Creato da io_deifobe il 08/03/2007

LA SACERDOTESSA

- SCIENZE ESOTERICHE - RACCONTI - MISTERI E DIVINAZIONE

 

 

L'ENIGMA DEI TESCHI DI CRISTALLO

Post n°404 pubblicato il 14 Maggio 2007 da io_deifobe

Oltre ad essere stupende creazioni della natura, i cristalli di quarzo hanno molte interessanti proprietà che li rendono utili per un notevole numero di moderne applicazioni. Il quarzo, infatti, è in grado di risuonare, trasmettere, amplificare, immagazzinare, mettere a fuoco e strutturare l'energia. È inoltre un materiale piezoelettrico, in quanto - sotto pressione - genera una carica elettrica.
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Un orologio al quarzo ha al suo interno un cristallo di quarzo che vibra come un pace-maker, ed i cristalli sono usati anche in svariate tecnologie, compresi gli apparati elettronici, le radio e i computer.
Gli esseri umani hanno sempre avuto un'importante relazione storica con questi oggetti naturali: sappiamo infatti che oltre alle molte utilizzazioni moderne, gli antichi scoprirono i poteri dei cristalli molto tempo addietro, ben prima di noi. Ad esempio, un cristallo era posto nel pettorale dei sacerdoti ebrei; inoltre queste pietre erano usate dagli sciamani per le divinazioni e durante i riti di guarigione.
Secondo la leggenda ci sono nel mondo 13 teschi di cristallo a grandezza naturale, che contengono informazioni cruciali per il destino dell'umanità...
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A livello molecolare, il cristallo si forma sotto intensa pressione e calore. Il cristallo di quarzo, in particolare, è dotato di polarità negativa e positiva come una batteria e risponde alla luce e all'elettricità. Ha un'unica struttura che implica torsione, o spiralità delle catene ad elica di tetraedri silicei. Durante la sua "crescita", ogni tetraedro ruota di 120 gradi. Un cristallo di quarzo completamente formato è un esagono che termina con una punta acuta.
La forma geometrica e la chiarezza di queste pietre danno loro una qualità estetica che la gente apprezza come gemme o, se abbastanza grandi, come solitari o oggetti artistici.
Sembra anche che il cristallo di quarzo sia una sostanza naturale molto elastica e risonante, con una larga gamma di proprietà e usi.
In termini metafisici, le sfere di cristallo di rocca o "palle di cristallo" erano usate come strumenti di divinazione e nel medioevo perfino per la diagnostica delle malattie. Come ben sappiamo erano - e sono - usate anche per prevedere il futuro.
Il più famoso pezzo di cristallo inciso è indubbiamente il teschio di cristallo .

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Anna Mitchell-Hedges aveva 17 anni quando trovò nella giungla del Belize questo unico e misterioso manufatto durante una spedizione col padre, il famoso esploratore F.A. Mitchell-Hedges. Dichiarò di averlo dissotterrato da sotto un altare in pietra, mentre frugava tra le rovine di un'antica città Maya.
La ragazza notò qualcosa che luccicava tra la polvere e quando lo tirò fuori rimase attonita per la scoperta di un teschio di cristallo perfettamente inciso e ancora intatto. La mandibola staccata fu ritrovata tre mesi dopo.
Le dimensioni del cranio corrispondono perfettamente a quelle di una testa umana femminile. È alto e largo 13 cm. per 18 di profondità e pesa cinque chilogrammi.
Nel 1970, Anna portò il teschio "Mitchell-Hedges" da Frank Dorland, un restauratore di opere d'arte che rimase sconcertato alla vita dell'oggetto. Non avendo mai visto nulla del genere, volle studiarlo e quindi il primo passo fu quello di farlo esaminare scientificamente.
Dorland lo spedì al laboratorio della Hewlett-Packard; il risultato, oltre a destare grande sorpresa, avrebbe portato ad un grande enigma...
I tecnici del laboratorio immersero il cranio in una soluzione di alcool benzilico, quindi lo fecero passare sotto la luce. Da questo test conclusero che il cranio e la mandibola facevano parte dello stesso blocco di quarzo. Ma ciò che li sorprese fu che cranio e mandibola erano stati incisi senza badare all'asse naturale del cristallo (questa strategia previene le fratture durante il processo di incisione). Conclusero pertanto che chiunque avesse fatto quel teschio di cristallo aveva dei metodi che aggiravano il problema.
La successiva informazione sbalorditiva che appresero dal teschio fu che il fabbricante non aveva usato utensili metallici per sagomarlo... Infatti, non riuscirono a trovare la benché minima traccia della tecnica usata, nemmeno sottoponendolo alle più sofisticate analisi microscopiche in grado di rilevare le più moderne tecnologie di lavorazione. Ovviamente, ciò fece emergere la questione di "come" il teschio fosse stato sagomato e lucidato con tale perfezione.
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Il quarzo ha una gravità specifica di 2.5 e una durezza (scala Mohs) di 7 che nel caso del diamante arriva a 10, il che lo rende più duro del metallo.
Non sarebbe per niente facile creare un teschio di cristallo neanche usando degli strumenti moderni, ma è davvero molto difficile immaginare come qualcuno, in possesso di tecniche primitive, possa aver fatto un lavoro come quello.
Secondo quanto gli scienziati sanno a proposito della fine della civiltà Maya, il teschio dovrebbe essere stato fatto più di mille anni fa...
Gli antropologi considerano che i Maya fossero un popolo dell'Età della Pietra; dunque, se furono loro a foggiare il teschio, con quali metodi ci riuscirono?
Studiando attentamente la superficie, Dorland scoprì microscopiche tracce di segni vicino alle parti curve. Ragionò quindi che il teschio doveva essere stato prima di tutto cesellato meticolosamente in una forma grezza, probabilmente usando dei diamanti. Ma da dove avrebbero preso i diamanti, i Maya?
Speculò anche che per dare una forma sempre migliore avessero usato ripetute applicazioni di acqua e sabbia di cristallo siliconato. Effettivamente, avrebbero potuto ottenere davvero quel risultato, usando i metodi di Dorland... Tuttavia, c'era un grande problema in questo scenario: il tempo. Stimò che ci sarebbero voluti quasi 300 anni di laboratorio per usare sul teschio le sue tecniche.
È difficile immaginare che la lavorazione del teschio si fosse tramandata di generazione in generazione per tutto quel tempo! L'unica alternativa era che i suoi creatori avessero usato metodi oggi perduti.
Ma questo era solo l'inizio dei misteri legati al teschio...
Fu scoperto che le ossa arcuate che si estendono lungo i lati e la fronte del cranio erano accuratamente separate dal pezzo di cristallo, in modo da funzionare come tubicini... mediante dei princìpi simili a quelli dei moderni ottici. In definitiva, essi incanalano la luce dalla base del teschio fino alle cavità orbicolari, che sono lenti concave miniaturizzate in grado di trasferire dentro al cranio la luce, anche in caso questa provenisse da una sorgente sottostante.
All'interno del teschio è stato trovato un allineamento di prismi e dei minuscoli tunnel luminosi che esaltano e illuminano eventuali oggetti sottostanti.
Dorland condusse anche una serie di particolari esperimenti per vedere cosa succedeva quando un fascio di luce veniva fatto passare attraverso la parte inferiore del teschio. Riferì: "Si accende come se prendesse fuoco".
Uno dei cristallografi della Hewlett-Packard sommò tutti i misteri del teschio di Mitchell-Hedges dicendo: "Quella dannata cosa non dovrebbe esistere".
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Altri teschi di cristallo si trovano in varie parti del mondo in mano a collezionisti privati, mentre alcuni sono stati acquistati dai più importanti musei del mondo.
Come tutte le anomalie storiche o i manufatti enigmatici, questi teschi di cristallo sono stati al centro della controversia internazionale.
Il "Museo dell'Uomo" (Museum of Man) di Londra ne aveva uno in mostra, ma da quando lo hanno rimosso, viene tenuto in magazzino.
Anche il Museo dell'Uomo di Parigi ne aveva uno che veniva chiamato "Teschio Azteco", ma anche quello manca dall'esposizione da un pezzo.
F.R. Nocerino, uno dei massimi esperti mondiali sui teschi di cristallo, entrò in possesso di un teschio di cristallo di dimensione umana, proprio mentre stava aiutando a localizzare una città perduta nel Messico meridionale. Pesava quasi 6 Kg ed era scavato da un blocco di cristallo chiaro.
Una delle maggiori controversie su questo teschio fu concentrata sulla sua autenticità.
Il processo usato per determinare se un teschio è stato fatto in tempi antichi o moderni è molto sofisticato e solo una ristretta selezione ne è stata sottoposta.
Nel 1996 la BBC, in associazione con il "British Museum" e la "Everyman Productions", sottopose un gruppo di teschi di cristallo al test di autenticità durante le riprese di un documentario.
Venne anche aggiunta una copia di ogni teschio, e dopo furono sottoposti a un microscopio elettronico per esaminare i minuscoli segni lasciati dall'incisione.
Gli esperti riuscirono a distinguere gli strumenti e i metodi di lucidatura usati, analizzando semplicemente quelle minuscole tracce che sono invisibili a occhio nudo ma che vengono individuate dal sofisticato microscopio.
Mr. Nocerino portò il suo teschio e un altro partecipante privato, Jo Ann Parks, portò un teschio che aveva ricevuto dal guaritore tibetano Norbu Chen. Anche i musei di Londra e di Parigi portarono i loro teschi.
I musei declinarono poi di commentare i risultati; comunque, gli esperti delle antichità rivelarono che i loro teschi erano di origine abbastanza moderna, ragion per cui li tolsero dalle loro esposizioni.
Invece, fu determinato che i due teschi in mano ai privati avevano almeno 5000 anni!
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Chiunque abbia familiarità con le antichità del Mesoamerica avrà capito immediatamente quanto fantastica sia stata una scoperta del genere. Secondo gli scienziati, infatti, la più antica civiltà del Messico, quella Olmeca, ha solo circa 3000 anni... dunque, "chi" creò questo sofisticata e imbarazzante opera d'arte, che forse avrebbe potuto essere anche un oggetto oracolare?
Non c'è dubbio che il cristallo abbia molte proprietà utili e potenti che possono essere utilizzate in molti modi diversi. Nel nostro mondo materialistico abbiamo focalizzato di usarlo tecnologicamente.
Ma se può immagazzinare, amplificare e trasmettere onde radio ed elettromagnetiche, forse il cristallo può fare lo stesso anche per il pensiero umano e altre energie sottili.
Il cervello umano produce piccoli, tuttavia misurabili, impulsi elettrici. Il teschio di cristallo avrebbe potuto essere concepito e utilizzato come amplificatore per la trasmissione mediante onde, proprio come si utilizzavano i cristalli nelle prime radio (il principio è cresciuto nella scienza applicata e sembrerebbe che i nostri antenati lo avessero capito).
Molte persone che hanno passato del tempo alla presenza dei teschi di cristallo riferiscono che producono strani fenomeni...
Il personale del museo di Londra dichiarò un giorno che il teschio si sarebbe mosso da solo inaspettatamente.
Frank Dorland dichiarò che il teschio "Mitchell-Hedges" passerebbe dall'assoluta chiarezza e luminosità, al torbido e scuro.
Altri, che hanno meditato in presenza dei teschi, dichiarano di essere stati testimoni di scene storiche svelate ai loro increduli occhi, incluso il collasso e l'inabissamento di un'isola.
Nessuno crede che tutti i segreti dei teschi di cristallo siano ancora stati svelati, tuttavia i loro misteri stanno lentamente venendo alla luce. E forse siamo davvero sul punto di scoprire il vero scopo di questa antica tecnologia.

 
 
 

LE FATE IN SVEZIA

Post n°403 pubblicato il 14 Maggio 2007 da io_deifobe


Secondo quanto riporta Olao Magno vescovo di Upsala, nel suo ben noto Historia de gentibus septentrionalibus, erano molte le Fate che si vedevano in Svezia al suo tempo: ...abitano in antri oscuri, nel profondo delle foreste; si mostrano talvolta, parlano a coloro che le consultano e svaniscono tutto ad un tratto. Cornelio di Kempen assicura che, al tempo di Lotario, esistevano molte Fate le quali abitavano nelle grotte, sui fianchi delle montagne e non uscivano che al chiaro di luna

 
 
 

LE FATE IN SCOZIA

Post n°402 pubblicato il 14 Maggio 2007 da io_deifobe

In Scozia le Fate assumono il nome popolare di brownies e si distinguono per la particolare dedizione e cura che manifestano nei confronti di certe famiglie da esse protette. In questo paese sono spesso confuse o identificate con gli Elfi, dal nome dei quali traggono origine alcuni dei loro appellativi più comuni, come dun-Elfen (Elfi delle dune), berg-Elfen (Elfi delle colline), munt-Elfen (Elfi dei monti), feld-Elfen (Elfi dei campi), wudu-Elfen (Elfi dei boschi), Woeter-Elfen (Elfi delle acque), o ancora faifolks, fairies, siths e sleagh maith (buona gente).

Una tradizione scozzese, comune del resto a vari paesi del nord Europa, descrive una suggestiva danza delle Fate che si svolge nottetempo nel cielo o intorno a megaliti sacri in occasione dei solstizi e degli equinozi, detta chorea elvarum: al suono meraviglioso di strumenti magici le Fate volteggiano ritmicamente in circolo, passandosi a turno una coppa contenente un misterioso elisir, una sola goccia del quale
può donare la saggezza e la conoscenza di un dio.

Secondo Collin de Plancy,
in certe zone della Scozia si dice che le Fate siano incaricate di condurre in cielo i neonati morti prematuramente, e di aiutare coloro che le invocano a distruggere i malefici di Satana.

Un'altra antica tradizione sviluppatasi negli Higlands della Scozia, raccomanda, quando si entra in una dimora di Fate, di conficcare nella porta un pezzo di ferro o d'acciaio, come una spada, un coltello, un ago o un amo da pesca, poiché in questo modo gli Elfi guardiani non potranno richiudere la porta e lasciarvi dentro, finché non siate usciti.

Inoltre, allorché avete ucciso un cervo e lo portate a casa di notte, badate di lasciare un coltello infilzato nel cadavere dell'animale, poiché questo impedirà alle Fate di rubarvelo e di riportarlo con loro nei boschi per ridargli la vita. Attenzione inoltre a non molestare mai le mucche, soprattutto di notte, poiché le Fate sono loro amiche e nel tempo di luna piena vanno a trovarle offrendo loro erbe buone di campo e ricevendo in cambio buon latte. Infine può risultare assai rischioso tentare di uccidere uccelli - specialmente rapaci - che volano circolarmente nell'aria, in quanto potrebbe trattarsi di Fate del cielo che danzano in cerchio e che, se aggredite,
potrebbero accecarvi all'istante.

Dalle confessioni di Isabel Gowdie, protagonista di uno storico quanto clamoroso processo per stregoneria avvenuto nel XVII secolo, apprendiamo invece che la regina delle Fate indossa una veste di lino bianco, coperta da abiti di colore bianco e marrone; il re delle Fate è un brav'uomo, cordiale, dalla faccia rubiconda, e intorno a loro ruotavano e svolazzavano su e giù una miriade di Elfi che mi terrorizzavano...

 
 
 

LE FATE IN SCANDINAVIA

Post n°401 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

Ai paesi scandinavi è legata una strana e antichissima leggenda dalla quale prendono vita misteriose Fate chiamate Vergini-cigni, controverse creature di transizione tra gli spiriti dell'aria e quelli delle acque. Questo è il racconto riportato da Karl Grun:

Vi erano tre fratelli, figli del re: il primo si chiamava Slagfinn, il secondo Egil e il terzo Valund; essi si esercitavano con le armi e si dedicavano con passione alla caccia. Un giorno giunsero nella Valle del Lupo, dove costruirono una casa nei pressi del Lago del Lupo. Il giorno dopo aver finito il lavoro, di buon'ora, si accorsero della presenza sulle rive del lago di tre fanciulle intente a filare il lino, il cui aspetto si confondeva con la forma di tre cigni. Queste donne erano Valchirie e due di esse, Hladgun-Svanhvit e Hervor-Alhvit, erano figlie del re Loedve; la terza era Alrun, Slagfinn scelse Svanhvit e Valund prese Alhvit. Essi passarono sette anni insieme, poi le fanciulle volarono via, alla ricerca di battaglie, e non tornarono più.

Ancora più esplicita e interessante questa seconda leggenda, intitolata Il velo rubato: La Fata Kalliste, una vergine-cigno, fu sorpresa mentre faceva il bagno da un cavaliere di nome Friedbert, il quale, a sua insaputa, le aveva rubato il velo magico. L'ingenua fanciulla, privata dell'influenza incantata del velo, pensò di essere caduta dal cielo, s'innamorò ben presto del giovane cavaliere e decisero di sposarsi.
La vigilia delle nozze accadde che Kalliste non riusciva a trovare un velo adatto al suo abito da sposa, finché la madre di Friedbert si ricordò che tempo addietro il figlio le aveva affidato un velo molto bello, pregandola di conservarlo. Ella naturalmente ignorava che questo era il velo-talismano della vergine-cigno, e quando fu posto sul capo della fanciulla d'un tratto le tornò la memoria del proprio passato. Sconcertata e confusa per quanto accaduto, Kalliste prese allora il volo, per ritornare alla sua patria lontana. Ma fortunatamente, l'amore vince sempre e Friedbert riuscì a ritrovare la sua bella fidanzata, e il matrimonio ebbe luogo...

