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Messaggi di Marzo 2015

 

L PASQUA E' LA BUONA OCCASIONE PER LA NOSTRA STORIA DI RINNOVARE CON GESù UNA RELAZIONE VERA

Post n°903 pubblicato il 31 Marzo 2015 da sebregon

MARTEDÌ  DELLA SETTIMANA SANTA 

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Gv 13, 21-33. 36-38

 



In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu

profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta.Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».  

 

E’ un grande dolore constatare che quanto è avvenuto durante la vita di Gesù, e cioè i due tradimenti -quello di Giuda e di Pietro- e la continua persecuzione nei suoi riguardi fino a metterlo in croce, si ripropone oggi non solo nei termini dei macro-avvenimenti ( uccisione dei cristiani ) ma nel cuore di tantissimi uomini di oggi che, pur avendo avuto nella loro storia passata conoscenza di Gesù, gli applicano delle riduzioni così ingiuste da farlo diventare inessenziale per la loro vita.

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Gesù oggi è preso da molti per quel che serve e così viene tirato dalla parte di chi lotta per la liberazione degli oppressi o anche come consolatore delle anime pie domenicali o ancora come portatore di valori che però ormai sono diventati, almeno così si dichiara, patrimonio di tutti ( penso al valore della persona, all’emancipazione della donna nonostante il maschilismo del suo tempo ecc.).

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E che dire di coloro che a motivo degli errori storici ed attuali della Chiesa non  vogliono più sentire parlare di Gesù? E’ come se Gesù, vedendo la cattiveria dei suoi nemici e l’abbandono dei suoi discepoli nel momento in cui aveva più bisogno di loro, avesse abbandonato il suo disegno di farci conoscere ed amare  la vita divina, di renderci tutti fratelli e poi introdurci, nell’altra vita, nel posto che il Padre ha preparato per ognuno di noi. Gesù oggi soffre come allora perché la sua passione non fu patita davanti a quei pochi che gliela procurarono ma davanti a tutte le generazioni. future.

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E’ incredibile come noi umani ci infarciamo di ogni sapere ma di ciò che conta veramente non ce ne importa nulla. Nulla di  Gesù che è via che dà luce ai nostri passi, verità ultima e piena di ciò che esiste e  vita vera che ci procura quella profonda sensazione d’esservi dentro come protagonisti  e non come “tira a campà”. Dovremmo tutti metterci di fronte a Lui e chiedergli la luce della verità sulla nostra vita e poi pregarlo di accoglierci ancora nonostante i nostri piccoli e grandi tradimenti. Questo è il momento buono per rinnovare una relazione lasciata nelle periferie estreme del nostro spirito.

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Perché il bello è questo: Gesù c’è in fondo al nostro cuore e noi lo sappiamo ma lo trattiamo come quei parenti alla lontana che sappiamo esistenti ma che evitiamo con cura. Questo mondo passa ma noi restiamo, anche se non in questo mondo, ed allora è meglio costruire qui una buona relazione con Gesù in modo da arrivare nell’al di là non come estranei, che devono ripetere tutte le classi prima d’essere introdotti alla presenza del grande Re, ma come figli amati e fratelli del nostro Gesù.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, che sei la nostra guida su questa terra, fatti sentire e scuotici perché non ci colga un sonno profondo nei riguardi del Padre celeste e del miglioramento delle relazioni tra noi uomini quaggiù. Illumina le nostre menti perché qualsiasi sia la condizione umana in cui viviamo possiamo trovare il modo d’essere  come una luce che risplende della stessa luce del tuo Gesù.

 

Michele Sebregondio

 

 
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SONO ORE DURE PER IL SIGNORE E NOI , VISTO CHE ITEMPI IN LUI NON CONTANO, STIAMOGLI VICINO

Post n°902 pubblicato il 28 Marzo 2015 da sebregon

V SETTIMANA DI QUARESIMA - SABATO

 

 

 

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Gv 11, 45-56



In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 

 

Per chi è abituato a guardare a Gesù come si fa con santino o a liquidarlo col dire che per credergli ci vuole la fede sarà colpito nel leggere questo brano che invece lo inserisce in un contesto storico ben preciso ed all’interno di dinamiche dal profilo altamente politico. Certo non si arriva a Gesù tirando le fila logiche di un discorso, non perché il mondo della logica non contenga delle verità, ma semplicemente perché Gesù è una persona concreta e dunque come per ogni avvicinamento tra persone occorre che si aprano delle porte che solo la reciproca accoglienza può spalancare.

