Creato da: john.keating il 14/09/2004
Metafisica della Terra della Sera

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« Nel futuroMessaggio #167 »

"Höre"

Post n°166 pubblicato il 02 Ottobre 2005 da john.keating

«Chi sa le lingue è un imbecille.»
Friedrich Nietzsche


I cinesi non parlano. Cantano.

Le parole cinesi sono nella loro grandissima parte monosillabiche (e le rimanenti sono al massimo bisillabiche); ma la vera particolarità del cinese sono i quattro diversi toni con cui ciascuna parola può esser pronunciata. In pratica, dei suoni, a ciascuno dei quali corrisponde un significato diverso.
Questa dei toni è una cosa difficile da comprendere per noi occidentali, abituati al mono-tono, piatto, uniforme, delle nostre lingue. I cinesi invece desumono il significato dalla intonazione delle parole, e intendo proprio la loro denotazione, mentre nelle nostre lingue il tono al massimo serve alla loro connotazione.
In pratica, parlare il cinese (o uno delle migliaia dei suoi dialetti parlati, spesso irriducibili e incomprensibili gli uni agli altri) significa in senso letterale interpretare uno spartito musicale, esattamente come si interpreta una melodia da suonare.

Ora, come si fa a tradurre una cosa così? Grossomodo, tradurre il cinese è come far la prosa di una poesia, o più esattamente come raccontare a parole una melodia.

Questo problema sussiste naturalmente per qualsiasi traduzione da/a qualsiasi lingua, per il fatto che le parole non sono isolate, ma si spiegano, si connotano, si richiamano con altre parole; e questo echeggiare incessante, questo andar su e giù dalla sfera del cosciente a quella dell’inconscio, è ciò che rende impossibile rendere un significato tra lingue diverse: “intanto si può trasporre un termine da una lingua all’altra in quanto non ci si è inabissati nel suo senso e la parola non ci ha fatto prigionieri della sua profondità” come dice Umberto Galimberti. Ed ecco che chi parla le lingue è in fondo “un imbecille”, perché certo sa riconoscere le cose con tutte le diverse parole possibili, senza ascoltarne perciò coglierne il senso, di nemmeno una.

E questo fatto della irriducibilità dei significati profondi, non è limitato al problema della traduzione. Io dico sempre che possiamo parlare per ore con una persona, intendendoci perfettamente con essa, comprendendo esattamente cosa dice il nostro interlocutore e persino con la certezza assoluta di essere allo stesso modo compresi, e tuttavia non condividere il senso profondo del rispettivo dire.
Se ad esempio si parla di una strada, possiamo intenderci sino al minimo dettaglio su ciò che diciamo di essa, ma se “strada” a me richiama “viaggio, apertura, possibilità, ignoto”, mentre per il mio interlocutore è “lontananza, noia, traffico, pericolo”, è più che dubbio che la nostra comunicazione sia altro che uno scambio di anodine informazioni. Insomma possiamo capirci benissimo, senza tuttavia intenderci per nulla.

Il che, en passant, è ciò che avviene innanzitutto e perlopiù nelle comunicazioni interpersonali quotidiane. E già questo dovrebbe far piazza pulita della convinzione che la parola sia una cosa che denota altre cose, a loro volta dotate di un senso che prescinde il linguaggio che le esprime: grossomodo, le kantiane “cose in sé”. Ma la metafisica è piuttosto dura d’orecchi.

Perché qui non si tratta di spiegare quanto di ascoltare il linguaggio, con buona pace della tizia che giusto un anno fa di questi tempi si lamentava del fatto che io dovessi “spiegare sempre tutto”. (Il che tra parentesi dice quanto poco avesse capito della mia persona; e semmai nel suo spiegare me, come difettasse nell’attitudine per l’appunto di ascoltare piuttosto che in quello di dir la sua sempre e comunque.)

In mancanza di ascolto delle parole, esse rivelano solo il loro nichilismo quando vengono private del loro echeggiare poetico: nel senso esatto che nell’assenza del loro ascolto, dietro, oltre ad esse, non resta che il niente.