 
 
 

LE FATE IN OLANDA

Post n°400 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe


Secondo le tradizioni olandesi, scrive il Christian nella sua Historie de la Magie, le Fate abitano in splendidi castelli d'oro e di cristallo, circondati da magnifici giardini e meravigliose fontane. Una musica incantevole si diffonde continuamente nell'aria; l'inverno non è mai rigido ed anzi, nel loro regno è come se splendesse un'eterna primavera. Ma ciò che appare ancor più singolare, è il fatto che questi castelli appaiono all'occhio del profano come umili tuguri, i giardini sembrano campi di rifiuti e gli specchi d'acqua fossi melmosi; la musica incantevole si trasforma in rumori stridenti e l'inverno e la neve si fanno sentire in quei luoghi come una maledizione. È così che le Fate abitano, confondendosi in mezzo alla gente, nascoste da un aspetto di vecchie donne, decrepite e malandate; le vediamo coperte di stracci, con gli occhi arrossati e i capelli grigi, rauche, magre e trasandate. Ma se dopo essersi comunicati ci si reca, alla mezzanotte precisa della vigilia di San Giovanni, tenendo nella mano sinistra un'erba chiamata popolarmente Ren-vaen, davanti alla porta di una Fata e ci si siede con le gambe incrociate, si riuscirà a vederla nella sua condizione reale, vale a dire giovane, bella, splendidamente vestita, contornata di damigelle d'onore, assisa su un trono sfavillante di pietre preziose. E si assisterà al meraviglioso spettacolo offerto da palazzi di cristallo, fontane d'acqua di rose, cascate di latte, fiori ambrati e trasparenti, e tutti i personaggi che formano la corte delle Fate...

 
 
 

SIMPATICA VIGNETTA

Post n°399 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

MI è STATA INVIATA E VOLENTIERI LA PUBBLICO :-)

 
 
 

Post N° 398

Post n°398 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

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FANTASMI

Post n°397 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

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CASTELLO CINI (Monselice - Padova)

L’omonimo castello di Monselice, noto anche come Castello Cini o Cà Marcello, è situato a sud-est dei Colli Euganei. La sua struttura è caratterizzata da un complesso di edifici costruiti durante l’XI secolo. Il 22 dicembre 1350, su decisione del Consiglio di Padova, il trono della città fu affidato a due componenti della famiglia Carrara, Giacomino e Francesco, in un periodo storico che vedeva Padova subire le continue incursioni dei Veneziani e dei Fiorentini.

Nel 1355 Francesco fece imprigionare Giacomino nei sotterranei del Castello, convinto che questi stesse stringendo un alleanza segreta con Venezia. Giudita, la donna di Giacomino, disperata per la sorte del suo amato, corruppe le guardie per poterlo incontrare ma quando venne scoperta fu imprigionata anch’essa in una cella poco distante. La condanna di Francesco fu terribile, Giacomino e Giudita furono murati vivi in due prigioni senza finestre, destinati a morire di fame e di sete. Tra le vie di Monselice, si udivano le grida strazianti di Giacomino, ormai rassegnato al proprio orribile destino.

A distanza di secoli dalla sua morte, quando il vento soffia tra le mura del Castello, si possono ancora sentire le urla di Giacomino. La leggenda narra che il suo fantasma vaghi senza meta tra le stanze della rocca monselicense, alla disperata ricerca di Giudita, mentre lo spettro di lei cammina lungo la stradina che porta al Santuario di San Giorgio.

Nel 1935 quando il Castello fu restaurato dallo storico Barbantini, fu trovata una stanza buia, senza porta e senza finestre, dalla quale si poteva entrare solo da un buco del soffitto, questa era la cella in cui morì Giacomino e dove fu imprigionato per 12 anni.

 
 
 

FANTASMI

Post n°396 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

immaginePONTE DELLA SANITA'
(Capodimonte - Napoli)

A Capodimonte, il quartiere di Napoli celebre per la sua scuola d'arte, troviamo il Ponte della Sanità, per arrivarci bisogna attraversare l'ampia strada di Santa Teresa degli Scalzi fino a raggiungere l'inizio di Corso Amedeo di Savoia.

Il Ponte è tristemente famoso poichè, in passato, è stato teatro di numerosi suicidi; l'atmosfera che emana è sicuramente cupa ed inquietante.

Molte persone dicono di aver udito, durante le notti di pioggia, delle voci e dei lamenti provenire dalla strada che passa sotto il Ponte, ma chiunque sia uscito di casa per controllare non hai mai visto nessuno.

 
 
 

FANTASMI

Post n°395 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

Il Castello di Fosini si erge nel comune di Radicondoli (SI), ma è geograficamente parte del territorio di Castelnuovo Val di Cecina (PI) essendo situato alle sorgenti del torrente Pavone di fronte alla "Cornata di Gerfalco".

Le prime testimonianze del castello di Fosini risalgono alla metà del XII secolo, e testimoniano il suo inserimento nei possedimenti dei vescovi di Volterra. Successivamente fu feudo della famiglia dei Pannocchieschi, conti del vicino castello di Elci. In seguito entrò nell'ambito della sovranità senese, probabilmente sotto il dominio dei conti d'Elci.

Il castello ha una sagoma quadrangolare disposta attorno ad un cortile centrale. I lati sud e ovest molto rimaneggiati, sono in muratura rustica a pietra e mattoni. Il lato nord ovest è meglio conservato, con base a scarpa e numerose feritoie al piano inferiore.

L'interno non è visitabile, chiuso all'accesso da lastre di ferro per evitare l'accesso. Vandali e incuria, negli anni, hanno arrecato gravi danni alla struttura. Dalla torre principale si dominerebbe la valle del Pavone, immersa in un fittissimo bosco. Ci si può comunque affacciare a un vicino belvedere e godere del suggestivo panorama. Tutta l'area è inserita nella riserva naturale delle cornate e Fosini per gestire conservazione degli ecosistemi e promozione di attività produttive sostenibili quest' area verde che costituisce un autentico paradiso ambientale.

La presenza di pareti rocciose offre un luogo ideale per la nidificazione dei rapaci come il falco pellegrino, e il falco lanario. Nei boschi sono presenti il Capriolo, il Daino, l'istrice, la donnola, la puzzola e la faina. La vegetazione presenta specie rare come la viola etrusca. Di Fosini ha anche il suo fantasma. Una leggenda legata al "morbo oscuro", che colpì il centro Italia nel 300 narra che, i pochi mesi al castello restò in vita solo Ilario Brandani, con la fama di essere un negromante e conoscitore di antiche formule per evocare i morti. Rimase chiuso, per anni, da solo all'interno di Fòsini, con decine di cadaveri ed il silenzio come unici compagni.

Le misteriose e ripetute chiusure della rocca rendono affascinante la leggenda che circola tra gli anziani del posto: lo spettro del Brandani si aggira ancora per le stanze abbandonate e coloro che lo vedono sono condannati ad essere dei non-morti.

 
 
 

FANTASMI

Post n°394 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

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LE FATE IN INGHILTERRA

Post n°393 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

In questo paese, come evidenziano Durville a il Christian, gli antichi ricordi, le testimonianze e le tradizioni che ruotano intorno al mistero delle Fate sono assai numerosi e conservati gelosamente.

Anche qui, in alcuni villaggi, si coltiva l'usanza di lasciare sempre alle Fate un posto apparecchiato a tavola, durante le maggiori feste dell'anno, affinché continuassero ad amare e proteggere la casa. Si credeva inoltre che le buone Fate si affezionassero particolarmente ai fiori, ai bambini, agli animali, al bestiame e tenessero lontani i pensieri cattivi generati dall'invidia e i sortilegi delle streghe.

Naturalmente non mancano le apparizioni di Dame misteriose nei castelli e nelle residenze nobiliari, come la inquietante Dama Bruna del castello di Norfolk.

Le trombe d'aria piccole e grandi che a volte si scatenavano improvvisamente nelle strade o nei campi, stavano ad indicare che le Fate in quel momento stavano attraversando velocemente quel luogo per recarsi a qualche festa, o al castello della loro regina; lampi e fulmini in gran quantità erano invece attribuiti agli scontri che avvenivano nell'invisibile tra le Fate e le streghe malvagie. Certamente. Ma non è solo in Inghilterra che alcuni fenomeni atmosferici hanno origine da interventi fatati, i fiocchi di neve che cadono a mezzanotte dono, nelle regioni nordiche, lacrime di Fate, o la pioggia che cade mentre c'è il sole, a cui nelle regioni più a sud d'Europa viene data la stessa spiegazione; oppure è il vento che agita all'improvviso le fronde degli alberi o l'erba dei prati, a manifestare la loro presenza o il loro passaggio; un'onda inaspettata o un piccolo vortice in mare o in un lago, un gioco d'acqua inconsueto in un torrente, corrispondono al loro saluto; un fulmine che cade su un albero, un tuono a ciel sereno o nuvole scure che coprono il sole in pochi attimi esprimono invece la loro collera, e l'arcobaleno non è altro che un ponte di fiori creato per farle passare da una nuvola all'altra o da un punto all'altro del cielo...

A proposito di fiori non possiamo dimenticare che se sbocciano in inverno o in periodi lontani dalla normale fioritura, sono stati sfiorati dalla veste o dalla mano di una Fata, per cui toccandone i petali si può esprimere un desiderio che immancabilmente si avvererà...

Le stelle cadenti poi, sono solo granelli di polvere magica caduta dai loro abiti mentre si muovono o danzano nel cielo (secondo un'altra versione sarebbero invece le stelle dipinte sulle loro vesti a cadere durante il ballo delle Fate). La cometa, infine, è il carro con il quale la regina di tutte le Fate si sposta nell'universo per andare a trovare le proprie seguaci sparse nei vari mondi. Infine, nelle isole britanniche si tramanda da epoca immemorabile una credenza relativa alla misteriosa pietra delle Fate, una pietra bucata, considerata un potentissimo amuleto contro gli attacchi demoniaci. La consacrazione della pietra fatata comporta un lungo ed elaborato rituale comprendente il seguente incanto:


Io ti scongiuro per tutti gli spiriti del firmamento
Per il vero unico Dio vivente
Per il benedetto Dio Onnipotente


Alla fine della cerimonia il mago deve poi pronunciare a voce alta questa formula:


Possa tu, o pietra incantata
dalle Fate donata
proteggermi dalle forze infernali
dai sortilegi e da tutti i mali


Per concludere, aggiungiamo che nei paesi del Galles, le Fate preferiscono indossare vestiti di color verde, per confondersi e nascondersi meglio nel fogliame di alberi e cespugli. Amano inoltre scorrazzare nel cielo a gruppi, lasciandosi trasportare dal vento e danzare al chiaro di luna nei prati e nei boschi ombrosi. Si racconta cha alcuni incauti mortali hanno osato unirsi di nascosto a questo ballo incantato, ma le Fate li hanno subito circondati e, travolti dal turbine della loro danza travolgente, sono stati poi ritrovati lontano dal luogo, il giorno dopo, più morti che vivi per lo spavento.

La montagna chiamata Carned-Idris è stata per lungo tempo teatro di queste danze fantastiche e la sua sommità è coronata da un cerchio di pietre che si ritiene indichino la tomba di Idris, famosa Fata assai viva nella memoria del paese. Il popolo crede ancora che sia sufficiente addormentarsi al centro di queste pietre magiche per avere in sogno visioni soprannaturali e messaggi profetici.

Infine nei pressi di un lago solitario immerso nel Brecknockshire, pare esita nascosta tra le rocce una misteriosa porta del regno delle Fate, che si apre soltanto una volta l'anno, il primo maggio, dopo la notte di una delle principali feste magiche conosciute in Occidente, la notte di Valpurga. Coloro che hanno la curiosità e il coraggio di aprire questa porta - scrive il Christian - entrano in un passaggio sotterraneo che li conduce in una piccola isola situata al centro del lago. Scoprono allora un giardino magnifico, abitato da queste Fate chiamate "Tylwith-Teg", che offrono al visitatore frutta e fiori magici, lo deliziano con musica celestiale, gli svelano l'avvenire e l'invitano a restare in questo paradiso per tutto il tempo che vuole. L'unica raccomandazione che viene rivolta al gradito ospite è quella di non portare via niente da quel luogo, allorché lascerà l'isola. Ora accade che un visitatore imprudente non volle tenere purtroppo conto di questo avviso, e portò con sé per ricordo uno dei fiori meravigliosi che ornavano quel giardino incantato, ma appena ebbe varcato la magica porta divenne pazzo...

 
 
 

LE FATE IN ITALIA

Post n°392 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe


Italia, una magica terra decisamente apprezzata dagli spiriti della natura e in particolare dalle Signore del Cielo.

Numerosissime sono ad esempio le località dedicate alle Fate - ricche dunque di leggende associate al luogo stesso - come valli, monti, grotte, buche, massi, boschi, pozzi, torrenti, cascate, laghi e altri luoghi legati alle acque.

Secondo una leggenda raccontata dai montanari di Catenaia di Casentino, in un punto alto della montagna detto il Cardetto, si trova una grotta nella quale si ritiene abitino le Fate. Una di esse si innamorò un giorno di un giovane contadino che lavorava la terra in una campo vicino, il quale non rimase insensibile al fascino della bella creatura, ricambiandone appassionatamente i sentimenti; ma per un crudele incantesimo la Fata diveniva una splendida fanciulla per soli tre giorni e per altri tre un grosso serpente. Così quando il ragazzo scavava il solco con l'aiuto dei buoi, lei vi strisciava all'interno, per restargli vicino. Accadde dopo un po' di tempo che il giovane dovette allontanarsi per qualche giorno, per cui incaricò fratello di continuare i lavori, raccomandandogli di non temere, soprattutto, non molestare l'innocuo serpente che ormai per abitudine seguiva la terra scavata dietro l'aratro. Inizialmente il fratello lasciò che il serpente lo seguisse tranquillamente, ma l'ultimo giorno il rettile si accorse che non aveva davanti a se l'innamorato bensì un'altra persona, e sdegnato alzò la testa e spalancò le fauci minacciosamente nei confronti dell'agricoltore, il quale, spaventato, reagì colpendo violentemente l'animale, che fuggì e scomparve... Quando il fratello ritornò e fu informato dell'accaduto, cercò invano disperatamente per molto tempo di far tornare l'amata fata, chiamandola e implorandola senza pace, ma lei non apparve mai più. Allora lui, con il cuore spezzato, decise di rimanerle fedele per tutta la vita, e volle infine che la morte lo cogliesse nel sonno, davanti alla grotta dove l'aveva conosciuta, per ritrovarla e amarla ancora e per sempre nel cielo delle Fate...
Si narra inoltre che anche il lago di Subiolo, in Valstagna, sia un luogo abitato da Fate e da altri spiriti che nottetempo si manifestano con lamenti, grida e sibili inquietanti; pare tra l'altro che lo stesso nome del lago derivi da questi strani rumori, simili al suono dello zufolo, detto in dialetto locale subio. Il seguente è uno dei racconti più interessanti raccolti nella zona: un giovane falegname ritornava una sera sul tardi alla sua casa vicina al ponte Subiolo, dopo aver fatto visita alla fidanzata, quando si sentì ripetutamente chiamare per nome... Con sgomento si accorse allora alla luce dei raggi lunari che un gruppo di Fate danzava sulle acque del lago! Vieni con noi - gli dicevano - tu non hai mai provato la felicità che ti offriamo, vieni a danzare con noi finché splende la luna... No, no - rispose il giovane terrorizzato - laggiù c'è l'acqua e se scendo annegherò. Hai paura? - Gli chiesero le Fate ridendo - allora guarda, l'acqua è sparita vieni! Infatti anche i sassolini del fondo erano asciutti e i massi rivestiti di muschio porgevano il soffice divano alle Fate. No, no! - ripetè il giovane, ma come soggiogato non poteva staccarsi dal parapetto del ponte - Non vuoi? - le Fate ripresero - ebbene perché tu abbia a ricordarti di noi, t'offriamo una grazia: chiedi! Ed egli tremante domandò: Che io possa con le mie mani eseguire qualunque lavoro d'intaglio. Concessa - si sentì rispondere - ma non sarai mai ricco! Alla mente del falegname balenò forse l'idea di opere grandiose, l'artista ebbe forse la sua prima visione. Intanto l'acqua tornava ad uscire impetuosa e spumeggiante da laghetto, stormivano per il vento le fronde dei faggi e la montagna proiettava l'ombra sua immobile, poiché la luna era calata dietro la cima. Le Fate erano sparite. Da quel giorno il giovane falegname realizzò opere in legno meravigliose e di rara bellezza per tutte le chiese del paese e di altri villaggi vicini, ma morì povero come era vissuto e come gli avevano predetto le Fate...
Anche in Val d'Aosta è presente una Dama Bianca, una bella ed amabile Fata benefica che appare con lunghe vesti bianche nei prati, sulle alture, ai margini dei boschi. In particolare, protegge gli abitanti di Issime e se proprio non le è possibile evitare sventure o disgrazie, cerca di avvisare pastori e paesani con lamenti e grida acuti e prolungati. Altre dame bianche sono segnalate sul Monte Bianco, sul Monte Rosa e in varie altre località delle Alpi. E a proposito di Alpi, non possiamo dimenticare che secondo una poetica leggenda biellese le magnifiche stelle alpine, che ostentano la loro fragile grazia sull'orlo di insidiosi crepacci, ebbero origine dalle lacrime di una Fata innamoratasi di un mortale.