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 Gesù, essendo uomo come noi non voleva morire, e dunque si ritira nel deserto. Nel passato, a cominciare dalla sua nascita, le forze avverse hanno sempre cercato di ucciderlo. Non c’era pace per lui, costretto alcune volte a mettere in opera i suoi poteri, pur di non cadere in mano dei nemici. E questo è comprensibile perché il Signore Gesù doveva portare avanti la sua missione e far conoscere al mondo il motivo della sua venuta ed i doni che si portava in serbo (guarigioni, liberazione dalla schiavitù del peccato, l’essere dono di Dio in questo mondo e non erba del campo che oggi cresce e domani non c’è più, l’essere figli di un Padre buono ecc.).

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Gesù aveva dunque bisogno del suo tempo e quei tre anni della sua vita pubblica sono stati sufficienti. Gesù ha solamente spostato nel tempo il suo confronto decisivo con le forze avverse ma alla fine, siccome per questo era venuto nel mondo, e cioè per completare la sua opera, ecco che nel suo ritiro dobbiamo scorgere il momento in cui si raccoglie per affrontare la sua andata a Gerusalemme ed il suo confronto con chi non aspettava altro che farlo fuori.

 

 

 

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Gesù sa che lo uccideranno ma non fugge, come del resto non sono fuggiti Falcone e Borsellino, né quanti, pur sapendo d’essere nel mirino della mafia o di qualsiasi potere diabolico, rimangono al loro posto per coerenza verso i loro valori. Per noi è difficile calarci nel mondo ebraico di quei tempi ma il riferimento a Caifa ed al fatto che ha profetizzato in quanto sommo sacerdote di quell’anno ci colpisce perchè la profezia è stata pronunciata da chi era la persona istituzionalmente più importante in relazione alla figura storico- divina di Gesù. Le parole della profezia hanno di fatto nel piano divino una estensione infinitamente superiore a quelle date dal Sommo sacerdote. Gesù infatti affronta la sua sorte per uno scenario che non è solo quello del popolo ebraico, ma quello dell’uomo di tutti i tempi:  Egli affronta la morte per sconfiggerla.

 

 

 

 

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Gesù che risorge e che si fa vedere in giro da migliaia di persone per quaranta giorni vuole dire all’uomo che la morte fisica non cancella la vita dell’uomo perché ve n’è un’altra a cui si può partecipare solo che su questa terra si amino i fratelli sul suo esempio e Colui da cui arriva ogni dono.  

 

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo illumina la mente degli uomini perché essi vedano la grande luce portata da Gesù su questa terra, ne ammirino la coerenza e soprattutto l’ardore con cui ha voluto amarci di un amore senza ritorno e cioè proprio come vorremmo essere amati noi.

 

Michele Sebregondio

 
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DIMENTICARE SOMIGLIA AD UN MORBIDO LETTO DOVE SI AFFOSSANO TUTTE LE PERLE DA ESTRARRE DALLA VITA PASSATA

Post n°901 pubblicato il 26 Marzo 2015 da sebregon

V SETTIMANA DI QUARESIMA – GIOVEDÌ

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Sal. 105, 4-5

Cercate il Signore e la sua potenza,

ricercate sempre il suo volto.

Ricordate le meraviglie che ha compiuto,

i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca.

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Nei giorni scorsi, per un lutto in famiglia ho visitato il cimitero del mio paese di origine, in Calabria e guardando le tombe di amici e parenti mi sono accorto di una tomba in cui i figli del defunto, emigrati in Francia, hanno voluto portare un ricordo da Lourdes con su la scritta “Le Temps passe, le souvenir reste. Che si traduce “Il tempo passa”, il ricordo resta.

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Frase che, banale quanto sia, mostra l’affetto con cui si ricordano le persone care e nello stesso tempo mostra che l’uomo, fin nelle midolla delle sue ossa è fatto di ricordi. È brutto quando i ricordi si trasformano in rimpianti, occasioni che restano sempre perdute e che potevano davvero dare una svolta alla vita, ma se i ricordi si ravvivano diventano in un certo senso concime per far crescere un futuro davvero bello. È un po’ quello che succede nella storia di Israele nel primo testamento. Quando Israele ha un ricordo vivo di Dio allora costruisce la sua storia e il suo futuro, ma quando dimentica perde tutto quello che fino ad allora ha conquistato e deve ricominciare la salita.

