato di fare recandovisi per tre volte.

(dal quotidiano "Libertà" dell'11/09/2005)

 
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IL CRISTIANO VALE QUANTO PREGA (01)

Post n°8 pubblicato il 22 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

LA PREGHIERA

IL CRISTIANO VALE QUANTO PREGA

 

Ripetiamo insieme:

“Padre, nel nome di Gesù,

  • donaci l'amore dello Spirito Santo,
  • donaci la gioia dello Spirito Santo,
  • donaci la pace dello Spirito Santo,
  • donaci la pazienza dello Spirito Santo,
  • donaci l'umiltà dello Spirito Santo,
  • donaci la mitezza dello Spirito Santo,
  • donaci la tenerezza dello Spirito Santo,
  • donaci la fedeltà dello Spirito Santo,
  • donaci il dominio di noi stessi”.


Dice papa Giovanni Paolo II: “bisogna tendere con tutte le forze alla santità ma non esiste la santità senza la preghiera…il cristiano vale quanto prega…le nostre comunità devono diventare sempre più luoghi di preghiera, luoghi di contemplazione e di lode dove il cuore dell'uomo si riempie dell'amore di Dio…”.

Nella NOVO MILLENNIO INEUNTE, papa Giovanni Paolo II, al N°32 dice: E' necessario imparare a pregare”, perchè si prega poco e male e tanti non pregano.
Dice un santo parroco. "Io vedo che la mia gente dice preghiere ma che non sono un comunicare con il Signore". Diciamo spesso preghiere ma poco spesso preghiamo.

  • Occorre che l'educazione alla preghiera sia un punto qualificante di ogni programma pastorale. I
  • l primo passo nella preghiera è “voler veramente pregare, capire l'essenza della preghiera, prendere abitudini nuove, costanti e profonde e puntare alla preghiera autentica”.
  • La primissima cosa è sradicare le abitudini sbagliate della preghiera; ad esempio l'abitudine alla preghiera parolaia e distratta; pregare i salmi e il rosario in modo superficiale.


Dice Sant'Agostino:Dio preferisce l'abbaiare dei cani al salmodiare distratto (la preghiera dei pappagalli)”. Non abbiamo allenamento sufficiente alla concentrazione, e siamo invasi e dominati da tutti i pensieri senza essere capaci di dominarli. Il silenzio, crea il clima di profondità nella preghiera, aiuta a prendere contatto con sè stessi, crea il clima di ascolto. Il silenzio è per ascoltare non per tacere.

Per Boeneffer: Amare il silenzio per amore alla Parola”. Il silenzio crea, ordina, chiarezza, trasparenza.

  • Senza arrivare alla preghiera di silenzio non si arriverà mai alla preghiera vera, perchè non si scenderai nella propria coscienza.
  • Oggi non abbiamo l'allenamento alla concentrazione; ai bambini non si insegna l'arte del pensare e il primo passo è l'allenamento alla concentrazione.

La Montessori allenava i bambini alla concentrazione (es. sentire il rumore di una goccia che cade, il cinguettio di un uccellino,…).

Qualche volta anche nel RnS l'invasione della lode può uccidere il silenzio e noi possiamo “cantare e cantare senza pensare a convertirci”. ”La preghiera distratta è il cancro della preghiera e si debella con l'intervento chirurgico.

Romano Guardini dice sul bisogni di concentrazione: “l'uomo è una creatura piena di astuzia e l'astuzia del suo cuore appare nella vita religiosa. Quando cominciamo a pregare subito qualche altro pensiero pretende di essere ascoltato. Io devo ritrovare il contatto interiore e ristabilire continuamente questo contatto interiore con Dio.

La preghiera continuamente minaccia di scivolare nel puro monologo, deve diventare colloquio, dialogo. Dal raccoglimento dipende tutto. Nessuna fatica è sprecata a questo scopo e anche se tutto il tempo di preghiera trascorresse nel solo cercare il raccoglimento sarebbe già ricca preghiera perchè raccogliersi vuol dire essere già svegli.

E' l'uomo nella preghiera deve essere sveglio e presente ma appena incomincia a pregare si sente sospinto altrove, allora deve raccogliere tutte le facoltà per essere presente”.