Per rimanere in zona, riportiamo un brano sulle leggende di Piedicavallo, del poeta e scrittore Nino Belli:
Se voi interrogate con insistenza qualche vecchietto, o meglio ancora qualche vecchiarella, vi racconteranno del gran ballo delle Fate, delle loro corse vertiginose sui fianchi delle montagne, dei loro idilli coi pastori. Vi diranno della loro sovrumana bellezza, com'è ornata la loro fronte alabastrina di edelweiss, avvolte in candidi veli di trina che accentuano le loro forme delicate, bianche come la neve, e come corrano nelle placide notti stellate di balza in balza sopra un carro rilucente tirato da aquile superbe. Vi racconteranno della magnificenza delle loro dimore...
Nella medesima località del biellese si narra che in una di queste sontuose dimore rilucenti d'oro, cristalli e gemme, situata sulla più alta cima di un monte, per essere più d'appresso all'azzurro sorriso del cielo, abita la regina delle Fate con la sua magica e leggiadra corte.
Infine in Val di Susa, stando a quanto riporta M. Savi Lopez nel suo magnifico volume Leggende delle Alpi, esisterebbero - fenomeno unico in Italia - gli equivalenti maschili delle Fate, chiamati Arfai: sono spiriti benefici che abitano le acque della Dora e aiutano le fanciulle a fare il bucato, gentili, timidi, ma allo stesso tempo benefici.
Tornando ai luoghi i cui nomi appaiono frequentemente legati alle Fate, troviamo un'altura nei pressi di Roccacasale, negli Abruzzi, chiamata appunto Colle delle Fate, poiché la gente assicura siano state viste uscire le Fate da due pozzi presenti all'interno delle mura dell'antica fortezza di cui sono ancora visibili i resti nella zona.

In Val d'Aosta, nella Piana di Varrayes, dopo aver piovuto in pieno giorno, si manifesta nei pressi della bòrna de la Fàye (la buca della Fata), una bellissima signora...

A Muzzano, esiste inoltre un luogo chiamato Roccia delle Fate, in cui si ritiene esista un tesoro sorvegliato da un magico serpente: quest'oro incantato viene definito dialettalmente L'oro dell'Elf, probabilmente per il torrente Elvo che vi scorre vicino, il cui nome tradirebbe un'evidente riferimento agli Elfi (da notare che in inglese Elfo si traduce in Elf, che al plurale diventa Elves).

In provincia di Teramo, nella gola tra le montagne di Campli e di Civitella, esiste un enorme macigno che sbarra l'ingresso di una grotta contenente un favoloso tesoro composto da tre mucchi di monete di rame, d'oro e d'argento. Si dice che in fondo alla grotta sieda una Fata, intenta a tessere in continuazione, mentre un monaco in piedi veglia silenziosamente il tesoro...

A Palermo si ricorda un cortile, chiamato cortiggiu di li sette fati, nel quale avvenivano cose meravigliose: ogni notte infatti vi apparivano sette stupende Fate che rapivano temporaneamente una persona, alla quale facevano vedere e provare luoghi ed emozioni straordinari, come gli oceani più profondi, o i cieli più lontani, per poi coinvolgerla in danze, canti e feste da mille e una notte. All'alba riportavano il fortunato mortale nel luogo in cui era stato prelevato, dopodiché scomparivano nel nulla.

I vecchi dell'isola di Pantelleria raccontano dell'esistenza di esseri dotati di poteri magici, che loro chiamano 'nfate, che si divertono, al pari dei Folletti ad intrecciare i capelli delle ragazze e le code dei cavalli; chiunque tentasse, privo di adeguati scongiuri, di sciogliere gli intrecci fatati, cadrebbe vittima di un incantesimo fatale.

In Sardegna sorgeva invece sul monte Oc, l'incantato palazzo delle Fate, abitato da dame alate, eteree e bellissime, vestite di veli bianchi, verdi e azzurri, che periodicamente si recavano in volo nei paesi per scegliere una persona e portarla nella loro dimora magica; a questa veniva poi mostrata la stanza dei tesori, piena di monete d'oro, perle, gioielli e pietre preziose, dalla qaule poteva portare via tutto ciò che voleva. Naturalmente la maggior parte dei prescelti cercava di riempirsi ogni tasca e di arraffare il più possibile di quell'immenso tesoro, ma immancabilmente il giorno dopo, a casa, trovava tutto quanto irrimediabilmente trasformato in carbone; invece chi riusciva a resistere alla tentazione dell'oro e a chiedere la sapienza, o di restare nel palazzo assieme alle Fate, veniva donata la vera ricchezza e una lunga vita saggia e felice.
Lo scrittore lucchese Carlo Rosi Gabrielli ha dedicato alla raccolta di leggende, tradizioni e racconti popolari relativi alla paura, ad apparizioni, fantasmi ecc. una serie interessantissima di opere ben documentate; dal volume riguardante la Lucchesia riportiamo due testimonianze:
la prima, ambientata nella località Villetta (San Romano Garfagnana), narra di un luogo detto al Fondone, dove ancora oggi si possono visitare i resti di una fortezza chiamata comunemente Castellaccio, della quale rimangono alcune gallerie sotterranee molto profonde; si tratta certamente di ciò che rimane dell'antichissimo Castello di Bacciano, caduto in rovina da vari secoli per cause di natura geologica. Gli abitanti dei dintorni assicurano che vicino a quei ruderi vedevano i lumi delle Fate, le uniche abitatrici di quel luogo abbandonato: coloro che più coraggiosi degli altri, hanno tentato di esplorare quelle gallerie ne sono usciti fuori molto impressionati perché, raggiunto un certo limite, mancava loro il fiato e i lumi si spegnevano.
La seconda storia ha per sfondo il paese di Montefegatesi (Bagni di Lucca): in fondo alla località della "il margine" c'è la "fontana buglia" considerata un luogo magico. Accanto ad essa è visibile una piccola grotta e durante l'inverno, quando il freddo è più intenso, si vedono esalare da quel luogo vapori di aria calda. La leggenda narra che in quella grotta le Fate filassero la stoffa per vestire i Folletti...

Sempre in Toscana, a Soraggio, le Fate risultano specializzate, come molte loro colleghe italiane ed europee, nel fare il bucato sulle rive del fiume, dove poi stendono accuratamente i panni ad asciugare al sole, ma solo durante l'estate; in inverno infatti si ritirano nelle tane degli orsi o nelle grotte dette Buche delle Fate (il territorio ne comprende almeno tre), a tessere e filare. Quanto a distrazioni amano riunirsi nelle magiche notti di luna piena assieme ad altre colleghe a Pratofiorito, uno dei prati più belli del mondo, a 1.300 m. sopra Bagni di Lucca, per scatenarsi in feste e danze gioiose.

Per concludere, aggiungiamo che le Fate non risultano sempre e soltanto legate a zone particolarmente suggestive e misteriose della natura, o ad antichi castelli e rovine, ma anche a semplici abitazioni. Una consolidata tradizione, nota soprattutto nelle regioni del sud, ci conferma infatti che ogni casa possiede una propria Fata, la quale ama manifestarsi in vario modo, ovviamente secondo i meriti di coloro che vi abitano, proteggendo o aiutando la famiglia perfino con interventi ultraterreni.
Questa italica Fata della dimora appare periodicamente in occasione di avvenimenti di rilievo o per salutare coloro che credono o confidano nei suoi benefici poteri, ma si allontana o scompare per sempre quando all'interno della casa si verificano fatti di sangue o di grave violenza.

Dobbiamo infine segnalare un gruppo di Fate particolari, conosciute col nome di Sibille in tutte le regioni della catena appenninica. Da un libro di Dario Spada traiamo le seguenti informazioni:
La sibilla dell'Appennino si identifica in Cibele, la nota divinità mitologia. Ai tempi di Virgilio il monte della Sibilla, consacrato alla Gran Madre (Cibele), si chiamava Tetrica e oggi quella cima è stata identificata con quella del monte Vettore dov'è situata la grotta della Sibilla a 2.175 m di altezza nel territorio di Norcia (Perugia). Parimenti, la catena dei monti sibillini prende il nome proprio dalla Sibilla a dimostrazione di come sia popolare questo personaggio. Si racconta che una volta alle falde del monte Vettore, c'era un paese dal nome ridente, Colfiorito; i suoi abitanti erano spesso visitati dalle Fate che abitavano sulle montagne le quali insegnavano alle donne cose utili e agli uomini il ballo. Un brutto giorno però le amabili creature furono scacciate da Colfiorito e ricorsero alla loro regina, la Sibilla, la quale provocò una grande caduta di massi e di detriti tanto che il borgo scomparve sotto la frana. In genere però le Sibille sono Fate belle e buone e non disdegnano di mescolarsi con la gente comune; spesso lavorano su telai d'oro e insegnano l'arte della tessitura e della filatura ai mortali. Alcune volte si divertono ad ammaliare i baldi giovanotti spingendoli alla lussuria e alla perdizione. Naturalmente tutte costoro sono abili nella divinazione...


 
 
 

il Mito della caverna di Platone e l'Oracolo di Delfi

Post n°391 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

La Teosofia, dal greco del III secolo "Theo-sophia", è la "Saggezza Divina" o "Saggezza degli Dei". Risale ad un passato immemorabile, ed è trasmessa senza interruzione fino ai giorni nostri come una conoscenza vissuta.
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La Verità è nascosta sotto apparenze spesso ingannevoli: per trovarla non si tratta di aggiungere delle verità parziali a ciò che crediamo già di sapere attraverso la scienza, la religione, l'esperienza quotidiana.
Un Iniziato dell'antica Grecia, Platone, ha illustrato queste idee nel famoso Mito della Caverna: "Gli uomini sono paragonati a dei prigionieri incatenati in una caverna, con il volto girato verso una parete animata da uno spettacolo di ombre cinesi proiettate (all'insaputa dei prigionieri) da personaggi che sfilano davanti a un fuoco, all'entrata dei sotterranei. Per questi uomini, la visione del mondo è limitata a quelle immagini familiari che traducono in modo deformato la realtà che essi non sospettano nemmeno. Ignorano del tutto l'esterno della caverna e il sole che vi brilla. Se potessero cambiare radicalmente ottica per scorgere le altre dimensioni del mondo, comincerebbero a capire la loro situazione, e cercherebbero di liberarsi e di liberare i loro compagni di cattività."
Questo cambiamento di ottica richiede molto coraggio e molto sforzo: Platone suggerisce che i prigionieri si ribellerebbero contro quelli che volessero far loro girare la testa verso l'uscita della caverna; tanto è difficile, nella vita quotidiana, cambiare le nostre abitudini di pensiero e la linea di condotta che ne deriva.
La realtà è infinitamente più vasta di quella che immaginiamo: per abbracciarne anche una minima frazione, occorre liberare il pensiero da tutte le sue limitazioni.
Come i prigionieri della caverna, noi assistiamo allo spettacolo del mondo: con i nostri sensi vediamo vivere gli altri e, mentalmente, osserviamo la nostra vita interiore. Con tutte le informazioni così raccolte - che sono solo apparenze, immagini sempre mutevoli - ci mettiamo a giudicare gli altri e crediamo di conoscerci.
L'oracolo di Delfi ha detto: "Uomo conosci te stesso e conoscerai l'Universo e gli Dei".
L'enigma dell'Oracolo di Delfi si chiarisce solo comprendendo l'unità del microcosmo e del macrocosmo come pure la loro divisione triplice, fisica, psichica e spirituale. La vera conoscenza di se stesso, che sbocca nella conoscenza del Grande Universo, implica la comunione cosciente dell'essere con la sua radice spirituale, il Sé Universale. È un esperienza diretta.
A questo proposito M.me Blavatsky ha scritto: "La conoscenza di se stesso non può essere raggiunta attraverso ciò che gli uomini chiamano 'l'analisi di se stesso'. Non ci si può arrivare né con il ragionamento né attraverso qualche processo celebrale; poiché è il risveglio della Coscienza della Natura Divina dell'uomo."
L'analisi psicologica verte su degli stati di coscienza (veglia, sogni, visioni) e sui loro contenuti in immagini: è un approccio ai fenomeni, alle apparenze, da cui si traggono delle conclusioni verosimili sul funzionamento dello psichismo: i prigionieri della caverna, analizzano il loro spettacolo quotidiano, arrivano ad indovinare la sua genesi (la sfilata dei personaggi all'entrata del sotterraneo) ma essi non escono liberamente dalla caverna del loro psichismo, anche se scoprono le grandi costanti dei suoi meccanismi e riconoscono i miti e i simboli che modellano un gran numero di sogni e di altre produzioni di questo psichismo.
Ogni disciplina spirituale implica questo procedimento: scoprire i processi, le potenzialità e le limitazioni della personalità, liberarsene e addossarsi la propria responsabilità. Ma questo non è che una prima tappa. Fuori dalla caverna brilla il sole spirituale del Sé di tutte le creature: la meditazione descritta nella Baghavad Gita (capitoli VI, VII) che permette questo transfert o questa elevazione di coscienza, fino a così alti livelli spirituali, non ha nulla a che vedere con un'analisi.
I metodi scientifici dello studio del corpo e del comportamento analizzano anch'essi dei fenomeni esterni limitati delle ombre cinesi e non rivelano niente di conclusivo sul Sé Universale né sull'Anima immortale dell'uomo.
Chiusi nella loro caverna, i prigionieri interpretano quello che percepiscono, in un mondo a due dimensioni: quella della parete dove si muovono le ombre cinesi. Anche se un Saggio parlasse loro di altri spettacoli più grandiosi, essi li ridurrebbero a questo quadro senza rilievo.
È così che, il più delle volte, gli uomini non possono pensare alle realtà metafisiche se non in termini di esperienza terrestre, limitata e senza aperture.
Per molti, ad esempio:

  1. Dio può solamente essere una Persona, un Essere immenso dotato di tutte le qualità umane, un Padre protettore e salvatore, con il quale si può dialogare da uomo a uomo.
  2. Per spiegare il mondo, ci è voluto un creatore che lo tirasse fuori dal nulla.
  3. Il mondo è per forza cominciato un giorno ed un giorno finirà.
  4. Nella storia della terra, l'evoluzione ha avuto inizio nella materia, e la coscienza è apparsa in seguito, molto tempo dopo.
  5. L'uomo è una scimmia diventata intelligente.
  6. L'uomo, essendo solamente il suo corpo, vive solo una vita sulla terra.
La Teosofia offre un ottica del tutto diversa, distruggendo le false idee che gli uomini hanno inventato per tentare di spiegarsi lo spettacolo del mondo.
E allora vediamo qual è il pensiero Teosofico in relazione ai sei punti precedenti.
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In riferimento ai primi due punti possiamo asserire:
Tutti gli uomini hanno più o meno l'intuizione di una realtà Divina che li sorpassa. Ma, essendo limitati dalle loro esperienze sensoriali e psichiche, se cercano di indovinare che cosa è questa realtà, non possono fare altro che immaginarla come un essere.
Fare di Dio un Essere, secondo il credo comune, è limitarlo ad una Persona, certamente immensa ma strutturata e centrata su se stessa, capace di una volontà indipendente, dotata di una psiche funzionale, creatrice, ma che rimane al di fuori della sua creazione (Trascendente), come spettatrice interessata, pervasa quindi da sentimenti, affetti, antipatie, ecc.
Un concetto che limita in modo estremo la nozione del Divino!
Dio è allora ad immagine dell'uomo, con tutte le contraddizioni logiche che derivano da questa confusione che ha la pretesa di racchiudere l'infinito nei limiti di un Essere.
Se il male appare nella creazione, il Dio immaginato dall'uomo non può che esserne innocente. Un demone è quindi capace di tener testa a Dio e di spingere gli uomini al male. Ma poiché questo demone non può essere altro che una creazione di Dio, bisogna ancora inventare una scusa a Dio. Così, gli uomini sono portati ad immaginare sempre più cose per mantenere l'equilibrio barcollante della loro impalcatura logica su Dio.
Il Principio Divino Assoluto non è un essere, ma l'Essere in Sé (Esseità) che non si può astrarre da nessuna cosa. Parlandone come di un principio, si postula che il punto di partenza di tutto ciò che è stato, è, o sarà. In esso è contenuta ogni potenzialità di manifestazione di esistenza - senza alcuna dimensione morale - bene o male.
È il Parabrahm postulato dagli Indù come la Realtà unica ed ultima, che sfugge ad ogni descrizione, ma che risponde, nell'uomo, ad una profonda intuizione.
Va detto, inoltre, che questa nozione non è esclusivamente orientale e che è stata avvicinata, anche in occidente, da Platone e dai Neoplatonici, e dopo di loro, da alcuni dei più grandi pensatori cristiani.
Tutte le coscienze che sono all'opera, a tutti i livelli della Natura - ciò che chiamiamo Anime - sono paragonabili a delle scintille uscite da uno stesso fuoco, o dei Raggi di uno stesso Sole Centrale (la Dottrina Segreta parla, a questo proposito, della Super Anima Universale).
Sono dunque, fondamentalmente, tutte unite tra di loro da questa origine comune.
La Fraternità Universale è dunque un fatto essenziale.
Per di più, essendo tutte impegnate nella Vita dell'Universo, dove restano legate tra loro sulla base dello scambio e della solidarietà, queste Anime costituiscono una famiglia indissolubilmente unita: La Fraternità Universale rimane una realtà vivente. Spetta agli uomini scoprirla e partecipare coscientemente a questa Fraternità.
Per la Teosofia, la Natura non è un quadro dell'esistenza offerto gratuitamente da Dio all'uomo per farci seguire i suoi disegni, come se la vita degli esseri inferiori non avesse senso.
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In riferimento al terzo punto:
Il nostro mondo - come noi lo conosciamo - ha effettivamente avuto un inizio, e un giorno finirà. Ma, prima, altri mondi sono esistiti e altri verranno nell'infinità dei tempi. Nella Dottrina Segreta è spiegata l'eternità dell'Universo nella sua totalità: non vi è dunque stato un inizio assoluto, né vi sarà una fine assoluta alle manifestazioni dei mondi.
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In riferimento al quarto punto:
Materia e Spirito, sostanza e coscienza, sono co-eterni come due sfaccettature di una stessa realtà.
L'evoluzione della materia dai sette piani più eterei fino ai più concreti e materiali, sarebbe impossibile senza la giuda della coscienza.
Vi è già una forma di coscienza in corso di risveglio persino nel più piccolo degli atomi fisici.
È vero che la coscienza riflessa nell'uomo, o auto-coscienza, entra in attività a un dato momento dell'evoluzione terrestre, ma non è certamente la forma più alta di coscienza: fin dagli inizi della vita della Terra, Gerarchie di Esseri coscienti e altamente spirituali erano già all'opera e la Natura è stata così costantemente guidata nei suoi tentativi evolutivi.
Fare della Coscienza un prodotto dell'attività celebrale è uno degli errori cardinali della scienza.
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In riferimento al quinto punto:
L'idea darwinista della derivazione dell'uomo da scimmie anteriori è una pura ipotesi scientifica che non è mai stata dimostrata. La Teosofia la respinge!
Il più evoluto degli animali non potrebbe mai diventare intelligente con un semplice gioco di mutazioni genetiche e di adattamenti all'ambiente.
Su questo punto, per mancanza di conoscenza di altre dimensioni della realtà, i "prigionieri della caverna" inventano ancora delle teorie. Ma l'uomo è molto più dell'apparenza del suo corpo e anche della sua intelligenza.
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In riferimento al sesto punto:
Attenendosi ancora una volta alle apparenze, si può pensare: "Dopo la morte non vi è più niente".
In realtà, vi è in ogni essere una parte permanente che sopravvive alla morte e che riapparirà prima o poi sulla terra.
Per l'uomo, questo processo si chiama Reincarnazione (vedi "
La Grande Legge della Reincarnazione").
Per avvicinarci alla Realtà bisogna cambiare radicalmente la nostra ottica delle cose.
La Verità è più strana della finzione e per molte persone è di gran lunga meno accettabile... Essa è una lingua priva di accenti!

 
 
 

I MISTERI DEI TEMPLARI

Post n°390 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

I TEMPLARI: CHI ERANO COSTORO?
Nel Medioevo, strano a dirsi, divennero famosi i "monaci combattenti" e tra questi gli "Ospitalieri" ed i "Templari" 
(1). Il nome completo di questi ultimi suonava "Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone". La loro sede Gerosolimitana si trovava, infatti, sulla vetta del Monte Moriah, dove - fino al 587 a.C. - era stato il Tempio di Salomone distrutto dai Babilonesi.
L’Ordine religioso-militare aveva lo scopo di proteggere i pellegrini che si recavano in Terra Santa.
I cavalieri dell’ordine erano nobili, di origine francese (provenienti dalla Champagne) la cui presenza a Gerusalemme si giustificava con il fervore, cavalleresco quanto religioso, che si collega al movimento di revanscismo nei confronti dell’Islam, germinato in occasione e per gli effetti della Crociata di Goffredo di Buglione.
Si trattava chiaramente di movimenti di contro-imperialismo collegati alla riconquista di Gerusalemme così come, mutatis mutandis, si ascrivono al grande movimento anti-Islam collegato - in maniera più o meno diretta - al Santo sepolcro di Cristo.
In origine del movimento verso la Terrasanta si erano resi interpreti essenzialmente poveri, dalla vita stentata, cadetti senza lignaggio, nobili decaduti e squattrinati in cerca di nuovo lustro per un blasone svilito; tutti a fianco di delinquenti in cerca di riscatto e mistici in cerca di realizzazione.
Un monaco, Pietro, detto "l’Eremita", che aveva cercato di dare un senso a superficialità ed approssimazione di un riluttante "popolo di Dio", si mise a capo di una prima crociata "popolare" ritenendo la fede unico requisito indispensabile per abbattere le mura di Gerusalemme come Giosuè, in antico, aveva fatto a Gerico. Fu la crociata variamente detta dei "fanciulli" o degli "straccioni" conclusa in un inutile quanto disastroso bagno di sangue.
Ma ormai il dado era tratto. Alla Crociata "degli straccioni" fu necessario far seguire un serio impegno militare organizzato.
Nel 1099 si imbarcarono gli eserciti di Goffredo di Buglione, Roberto di Fiandra, Raimondo di Saint-Gilles, Boemondo di Taranto e tanti altri che riconquistarono d’impeto la Gerusalemme terrena.
Goffredo di Buglione fu di fatto il primo re, anche se volle essere chiamato con l’appellativo di "difensore del Santo Sepolcro"; purtroppo morì dopo poco più di un anno.
Gli succedette Baldovino I (Re Latino di Gerusalemme) che estese le conquiste a Beirut e Sidone, a Tripoli e alla Transgiordania.
L’entusiasmo del momento impedì ogni seria considerazione sul modo in cui si era realizzata la riconquista. Nessuno rilevò che il successo era stato dovuto, in massima parte, alla impreparazione ed alla litigiosità degli arabi, divisi, demotivati, impreparati per quella che era divenuta, di fatto, una guerra santa.
D’altra parte nessuno pensò che conquistare un territorio semidesertico era stato certamente più facile che conservarlo senza un esercito professionale e permanente in loco.
È evidente che le cose cominciarono ben presto a complicarsi e re Baldovino Il 
(2), a sua volta impegolato in diatribe interne ed in contestazioni col patriarcato di Costantinopoli, a malapena riusciva a mantenere i territori occupati pur non potendo evitare attacchi ed imboscate a pellegrini ed armigeri.
Fu in questo clima che la difesa dei pellegrini venne assunta dal nuovo tipo di milizia, quella dei monaci combattenti "Ospitalieri, Templari e altri ordini minori" 
(3).
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I TEMPLARI NELLA STORIA:
SAN BERNARDO, HUGH DE PAYNS E L’ORDINE DEL TEMPIO

Occorre pregiudizialmente precisare che buona parte della storia dei Templari, in effetti, è legata ai "si dice" di cronisti disinteressati ed alle colpevoli reticenze del Vaticano.
Orbene, i si dice raccontano che correva l’anno 1118 quando Hugh(ues) de Payns 
(4), Geoffroy de Saint-Omer (5) ed altri sette cavalieri, su ispirazione di fra’ Bernardo da Clairvaux (Chiaravalle) si presentarono alla corte del re latino di Gerusalemme mettendosi a sua disposizione per garantire l’incolumità dei pellegrini diretti al Santo Sepolcro (6).
Giacomo di Vitry, storico e vescovo di S. Giovanni d’Acri ne parla con queste parole:
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"Alcuni cavalieri armati da Dio e ordinati al suo servizio rinunciarono al mondo e si consacrarono a Cristo. Con voti solenni … si impegnarono a difendere i pellegrini contro briganti e predatori, a proteggere le strade e a fungere da cavalleria del Re Sovrano. … All'inizio, solo nove 
(7) presero una così santa decisione, e per nove anni servirono in abiti secolari e si vestirono di quel che i fedeli davano loro in elemosina. Il re, i suoi cavalieri, e il signore patriarca provarono grande compassione per questi uomini nobili che avevano abbandonato tutto per Cristo, e donarono loro alcune proprietà e benefici per provvedere ai loro bisogni, e per le anime dei donatori. E … il re li alloggiò nel suo palazzo, vicino al Tempio del Signore. L'abate e i canonici regolari del tempio diedero loro, per le esigenze del loro servizio, un terreno non lontano dal palazzo; e, per questa ragione, furono chiamati più tardi Templari."
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Per parte sua fra’ Bernardo aggiungeva il proprio anatema alla cavalleria secolare:
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"Voi appesantite i vostri cavalli con tessuti di seta, coprite le vostre cotte di maglia con chissà quali stoffe, dipingete le vostre lance, i vostri scudi e le vostre selle, tempestate d’oro, d’argento e di pietre preziose i finimenti dei vostri cavalli. Vi adornate sontuosamente per la morte e correte alla vostra perdizione con una furia senza vergogna e una insolenza sfrontata. Gli orpelli sono degni dell’abito di un cavaliere oppure della vanità di una donna? Credete che le armi dei nemici temano l’oro, risparmino le gemme, non trapassino la seta? D’altronde, ci è stato spesso dimostrato che tre cose principali sono necessarie in battaglia: che il cavaliere sia pronto a difendersi, rapido in sella, sollecito nell’attacco. Ma voi, invece, vi acconciate come delle femmine, avvolgete i piedi in tuniche lunghe e larghe, nascondete le mani delicate e tenere in maniche ampie e svasate. E così infagottati vi battete per le cose più vane, come un corruccio ingiustificato, la brama di gloria o la cupidigia di beni temporali."
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In effetti i Templari facevano voto di castità, obbedienza e povertà; vestivano una cappa bianca con una croce rossa sul petto, erano divisi in Cavalieri, Cappellani, Sergenti, Artigiani, ed erano posti gerarchicamente sotto un Gran Maestro ed un Concilio alle dirette dipendenze del Papa.
Primi problemi: quanti erano effettivamente gli armati che si presentarono a Baldovino? Secondo la tradizione sarebbero stati in totale undici, ma già Vitry non era d’accordo: sarebbero stati nove solo quelli che assunsero la santa decisione.
Quanti? Non domandatelo non lo sa nessuno e la cosa non fa molta differenza perché in ogni caso erano uno sparuto manipolo con la pretesa straordinaria di controllare un territorio immenso rispetto alla forza effettiva.
Di fatto qui cominciano gli eventi misteriosi o quanto meno inspiegabili. Ad esempio cosa fecero i nove cavalieri chiusi nelle loro "stanze" per nove anni?
Si badi bene che, in questo periodo si sarebbero sottratti al compito di difendere pellegrini al quale provvidero i Cavalieri di San Giovanni (Ospitalieri).
In ogni caso questo strano corpo incarnava il meglio dello spirito cavalleresco dell’epoca impegnandosi a difendere la fede fino al sacrificio della propria vita.
Eppure, a neppure un anno dalla istituzione, avevano bisogno di nuovi spazi tanto che, nel 1120, ne presentarono richiesta a Baldovino II.
Il pretesto ufficiale fu che i cavalieri stavano facendo un grande proselitismo.
Al contrario, sembra che essi avevano appena realizzato uno scopo ben preciso che non rientrava proprio tra i loro fini istituzionali, al punto della loro evoluzione la grande Maestria dell’ordine si sentiva in grado di assumere la direzione delle sorti dell’impero d’occidente.
Non è un caso che lo sviluppo dei Templari segua di pari passo quello dell’ordine cistercense e proprio mentre fra’ Bernardo assumeva il priorato del convento di Citeaux, Hugh de Payns assunse il ruolo di "defensor fidei".
Comunque Baldovino II non era in condizioni da guardare tanto per il sottile. Colse al volo l’occasione e li ospitò in un’ala del suo palazzo (la moschea di Al-Aqsa) che contrassegnava il luogo in cui si era trovato il Tempio di Salomone.
Ma come si era evoluto l’Ordine?
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I TEMPLARI NELLA STORIA:
LA FINE DELL'AVVENTURA, DAL RIENTRO IN EUROPA AL PROCESSO PER ERESIA

La dèbacle di S. Giovanni d’Acri del 1291, segnò la fine dell’avventura templare in Terrasanta ma anche la fine delle Crociate.
Il loro ritorno in Europa segnò per l’Ordine un periodo di grande prosperità ma, al tempo stesso, di grandissima involuzione.
Infatti i costumi dei Templari furono totalmente sovvertiti al punto che la loro principale attività divenne, da quel momento, quella del prestito a usura. Per tale via i Templari accumularono non solo immensi cespiti finanziari ma soprattutto fondiari (terreni ed immobili). In tutta Europa edificarono circa novemila castelli, chiese ed edifici 
(8).
Sta di fatto, però, che il potere acquisito dai Templari non risultò gradito né al potere politico francese né al papato.
Nel 1307, Filippo il Bello, con la connivenza di Papa Clemente V, li fece imprigionare con l’accusa di eresia e di immoralità (sodomia). Per i Templari era l’inizio della fine. Nel 1312, a seguito del Concilio di Vienne, una bolla papale soppresse l'ordine.
I Templari di Francia furono quasi tutti arrestati e sottoposti a giudizio dinanzi al Tribunale dell’Inquisizione quali rei confessi.
Due anni più tardi, nel 1314, tuttavia il Gran Maestro Jacques de Molay finalmente si decise a prendere una posizione consona al ruolo; per effetto di ciò i cavalieri sopravvissuti ritrattarono le confessioni perché estorte sotto tortura.
La conseguenza di questo tardivo ripensamento fu disastroso: da rei confessi divennero "reprobi" e, conseguentemente furono condannati al rogo e passati al braccio secolare che, nel 1315, a Parigi eseguì la sentenza sull’isola di S. Luigi (attuale Notre Dame).
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I TEMPLARI NELLA STORIA:
ONORIO II ED IL CONCILIO DI TROYES, L'ACCETTAZIONE DEI TEMPLARI

Sette anni dopo la loro istituzione (1127) Hugh de Payns si era presentato ad Onorio II per indurlo ad accettare fra gli ordini regolari quello monastico-militare dei Cavalieri del Tempio.
Le cose non andarono molto lisce perché il papa conferì al cardinale Matteo di Albano di occuparsi del caso. Ma Hugh de Payns nel contempo aveva interessato della questione Bernardo di Clairvauz.
Durane il Concilio di Troyes, il 14 gennaio 1128, Hugh de Payns venne convocato per un esame congiunto della questione.
L’Ordine, nonostante la parola del vangelo, esaltava la gloria di Cristo nel sangue degli infedeli; eppure l’Ordine venne ratificato. Probabilmente la ragion di stato prevalse sui problemi di carattere etico.
Il Concilio rivestiva un’importanza straordinaria atteso che vi prendevano parte due arcivescovi, otto vescovi, quindici abati, un segretario, vari chierici ed alte personalità del potere civile fra le quali Teobaldo IV, Conte di Champagne (guarda caso!) e Guglielmo II di Nevers.
Hugh de Payens e fra’ Bernardo svolsero indubbiamente un ruolo determinante ed il Concilio non fece che apportare poche innovazioni rispetto allo schema presentato. Sostanzialmente l’ipotesi iniziale venne accettata.
Si sostiene che il Concilio non dette una regola, in quanto questa già esisteva; essa sarebbe stata solo "ritoccata" (l’autore del maquillage naturalmente fu Bernardo di Clairvaux).
Ma cosa successe dopo il Concilio di Troyes?
I Cavalieri del Tempio si recarono in varie regioni dell’Europa all’evidente scopo di farsi riconoscere e fare, in un parola, del proselitismo e realizzare sostegni economici e finanziari. C’è da dire che il successo fu notevole, soprattutto quanto a donazioni di terre. In pochi anni questo compito fu assolto almeno in Linguadoca, Inghilterra, Spagna e Portogallo.
Viene spontaneo pensare che la rapidità del successo fosse dovuta - come per i cistercensi - ad una decisione assunta altrove, ma ai più alti livelli.
Il rischio di una invasione da parte dell’Islam (specie in Spagna e Portogallo) agevolava il sostegno di un Ordine che si presentava portatore integro, leale dei più alti ideali della cavalleria.