 

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Per questo il salmista non solo in questo salmo, ma anche in molti altri, invita Israele al ricordo. Un ricordo che però non è semplice ricostruzione storica ma un rivivere, far vivere ancora la salvezza che si rinnova oggi per noi. In questo senso l’invito a ricordare è rivolto anche a Dio. Ed in effetti se ci pensiamo bene un rapporto si costruisce e si mantiene vivo ricordando il bene reciproco e i benefici ricevuti. Se però questi si dimenticano ci si pone in un rapporto di antagonismo. Per questo ad esempio nell’esodo quando si raccontano i disagi di Israele in Egitto si dice che furono causati da un faraone che non aveva conosciuto Giuseppe e che aveva quindi dimenticato i benefici recati da questi al suo popolo.

 

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Immagine

 

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Mi viene in mente la frase di Merlino nel film Excalibur, di John Boorman. Quando propone di costruire la tavola rotonda e il castello di Camelot la motivazione che adduce è quella di riunirsi e raccontare tutte le avventure: “Poiché la maledizione degli uomini – afferma- è che essi dimenticano.

 

La nostra vita e la Parola

 

Dio del Ricordo, tu che non dimentichi nessuno dei tuoi figli e che vivi in mezzo a noi sempre per ricordarci che siamo tuoi, ravviva oggi il ricordo di te e donaci la tua grazia. Perché ricordandoci del tuo amore anche noi possiamo narrare ai fratelli le meraviglie che compie ogni giorno. Amen

 

P. Elia Spezzano, Ocist.

 
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GESU' "CHE E' " NON SI IMPONE E PATISCE L'ESSERE LASCIATO SOLO DAGLI UOMINI MA NON DAL PADRE

Post n°900 pubblicato il 26 Marzo 2015 da sebregon

V SETTIMANA DI QUARESIMA – MARTEDI’

 

Gv 8,21-30

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui. 

 

Il vangelo di Giovanni, sempre più ‘intellettuale’ degli altri, pone in primo piano la domanda su “Chi è Gesù?”. E in questo brano la risposta è chiara nella sua enigmaticità.“Io sono” richiama la dichiarazione “io sono colui che sono” fatta da Jahvè a Mosè ((Esodo 3.14), quindi Gesù afferma di essere Dio. E chi non gli crede morirà nel peccato. Affermare di essere Dio (o di essere l’Essere) suona blasfemo, o quanto meno incomprensibile, ai giudei. Che non capiscono nemmeno i riferimenti al Padre fatti da Gesù, che ribadisce di essere stato mandato da Dio per annunciare la verità. Verità che, aggiunge, “renderà liberi”. Un brano difficile, duro, in cui Gesù ribatte alle accuse dei farisei che lo incalzano, prendendo alla lettera le sue parole che parlano invece su un piano diverso. Non è infatti in gioco una mera logica temporale: “Tu non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?” chiedono alla fine del brano, ingenuamente, i giudei. E Gesù ribatte: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono”. Su quell’ “Io sono” si gioca tutto. Credere o non credere, senza pretese di comprensione logica.

 

 

Alessandra Callegari

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Gesù confessa che fa sempre le cose che sono gradite al Padre e questa sua dichiarazione ci colpisce in profondità perché noi non facciamo quasi mai le cose che sono gradite a Dio. Il nostro punto di riferimento, ed è doloroso constatarlo, è il bozzolo che ci siamo costruiti lungo la vita  da cui  siamo condotti e stampigliati. E quanto sia grande questa forza che ci plasma e ci orienta lo vediamo dalla diversità dei mondi interiori delle persone. Ognuno di noi è così diverso da un altro che davvero dobbiamo prendere atto che nell’essere diversi tantissima parte lo dobbiamo a noi stessi. E qui non mi riferisco alla bontà che abita pure il mondo della diversità, ma la abita più nel farci sentire più simili che dissimili, parlo invece di quell’essere diversi che è frutto proprio del volerci creare da noi e non in ascolto del Signore Dio per farlo contento. Ecco questo nostro essere da noi è proprio quello che ci fa differenti da Gesù che in nulla s’era fatto da solo ma in tutto dipendeva dal Padre suo. Imparare da Lui l’umiltà per conformarci ai sui desideri ecco cosa ci può convenire veramente. Ed è stupendo sentire dalla sua bocca questa meravigliosa confessione che ci allarga il cuore perché lo riempie di luce magari abbattendo quelle nostre costruzioni a cui tanto teniamo. 