  • La preghiera non è una delle tante occupazioni della giornata ma è l'anima di tutta la giornata, di tutte le azioni, perchè il rapporto con Dio è l'anima di tutta la giornata.
  • La preghiera è un bisogno non un dovere.
  • La preghiera è una necessità, una gioia, un riposo, se io non arrivo lì non sono arrivato alla preghiera, non l'ho capita.
  • Gesù ha spiegato che pregare è entrare in un rapporto affettuoso, figliale con Dio, è diventare figli in quel momento: “quando pregate dite: Padre”.
  • Se non c'è un rapporto affettuoso con Dio non c'è la preghiera, è diventare figli in quel momento che pregate.
  • Pregare non è dire delle preghiere ma incontrare Dio con un cuore caldo. Se non c'è incontro affettuoso con Dio non c'è la preghiera.

Le tre tappe della preghiera:

  1. incontrare Dio;
  2. ascoltare Dio;
  3. rispondere a Dio.

Percorrendo le tre tappe siamo alla preghiera profonda e può succedere che non siamo neanche alla prima tappa.

  • Non basta incontrare Dio nel cuore ma occorre incontrarlo con cuore di figli.
  • Nella preghiera non è importante quello che abbiamo da dire a Dio ma quello che Dio ha da dire a noi.

Nella Bibbia il verbo ascoltaè detto:

  1. nell'Antico Testamento 1100 volte;
  2. nel Nuovo Testamento 445 volte;
  3. è il verbo chiave della Bibbia
  4. il cuore della preghiera.
  5. Se la preghiera non porta all'ascolto siamo alla periferia della preghiera.
  6. E' la ricerca umile e fiduciosa della luce di Dio.
  7. L'ascolto ci scomoda sempre ama ci matura;
  8. l'ascolto è il segno dell'amore e quando due persone si amano, si ascoltano.
  9. Quando noi amiamo Dio, ascoltiamo e quando ascoltiamo, amiamo.

1) La prima via dell'ascolto è la PAROLA di Dio.

La lettura della PdD, dice papa Ratzinger (Lettera sulla preghiera cristiana), è la sorgente della preghiera;

  • d'altra parte la preghiera ci fa scoprire il senso profondo della Scrittura.
  • Il primo libro di preghiera è la Bibbia.

I Padri insistono sulla preziosità della PdD;

  • San Giovanni Crisostomo dice: “Come si può affrontare la vita senza respirare la PdD giorno e notte”;
  • Origene: “Scrutare la PdD con la sollecitudine di un cuore innamorato”.

  • Il Cardinale Martini: “Ci può essere che un cristiano non abbia tempo a leggere un libro, a leggere un giornale, a vedere la TV, ma non è concepibile che un cristiano non abbia tempo a leggere la PdD. Ritengo che ciascuno di noi religioso, sacerdote, Vescovo non ha possibilità di sopravvivere alla tentazione dell'oggi e di non passare a forme di paganesimo pratico se non conosce, non medita, non gusta interiormente la Sacra Scrittura”.

  • Il Salmo 118: “la Tua parola mi fa vivere”.

2) La seconda via dell'ascolto è la nostra coscienza (retta).

Nella preghiera c'è sempre una parte di noi che resiste alla preghiera; devo farmi alcune domande che inchiodano la mia responsabilità:

  • Signore sei contento della mia carità?
  • Sei contento come faccio in casa/lavoro/amici/persone pesanti?

  • Signore cosa non approvi in me?

  • Signore quali sono i tuoi desideri su di me? “Parla Signore che il tuo servo ti ascolta”. Un giovane mi ha detto: “Io mi sono accorto che Dio fa il muto se io faccio il sordo”.

3) La terza via dell'ascolto sono gli avvenimenti (lieti o tristi, causati da noi o permessi da noi, piacevoli o non piacevoli).