 
 
 

I MISTERI DEI TEMPLARI

Post n°389 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe


Meno comprensibile appare la spiegazione di come tale ordine, dall’oggi al domani, raggiungesse ed esprimesse ben oltre l’interesse religioso, ed è certo che proprio l’interesse fu economico la causa della sua rovina.
Se vogliamo considerare gli eventi - ormai fuori da partigianerie - appare molto dubbio che l’opinione pubblica (almeno quella che si potesse definire tale) fosse favorevole a chi uccideva un uomo, cosa contraria all’etica cristiana ed al diritto canonico che vietava lo spargimento di sangue, seppur di un infedele.
Bernardo, teorico del potere templare, fu il "Deus ex machina" che aveva particolarmente brigato per il riconoscimento dell’Ordine, ne aveva seguito i lavori a Troyes e ne aveva stilato la Regola.
Dietro insistenza di de Payns, fra’ Bernardo risolse la questione nel "De Laude novae militiae" nel quale esaltava i costumi e l’etica della "cavalleria celeste" (naturalmente quella templare) contrapposta alla "cavalleria secolare", ormai vuota di significati spirituali 
(9).
L’Ordine si poneva in tal modo come risposta, quasi obbligata allo stato di necessità determinato dalla presenza - sul terreno della storia - degli eserciti islamici. I Templari incarnavano il bene e la lotta al male li legittimava.
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LA REGOLA TEMPLARE
La regola templare emersa dal Concilio di Troyes in teoria è semplice.
Pur essendo laici, i Templari facevano voto di castità, obbedienza e povertà; vestivano una cappa bianca con una croce rossa, erano divisi in Cavalieri, Cappellani, Sergenti, Artigiani, comandati da un Gran Maestro e da un Concilio e dipendevano direttamente ed esclusivamente dal Papa.
Per molti secoli si è creduto che il documento originale fosse andato perso. Se ne conoscevano solo due versioni in copia. La prima (del 1240 circa, che conteneva anche gli Statuti aggiunti, redatta in Francese) e una edizione dell’800, che Henri de Curzon trasse da tre copie redatte tra il XIII e XV secolo e conservate a Roma, Parigi e Digione. Quest’ultima era in Catalano ed era stata trascritta dopo il 1330, vale a dire dopo la soppressione dell'Ordine.
La "regola" del 1127 non era mai stata pubblicata e sembrava coperta da una vera congiura del silenzio che permetteva a chiunque di attribuire alla Regola tutti i contenuti e segreti che voleva.
Nel 1995 la "regola originale" é stata pubblicata in versione integrale da Fabio Giovanni Giannini, con lo scopo di portare a conoscenza del pubblico italiano un documento citato moltissimo, ma mai letto.
La pubblicazione era il frutto di due ritrovamenti coincidenti: il primo manoscritto rinvenuto era un'antica copia custodita presso la biblioteca Marciana ed edita a Venezia nel 1736, la seconda fu trovata a Milano tra gli "acta Conciliorum" presso la Biblioteca Braidense 
(10).
Questo ritrovamento consentiva agli antichi "Monaci Guerrieri" di recuperare 600 anni di ingiusto silenzio 
(11).
Va osservato preliminarmente che i Templari avevano mutuato lo schema costitutivo del proprio ordine dai biblici muratori-guerrieri di Zorobadel che avevano ricostruito il secondo Tempio sulle rovine del primo e che, secondo la tradizione, lavoravano con la cazzuola in una mano e la spada nell'altra.
Questa impostazione consentì l’introduzione in Europa delle cattedrali. La spada e la cazzuola compaiono, infatti, nelle insegne dei Templari dove la cazzuola ha quattro lame triangolari disposte a croce e costituiscono il pentacolo cabalistico noto come "croce d'oriente".
La solite "voci" narrano che De Payns fosse entrato in contatto ed aveva conosciuto le teorie dei Gioanniti (il cui sommo sacerdote era stato un certo Teocleto) 
(12).
Si sostiene, in altre parole, che i Templari avrebbero seguito due dottrine: una pubblica (legata all'ortodossia cattolica) ed una segreta, quella gioannita (vale a dire quella della Kabalah gnostica degenerata in un panteismo mistico-idolatrico).
Il Levi sostiene che, per tale strada, sarebbero approdati ad un simbolismo panteistico proprio dei grandi maestri della magia nera (il Baphomet avrebbe quindi rappresentato l'equivalente del vitello d'oro di Dan e di Betel) 
(13).
Lo statuto, quale ci appare oggi, si compone di quattro parti distinguibili per l’epoca di formazione:

  • la "Regle Primitive", che sembra corrispondere al testo approvato dal Concilio di Troyes del 1128
  • i "Retraits", raccolta di usi e costumi risalente intorno al 1165
  • gli "Statuts hiérarchiques" che riguardano le cerimonie ed è del 1230-1240
  • gli "Egards", che si occupano dei reati e delle pene e risale al 1257-1267
La "regola" sanciva la subordinazione del Tempio alla giurisdizione ecclesiastica, elencava uffici celebrativi, digiuni e feste obbligatorie; prescriveva semplicità nel vestire (14), caratterizzato da una croce rossa; fissava una disciplina cenobitica severissima (15).
Ma l’evoluzione dei Templari non era ancora conclusa.
Era passato appena un anno dal Concilio di Troyes quando il Papa stabilì che l’Ordine era sottoposto direttamente all’autorità pontificia e quindi sottratto a quella del Patriarca di Gerusalemme. L’ordine era così entrato nel gioco della grande politica, nella lotta tra chiesa dell’occidente e scisma d’oriente.
A questo deve aggiungersi che il Gran Maestro ed il Capitolo andavano ad assumere la responsabilità completa ed assoluta della gestione dell’Ordine.
In pratica l’Ordine diveniva indipendente. E nello stesso momento - guarda caso - i Cistercensi perdevano l’obbligo di versare le decime per i loro possedimenti e di riscuoterle in proprio col consenso del Vescovo.
Fu il classico "scherzo da prete". La riduzione delle entrate ai chierici non venne digerito bene e le continue controversie richiesero spesso l’intervento della Santa Sede.
Ormai era l’anno 1145 ed era maturo il tempo per l’adozione di una nuova disciplina, che arrivò puntualmente con la bolla pontificia "Militia Dei" e che si risolse in una conferma e puntualizzazione dei privilegi dei Templari.
Tuttavia, apparentemente non successe nulla anche se l’obbedienza formale cui erano obbligati gli ordini religiosi generò sordi (e sordidi) rancori che covarono sotto la cenere per divampare nel rogo che devastò l’Ordine Templare.
Nel frattempo e per il momento, come osserva Claudio Contorni 
(16), i nove cavalieri iniziali erano diventati una milizia della quale non si poteva fare a meno ed al cui potere si piegavano papi e re.
La commistione fra il potere spirituale e temporale si era realizzata con la benedizione di fra’ Bernardo e dei Cistercensi ma anche con la minaccia del braccio armato di de Payns e della nobiltà schierata con lui.
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LA CONGIURA E L'ARRESTO DEI TEMPLARI
Se dovessimo fermarci ad una esegesi storica del fenomeno "Templare", potremmo dire di essere giunti ad un buon punto. Il che non è affatto vero.
La domanda d’obbligo è se ci sia stato un segreto e quale fosse stato questo segreto.
Qualche storico ha osservato che non si trattò di un solo segreto quanto un "insieme" di segreti il cui insieme che li condussero alla tragica conclusione del 18 marzo 1314.
Ma dietro alle fiamme del rogo, si intravedevano le figure di un re (Filippo IV), di un papa (Clemente V) e di un primo ministro (Nogaret).
Qual era il rapporto tra costoro ed i Templari, in particolare nel periodo che va dal 1306 al 1315?
Le riposte sembrano lì, a disposizione; facili da acquisire, ma - come si suol dire - guai a fermarsi alla prima taverna. I fatti di cui mi sto occupando hanno offerto il destro a molte speculazioni storiche, letterarie, esoteriche (o pseudo esoteriche).
La storia tace su molti, troppi punti. La leggenda invece parla di una maledizione e di una vendetta templare 
(17).
Di fatto, che cosa scatenò l’orgia di fiamme del 1315?
A prima vista non risulterebbero motivi di dubbio su quella che fu la causa scatenante dell’odio di Filippo IV e di Clemente V. Tutti sono concordi nell’accreditare la tesi della ricchezza dell’ordine per il primo e dell’inetta insipienza per il secondo.
Per la verità esistono anche altre verità sia sul piano storico che su quello esoterico. Ne sono sostenitori coloro che attribuiscono i successi militari di Terrasanta a componenti iniziatiche ed esoteriche acquisite attraverso la conoscenza di testi segreti (??).
Ed infatti sono ben noti i contatti dei Templari con sette gnostiche e cenacoli esoterici islamici. C’è, infatti, la pista degli Ismailiti, della Setta degli Assassini e di Hassan-al Sabbah (noto come il "Vecchio della Montagna") capo della setta degli Hashishin dalla quale avrebbero appreso del Baphomet e di altri tenebrosi segreti.
Che cosa avessero appreso non lo sa nessuno ed è sembrato lecito dare la stura ad una serie letterale di invenzioni più o meno fantasiose.
A me sembra che non occorra scomodare né Ismailiti né Vecchio della montagna: basta guardare molto più vicino. Nella Francia del XIV sec.
In maniera molto meno romanzesca ma molto prosaico della finanza, basterà ricordare che i Templari erano divenuti i banchieri (leggi: usurai) avendo sottratto tutti i trucchi del mestiere ai giudei. Non a caso avevano introdotto nella prassi europea degli affari la cambiale, l’assegno circolare e la lettera di credito 
(18).
Con questi mezzi i Templari si arricchirono perdendo di vista gli ideali iniziali 
(19) ma acquistando il carattere di una vera e propria milizia sovranazionale, legata solo al giuramento di fedeltà al Gran Maestro e al Papa.
Con la caduta dei Regni Latini d’Oriente, tornati in Europa i Templari furono costretti ad uscire dal loro semi-anonimato. La loro presenza cominciò così a dare fastidio.
Si aggiungano alcune circostanze che dovevano pesare quanto un macigno sulle decisioni politiche:
  • Il Papa aveva bandito le crociate non solo per liberare il Santo Sepolcro, ma anche per spostare fuori dall’Europa il terreno delle faide tra Re cristiani. Molto probabilmente credette di poter utilizzare i Templari come supermilizia Vaticana in grado di garantire la pace come forza di interposizione tra frontiere "calde" (ad esempio quella pirenaica (20) o quella russo-polacca (21)).
  • In secondo luogo il Re di Francia Filippo IV, detto il Bello, ed il suo fedelissimo ministro Nogaret, non potevano certo tollerare una supremazia papale proprio con il papa in territorio francese (22).
  • In terzo luogo il vile denaro: perché, in questo complesso quadro fatto di interessi contrapposti le casse del Regno di Francia erano vuote. Il tesoro templare poteva essere nella soluzione di diversi problemi nei quali era invischiata la Francia.
  • Infine la posizione strategia dei Templari nell’ambito della politica francese. I Templari, fortissimi a Parigi e in molti altri centri, erano divenuti di fatto un pericolo per la successione dinastica a causa del loro collegamento col Papa e dell’atteggiamento immorale delle figlie del Re (23).
Queste le cause della congiura anti-Templare. Ma per la sua riuscita bisognava spezzare il cordone ombelicale che legava il Papa all’Ordine. E Clemente V assunse, per l’occasione, la veste del burattino nella mani del Re di ferro (complice, ancora una volta, il Nogaret).
Queste considerazioni spiegano benissimo le motivazioni ed i comportamenti di tre delle parti in causa (in particolare spiegano i rapporti di Filippo IV e di Clemente V parti indispensabili nell’isolamento dei Templari troppo liberi da vincoli di natura temporale).
Però non spiega assolutamente la remissività di quegli autentici fulmini di guerra, i membri dell’ordine, al momento degli arresti.
Quando gli armigeri si presentarono nelle varie fortezze del Tempio, esse si arresero senza colpo ferire. È vero che nessun Templare immaginava che la stessa cosa stesse accadendo, in quello stesso momento, presso quasi tutte le fortezze (escluse quelle dell’Emilia, del Portogallo e della Gran Bretagna).
Possibile che ciascuna comunità attendesse l’aiuto di altre e, tutte insieme, confidassero sulla protezione incondizionata del Pontefice?
Una possibile spiegazione può essere cercata solo per Clemente V e si connette alla natura del complotto architettato da Nogaret. Questo, sul piano della fede, spuntò molte delle armi che il Pontefice poteva usare senza rimanere egli stesso coinvolto, ma la strada scelta fu talmente tortuosa e lenta da lasciare in piedi numerosi sospetti che sono purtroppo destinati a restare tali.
Né il processo né la documentazione storica sono fornire una risposta.
Nel rapporto tra Templari e Filippo il Bello sembra che una grossa parte abbia giocato la sorpresa e la fiducia, mal riposta, nelle possibilità e capacità politiche di Clemente V.
Non v’è dubbio che Nogaret gestì da par suo la regia accuratissima nella scelta dei tempi sicché riuscì a sottrarre i Templari alla giurisdizione pontificia prima che questa avesse il sentore di quanto stava accadendo.
Nogaret, dispose ed eseguì gli arresti con un tempismo senza precedenti. I primi ad esserne disorientati furono proprio gli arrestati che non riuscirono ad organizzare alcuna forma di resistenza armata.
Lo stato di confusione in cui cacciò i prigionieri fu tale che, sotto tortura, alcuni cavalieri cominciarono a fare delle ammissioni compromettenti (essenzialmente sulla sodomia, sull’adorazione del diavolo e negazione della Santissima Trinità).
A quel punto un papa - di per sé già sottomesso al volere regio - aveva già perso qualsiasi arma; né se la sentì di azzardare mosse che avrebbero potuto tradursi in uno "scisma" 
(24).
Particolarmente squallido si rivelò il comportamento di Jacques de Molay che si auto-accusò degli stessi misfatti. Al momento, ormai compromesso e sbugiardato, venne rilasciato. Ma l’assassinio di Ugone da Bologna, lo privò del potente aiuto dei Templari dell’Emilia e lo rese definitivamente inoffensivo: era carne da rogo anche lui.
Maestro Jacques solo sul rogo, ritrovò la fierezza del ruolo ribellandosi all’Arcivescovo di Saëns che aveva lanciato roventi accuse contro l’Ordine. Ma non potette far altro che scagliare maledizioni.
Ma è destino che nella vicenda dei Templari nessuna tessera del mosaico vada al posto giusto.
Andando a monte mi chiedo: quali furono le ragioni di tanto accanimento contro i Tempio?
Perché tanta indifferenza di tutte le parti coinvolte?
Ma anche queste sono domande che attendono una risposta.
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LE CAUSE REMOTE: IN TERRASANTA
Taluno ipotizza che l’origine dei problemi dei Templari deve essere ricercata lontano, nella loro permanenza in Terrasanta. Ma il solo elenco delle ipotesi avanzate sono di per sé troppe ed elencarle tutte troppo lungo.
Farò in questa sede solo un cenno a qualcuna di esse rimandando per una valutazione critica alle conclusioni.
Si è parlato:
  • Di testimonianze scomode o di un grande segreto inerente la cristianità. Ma a quali mai segreti potettero attingere? A quali documenti erano abilitati ad accedere?
  • Di una casta sacerdotale della Terrasanta (ma quale... gli ultimissimi seguaci degli Esseni o gli Ashishin?) in possesso delle prove di una verità che attraversava il Cristianesimo e le sue origini, non confacenti per l’ortodossia romana.
  • Del presunto ritrovamento dell'Arca dell'Alleanza, o dei segreti costruttivi delle cattedrali gotiche, o di carte segrete che indicavano la rotta per le Americhe, o tutte queste cose insieme. Il fatto è che, ad un certo punto, fantasia e leggende si confondono in un groviglio inestricabile rigirandosi su se stesse. Jacques de Mahieu, ad esempio, sostiene che i Templari avrebbero raggiunto l’America tre secoli prima di Colombo partendo da La Rochelle e fermandosi in Messico; qui, sfruttando l'argento locale, si sarebbero procurato il denaro necessario a finanziare le Cattedrali.
  • Del presunto ritrovamento o della presunta consegna, da parte degli Ashishin, del Sacro Graal che poi avrebbero trasferito, dimenticandolo in qualche, del Castello di Gisors.