Non c’è dubbio che il linguaggio abbia un uso pratico di essenziale importanza, solo che il linguaggio non si limita a questo, e soprattutto è tutt’altro che questo. Come ci insegna Nietzsche, le parole non sono etichette che si appiccicano alle cose, ma sono una ragnatela leggerissima e profonda di rimandi, un sistema di metafore che in nessun caso scaturiscono dalle cose stesse. E che con le parole noi coloriamo e diamo forma al mondo, è cosa che chiunque abbia anche solo una volta sperimentato l’emozione di una poesia, ha provato, e compreso.

Non dovremmo parlare tutti la stessa lingua, perché la lingua di ciascuno è il suo modo di disegnare e colorare il mondo. E il condividerla con qualcuno, sino a costruire un mondo insieme, qualunque cosa possa voler dire, è l’atto più intimo, e prezioso, che chiunque possa fare.

E in fondo, senza rendercene conto, è proprio quello che facciamo. Anche se la metafisica fa di tutto per nascondercelo.

"Höre": ascolta.

 
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Commenti al Post:
isotropico
isotropico il 02/10/05 alle 15:07 via WEB
Permettimi qualche domanda: quando scrivi "per mestiere", ovvero quando pubblichi, scrivi queste cose, o ne scrivi altre? Questi post hanno origine da quello che scrivi "di mestiere" o non c'entrano niente? E poi, che cosa scrivi "di mestiere"? Dove la trovo "la tua roba"? Ti chiedo questo perché quello che leggo in questi post è estremamente intelligente e interessante, e mi piacerebbe leggere un intero libro così. Ciao john.
(Rispondi)
 
 
queenfrancy
queenfrancy il 02/10/05 alle 21:53 via WEB
"roba" buona, quella di jk... ;-)))
(Rispondi)
 
 
 
john.keating
john.keating il 03/10/05 alle 14:01 via WEB
Ragazzi, buoni, o mi fate salire i trigliceridi ;)
(Rispondi)
 
 
 
 
ladymiss0
ladymiss0 il 03/10/05 alle 14:50 via WEB
NO, DAI KE TI FA MALE!
(Rispondi) (Vedi gli altri 2 commenti )
 
 
 
 
john.keating
john.keating il 03/10/05 alle 15:00 via WEB
Quel che dico io :P
(Rispondi)
 
 
 
 
ladymiss00
ladymiss00 il 03/10/05 alle 15:10 via WEB
;)
(Rispondi)
 
taviel
taviel il 04/10/05 alle 16:37 via WEB
.. però io dico che se tu dici strada e intendi apertura, viaggio, ecc. e io lo capisco e se uno dice strada intendendo noia, traffico, ecc. e io lo capisco, allora ho buone probabilità di imparare anche le lingue in modo non idiota. almeno così presumo... ciao. mi piace troppo il post precedente perciò non lo commento.
(Rispondi)
 
 
john.keating
john.keating il 04/10/05 alle 16:54 via WEB
E tu credi di saper cogliere e far risuonare assonanze, richiami, profondità nascoste e inaspettate, in una lingua diversa dalla tua? Questo presuppone come minimo il PENSARE in quella lingua, oltre al fatto che tutto ciò che sei stata - per ontogenesi e filogenesi - deve esserti dentro in una lingua che non è la tua, e come è possibile ciò? ;) Da questo punto di vista - ma anche in generale - noi siamo le nostre parole, siamo un corpo che pensa e parla, e non è possibile essere più parole in più lingue: non più di quanto sia possibile essere tre o quattro corpi diversi :)
(Rispondi)
 
soltantounpirla
soltantounpirla il 04/10/05 alle 18:25 via WEB
questo scritto e' di una noia mortale
(Rispondi)
 
 
kiteflyer
kiteflyer il 04/10/05 alle 19:01 via WEB
per me invece è interessante..vedi un po' le parole a volte.
(Rispondi)
 
 
occhineri7101
occhineri7101 il 05/10/05 alle 12:25 via WEB
presumo che per chi, come il tuo nick declama, difetta in capacità ragionative lo splendido post di cui sopra non risulti soltanto noioso, ma del tutto alieno.
(Rispondi)
 