Davanti ad una difficoltà o un successo devo interrogarmi:

  • Signore cosa vuoi dirmi?”, allora scopro un messaggio, però lo devo provocare per la mia crescita.
  • Ma l'ascolto esige il clima del silenzio! Chi non si allena al silenzio non arriva all'ascolto. L'ascolto ci educa. Nella storia dei gesuiti c'è un episodio interessante (Sant'Ignazio: “senza l'ascolto il gesuita non si forma”).

  • L'anemia spirituale (= essere fermi alla preghiera vocale e alla preghiera vocale distratta) che San'Ignazio voleva evitare: no recitazione corale dei salmi ma silenzio e ufficio della Vergine. Nove anni dopo la morte di Ignazio ci fu un rilassamento spirituale dei gesuiti poichè non c'era più l'ora di silenzio e di preghiera. Un Vescovo che ha celebrato 50 anni di S. Messa mi ha molto colpito poichè ha detto ai suoi sacerdoti: “in 50 anni non ho mai tralasciato la mia ora di silenzio davanti alla eucarestia”.

Dall'ascolto nasce il rispondere, ubbidire, agire (3° passo); c'è una fatica costitutiva della preghiera e la preghiera dovrebbe sempre sfociare in una decisione precisa. Ai giovani do sempre un consiglio quando sono principianti:

  1. cominciare sempre dalle cose che scottano, dal problema che brucia (es. sensualità, pigrizia, egoismo, ignoranza religiosa…è lì la tua preghiera). Se tu comincia dal problema che scotta sei difeso nella concentrazione.

  2. Poi termina sempre la preghiera con una decisione scritta così ha i in mano il documento che hai amato/risposto al Signore. La decisione è la prova che in noi è scattato l'amore, l'adesione alla sua volontà, un “sì a Dio”.

SEGUE>>> http://blog.libero.it/globulirossi/8974844.html

 
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IL CRISTIANO VALE QUANTO PREGA (02) ...SEGUITO

Post n°9 pubblicato il 22 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

PRECEDENTE: http://blog.libero.it/globulirossi/8974842.html

La preghiera

è come la grande autostrada verso Dio.

  • C'è la corsia di ingresso e per i mezzi lenti (= preghiera vocale attenta), parti di lì,

  • poi c'è la corsia del grande traffico stradale, la corsia della velocità (= preghiera di ascolto, la preghiera che si fa ascolto di Dio),

  • e poi c'è la preghiera la corsia di sorpasso, la corsia dell'alta velocità (= preghiera del cuore, interiore, di silenzio).

Si parte dalla preghiera vocale attenta, il primo passo, però bisogna arrivare all'ascolto di Dio, è lì che scorre il traffico. Gran parte dei cristiani non arriva a questa, corsia di centro, preghiera e così spiegata la vita cristiana fiacca che non arriva alle decisioni.

Poi bisogna imparare l'arte della preghiera del cuore. Qui si forma il cristiano profondo. Ci vuole buona volontà e una macchina buona. Chi tende alla preghiera del cuore tende alla preghiera della santità, vuole fare della sua vita un capolavoro di Dio, la scelta della santità, che la nostra vita diventi adesione perfetta e costante alla volontà di Dio.

Qual è la più bella forma della preghiera del cuore?

La “preghiera sanguinante del Getsemani: Padre non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.

  • Ma si può fare meglio: “Padre in questo momento voglio essere la tua gioia, in questo preciso momento aiutami ad essere la Tua gioia”.
  • Nei momenti più banali di oggi, “Padre, voglio essere la tua gioia”. Questa preghiera è un po' più facile ed è la stessa.
  • Quando la tua vita combacia perfettamente e costantemente con la volontà di Dio siamo alla preghiera perfetta del cuore, alla preghiera della santità. Allora la preghiera è amare.

Gesù con il Padre Nostro ci insegna che la preghiera è amare. Il Padre Nostro è fatta da 7 atti d'amore. C'è una invocazione che non sembra un atto d'amore “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ma essendo al plurale è un atto d'amore e poi i Padri parlavano del “pane soprasostanziale”, la “grazia”, “dacci la forza per l'oggi”.

Amare cosa è ?