 
 
 

I MISTERI DEI TEMPLARI

Post n°388 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

Prima di rinviare alle considerazioni che svolgerò più innanzi, mi corre l’obbligo di far osservare che, qualunque ne fosse l’oggetto e comunque ne fossero entrati in possesso, l’Ordine cercò di custodire i presunti segreti evitando ripercussioni e sconvolgimenti nella Chiesa.
Se le cose fossero andate veramente così - e francamente ne dubito - i Cavalieri del Tempio avrebbero pagato un prezzo altissimo per mantenere un segreto che forse non lo meritava.
Certa è soltanto una inclinazione misterica o misteriosofica delle supreme gerarchie dell’ordine e la loro propensione per gli aspetti esoterici e misteriosofici diffusi in un certo tipo di cristianesimo delle origini con cui i Templari vennero in contatto prima e dopo il loro insediamento a Gerusalemme; senza sottovalutare i risvolti politici della acquisita posizione soprattutto dopo i disastri di Hattin di Damietta, ma in nome di una concreta commistione tra potere e ricchezza dopo il rientro in Europa.
In ogni caso credo che:

  • Il "nucleo segreto" dei Templari conservò e perpetuò incomunicabili conoscenze di cui erano venuti in possesso e ne diffuse lungo l’Europa.
  • Il papato continuò a scontrarsi duramente con i regni laici.
  • I Templari seguirono una strada tutta loro, fondata sull’acquisizione di castelli, villaggi e città, indifferenti alle ragioni dell’una e dell’altra parte.
In sostanza erano divenuti una autentica minaccia sotto due aspetti: uno economico ed uno spirituale; inutile dire che quest'ultimo era il più pericoloso, come ben sapevano coloro che vollero la fine dei Templari.
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I TEMPLARI E L'ERESIA CATARA
Il 13 ottobre 1307, un venerdì, Filippo il Bello, ordina l’arresto dei Templari e dispone il sequestro di tutti i beni. Inizia così la fine dell’Ordine.
Seguiranno anni di processi, torture ed uccisioni che culmineranno il 18 marzo 1314 con l’arresto e la morte sul rogo del gran Maestro De Molay.
Si chiudeva in tal modo, brutalmente, una vicenda storica durata breve arco di tempo tra il 1119 ed il 1307.
I Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone, erano passati da Hugh de Payns a De Molay quali attori principali della vita militare, politica ed economica del mondo cattolico.
Erano passati dal fervore e dalla gloria conquistata sul campo, alla ignominiosa morte sul rogo propria degli eretici.
Si dice spesso che la cosiddetta congiura di Filippo IV (del Nogaret e di Clemente V) aveva trovato origine in una eresia templare.
È un argomento che va trattato con attenzione perché da un lato le accuse mosse ai Templari sono tipiche dello stile inquisitorio e, pertanto, spesso false, faziose o estorte con torture, prive di ogni valore giuridico e storico.
Tuttavia a, mio avviso, questo non basta a smentire o a confermare la bontà di una tesi, soprattutto quando non sia dimostrato o dimostrabile il contrario. In proposito i fatti certi da tenere presenti sono due:
  • I Templari non riscuotevano molto credito nelle gerarchie politico-religiose e fu facile per il re avvalersene. Infatti il re si avvalse di un'Inquisizione chiaramente manovrata dal potere centrale in presenza di un Papa imbelle.
  • É difficile considerare i Templari come verginelle innocenti a causa dei loro trascorsi non proprio limpidi.
Infatti circa un secolo prima erano stati molto chiacchierati per un possibile collegamento alla eresia Catara (25). E nulla ci impedisce di pensare che la cosiddetta "eresia templare" fosse, in realtà una "eresia catara".
Questa conclusione, se non altro, avrebbe il pregio di spiegarci il perché della necessità di un preventivo isolamento dei Templari!
Stando così le cose sarebbero in tal modo legittime e naturali le accuse di eresia, di stregoneria, di turpitudini, ecc.
È chiaro che questa conclusione potrebbe avere una sua validità nel merito.
Altri aspetti, come la storia del Baphomet, avrebbero una loro validità sul piano formale (tipica dello stile inquisitorio). Verrebbe così perfettamente naturale parlare di torture, sangue e falsità che erano effetti tipici della procedura codificata da Nicolas Eymerich 
(26).
A queste valutazioni di fondo aggiungiamo quella dell’oro accoppiata alla sconfinata umana avidità degli uomini ed alla loro arroganza.
Possiamo così comprendere come tutto si possa ricondurre ad un problema di ordine politico al quale verranno sacrificate vita e dignità di uomini che una volta si erano votati a ideali cavallereschi di virtù e di fede.
Qualche storico ha contestato questa ipotesi asserendo che Filippo IV fece sì confiscare i beni dei Templari, ma non se ne impadronì come sarebbe stato logico. Stranamente, si osserva, avrebbe assegnato una parte dei beni agli Ospitalieri e ad alcuni nobili francesi che furono, in definitiva, gli unici beneficiari della strage.
Non mi sembra una buona argomentazione.
Storicamente unica prova sarebbe stata che Ospitalieri e nobiltà francese non se ne lamentarono come sarebbe stato logico. Ma non mi sembra che il re avrebbe avuto difficoltà, vista l’antifona a convincere gli uni e gli altri a farsi i fatti loro!?
Quello che potrebbe destare meraviglia, ad onor del vero, è un altro fatto: i Templari, bruciati in virtù di un arbitrio giudiziario furono solo quelli di Francia. La persecuzione non poté colpire i cavalieri della Spagna, del Portogallo, quelli dell'Europa del Settentrionale (come i Cavalieri di Cristo) o quelli dell’Italia e dell’Inghilterra. Perché avrebbero taciuto anche costoro?
Mi sembra facile osservare, che non tutti potevano essere a conoscenza degli affari centrali. Anzi il complesso di indizi mi inducono a ritenere che fosse vero proprio il contrario.
La fiducia dell’ordine nel suo complesso, potrebbe aver aperto - come è stato rilevato - "…un Tempio fatto non di pietra e roccia il cui peso, però, ad un certo punto li avrebbe schiacciati" 
(27).
A ben considerare i fatti ritengo che dobbiamo essere molto prudenti nell’usare il termine di "misteri" a proposito dei Templari.
Io sono portato a ritenere che spesso si abusa del termine mentre sarebbe logico distinguere fra tre tipi di misteri:
  • Il primo comprendeva atti formali come la "Regola" (ormai non più tali: si tratta di aspetti superati dalla realtà storica).
  • Il secondo comprende misteri in senso esoterico (tipo Baphomet), cioè fatti che teoricamente non dovrebbero rientrare in quella categoria essendo dipendenti da circostanze a noi ignote o per i quali non è stata possibile raccogliere un’idonea documentazione storica (tipo il Vecchio della Montagna, la ricostruzione del Tempio di Salomone, il Graal, la Maledizione, i Templari in America e così via) ma teoricamente spiegabilissimi.
  • Il Terzo tipo comprende misteri veri e propri o tali in senso tecnico. Tra questi possiamo catalogare, a mio avviso, solo due vicende: la presunta eresia Templare ed il Tesoro dei Templari.
C’è poi una storia occulta del Templarismo sulla quale è necessario porre comunque l’attenzione.
In effetti al di là della ritrovata regola noi non sappiamo quale fosse il vero intento nella costituzione dell’Ordine.
È stato facile così parlare di un ordine di carattere iniziatico, sul modello dei Templari di Agharti o dei Templeisen custodi del Graal; essi probabilmente sarebbero andati in Terrasanta perché fra’ Bernardo aveva detto che bisognava colà cercare qualcosa. Ma cosa?
Entriamo però, per tale via, nel campo delle pure ipotesi senza avere il sostegno del benché minimo fatto di valore storico.
Alcuni commentatori ritengono che scavando al di sotto del tempio della Roccia, essi avessero rinvenuto l'Arca dell'Alleanza, o i segreti delle cattedrali gotiche, ovvero mappe segrete che indicavano la rotta per le Americhe, ovvero ricevuto dagli Ashishin il San Graal, ovvero tutte queste cose insieme.
Alcuni studi 
(28) denunciano con chiarezza che dopo la disfatta di San Giovanni d’Acri del 1291, i Templari avevano perso la posizione di privilegio restando privi di prospettive concrete tipo quelle degli Ospitalieri che sopravvissero alla disfatta grazie ad una diversa politica.
Con la conquista di Rodi infatti scelsero di fare del loro ordine una potenza navale nel Mediterraneo.
Si è pure detto che la distruzione dei Templari fosse solo l’inizio di una vera e propria politica di Filippo il Bello nei confronti degli ordini militari. Ma la morte impedì a lui di procedere anche contro gli Ospitalieri, ed a noi di conoscerne le reali intenzioni.
Ma mi sembra molto improbabile che il nipote di Luigi IX, il re santo morto nel 1254 durante la settima crociata, si sentisse veramente in lotta col diavolo come "re cristiano" quale si definiva.
A ben pensare più si gira intorno all’argomento e più mi vedo costretto a tornare sui Catari o Albigesi che dir si voglia.
Forse non è un caso che delle sette accuse mosse ai Templari ben quattro avevano a che fare con la religione costituendo colpevoli di un reato (aggravato e reiterato) di eresia.
Li si accusava:
  • di rinnegare Cristo definito falso profeta (essi calpestavano e sputavano sul crocifisso)
  • di adorare gli idoli: gatti e teste a tre facce in sostituzione del Salvatore
  • di non credere ai sacramenti sicché i sacerdoti dell’ordine "dimenticavano" le formule nel rito della messa
  • di esercitare pratiche oscene e la sodomia
Per altri due capi di imputazione il riferimento all’eresia era indiretto anche se non meno grave. È il caso delle accuse di reciproca, compiacente assoluzione.
Sono evidenti - fondate o non che fossero le accuse - certe analogie con rituali albigesi che gli inquisitori dei Templari non avevano mancato di sottolineare (come, ad esempio, il fatto di non accettare la croce come strumento materiale del supplizio del Cristo).
Se le cose fossero andate proprio così sarebbe evidente che l’ordine intero era sprofondato in una eresia conosciuta, catalogata e già condannata. Il che li poneva automaticamente fuori dell’ortodossia senza possibilità di appello.
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LA QUESTIONE DEL TESORO DEI TEMPLARI
Il settimo capo di imputazione riguardava, anche se non in maniera diretta, il problema del "tesoro". L’accusa era di essere stati tenuti a contribuire, con qualsiasi mezzo, all’arricchimento dell’ordine.
Mi intratterrò sull’argomento molto brevemente in quanto l’ho già trattato nell'
articolo di Rennes-le-Chateau.
In effetti siamo in presenza della parte più sconcertante della vicenda. Tutti parlano del tesoro ma nessuno l’ha visto e soprattutto nessuno sa se sia mai esistito o che fine abbia fatto.
Con la scomparsa dei Templari dalla scena della storia, si aprì immediatamente il problema del loro tesoro.
Per quello che ne sappiamo non risultò devoluto agli Ospitalieri e non se ne era impadronito Filippo IV. Questa presunta montagna d’oro - che aveva acceso la concupiscenza di Nogaret - dove era finita?
Si parlò di carri che notte tempo avrebbero abbandonato le dimore templari per dirigersi a nord (verso l’Inghilterra? Verso l’oltremare?).
Nessuno è stato in grado riformulare un’ipotesi con una parvenza di plausibilità nonostante le ipotesi più disparate che vanno da nascondigli nelle Alpi meridionali francesi (ipotesi Wysen), ai dintorni di Rennes-le-Chateau, cioè in prossimità dei Pirenei (ipotesi De Sede), fino all’ipotesi Nazista di una improbabile cripta dimenticata (Roger Lhomoy).
Credo che sia perfettamente inutile soffermarmi su un problema che probabilmente, allo stato, non ha e non potrà avere possibilità concreta di soluzione.
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ULTIMI DUBBI E CONCLUSIONI
Chi ha avuto la pazienza di seguirmi si sarà resto conto che siamo usciti dal mito per rientrare nella storia.
Indubbiamente i Templari furono fanatici monaci-guerrieri, ultimi rappresentanti di una cavalleria già all’epoca in rapida dissoluzione.
Questi mitici cavalieri dal mantello bianco ebbero la ventura di svolgere un ruolo importante - non certo determinante - nelle Crociate ed hanno fornitoli destro per le conclusioni più disparate anche se apparentemente sensate.
Di volta in volta sono stati considerati modelli per gli altri crociati ovvero squallidi individui dediti ad intrighi e tipici una casta ultra segreta 
(29).
Delle stesse incertezze è intessuta la storiografia che li riguarda al punto che l’opinione popolare resta ancora la verità meno improbabile a disposizione degli indagatori.
Le opinione sui Templari si sono genericamente stratificati in due indirizzi.
  • Il primo è quello che definisco "Versione ortodossa". Risale a Guillaume de Tyre, primo cronista a scrivere dei Templari e del fondatore dell’ordine.
    De Tyre ci narra delle vicende comprese tra il 1118 (anno in cui Hugues de Payen si presentava a Baldovino II) ed il 1306 (anno in cui inizia la cosiddetta congiura di Filippo IV).
    Osserva il cronachista che i futuri Templari proponevano un volontariato molto nobile, non c’è dubbio; ma, come potevano nove semplici uomini garantire la sicurezza per le migliaia di pellegrini della città santa lungo alcune centinaia di chilometri di piste desertiche?
    E poi sapevano o prefiguravano i Templari che nel giro di pochi decenni avrebbero amministrato un potere immenso?
    O era proprio questo lo scopo cui erano destinati e che li rendeva sicuri quanto baldanzosi?
    Sta di fatto che l’ordine esplose ed il primo Gran Maestro potette tornare al cospetto del cistercense fra’ Bernardo solo nel 1128. Nel corso di tale visita, intascò la "regula", ma gettò le basi di quella che oggi chiameremmo "autonomia finanziaria" per l’Ordine.
    Vero è che la missione ottenne un successo inatteso 
    (30) ed i poveri "Cavalieri di Cristo" accumularono feudi in tutta Europa.
    Teoricamente l’ordine dei Cavalieri Templari era in grado di fronteggiare in proprio una guerra o di organizzarsi in autonomo esercito 
    (31).
  • Tuttavia è a questo punto che entra in gioco la "storiografia occulta". Infatti, a partire dal 1129 i Templari non esercitavano più le sole mansioni di tutela religiosa e politica sugli itinerari della fede; abbiamo visto che erano divenuti una vera propria istituzione operante anche nel campo della finanza interstatale.
    Nel 1291 accadde l’inevitabile. Il regno di Gerusalemme tornò definitivamente nella mani dei musulmani e gli ordini religioso-militari dovettero traslocare senza una ragione pratica di esistere. Il loro successivo ritorno in Europa equivalse ad un tentativo di rinascita sebbene per i Templari ostava un ineludibile paradosso. Essi avevano perso l’unico territorio che ne giustificasse l’esistenza e che consentisse di continuare a rafforzarsi in Europa. Per effetto di ciò sembra che intendessero costituire uno Stato proprio in Linguadoca, nella parte francese dei Pirenei.
    La circostanza non è provata ma, vera o falsa che fosse, la semplice ipotesi condusse la storiografia a doversi occupare dei Catari che avevano signoreggiato proprio in quelle terre e con i quali i Templari avevano mantenuto buoni rapporti.
    Arriviamo al fatale 1306, quando Filippo IV decise di sbarazzarsi una volta per tutte dei signori del Tempio.
Ho già detto di cosa accadde dopo e non intendo tornare sull’argomento. Devo però constatare il fallimento finale dell’operazione messa in scena da Filippo il Bello e dal socio Nogaret. È fuori dubbio che il piano era stato accuratamente realizzato in Francia ma non poteva essere realizzato e non lo fu fuori quei confini ove si concretizzò solo a metà.
L’ordine di Filippo non fu accettato né in Svezia, ma neppure in Spagna, in Italia ed in Inghilterra.
Questa versione è pacificamene accettata da tutti gli storici; tuttavia ancora qualcosa quadra. I Cavalieri Templari erano stati gli indiscussi protagonisti di un’ascesa vertiginosa in poco più di un secolo. Ma da dove proveniva l’indubbia auctoritas di cui godettero soprattutto in un momento di appannamento del potere papale cui facevano riferimento 
(32)?
E ancora: se esisteva un culto Templare su che cosa si basava?
Ci troviamo, a mio avviso, di fronte al nocciolo della questione del cosiddetto "Mistero" dei Templari. Con altrettanta probabilità dobbiamo abbandonare la pretesa di risolverlo alla luce di fatti e documenti storici per affidarci ai "si dice" della vox populi.
Per la verità il populus parlava (e parla) di un ordine non molto solare, anzi, dalla tinta piuttosto fosca. Sembra necessitato concludere che questo era il rovescio di una medaglia il cui verso era stato utilizzato per nascondere qualcosa che costituiva proprio la fonte del loro straordinario potere.
Stando così le cose dovremmo ritenere altrettanto valida l’ipotesi di un Ordine costruito intorno ad una organizzazione esoterica che aveva ripudiato l’autorità di Cristo e sputato proprio su quel simbolo!
Il che ci riporta, pari pari, all’eresia catara.
Abbiamo potuto notare che, nella vicenda templare assumono un valore altamente indiziario i loro rapporti con i Catari (o Albigesi). Lo confermerebbe la condotta nel corso della crociata di Innocenzo III dove si limitarono ad un ruolo di testimoni.
Atteggiamento per il quale non riusciamo a trovare una benché minima giustificazione.
Perché, comunque si formuli la domanda, mi sembra convincente una sola risposta e questa risiederebbe proprio in quelli che furono i rapporti con la popolazione di Albi!
Sembra logico pensare che i Templari avessero risolto, in senso politico, ed in maniera atraumatica un angoscioso problema di rapporti necessitati. Questo atteggiamene avrebbe consentito di conquistare simpatie da parte della comunità catara senza costringerli ad una guerra senza senso quindi inutile.
Il che confermerebbe la plausibilità dell’intento stabilirsi nella regione Pirenaica, l’ex roccaforte degli Albigesi.
Il vero problema allora sarebbe quello di verificare il livello di serietà dell’intento. Molti credettero che esistesse una tale opzione e che tra Catari e Templari corressero accordi segreti per una garanzia di mutua assistenza.
Naturalmente non abbiamo elementi per una tale verifica e, tutto sommato ci troviamo dei fronte all’ennesimo capitolo scuro della storia Templare in attesa di risposta.
Unica cosa che possiamo dire con assoluta certezza è che nel rapporto tra Templari ed Albigesi correvano delle strane somiglianze.
Questo vale, ad esempio per la straordinaria somiglianza tra assoluzione collettiva somministrata in prossimità della battaglia dal Gran Maestro dei Templari e "consolamentum", l’unico sacramento riconosciuto dai Catari, praticato una sola volta nella vita, di solito in prossimità della morte o della battaglia, in uno stato di esaltazione collettiva.
Questo altrimenti strano rapporto con gli Albigesi costituisce di per sé un enigma nell’enigma, una sorta di matrioska di misteri. Innanzi tutto perché proprio la propensione per i Catari francesi o Albigesi che dir si voglia?
Tanto per incominciare la comunità dei Catari era povera e non acculturata.
Qualche storico spiega che i catari sarebbero stati custodi di un segreto appartenente alla setta che ne era custode.
In effetti nella vicenda degli Albigesi esiste un grosso buco. Il Vaticano trattò la questione sempre con estrema cautela. E questo, sia nei confronti del Catarismo in generale, che nei confronti degli Albigesi in particolare 
(33).
Il che è assolutamente inspiegabile.
Perché tanta cautela verso una setta che, a torto o a ragione, era considerata il non plus ultra della ereticità (si vociferava che il diavolo in persona avesse preso personalmente dimora presso di loro per creare l’esercito delle tenebre)?
Questa cautela ovviamente si infrange nel momento della crociata, ma - tutto sommato - ne spiega la ferocia del Montfort, massacratore di vecchi, giovani, donne e bambini.
Ma non spiega tutto; se i Templari tenevano tanto agli Albigesi, perché non intervennero al loro fianco? E se non erano favorevoli agli eretici, perché non intervennero a fianco di Innocenzo III?
E infine, di quale segreto mai i Catari potevano essere custodi tanto importante da sedurre anche i Templari?
Sono state formulate varie ipotesi:
  • All’epoca si parlò della "Excalibur" la favolosa spada di Artù, che sarebbe stata custodita ad Albi, o nelle immediate vicinanze.
  • Altre voci hanno parlato dell’esistenza di un fantomatico tesoro che l’imperatore Tito, avrebbe sottratto e nascosto per sé nella campagna in Medio Oriente.
  • Altri hanno ritenuto valido il ritrovamento della tomba di Cristo o del santo Graal.
Già in passato queste due ultime ipotesi venero immediatamente scartate senza troppi tentennamenti. D’altra parte ritengo che quelle illazioni fossero troppo romanzesche e impossibili da sostenere.
Quanto a Excalibur i medioevo era pieno di spade magiche o presunte tali 
(34), ma probabilmente non erano molti quelli che vi credevano e, in ogni caso, non avrebbe suscitato un interessi internazionale. Né riesco ad immaginare come la spada, famosa quanto dal dubbio carattere magico, potesse fungere da strumento di potere nelle mani dei Templari che, comunque, dovevano esserne a conoscenza attraverso le sedi anglosassone.
Ma non esistono menzioni o allusioni di sorta al riguardo.
Resterebbe l’ipotesi della misteriosa "testa" 
(35). Ma il "Baphomet" cui comunemente si allude non poteva certo essere assunto come un’arma terrorizzante.
E, tutto sommato, mi suona come una teoria messa in piedi da qualcuno cui non bastavano i misteri che già avvolgono (e forse avvolgeranno per sempre) i Templari!
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I TEMPLARI SONO TRA NOI
Con il rogo di Parigi non si concluse la vicenda di lotta tra Filippo IV e Templari, bensì un sotterraneo braccio di ferro tra potere politico (Filippo e Nogaret) e potere ecclesiastico (Clemente V); la posta in gioco era stata la vita dei Templari da poco scampati alla scimitarra dell’Islam e dal Saladino.