La nostra vita e la Parola

 Spirito Santo, abbiamo sempre bisogno del tuo aiuto per allargare le fessure  del nostro essere in modo che s’aprano spaziose finestre da cui può entrare la tua luce.

 Michele Sebregondio

 

 
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LA FORZA E LA BELLEZZA DEL NOSTRO GESU' SON UN TESORO PREZIOSO E MOLTO DI PIU'L'INTRODUZIONE ALLA RELAZIONE CON LUI.

Post n°899 pubblicato il 20 Marzo 2015 da sebregon

TEMPO DI QUARESIMA
SABATO DOPO LE CENERI

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Lc 5, 27-32

In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano». 

                                        

 

Concentriamoci su Gesù liberandoci dalle questioni troppo dottrinali, non perchè non siano importanti, ma perché magari non ci fanno cogliere il dato della presenza della sua persona nel contesto della sua quotidianità, che però diventava straordinaria, visto il suo modo di viverla.

 

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Noi siamo abituati a non avere niente a che fare con uno poco di buono e facciamo bene perché non siamo come Gesù e soprattutto nella nostra ordinarietà non siamo inviati nella missione di annunciare il regno come Lui. Noi, per non uscire fuori dal contesto di comprensibilità delle umane relazioni, non possiamo dire ad uno qualsiasi si che sia giusto o ingiusto: “ Guarda devo dirti una cosa importante: "Gesù è quello che ti salva veramente”.

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E non lo possiamo dire per mille ragioni ed una più di tutte perché non abbiamo un contesto uniforme che possa intendere cosa significhi la parola ‘salvezza’ e chi sia colui che nominiamo con il nome di ‘Gesù’. Il contesto invece del nostro Gesù era uniforme nel senso che tutti erano figli di una storia con un capostipite Abramo, un grande mediatore Mosè e poi i profeti e la Legge. Gesù, diciamo per intenderci, giocava in casa.

 

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E proprio per questo il suo modo di comportarsi spicca nella sua differenza di fronte alla sclerosi di un mondo religioso che aveva messo in cattedra se stesso e non aveva più alcuna ansia di far rivivere ai più bisognosi quella stessa gioia goduta all’inizio della loro storia: la  liberazione dall’oppressione del faraone e  un incontro-alleanza con il loro Signore Adonai. L‘incontro di Gesù con Levi sono l’immagine di un amore vero e cioè, di quello che non bada al proprio interesse  ma nel suo procedere in modo puro e disinteressato lancia la proposta di seguirlo.  Levi lo segue perché vede in Gesù questa potente forza di bene che gli fa l’onore di metterlo alla portata di un amore che nel suo proporsi non è dirimente, ma accogliente.  

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torino sabato 27 ottobre incontro con gesù

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Lo sguardo e le parola di Gesù sono la promessa di un futuro sanante e non fanno discriminazioni tra buoni e cattivi, anzi prediligono questi ultimi perché più bisognosi. Tornando a noi, che non siamo Gesù, come dobbiamo annunciarlo? Vi  sono mille modi di farlo, alcuni buoni altre meno, altri pessimi quando vogliono convincere gli altri a forza di ragionamenti. Ognuno con la sua vita a poco a poco trova il suo modo ma deve essere chiaro che noi non possiamo essere più del nostro Maestro.

 

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Ciò significa che dobbiamo solo seminare e mai pretendere di raccogliere. Ogni raccolto deve essere un di più insperato. Solo così possiamo uscire dalle secche del narcisismo, e cioè dell’essere stati noi la causa di una conversione, e somigliare a Gesù che nonostante tutti i suoi miracoli, le sue parole di liberazione fu messo in croce. E come Gesù  anche noi saremo toccati dalla sofferenza quando vedremo le persone allontanarsi da Lui e dalla sua santità, che non è solo una sua cosa privata legata ad un modo d’essere religioso, ma rappresenta lo splendore in cui vorremmo in assoluto che vivesse la nostra umanità.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, aiutaci ad avere una lettura della figura umano e divina di Gesù che non sia stantia e bigotta, ma che si disseti alla fonte della Sua santità di vita.