  • Amare è cambiare, cioè crescere, correggere, modificare, guarire.
  • L'amore sta nei fatti, le decisioni pratiche.
  • Un prete deluso dal suo gruppo del R.n.S. pieno di divisioni, ad un certo punto gli da il segreto della preghiera perfetta: “ti aspetto fuori”. Poi il prete, crollò per un infarto. Quando il Vescovo va a trovarlo gli dice: “Dio mi ha messo alla prova, ho insegnato la formula perfetta della preghiera e Lui ha aspettato fuori anche a me”.

C'è un test per misurare la validità della preghiera?

Sì: occorre chiedersi:

  1. cresce la mia carità?
  2. cresce l'adesione ai miei doveri?
  3. cresce il distacco dal male?

Il Credo della preghiera:

  • Credo che la preghiera non è tutto ma che tutto deve cominciare dalla preghiera perchè l'intelligenza umana è troppo corta e la volontà dell'uomo è troppo debole perchè l'uomo che agisce senza Dio non da mai il meglio di se stesso.
  • Credo che Gesù Cristo dandoci il Padre Nostro ci ha voluto insegnare che la preghiera è amore.
  • Credo che la preghiera non ha bisogno do parole perchè l'amore non ha bisogno di parole.
  • Credo che si può pregare: tacendo, soffrendo, lavorando ma il silenzio è preghiera solo se si ama. La sofferenza è preghiera solo se si ama. Il lavoro è preghiera solo se si ama.
  • Credo che non sapremo mai con esattezza se la nostra è o non è preghiera. Ma il test infallibile della preghiera è se cresciamo nell'amore, nel distacco del male, se cresciamo nella fedeltà alla volontà di Dio.
  • Credo che impara a pregare solo chi impara a tacere davanti a Dio.
  • Credo che impara a pregare solo chi impara resistere al silenzio di Dio.
  • Credo che tutti i giorni dobbiamo credere a Dio il dono della preghiera perchè chi impara a pregare impara a vivere”.

I rischi, le insidie del mondo della preghiera:

1) la preghiera che batte il vento e non va ai problemi (l'eresia più grave della preghiera è la schizofrenia della preghiera, la preghiera separata dalla vita: la vita di qua e la preghiera di là, la preghiera che non si interroga sui problemi che bruciano;

  • quando la preghiera convive con i disordini morali gravi,
  • quando convive con la trascuratezza dei nostri impegni sociali e famigliari, siamo alla eresia della preghiera;
  • quando la gente dice guardati da chi va in Chiesa, hanno ragione perchè chi prega deve cambiare, deve vedere le sue magagne, deve correggersi;
  • la preghiera deve essere dare e agire, per questo sarebbe bene la preghiera continua della adorazione eucaristica…alle 23 di notte del Venerdì chiudiamo il SS perchè scendiamo nelle strade a parlare con le prostitute…è un altro modo di pregare, dire la parola di Dio alla prostituta, soffrirai con la prostituta…la preghiera è azione altrimenti non è preghiera);

2) la mania alla corsa ai luoghi di apparizione (= la persona di autentica preghiera non sente il bisogno di andare a caccia dei luoghi dove avvengono le apparizioni;

  • la persona di preghiera ha tutto: eucarestia, Parola di Dio, Chiesa…; non si trascura la PdD e la eucarestia per l'apparizione!);

3) la mania esorcistica (tanta gente vive agitata dal problema di Satana, ma abbiamo lo Spirito Santo in noi cosa ce ne facciamo di Satana…tanta gente vede satana dappertutto eccetto dove c'è di sicuro: il peccato mortale, lì c'è satana.

  • Chi ha lo Spirito Santo con un soffio sbaraglia Satana. Quando c'è paura di satana, il primo esorcismo è confessarsi e farlo bene);

4) manomissione della Parola di Dio (= no alla superstizione della Bibliomanzia, cioè consultare abitualmente la Bibbia aprendola a caso;

  • non posso obbligare Dio a parlarmi quando apro a caso la Bibbia; prima di prendere in mano la PdD occorre “sbucciare la banana” leggendo i passi paralleli…questa è la serietà verso la PdD);

5) bolire nei gruppi la preghiera spontanea, per evitare l'insidia dei messaggi trasversali (pugnalare un fratello e una sorella);

  • noi nella revisione di vita, davanti al Santissimo accusiamo noi stessi non il fratello!