Ma erano davvero finiti i Templari? Che cosa li rendeva temibili ad un potere politico assoluto?
Probabilmente saranno illazioni, ma è certo che oggi la figura dei Templari esercita su molti un innegabile fascino e ne è stato fatto spesso il simbolo di movimenti e gruppi di dubbia attendibilità.
Ma i Templari sarebbero sopravvissuti - e sono tuttora tra noi - alla soppressione dell'ordine voluta dal Concilio di Vienna: non si sarebbero dispersi, ma avrebbero continuato le proprie attività esoteriche ed economiche nel più assoluto segreto.
È questa l’ipotesi, questa volta letteraria, contenuta in un testo sensazionalistico di Gérad De Sède "Les Templiers sont parmi nous" edito nel 1962 
(36).
Per gli scrittori Michael Baigent e Richard Leigh, i Templari scampati all’Inquisizione sarebbero confluiti in società iniziatiche come la Massoneria, andando a costituire il cosiddetto "Governo Occulto".
Gli ultimi rappresentanti di questo fantomatico ordine dei "Nuovi Templari" conterebbero nomi famosi, tra cui l’ex-frate Jorg Lanz Von Liebenfall, e perfno Adolf Hitler. Di questo passo si arriva fino all'"Ordine Cavalleresco dei Templari" fondata in Italia intorno al 1980.
Purtroppo una ricerca storica in questa direzione sarebbe troppo dispersiva e, quindi, inutile.

 
 
 

MISTERI PARALLELI: DA AVERSA A RENNES-LE-CHÂTEAU

Post n°387 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

C’è una piccola chiesa in Aversa, che risale ad un periodo compreso tra il XII ed il XIII sec. E c’è una piccolissima chiesa in un paesino dei sub-pirenei: Rennes-le-Château. Nell’una come nell’altra esiste un mistero legato ad un’antica iscrizione criptata.
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Ad Aversa, come a Rennes-le-Château c’è di mezzo un parroco che la "vox populi" afferma avrebbe trovato un tesoro.
Ad Aversa come a Rennes il mistero dell’iscrizione potrebbe essere collegato a qualcosa che ha a che vedere con gli onnipresenti Templari o con i Catari-Albigesi della Linguadoca (quelli della famosa crociata del 1209 indetta da Innocenzo III, per intenderci).
Sembra che ce ne sia abbastanza per tracciare un percorso di ricerca parallelo di carattere misterico-esoterico e storico-culturale.
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LA CHIESA DI S. MARIA A PIAZZA
Non sappiano con sicurezza se la Chiesa di Aversa, di chiarissimo stile romanico, sia intitolata a S. Maria o a S. Maria Maddalena. La denominazione con la quale oggi è conosciuta potrebbe essere il frutto di un’aferesi
(1). Sta’ di fatto che nella sua sacrestia sono stati ritrovati cinque segni riportati nel disegno più sotto.
Questi segni (o simboli) hanno immediatamente aperto il problema della loro decodifica cioè di una lettura correlata sia alla loro origine e significato intrinseco che al contesto nel quale si trovano collocati.
I segni cui mi riferisco adornano il soffitto di ciò che, un tempo, probabilmente era una parte del cielo dell’abside.
È un fatto che l’attuale "status loci" non corrisponda alla pianificazione originale, molto più antica. Un attento esame del luogo indica chiaramente un avvenuto cambio sia di destinazione che di disposizione dei locali che compongono la Chiesa a seguito di una prima ristrutturazione di epoca imprecisata, ma sicuramente in antico.
Si può rilevare con sufficiente approssimazione:

  • Che la chiesa originariamente aveva un diverso orientamento ed una diversa planimetria;
  • Che i lavori di ristrutturazione, tanto per cominciare, conferirono una diversa sistemazione topografica del complesso ecclesiale relegando la porzione di spazio nella quale insistono i segni alla più umile, sebbene non meno importante, funzione di sacrestia;
  • Che in antico la Chiesa era a tre navate con transetto pur restando a pianta rettangolare.
Negli anni ’45-’50, il manufatto venne sottoposto a nuovi lavori di restauro e sistemazione (tra l’altro venne abbassato il piano di calpestio al livello attuale, ed emerse l’odierna configurazione) allo scopo di recuperare l’antico manufatto.
Purtroppo il risultato non realizzò le aspettative di recupero. Ma fu proprio durante questi lavori che gli scavatori trovarono una cripta (oggi scomparsa) ed il Parroco "P."
(2) avrebbe trovato il tesoro di cui parla la tradizione popolare (ma del quale non esiste documentazione di sorta).
Queste brevi considerazioni di premessa sono indispensabili per chiarire quelle vicissitudini che hanno reso la configurazione complessiva a prima vista "strana" nel complesso navata-abside e dell’insieme rispetto alle entrate principali in esercizio.
Infatti
la Chiesa ha oggi due ingressi ma, stranamente, l’ingresso principale non si trova in fondo alla navata, di fronte all’altare maggiore, bensì in posizione laterale, ed ipotizza un camminamento parallelo ad un transetto… che non esiste più.
I simboli in questione, nella posizione originaria, insistevano perciò nell’abside per una chiara integrazione funzionale al culto.
In altri termini mi sembra lecito ritenere che di questa loro finalizzazione debba tenersi conto nel tentativo di stabilirne il significato.
Lo schizzo che segue è un rilievo a mano libera che non ha assolutamente la pretesa di costituire una pianta o un rilievo planimetrico. Esso serve unicamente a contribuire alla chiarezza del testo.
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LA CRIPTOGRAFIA: DESCRIZIONE DEI SEGNI
Quella che io definisco criptografia consta di cinque simboli in rilievo sul soffitto della attuale Sacrestia.
Un pessimo restauro (volutamente tale?) Ed una orribile tinteggiatura a calce, in assenza di adeguata illuminazione, non consentono un adeguato rilievo fotografico a livello amatoriale. Mi servirò, quindi di uno schizzo che consenta, almeno, l’individuazione dei segni.
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Schizzo dei cinque simboliimmagine
Si tratta sostanzialmente di tre varianti di un unico segno (la croce nei segni 1, 3, 4 e 5); uno di questi ha in effetti la variante di un cerchio puntato (segno 3); a questi si aggiunge il segno di una losanga (segno 2). Nello specifico:
  • Il segno 1 rappresenta evidentemente una croce;
  • Il segno 2 è una losanga;
  • Il segno 3 rappresenta una stella iscritta in una circonferenza;
  • Il segno 4 è ancora una stella costituita dalla sovrapposizione di due croci;
  • Il segno 5 probabilmente rappresenta una variante della croce "celtica" ovverosia una variante della svastica.
È evidente che la funzione dei segni è connessa al quella di culto.
Su questa prima approssimazione dobbiamo tener anche conto di altre circostanze che, nella versione originale, caratterizzavano l’esistenza ed il significato dei segni. Alludo alla "visibilità" ed alla "fruibilità" da parte dei fedeli.
Naturalmente non possiamo sapere se esistesse (come appare probabile) analogo rilievo nell’angolo diametralmente opposto delle vecchia
la Chiesa (in basso sulla destra).
In ogni caso la collocazione all’estremità di sinistra di un ipotetico transetto, rendeva i segni visibili dai fedeli per i quali dovevano necessariamente avere un significato preciso, analogo a quello che le comuni iscrizioni attualmente possiedono ed esercitano in termini di condizionamento all’ambiente e di suggestione dei fedeli.
Questa è la considerazione che mi induce a ritenere plausibile l’idea dell’esistenza di una seconda serie di simboli all’altro capo dell’ipotetico transetto; peraltro quei segni erano simboli, cioè vere e proprie icone alle quali era affidata la trasmissione di un messaggio esattamente come le iscrizioni.
Con l’unica differenza che l’icona colpiva la fantasia del fedele analfabeta (non si dimentichi che siamo nel basso medioevo).
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I SEGNI E L'IPOTESI STEGANOGRAFICA
Ci troviamo di fronte, in altre parole, ad una vera e propria forma scrittura segreta, ossia "steganografica", costituita da segni esoterici secondo i principi codificati nel trattato dell’abate Giovanni Tritemio, alchimista e mago dogmatico del medioevo XIV sec., Di cui ci parla Eliphas Levi nella sua "Histoire de la Magie".
Nel suo trattato, intitolato appunto "Steganographica", Tritemio ci spiega che i segni poligrafici sono sempre suscettibili di lettura a patto che riusciamo a decodificarli.
Proprio ai fini di una corretta decodifica, dobbiamo fare alcune necessarie premesse che riguardano la "scrittura simbolica" altrimenti definita "scrittura rebus" o "metalinguaggio".
Infatti il simbolo, a differenza dell’analogia, esprime mediante un segno, un concetto di natura non definibile con parole umane, vale a dire un concetto "trascendente".
Ne consegue che il segno deve necessariamente avere valore "universale": ciò che il segno significa per me, ha identico significato per tutti coloro che frequentano lo stesso ambiente ovvero operano in identiche condizioni.
Non è un caso che la società medievale costituisse il trionfo del simbolismo soprattutto nei campi della religione-teologia, dell’arte, della musica.
Tornando ai tempi attuali, pur essendo la vita costellata di simboli, a noi moderni appare difficile comprendere ed accettare una simile premessa, perché abbiamo quasi perso qualunque contatto con certi simboli e, in particolare, col simbolismo religioso. Basterà pensare alle forme più comuni tra i simboli che ci circondano più comuni per comprendere che ancor oggi comunichiamo con il mondo mediante metalinguaggi: mi riferisco al simbolismo del linguaggio scientifico, di quello matematico, astronomico e musicale.
Senza dimenticare che siamo quasi tutti computer dipendenti: conversiamo con un calcolatore in maniera simbolica e ci serviamo del calcolatore al quale trasmettiamo istruzioni parimenti in forma simbolica. Del resto Bertrand Russell ci ha detto che, forse in maniera inconscia, noi utilizziamo presupposti logici che rendono possibile l’impiego della matematica
Mi riferisco alle astrazioni universali del punto (.) E dello zero (0) definiti assiomi matematici i quali non necessitano di definizione perché formanti parte del patrimonio intellettuale di ciascuno di noi.
Si tratta di due segni di antichissima memoria; essi costituiscono un "insieme" (il punto coronato) ben noto agli egiziani che vi leggevano al tempo stesso, il nome della divinità solare (Râh), il segno alfabetico "R", ed il determinativo Râ o Rê che introduceva i nomi propri dei faraoni: questo insieme simbolizza infatti il sistema solare e ne riparlerò tra poco.
Presso i Greci, il valore del punto coronato venne assunto dalla croce che, con l’andare del tempo, divenne simbolo solare per antonomasia, strettamente collegato a Febo (Foibos = luce, sole per eccellenza) del quale talora ricordava la lotta col Serpente Pitone (puqwn = strisciante, melma, nato dalla terra).
Ritengo, che nel caso che ci riguarda, sia logico trovare al primo posto il segno della croce (il nostro segno 1) ben noto ai greci, arcaici e meno arcaici (al punto che la lettera "c" è l’iniziale della parola cristos e, al tempo stesso, geroglifico della croce.
I Greci della classicità avevano già riprodotto in vario modo la "c" (chi) nel
fregio della "Fonte Castalia" a Delfi.
La rappresentazione successiva è Illuminante per chiarire cosa intendo per simbolo. L’
immagine rappresenta l’unione del segno ormai noto (la croce), con l’aggiunta di un elemento che appena s’intravede, come una codina, al di sotto del braccio verticale (il serpente schiacciato alla croce).
La croce è, a tutti gli effetti, uno dei più antichi simboli mistici usati dall’uomo.
Quello che ci conduce fuori strada quando ne vediamo il geroglifico è la pretesa di considerare la croce un segno sacro puramente cristiano. Il che non ha alcun fondamento. Prova ne è il fatto che le vestigia della croce si trovano nei monumenti più antichi, sino alle inesplorate profondità delle epoche arcaiche.
Assurnasirpal e Saudiraman, le cui statue si conservano nel British Museum, portavano un monile speciale a forma di croce; e cruciformi sono gli orecchini delle tombe puniche nei Mophet di Cartagine, della Sardegna, e della Sicilia.
Il segno, conosciuto in tutto il mondo ed in varie epoche ha molte varianti (dalla croce ansata o Ankh, alla croce tolteca (passando per la croce latina a bracci disuguali, senza parlare delle croci araldiche) che non interessano in questa sede.
Invece mi interessano molto alcune varianti presenti nel nostro schizzo: quella della croce a sei braccia iscritta in un cerchio (segno 3) e la doppia croce sovrapposta (quasi un "asterisco" che troviamo nel segno 4). Pure interessante è la variante detta "croce celtica" meglio nota come "svastica"
(3) e della "Sauvastica" (si individua, ma non si capisce se sia una Svastica o una Sauvastica, nel segno 5).
Il segno 3 che ho definito "asterisco" è, in effetti, una evoluzione dei due segni elementari: il punto e la circonferenza che ho definito rispettivamente "inizio" e "sistema solare".
In qualche maniera nel segno 3 il punto è esploso tanto da presentarsi come una croce a 6 bracci.
Orbene: 6 è il doppio del numero perfetto per antonomasia (il segno 3) e, dal punto di vista del geroglifico, indica proprio il sole che esplode. Certo l’ideatore non si riferiva al "big bang" ma più semplicemente all’esplosione di una nova o di una supernova (che ad esempio i sumeri conoscevano bene per aver osservato all’esplosione di Vela X: mito di E. A. in Michanowski).
Il simbolo solare, in qualche modo, ha una forza raddoppiata.
Il segno 4 si presenta come due croci sovrapposte, tali da formare una croce a 8 bracci. Il simbolo traduce un geroglifico molto potente nel quale sono presenti i due primi numeri pitagorici: sia il 2 che il 3 (non a caso (8 = 23).
Questo segno riproduce la doppia divinità e corrisponde al nostro "figlio del Padre".
A questo punto, teoricamente siamo in grado di decodificare i segni 1, 3, 4 e 5.
Se, infatti ipotizziamo - come appare logico - che la croce rappresenti la divinità, ci troviamo di fronte a 4 segni che, in qualche modo sono organizzati in ordine di potenza cioè di importanza.
Quanto al valore di partenza del segno ricorderò che "Gli iddii solari furono sempre figurati sotto forma umana oppure con una svastica" (quello che ruota = moto solare = rigenerazione = vita).
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IL SEGNO DELLA CROCE ED IL SIMBOLO SOLARE
Il segno della croce, costituito da quattro bracci, disposti intorno ad un fulcro centrale ed indicanti un movimento di rotazione in senso orario, simbolo di vita e rigenerazione, è diffuso in tutte le civiltà del mondo.
Normalmente la croce ruota in senso orario ed i bracci rappresentano il continuo svilupparsi, trasformarsi e rigenerarsi della vita e della realtà.
Il senso rotatorio è quello del cosmo e rappresenta, quindi, il potere trascendente del Cielo. Si pensi alle croci proprie delle religioni orientali ed in generale, alle croci celtiche. Nella simbologia carolingia indicava che il potere dell'imperatore si evolveva in accordo con la legge di Dio.
Ma, come ho accennato, esiste anche una croce ruotante in senso antiorario. Il movimento antiorario o sinistrorso indica un principio di sovversione o che ha la pretesa di prevalere sulla legge divina.
Presso i Greci il principio della croce destrorsa venne personificato in Febo-Apollo ("la luce creatrice": Orfismo) ed in Hermes ("la luce che accompagna" l’uomo nel trapasso).
Ermes è, tra l’altro, personificazione della sapienza esoterica (melius: ermetica) per cui Hermes venne assunto come l’interprete, la "parola" e "il verbo" stesso (questo era il senso della collocazione dei busti di Ermes nei crocicchi delle strade maestre (= la via della sapienza) che, non a caso, erano cruciformi).
Per lo stesso motivo Mercurio, con Sole e Venere, costituiva una sorta di trimurti impersonata da una testa Triplice (si pensi al latino Giano tricefalo); oppure in forma cubica, senza braccia, perché la "facoltà di parlare può predominare senza l’aiuto delle braccia e dei piedi".
D’altra parte con i Pitagorici il cubo andò a rappresentare la Tetrachtis il numero quattro che, con i primi tre numeri forma la decina, origine di tutto il reale, l’assoluto panteistico.
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Tetrachtis