 

Michele Sebregondio

 
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LA MISERICORDIA CI APRE UNA STRADA CON ORIZZONTI SEMPRE PIù PIENI DI LUCE E DI MERAVIGLIE

Post n°898 pubblicato il 19 Marzo 2015 da sebregon

19 MARZO
SAN GIUSEPPE
SPOSO 
DELLA BEATA VERGINE MARIA

PATRONO DELLA CHIESA UNIVERSALE

 

 

Mt 1,16.18-21.24a

 

 



Giuseppe avrebbe potuto seguire la legge  e ripudiare Maria  e così rimanere comunque nella legalità. Avrebbe potuto cioè condannarla alla lapidazione o ad una crudele emarginazione.

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Egli però non si comporta così e  mosso  dall’amore verso Maria pensa di ripudiarla segretamente. Noi, che oggi cerchiamo di immaginare come possono essersi svolti i fatti, potremmo chiederci  come mai Maria non dica niente a Giuseppe di quanto  le sia successo. Ci sarebbe sembrato la cosa più logica da fare ma quale credibilità avrebbe avuto Maria agli occhi di Giuseppe se gli avesse detto che era stato lo Spirito Santo a metterla incinta? Nessuna ed a conferma di ciò vediamo che Giuseppe, vedendola incinta, pensa come ognuno di noi avrebbe pensato e cioè che era stata ingravidata da un uomo.

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Tuttavia il vero motivo del silenzio di Maria è legato alla sua fiducia in Dio che di sicuro l’avrebbe aiutata di fronte al suo popolo d’Israele ed agli occhi del suo Giuseppe. Giuseppe è dichiarato ‘giusto’ perché, essendo timorato di Dio, non avrebbe potuto mai far del male  ad un essere umano.

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La lezione che ci consegna Giuseppe è quella della misericordia che oggi si collega a meraviglia con il  Giubileo straordinario che Papa Francesco promulgherà l’8 di Dicembre e che ha al centro la parola del Signore : “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”.

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.Ed ecco le parole del Papa: «Sono convinto che tutta la Chiesa potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale siamo tutti chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ogni donna del nostro tempo»…..«Non dimentichiamo che Dio perdona tutto e perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono». In questo tempo in cui da ogni parte siamo accerchiati dalle giustizie ingiuste e da assassini che in nome di una falsa giustizia seminano terrore dobbiamo affinare il nostro spirito per abituarlo alla misericordia nello stesso tempo che abbraccia le armi della vera giustizia che non ha paura di mettersi in gioco per ottenerla.

 

La nostra vita e la Parola

Spirito Santo che hai premiato la giustizia e la misericordia di Giuseppe affidandogli Maria ed il bambino Gesù fa che anche noi accogliendo in noi lo spirito di giustizia che ci infondi possiamo essere degni di accompagnarci a Maria ed al suo, e nostro, Gesù.

 

Michele Sebregondio

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore. 

 
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LA VITA E' UN ATTENDERE UNA MANO CHE IMMANCABILMENTE ARRIVA BASTA NON PERDERE LA SPERANZA

Post n°897 pubblicato il 17 Marzo 2015 da sebregon

IV SETTIMANA DI QUARESIMA – MARTEDÌ

 

Gv 5, 1-16



Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato. 

 

Intorno alla piscina di Betzatà c’è l’ospedale da campo di papa Francesco. Un luogo dove c’è gente da curare, dove si fa la corsa per entrare nella piscina accavallandosi uno sull’altro e qualcuno più debole non ce la fa. Il desiderio  di entrare nella piscina della salute  frustrato tante volte lo è anche in questo sabato. Ripiegati su noi stessi, quasi rassegnati, qualcuno che non identifichiamo chiaramente ci chiede: vuoi guarire? Sì lo vogliamo, ma non capiamo, siamo in un momento di confusione, non sappiamo nemmeno con chiarezza a chi abbiamo detto sì, ma lo vogliamo.

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Poi nel tempio Lui si avvicina a noi per farsi riconoscere e ricordarci che non siamo abbandonati a noi stessi nella tentazione e soli in lotta con il male. Riponendo la nostra fiducia in Lui ci prepariamo a ricevere la vera umiltà.

 

Livio Cailotto

 
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Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde

Post n°896 pubblicato il 13 Marzo 2015 da sebregon

III SETTIMANA DI QUARESIMA

   

 

Lc 11, 14-23

In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde». 