La preghiera e l'amore ottengono l'impossibile”. Triplica il tuo amore e triplica la tua preghiera, tu mamma, e vedrai cosa otterrai.

  • La Madonna la via privilegiata e sicura per l'incontro con il Signore. E' Lei che ci dispone ad accogliere la Sua parola e ci rende perseveranti nella preghiera (Giovanni Paolo II).
  • Rallegrati Maria, gioia di Dio…” (= Ave Maria piena di grazia…).

Fiuggi, 7/12/2001   (p. Andrea Gasparino)  

SULLA PREGHIERA

Papa Bendetto XVI: "È venuto il momento di riaffermare l'importanza della preghiera di fronte all'attivismo e all'incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo" (Papa Benedetto XVI, enciclica Deus caritas est, 2005, n°37).

  • "Occorre guardarsi, dice San Bernardo da Chiaravalle, dai pericoli di una attività eccessiva, qualunque sia la condizione e l'ufficio che si ricopre, perchè le molte occupazioni conducono spesso alla "durezza del cuore", non sono altro che sofferenza dello spirito, smarrimento dell'intelligenza, dispersione della grazia...

  • "Ecco, dice San Bernardo, dove ti possono trascinare queste maledette occupazioni, se continui a perderti in esse... nulla lasciando di te a te stesso"... Quanto utile è anche per noi questo richiamo al primato della preghiera e della contemplazione!" (Papa Benedetto XVI, angelus, Castel Gandolfo, 20 agosto 2006).


Sant' Agostino: Gesù ci ha insegnato a pregare per conseguire la vita beata; la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare non con molte parole poichè Dio sa già quello che vogliamo chiedergli…

  • a Dio non interessa tanto la manifestazione del nostro desiderio che già conosce,

  • ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi mediante la nostra domanda poichè possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci…

Pregare incessantemente (1Ts5,17) vuol dire desiderare senza stancarci la vita beata, che è eterna, da colui che solo può concederla” (Agostino, “Lettera a Proba”).

 
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TEMPO DI CREDERE - Don Primo Mazzolari

Post n°10 pubblicato il 24 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

   

TEMPO DI CREDERE

  Primo Mazzolari

CREDERE CON CHI CREDE

LUNEDÌ DI PASQUA

 A testimoniare la predilezione di don Primo Mazzolari per i due discepoli di Emmaus, riportiamo, per cortese concessione, una sua "predica" del Lunedì di Pasqua del 1957: una "predica" del parroco di Bozzolo, colta dalla sua viva voce, pronunciata con la fervida improvvisazione del pastore d'anime, senza la preoccupazione dello scritto (ma quando mai, in don Primo, c'è divario tra la parola e lo scritto?).

Le prediche dei giorni pasquali del 1957 sono state pubblicate a cura di Benigno Zaccagnini e di monsignor Guido Astori nel quinto anniversario della scomparsa.

«Sono le parole - scrive Benigno Zaccagnini - che don Mazzolari ha pronunciato per la sua gente in una di quelle Settimane Sante in cui liturgia e devozione rendevano suggestiva, in Bozzolo, la cerimonia pasquale.  Era la voce di un "povero prete di campagna" - come amava definirsi don Primo - ma noi sentivamo in essa un immenso patrimonio di fede, di ansia, di sofferenze, un impegno senza limiti per la libertà e la giustizia. 

La sua parola ... passava attraverso il vaglio di un'esperienza vissuta in una trincea avanzata; era una parola che entrava in ogni cuore e per ognuno - dal ricco al povero, dal politico al letterato, dal poeta all'operaio e al contadino aveva un tono e un calore che inducevano a meditare, ad animare ... ».

Commenta mons. Astori, che di don Mazzolari fu amico devoto dall'adolescenza al tramonto:


«Bisognava aver vissuto una Pasqua nella Parrocchia di don Primo per rivivere la commozione grande che egli sapeva trasfondere al suo popolo ...

In lui la liturgia dei giorni più sacri aveva un'efficacia profonda e singolare. 