taviel
taviel il 05/10/05 alle 13:14 via WEB
(ma 'sta gente perchè viene a commentare qui dentro? è come se io andassi a mangiare a casa di una che, è risaputo, cucina sempre la polenta - che a me fa schifo - vado, mangio e poi dico: lo sapevo, fa schifo! quella risponderebbe: ma chi ti ha invitato?). Cmq, rispetto a quello che mi hai scritto sopra, continuo a pensare che sia difficile ma non impossibile. capisco le tue ragioni.. probabilmente è rarissimo pensare in una lingua diversa dalla propria ma, per esempio, immagina un'empatia simile all'amore tra due persone tale che nell'incontro ci si possa trasferire non solo le esperienze personali universalmente comprensibili (e umanamente condivisibili) ma anche qualcosa di più...allargato rispetto a se stesso.. pernso a una compenatrazione tale che riesci a immaginarti anche il background che fa venire fuori a quella persona, quelle parole.. perchè impossibile? certo riuscirebbe molto meglio ai tibetani che a me.. però... insomma io sono italiana e dovunque vado mi rimarrà sempre l'Italia nel sangue, ma sono anche campana e avellinese.. e io dico che posso diventare pure cinese.
(Rispondi)
 
 
taviel
taviel il 05/10/05 alle 15:23 via WEB
..e poi, scusa, immagina che nietzsche abbia fatto una lunga dissertazione scritta sul perchè non si possa contestualizzare correttamente una parola di una lingua diversa dalla propria e sul per come non si possa comprendere nel profondo il senso di un discorso fatto da uno straniero, un pò come le poesie dici tu (è pure vero che le poesie nella nostra lingua spesso non ci "giungono" e non perchè le fraintendiamo ma perchè non le com-prendiamo. non c'è modo di fraintendere una poesia, credo.).. cmq, dicevo, immagina che nietzsche abbia fatto questo discorso per poi concludere con l'aforisma di cui sopra.. ti rendi conto: 1. che se non fosse esistito un bravo traduttore non ti sarebbero mai arrivate queste parole? ..ma allora mi risponderai: ma io parlavo della parola parlata non di quella scritta.. allora: 2. immagina, per un momento, che non esistesse affatto la scrittura e tutto si comunicasse oralmente, davvero pensi che nietzsche non avrebbe trovato il modo di farsi intendere da te?
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john.keating
john.keating il 05/10/05 alle 16:20 via WEB
... ehm, tav... il discorso non riguarda la traduzione (che è assolutamente chiaro essere cosa utile): riguarda l'inconsapevolezza sulla natura profonda della Parola, sul suo significato poetico, CIOE' sul rimandare infinitamente e costitutivamente nient'altro che a se stessa. Non è in questione il fatto che attraverso le parole ci comprendiamo in senso strumentale (parlando, nomino cose). Lo stesso Heidegger non dà assolutamente una accezione negativa del termine "inautenticità", cioè l'uso strumentale, irriflesso, abituale del linguaggio, che anzi è la forma usuale del comunicare. In questione è il fatto che per l'appunto non si riflette abbastanza sul fatto che la parola - nella sua origine, nella sua essenza - è ALTRO. E QUESTO è fonte di infelicità, e fraintendimenti. La frase di Nietzsche è paradossale e provocatoria, estrema come tutte le sue affermazioni... ;)
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taviel
taviel il 05/10/05 alle 18:42 via WEB
eh! e invece io dico che ci intendiamo strumentalmente e non, nella nostra lingua e non...... ma adesso basta se no mi rendo antipatica e poi.. che ci importa john.. tanto noi le lingue non le parliamo!!!
(Rispondi)
 
sundrop
sundrop il 06/10/05 alle 18:39 via WEB
A me capita, di pensare in inglese. Se vivi per un po' in un luogo, è normale che il tuo cervello inizi a collegare immagini e parole, anche se non sono nella tua lingua madre. Non ho mai sognato in inglese. Ma spesso per esprimermi trovo che alcuni vocaboli inglesi sarebbero filologicamente più adatti al concetto che vorrei esprimere, per la loro completezza etimologica. Ora, se poi io sia un'imbecille o no, credo sia determinabile a prescindere dal fatto che mastico inglese e spagnolo...
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