 

Una pagina che mi è già capitato di commentare l’anno scorso e che trovo sempre interessante, soprattutto per la famosissima, apparentemente durissima, frase finale.Frase che, dicevo già l’anno scorso, trovavo un tempo persino “troppo” dura, al punto anzi da provocare in me fastidio: lo stesso fastidio che provo di fronte a chi assume posizioni radicali, estreme, intolleranti. Chi vede nel diverso solo un nemico da allontanare e addirittura da combattere.Ma ancora oggi, come allora, nelle parole di Gesù sento piuttosto un invito al coraggio della verità. Uno sprone a prendere posizione, a non evitare il conflitto per paura del giudizio altrui bensì a mettersi in gioco, accettandone tutte le conseguenze. Ci sono situazioni, dicevo, in cui non si può stare a metà: o dentro o fuori. Coi sono situazioni in cui è non solo necessario, ma addirittura indispensabile, assumere una posizione chiara, determinata, ferma. Sono situazioni spesso difficili e dolorose, ma consentono di fare un passo concreto nella propria crescita personale e spirituale.Questo, credo, è l’invito di Gesù. Lo stesso per il quale dante mette gli ignavi persino fuori dall’Inferno:

 

« Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa. »

 

Alessandra Callegari

 

 
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RACCOGLIERE CON GESU' E NON DISPERDERE CON CHI HA SOLO IL NOME DI UN MOMENTO MA NON UNA STORIA PIENA DI GRANDEZZA

Post n°895 pubblicato il 11 Marzo 2015 da sebregon

III SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ



 

 

Lc 11, 14-23



In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde». 

 

 

 

 

Gesù è più forte di tutte la forza del maligno o anche, se vogliamo dirlo diversamente visto che l’uomo di oggi è allergico a sentir nominare il demonio, Egli è più forte di qualsiasi mito l’uomo si possa fare che non metta al centro il servizio dell’uomo e/o quello di Dio. Ho scritto e/o per rispetto verso coloro che non credono in Dio ma sono servitori dei grandi ideali umani.

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Per noi cristiani, che leggiamo la realtà con gli occhi di Gesù, vale il credere che chi, pur  conoscendoLo, gli va contro, scegliendo altri a cui credere, questi ha scelto di portare avanti una vita irta di pericoli in cui tutto si complica invece di semplificarsi.  La cosa bella poi che dice Gesù, oltre alla personalizzazione in cui il perno gira tutto sulla sua divina persona,  è che parla di un ‘raccolto’ fatto assieme a Lui.

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E si sa che il ‘raccolto’ è sempre qualcosa di bello che ispira abbondanza e gioia. Noi siamo chiamati a raccogliere con Lui e, come Gesù dice in altro punto del vangelo potremo raccogliere ciò che non abbiamo seminato grazie a quella comunione dei santi che ci permette di operare in campi che noi non abbiamo preparato ma di cui conosciamo bene la regola che ci permette di entrarvi e cioè essere nella comunione del ‘dono’.

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 La comunione dei santi è la comunione di coloro che ricevendo da Gesù il dono del suo corpo e del suo sangue sanno assimilarli così tanto da ridonarli a beneficio di tutti.  

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, aiutaci a non disperdere ma ad essere sempre uniti a Gesù ed al suo regno di verità e di vera forza.

Michele Sebregondio

 
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PERDONARE E' COME INVESTIRE SULLA PROPRIA SALVEZZA

Post n°894 pubblicato il 10 Marzo 2015 da sebregon

III SETTIMANA DI QUARESIMA – MARTEDÌ

 

 

 

 

Mt 18, 21-35



In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. 5Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». 

 