La chiesa era preparata con grande sobrietà, ma con cura amorevole.

I bambini, che egli sapeva davvero educare ad un senso di pietà squisita, diventavano suoi validi cooperatori nello svolgimento delle funzioni. 

Tutto il popolo subiva il fascino dell'ambiente sacro e sentiva la potenza del Sacerdote che parlava con tanto ardore».

Ed ecco I'"Emmaus" del 1957.  "Tempo di sperare" lo intitoleremmo, dopo il "Tempo di credere" del 1940.  Una speranza interamente affidata alla libertà dell'uomo, alla sua inesausta capacità di rinnovarsi.  Questo tema trova espressione in una prosa straordinariamente scarna e trasparente : «Non poteva la Provvidenza fare sì che tutto l'anno fosse primavera ... che le foglie rimanessero sempre sugli alberi ... ?». «Voi sapete cos'è il Paradiso?... ».
Parole che sembrano intrise di gioia, tanta è la forza con cui don Primo vedeva la Presenza divina nel mondo.


        Miei cari fratelli, in questa seconda festività di Pasqua voglio farvi riflettere - e rifletto io con voi - su alcuni particolari del mistero della passione, della morte e della resurrezione del Signore.

Nel Vangelo che avete sentito cantare (in latino, purtroppo!) si parla di due discepoli che, usciti dal Cenacolo, si avviarono verso Emmaus, un borgo non molto lontano da Gerusalemme.  Camminando, parlavano dei grandi avvenimenti di quei giorni.  Erano delle persone accorate.  Avevano la tristezza di quanto era accaduto e, soprattutto, avevano l'immensa tristezza di aver perduto il Maestro.

Lungo la strada sono raggiunti da un misterioso personaggio che era poi il Cristo, il quale raccoglie la loro pena, ed un po' alla volta mette nel loro animo la speranza che avevano perduta ... Gesù, costretto a fare animo ai suoi figlioli che avevano perduto la fiducia in Lui.

Ecco un particolare che mi fa pensare alla misteriosa maniera con cui il Signore si comporta con noi, e che noi, nella nostra poca intelligenza, tante volte deprechiamo.  Per esempio:

  • perché non è andato a Bethania prima che Lazzaro morisse?  Vi è andato quando Lazzaro era ormai morto da quattro giorni. 
  • Perché non è fuggito da Gerusalemme, quando sapeva che attorno a Lui si stringevano le mene dei suoi avversari?
  • Perché non è disceso dalla croce quando i suoi avversari, passando sotto di essa, si rivolgevano a Lui in tono beffardo? «Ha salvato gli altri - dicevano e non è capace di salvare se stesso!  Se veramente è il Figlio di Dio, discenda dalla croce» !

Il Signore Gesù ha un suo metodo, un modo d'agire e di comportarsi che non va d'accordo con la nostra logica.  La nostra maniera di ragionare ci sembra molto più intelligente, molto più efficace e più utile della sua ed esige minor dispendio e minore sforzo.

Volete un altro esempio tratto dalla natura ? 

  • C'era proprio bisogno che d'autunno cadessero tutte le foglie e la natura si abbandonasse al lungo sonno invernale per darci il gusto della primavera ?
  • La primavera che viene dopo l'inverno non vi pare una cosa mal organizzata? 
  • Non poteva la Provvidenza fare sì che tutto l'anno fosse primavera e non si alternassero stagioni così disuguali; che le foglie rimanessero sempre sugli alberi, che la vegetazione fosse continua ?

Noi, che siamo gente molto ragionevole, avremmo messo insieme un mondo fatto a questa maniera, ma avremmo tolto la bellezza alle cose, perché la bellezza di ogni creatura è nella sua capacità di rinnovarsi.