Nel brano sono presenti due registri il primo riguarda il comportamento da tenere verso il fratello che commette una colpa verso di me, ed un altro quello del Padre celeste verso chi si comporta male. Nel primo caso vale perdonare non qualche volta ma settanta volte e cioè sempre, mentre nel caso del Padre è diverso perché rappresenta l’istanza ultima della giustizia. Ed ora cerchiamo di capire perché dobbiamo perdonare  se vogliamo essere giusti e soprattutto perché il Padre celeste non può perdonare alla maniera umana. A noi conviene perdonare perché anche noi siamo peccatori ed abbiamo bisogno sempre di perdono e dunque non possiamo non perdonare altrimenti facciamo la fine del servo ingiusto che, perdonato, non perdona. Per il Padre celeste è diverso perché egli è giusto e non ha un obbligo morale nel perdonare anzi è proprio della sua giustizia punire nella sua maniera divina chi giusto non è. Le punizioni di Dio sono sempre per la salvezza ed hanno lo scopo di aiutare l’uomo malvagio in una restituzione che non solo renda giustizia al fratello offeso ma sia per lui una via di redenzione. Ma c’è di più perché il peccato del fratello mi è di aiuto per prendere coscienza d’essere peccatore anch’io magari non come il fratello lo è stato verso di me ma in modo diverso e cioè in un altro ambito di relazioni. Per esempio io che non farei male ad una mosca magari mi avvalgo della forza di una organizzazione quando si tratta  di prendere delle decisioni sul personale pur essendoci la possibilità di darsi da fare per indirizzare le cose in un modo diverso. Questo non è che uno dei mille casi in cui non ci comportiamo bene e dove abbiamo bisogno d’essere continuamente perdonati sia da Dio che dai nostri fratelli. Ora quanto più prendiamo coscienza d’essere piccoli e bacati  tanto più saremo disposti a perdonare gli altri e viverli in una luce diversa in cui possiamo, pur non rinunciando ad ottenere giustizia, vedere come aiutarli a cambiare. Certo non da soli ma sempre con l’aiuto del Padre celeste e del suo Figlio Gesù che già ci aiuta sia con le sue parole ma anche con la sua vicinanza.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito santo, infondi in noi quello spirito buono che prendendo coscienza della propria miseria ne fa uno strumento di misericordia verso i fratelli che sbagliano.

 

Michele Sebregondio

 

 

 
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SIGNORE CHE LA NOSTRA VITA NON PASSI A MISURARE QUELLO CHE CI APPARTIENE

Post n°893 pubblicato il 07 Marzo 2015 da sebregon

 II SETTIMANA DI QUARESIMA - SABATO

 

 

 

 

 

Lc 15, 1-3. 11-32

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». 



Le ragioni del figlio che se ne va dalla casa del padre non sono raccontate nel brano di Luca e sapere con  precisione cosa spinge il secondogenito  ad andarsene non ci viene detto. Ma sappiamo tutti per esperienza che uscire dal contesto famigliare è un passo importante per un figlio e le ragioni per cui si esce dalla famiglia sono tante. La spinta a uscire anche quando assume la forma di una ribellione è sempre buona.

 

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Ci sono sempre buone ragioni per fare diversamente e dare inizio a qualcosa di nuovo.

 

 

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Usciti si entra nella vita e si inizia a sperimentare dove ci portano i nostri desideri, sia quelli che conosciamo e perseguiamo consapevolmente, sia quelli  che sotterraneamente  ci spingono in una direzione o nell’altra. Poi nella vita avviene che insoddisfatti di aver coltivato solo una parte di noi stessi raggiungiamo uno stato di prostrazione, ci manca non solo il cibo per mangiare ma molto di più, il vuoto e la disperazione ci invadono perché in qualche modo ci siamo dispersi e allora per ritrovarci sentiamo forte il bisogno di quel senso di appartenenza al Tutto che è l’amore del Padre che tutto tiene insieme.

 

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Quando il Padre ci infila l’anello simbolo della nostra unione/appartenenza alla sua casa, tutto muta per noi e tutte le spinte e i desideri si ricompongono nell’esperienza di sentirci amati nel suo abbraccio benedicente.

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Livio Cailotto

 

 
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ASCOLTARE, ASCOLTARE PER AMARE E NON MURARSI DA NOI STESSI PER LA NOSTRA ROVINA

Post n°892 pubblicato il 05 Marzo 2015 da sebregon

II SETTIMANA DI QUARESIMA – GIOVEDÌ

Ricco epulone 4


 

 

Lc 16, 19-31


In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». 

La conclusione di questo racconto di Gesù è tragica perché mette il dito sul triste fardello che tanti di noi portano sulle spalle. Nel senso che ci siamo via via costruiti una tale cecità di visione e di giudizio che potrebbero anche succederci le cose più eclatanti al fine di migliorare la nostra  vita  ma poi con il tempo dimenticarle e tornare alla cecità di prima.

 

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L’abbiamo notato con evidenza con la resurrezione di Lazzaro che avvenne quasi a ridosso della passione di Gesù: quanti di coloro che avevano visto Gesù risorgere Lazzaro poi erano in piazza davanti a Pilato ad esigere che Gesù fosse liberato? Pare nessuno, eppure avevano visto risorgere un uomo che era morto da 4 giorni e puzzava.

 

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Allora se ci capita così possiamo mai salvarci? Dobbiamo dunque arrenderci a questa nostra sorte piuttosto fastidiosa che non ci lascia alcuna speranza di un vero cambiamento. Ed è per questo che è venuto qui sulla terra il nostro Signore Gesù perché dove noi nulla possiamo Egli può tutto. Dove noi cadremmo ad ogni istante, perché portiamo avanti questa nostra cresta  di ‘homo saputellus’, ecco che Lui ci introduce in un regno diverso da quello del pretendere di sapere come vanno le cose.

 

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Ci ha detto che la cosa più importante non è sapere ma amare Dio ed amare l’uomo, servire Dio e servire l’uomo. Semplice, no? Eppure anche qui quanta fatica ci sembra di dover fare e questo  perché anche nel ‘fare il bene’ abbiamo sempre quella manina che pretende di fare tutto da soli senza che si ascolti il Signore ed il nostro prossimo. L’ascolto vero è quello che spazza via le nere nubi del nostro voler performare il mondo secondo i nostri desideri.

 

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orizzonte

 

 

 

.Non che non li dobbiamo avere, ma un conto è averli un altro volerli per forza realizzare quando il contesto ci sta chiedendo altro da quello che vogliamo proporre e fare. Il ricco che non si accorge di Lazzaro è colui che ha realizzato così bene il suo desiderio d’avere tutto che quel tutto accerchiandolo lo mura tanto da non fargli vedere i bisogni del povero che era alla sua porta. Quando uno è centrato su se stesso non vede nulla né il povero, né un angelo e neppure un morto che lo va a visitare.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, noi confidiamo negli stimoli salutari che puoi donarci  perché lasciati a noi stessi rischieremmo d’essere come il ricco epulone che non si accorge di niente e va verso la rovina.

 

Michele Sebregondio

 

 
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L'UMILTA' CI PERMTTE DI NON VIVERE CON L'ANSIA DELLA PRESTAZIONE

Post n°891 pubblicato il 02 Marzo 2015 da sebregon

II SETTIMANA DI QUARESIMA - MARTEDÌ

 

 

 

Mt 23, 1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Il problema molte volte oggi non è quello di pretendere dagli altri d’essere chiamati maestri ma nel resistere a coloro che vedendo una disparità nella percezione del proprio essere, rispetto a qualcosa di cui mancano, appena la trovano in un altro ecco che l’omaggiano dandogli il titolo di maestro. Passi per tutti i titoli che si acquisiscono per via di studio e, quindi dopo di professione, per cui abbiamo il maestro di scuola, il maestro di danza e così via, ma altra cosa è accettare d’essere chiamati maestri di vita.

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Nessuno può essere maestro nel campo della vita perché tutti vi siamo immersi e tutti abbiamo bisogno di un vero maestro e questi è solo Gesù e coloro che, crededenti o non, si pongono sulla sua scia .

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La consapevolezza interiorizzata di questa verità deve portarci ad un rapporto davvero molto delicato con il nostro prossimo evitando d’accettare d’essere messi sugli altari e quindi creandoci a poco a poco quella cattedra di superiorità che è la nostra rovina.

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Cosa fare allora quando negli incroci delle esistenze ci si trova di fronte a coloro che per il portato della loro vita ci sembrano mancanti di passaggi importanti per gettare una luce più piena all’interno di loro stessi? Credo che la cosa migliore sia ascoltare i bisogni e le richieste del nostro prossimo testimoniando ciò che abbiamo appreso dalla nostra frequenza del Signore. Perché insegnare si può come, ad es., fa Paolo: “Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, [31] annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.” (At 28, 30-31) La nostra dura battaglia con noi stessi è quella di mantenerci umili e dichiarare agli altri il più che sia possibile che la fonte a cui attingiamo i tesori non è nostra ma del Signore Gesù.

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epod cienctec a fonte greer é a segunda maior fonte natural do estado ...

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Se non si fa così allora sviamo gli altri che invece di ricorrere in modo autonomo alla vera fonte si appoggeranno a noi con il rischio di cadere con noi se anche noi cadiamo. Gesù non dice che non si può essere dei ‘più’ perché questo è nell’ordine delle cose, ma che questo ‘più’ serva veramente al servizio e non alla crescita della propria importanza personale.

 

La nostra vita e la Parola

Spirito Santo, dacci lo stesso spirito di umiltà del Signore Gesù che umiliò se stesso per dare a noi la possibilità di acquisire la vera grandezza e cioè d’essere figli del Padre e suoi fratelli.

 

Michele Sebregondio

 
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