  • Se Gesù fosse venuto a Bethania quando Lazzaro era ammalato, gli altri non avrebbero visto il miracolo della resurrezione e non avrebbero creduto in Lui. 
  • Se si fosse sottratto alla morte, noi avremmo detto: guarda, non è un uomo, non ha accettato il nostro destino.  Ed egli non avrebbe potuto mettere nella fragilità della nostra natura, quella immensa speranza che ci viene soltanto dalla sua resurrezione. 
  • Se i due discepoli non l'avessero incontrato lungo la strada che va da Gerusalemme ad Emmaus, se Egli non si fosse fermato nella loro casa e non si fosse manifestato nello spezzar del pane, essi non avrebbero trovato la freschezza ed il rinnovamento della loro fede. 
  • Miei cari fratelli, la religione nostra è una religione di novità.  Non c'è niente di vecchio anche se voi, qualche volta, avete l'impressione che tutto qui, nella Chiesa, si ripeta secondo una tradizione secolare che non ha più nulla che vi possa incuriosire.

Guardate come si è comportato il Signore anche nei riguardi della nostra anima. 

  • Egli non ci ha mai impedito di fare il male. 
  • Ma non sarebbe stato molto più bello se il Signore ci avesse conformato in maniera tale da non cadere più nelle solite e penosissime mancanze? 
  • Se Egli ci aiutasse in una maniera più efficace e, contro la nostra stessa libertà, ci costringesse a resistere al male, noi Gli saremmo più grati.

Io non so se questo sarebbe una gioia per l'uomo.  Dio non ci impedisce di fare il male, ma fa una cosa più grande:

  • viene accanto a noi, sulla strada del nostro peccato, pronto a tollerarci, a sopportarci, a dimenticare, a volerci bene nonostante le nostre indegnità, a perdonarci nonostante il ripetersi continuo dei nostri allontanamenti e dei nostri tradimenti.

Io trovo che questo metodo del Signore è molto bello e mi fa sentire ancora di più la sua infinita potenza e la sua infinita bontà.  Non è soltanto un modo conforme alla nostra natura umana, ma è proprio il più bel modo, il più rispettoso dei modi, il più paterno, dei modi.  Perché noi vogliamo tanto bene ai nostri genitori ? Certo, essi ci ammoniscono, ci rimproverano, ci indicano la strada buona.  Ma quando noi sbagliamo e veniamo meno ai nostri doveri, i primi a capirci e a perdonarci sono loro, i nostri genitori.  Donde questo affetto particolare verso nostro padre e nostra madre, se non da questa capacità che è tutta loro, di saper compatire, aiutare e perdonare?  Non è che non vedano i nostri difetti, che non capiscano i nostri torti, che non ne misurino la gravità.  Ma no: lo sanno, li vedono e ne soffrono.  Eppure, nel gran bene che ci vogliono, compatiscono e perdonano.

E così fa il Signore!  Non ci costringe ad essere buoni. 

  • Ci ha indicato la strada dandoci la sua legge, che è stata scritta nei nostri cuori prima ancora di essere rivelata attraverso Mosè. 
  • Poi, è venuto Lui stesso a segnare la strada con il suo esempio e ci ha detto: «Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua».  Egli è sempre davanti, come un pastore. 
  • C'è una sola differenza: i pastori di questo mondo portano il bastone, mentre Cristo non ha mai portato il bastone, Cristo ha portato anche Lui un legno: ma è il legno della croce, che ha tutt'altro significato.  Esso è il compimento ed il simbolo reale della sua offerta piena. 
  • Egli ci ha dato l'esempio ma non ci costringe a seguirlo.  Chi vuol seguirlo lo segue e chi non vuol seguirlo non lo segue.  C'è la pecora che vuol perdersi e si perde e c'è la pecora che rimane accanto a Lui.  Egli andrà alla ricerca della pecorella smarrita, ma non imporrà agli altri di rimanere nell'ovile.

Ecco il senso di libertà che noi vediamo consacrato dal mistero della passione, della morte e della resurrezione di Gesù.  Voi mi direte: ma allora saremo sempre da capo e ci saranno sempre delle miserie nel mondo, perché ci saran sempre delle teste che non ragionano, delle pecore che andranno fuori strada, dei cristiani che rinnegheranno il Cristo, della gente che non troverà mai la strada buona. 

Certo ! ... Vorreste voi mettere nel mondo una legge diversa da quella del Cristo?  Se il Signore ci sopporta come siamo, il Signore rispetta la nostra libertà, le nostre ribellioni, le nostre resistenze.  Vorreste voi obbligare la gente a camminare quando non ha voglia di camminare ?  Cosa ne fareste di una religione da galeotti, di una Chiesa prigione?  Che cosa ne fareste di un mondo in cui tutti fossero costretti a seguire una stessa regola, a camminare allo stesso modo, a vestirsi alla stessa maniera, a cantare dietro ordine, a camminare dietro ordine ? ...

Ci sono purtroppo di quelli che vorrebbero rifare il mondo e trovare la salvezza a questa maniera. Essi dimenticano che Dio è il custode della libertà umana.  Egli è garante della libertà, contro l'uniformità degli uomini, contro il desiderio di fare del mondo una caserma per poter far stare tutti bene.

  • Il Signore ha accettato l'insuccesso; ha accettato di essere dichiarato impotente: e davanti agli uomini che qualche volta l'irridono, ha rinnegato persino la sua onnipotenza per rispettare la nostra libertà. 
  • Il Signore permette l'inverno, ma poi fa la primavera; permette che noi ci rompiamo la testa, ma poi ce l'accomoda; permette che noi facciamo il peccato, ma poi ci perdona. 
  • Il Signore permette che noi deviamo dalla strada buona, ma poi, quando la strada diventa un baratro, eccolo con le sue braccia aperte come la croce, ad indicarci il nostro sbaglio, a riprenderci amorevolmente per riportarci sul giusto sentiero.  Questo è il metodo del Signore.

Non vi piace ? Non siete contenti di essere trattati con tanta bontà, con tanta larghezza e con tanta libertà?  Non siete contenti di non essere costretti a fare il bene, a fare il galantuomo? 

Voi siete liberi!  Potete spergiurare, potete dire menzogne; potete commettere tutto quello che volete!... Il Signore è in croce proprio per questo: muore in croce perché noi non siamo buoni.  Egli non è indifferente, come non è indifferente vostra madre se non vi prende per il collo e non vi costringe a stare in casa quando voi volete andare a perdervi.

Ecco quello che io vorrei che voi capiste come una delle lezioni più grandi della misericordia di Dio. 

  • Noi dobbiamo ringraziarlo per questa libertà che ci ha dato. 
  • La professione cristiana non è qualcosa di obbligato e di forzato, ma è una semplice, spontanea, cordialissima adesione da parte nostra. 
  • Dobbiamo ringraziarlo perché Egli è il solo che ci rispetta.  Nessuno ci ha obbligato ad inginocchiarci nella Pasqua; nessuno ci ha portati qui alla balaustra; nessuno ci ha portati in chiesa; nessuno ci obbliga ad essere buoni.

C'è soltanto un invito: l'invito divino che ha la capacità di rifare, di rimettere a posto, di ricostruire. 

  • La primavera è bella perché essa è la ricostruzione, da parte dell'onnipotenza di Dio, della natura che nell'inverno è venuta meno. 
  • E così, vedete, la Pasqua è bella non perché il Signore si sia sottratto alla morte, ma perché ha vinto la morte;
  • non perché ha impedito agli Ebrei di essere dei deicidi, ma perché ha perdonato ai deicidi. 
  • La Pasqua è bella perché è il segno della misericordia di Dio che ha impresso, sul volto di ogni uomo, i segni della Redenzione.

Noi possiamo diventare cattivi, ma Cristo rimane infinitamente buono e infinitamente aperto alle nostre miserie.  Vale di più saper ricostruire che distruggere.  E questo è il segno più bello della bontà onnipotente ed inesausta di colui che è venuto ad aprire il Paradiso su questa terra.

Voi sapete cos'è il Paradiso ?

  • Il paradiso è sentire che c'è un cuore divino che non si stancherà mai di battere per l'uomo, anche se l'uomo lo rinnega;
  • che c'è qualcuno che non si stancherà mai di spalancare le sue braccia, anche se noi andiamo lontano. 
  • Qualcuno che è disposto a lasciarsi spaccare il cuore per dare un porto a questo povero mondo.

DA: http://www.atma-o-jibon.org/italiano3/tempo_di_credere29.htm

 

 
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