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Per i buddisti, i cinesi e i mongoli, la Croce e il Cerchio e la Svastica significavano "diecimila verità", ognuna delle quali rivela i molti misteri dell’universo, della cosmogonia primordiale e della teogonia.
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LA CROCE CELTICA O SVASTICA
La Svastica si trova scolpita o dipinta sulla roccia, nella Scandinavia precristiana e in tante isole e terre semisconosciute del nostro globo.
La svastica, o croce uncinata ("croix cammée", "Haken-kreuz") è assai più antica di quella del Nazionalsocialismo tedesco. I suoi inizi si confondono con gli albori della nostra e di altre civiltà terrestri.
Svastica o croce sinistrorsa Si perde nella notte dei tempi perfino l’origine della parola che, in sanscrito suona "su-As" e significa "bene essere", cioè "bene augurante" ovvero in sanscrito "svasti" (= salute). Ma già prima di allora fu motivo ornamentale che si ritrova non soltanto nel mondo indoeuropeo (Mesopotamia ed Elam) ma anche nelle terre collegate: Tibet, Cina e Giappone.
È notevole il fatto che la svastica si sia diffusa specialmente in certe aree, come quella egea nella Troade (proprio a Híssarlyk: le museruole di Troia), a Cipro e a Creta, e in quasi tutta la Grecia, mentre è rara all'interno del continente europeo, ed in Italia, ove si presenta su vasi ed urne di stile geometrico-villanoviano. In ogni caso il motivo della croce uncinata è anteriore alla prima età del ferro, sebbene solo in questa si sia veramente diffuso.
Fino al 1910, cioè fino alle pseudo-scientifiche ed arrischiatissime interpretazioni storiche di Guido List non fu segno di razza, di etnia, o comunità: List ne fece un segreto segno germanico e la proclamò emblema del più puro arianesimo e la svastica divenne insegna di gruppi e leghe antisemite.
Tuttavia l'esatto significato di questo segno, è tuttora incerto e controverso. La svastica, limitatamene all’india, dovrebbe corrispondere ad un simbolo solare. La disposizione dei segmenti da destra a sinistra pari ad un movimento rotatorio da Est ad Ovest, come appunto quello dei sole, parrebbe confermare questa ipotesi; ma è sempre una pura congettura.
La Cosmogonia è la dottrina religiosa, filosofica e scientifica che spiega l’origine e la formazione del mondo, mentre la Teogonia è la scienza che tratta della discendenza degli Dei. Perciò la Svastica, al pari della Croce Ansata nell’antico Egitto, era posta sul petto dei defunti.
In India la svastica è "Dharma-Chakra" (la Ruota della legge) che appartiene alla tradizione buddistica, segno di affrancazione dal vincolo della reincarnazione (Sam-Sara).
Gli esoterici ritengono che la svastica indiana ruoti in eterno sull'asse immutabile di Agarthi.

......segue
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MISTERI PARALLELI: DA AVERSA A RENNES-LE-CHÂTEAU

Post n°386 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

LA LOSANGA
Il secondo segno (losanga) che troviamo nella nostra sacrestia era conosciutissimo dai pitagorici. Esso rappresentava la "Tetrachtis" (
tetractis
) dove il numero quattro indicava tutto ciò che esisteva ne mondo materiale e, più precisamente sia quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) che le coordinate dello spazio (punti cardinali).
Il segno 5 è un simbolo solare: la stella circondata da un cerchio (l’universo, il sole). Da un punto di vista teologico è il simbolo della divinità, una variante del punto coronato di cui ho già detto.
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UNA POSSIBILE LETTURA D'INSIEME
Se la lettura del singolo segno appare - tutto sommato - chiaro, quello dell’insieme, appare dubbio almeno sotto il profilo storico se non ermeneutico.
A prima vista sembrerebbe corretta la seguente lettura:
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"Gesù (il 5° simbolo), figlio del Padre (4° simbolo) ha creato (3° simbolo) la terra (2° simbolo) e il cielo (1° simbolo)".
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oppure:
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"Il Padre ed il Figlio hanno creato la Terra ed il Cielo".
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Vediamo ora se una simile ipotesi possa reggere quando dal singolo segno passiamo, per così dire, alla loro "semantica". Infatti mi sembra evidente che ognuno dei simboli costituisca una evoluzione del precedente e che, nella sostanza, si riducano ad un singolo segno nella sue varianti grafiche.
C’è qualcosa che costituisce l’essenza del mistero e risiede in due elementi estranei al contesto storico-religioso locale: il segno 2 (pitagorico) ed il segno 5. Essi mi appaiono come un’eco di posizioni gnostiche o catare (il segno 3) o addirittura Templare o post-Templare (il segno 5).
Come affermava spesso Fulcanelli "di più non mi è concesso di dire" anche perché la mia è un’ipotesi di lettura, ma non è l’unica possibile e onestamente al momento non ne ho altre con un minino di validità.
C’è un elemento estraneo nella leggenda urbana che accompagnò l’esito dell’ultimo restauro.
Nella vicenda si inserisce il sospetto del Tesoro. Cosa trovarono gli sterratori? Cosa nascose il Parroco dell’epoca?
Ad Aversa nessuno lo sa o è in grado di attestare una qualunque diversa ipotesi: se esiste un segreto devo dire che è stato tenuto benissimo.
Ma è a questo punto che s’innesta la storia di Père Saunière e della Tour Magdala.
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RENNES-LE-CHÂTEAU COME AVERSA?
Ci spostiamo ora nella Francia del 1892 e precisamente nella minuscola Chiesa parrocchiale di Rennes-le-Château, piccolo centro del Dipartimento dell’aude a pochi chilometri da Carcassonne.
 Il parroco, l’abé François Berenger Saunière, era sul punto di dare il via ad un "affaire" per molti aspetti simile a quello di Aversa.
La vicenda che coinvolse l’abé è talmente nota che non merita mi dilunghi molto sulla stessa. La sintetizzerò in poche parole.
Saunière era afflitto da grossi problemi finanziari: la Chiesa a lui affidata era in pericolo di crollo ed egli non aveva il denaro necessario a curarne le ristrutturazione.
Però, improvvisamente, trovò tanti soldi che, non solo recuperò il cadente manufatto, ma acquistò anche terreni ed immobili e realizzò la costruzione della Tour Magdala dedicata a S. Maria Maddalena.
Cosa era accaduto?
Questa specie di miracolo finanziario è stato attribuito ad alcuni fattori concomitanti, uno più misterioso dell’altro:

  • Il ritrovamento di alcuni manoscritti che solo il Vescovo di Carcassonne riuscì a vedere;
  • Un soggiorno a Parigi;
  • Un quadro di Nicolas Poussin;
  • Una frase sibillina;
  • Una setta misteriosa e tanta cattiva fantasia.
Interessante appare la conclusione per la quale Saunière fosse riuscito a costruire un vero e proprio mistero, quello di Rennes-le-Château, con l’ausilio di alcuni giornalisti e scrittori faziosi, di una perpetua incontentabile ed un albergatore lungimirante; il tutto conditola un romanzo divenuto un "best seller"
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PRIMO MISTERO: I MANOSCRITTI
Durante il restauro dell’altare Saunière avrebbe trovato manoscritti risalenti al XIII secolo.
Il vescovo di Carcassonne, cui Saunière li aveva mostrati, non dimostrò grande entusiasmo (anche se, probabilmente, largì la somma di cui il Père necessitava).
Ne seguì il viaggio di tre settimane a Parigi, la ricerca di uno specialista qualificato ad esaminare i manoscritti ma anche le visite al Louvre e l’acquisto di riproduzioni di quadri, tra cui la copia di un dipinto di Nicholas Poussin ("Pastori d’Arcadia") nei mercatini della Rive Gauche. Perché?
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SECONDO MISTERO: I PASTORI D'ARCADIA
Il quadro di Poussin era stata realizzata intorno al 1640 e rappresentava un sarcofago sul quale campeggiava l’iscrizione "Et in Arcadia Ego". Ebbene l’originale - realmente esistente - si trova proprio a Rennes-le-Château dove Poussin non si sarebbe mai recato pur conoscendo benissimo il paesaggio riprodotto nel quadro.
Quale significato avevano il quadro e l’iscrizione?
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TERZO MISTERO: LA LAPIDE DI PIETRA
A Rennes-le-Château gli operai avevano trovato una lapide di pietra e solo Saunière ebbe modo di vedere cosa celasse.
Da quel momento il parroco effettuò una serie di esplorazioni nei luoghi circostanti mentre i lavori di restauro, sospesi per mancanza di fondi, ripresero con grande dovizia di denaro che consentì a Saunière la realizzazione di varie imprese (tra l’altro, la "Tour Magdala").
Saunière morì nel 1917 senza avere problemi finanziari.
Da dove veniva l’improvvisa ricchezza?
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TERRIBILIS EST LOCUS ISTE
"Terribilis est locus iste" cioè "Questo è un luogo terrificante", massima dal sapore dantesco, fu fatta incidere da Saunière sul portale della chiesa. Perché?
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UNA SETTA MISTERIOSA E TANTA CATTIVA FANTASIA
La setta cui alludo è il Priorato di Sion. Sarebbe stato fondato da Goffredo di Buglione nel 1099 e ne avrebbero fatto parte personaggi di assoluto rilievo di tutta l’Europa come Sandro Botticelli, Leonardo da Vinci, Robert Boyle, Isaac Newton, Victor Hugo e Jean Cocteau.
(4)
Di fatto ha origini meno nobili e comunque più recenti. Fantomatico gruppo, che in effetti fu creato dai nazisti per giustificare la campagna antisemita.
Per circa settant’anni l’enigma della ricchezza del parroco rimase a far parte dell’immaginario locale. Fino a quando l’esoterista Gerard De Sede, specialista nel ritrovamento di tesori nascosti, formulò la tesi secondo la quale Saunière aveva decodificato un complicato codice che coinvolgeva, sia i manoscritti (Primo mistero), che il quadro di Poussin (Secondo mistero).
Questo codice avrebbe consentito a Saunière di arrivare alla scoperta di un tesoro maledetto nascosto (Terzo mistero).
Tuttavia la spiegazione per quanto ingegnosa è scarsamente convincente.
Tanto per cominciare perché usare la frase "Terribilis locus est iste"?
E poi: dove e come avrebbe trovato il tesoro?
E ancora: a chi era appartenuto l tesoro?
Provò a fornire le risposte il giornalista Henry Lincoln giornalista della B.B.C. che attribuì a De Sede gran parte del mistero. Egli ipotizzò che Gerard De fosse un seguace dell’improbabile quanto misteriosa setta nota come "Priorato di Sion".
Questo significava unicamente spostare il problema in senso soggettivo e chiaramente non soddisfece nessuno fino a quando, nel 1982, Lincoln pubblicò la tesi ardita quanto improbabile di "The Holy Blood and the Holy Grail" seguito da "The Messianic legaci" e "The Holy Place". La tesi sposata da Dan Brown nel "Codice da Vinci" di chiara impostazione antiromana.
Con i detti testi entrano in scena i Templari ed il Graal, senza contatto con i fatti di Rennes-le-Château ed il mistero resta affidato unicamente alla apoditticità.
Difatti tutte le tesi del Lincoln dipendono da un fatto indimostrato: Saunière avrebbe trovato un altro documento (mantenuto segreto) da cui sarebbe scaturita la decriptazione con chiavi fornite dal quadro di Poussin.
Saunière in questi sconosciuti codici sarebbe riuscito ad individuare, intorno a Rennes-le-Château, numerosi luoghi sacri collegati da quelli che gli archeologi chiamano "leys" e formanti due perfetti pentacoli intrecciati e cioè una stella a dieci punte che avrebbe individuato un tempio alla Grande Madre del Neolitico ben noto ai Templari.
A questa tesi si possono sollevare due obiezioni:
  • Che i presupposti su cui si basa sono difficilmente sostenibile e comunque non dimostrabili;
  • Parimenti non dimostrabile è l’esistenza dell’ulteriore documento, al quale dovrebbe far capo la decriptazione del codice che avrebbe dovuto essere basata sul terzo documento rimasto sconosciuto.
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L’AFFAIRE SAUNIÈRE ED IL GRAAL
È a questo punto che la tesi sfocia nella pura e gratuita denigrazione di principi comuni sia alla Chiesa Cattolica romana che a quella anglicana.
Ritengo di potere affermare che la tesi risente dell’integralismo anglicano.
Per conferirsi una parvenza di logicità la tesi imbocca una delle strade più battute: quella del Graal che ha autorizzato qualcuno a parlare di un falso nel mistero dei Rennes-le-Château.
Teoricamente finora avremmo dimenticato completamente la Tour Magdala. Ma gli autori non scartano niente.
ll trait d’union è appunto il Graal: Lincoln ipotizza una linea di Sangue Reale (Cristo-Maddalena, … Merovingi: d’onde Sang Real, San Greal, Sang Réal, Sang Royal", Sangue Reale, Graal.
Sarà bene notare subito che i Vangeli sinottici non parlano di una discendenza del Cristo sicché gli anti-papisti di marca anglicana hanno dovuto inventare una discendenza di Cristo facendo della Maddalena la moglie di Gesù. Dalla coppia sarebbero nati dei figli e di qui la stirpe reale.
Dopo la Crocifissione, la Maddalena, insieme con almeno un figlio, sarebbe stata portata in Gallia, dove esistevano comunità ebraiche e quindi dove avrebbe trovato rifugio.
I discendenti di quel figlio, attraverso nozze dinastiche con romane e visigote, intorno al V sec. Avrebbero incontrato la stirpe dei franchi dando origine alla dinastia merovingia.
Come si arriva a Rennes-le-Château?
Secondo una leggenda tramandata oralmente, anziché in croce, sarebbe morto di vecchiaia in quel di Marsiglia. Però - guarda caso - il suo corpo mummificato si trova tuttora nei pressi di Rennes-le-Château e sarebbe stato ritrovato da Henry Lincoln, amico manco a dirlo di Bérenger Saunière.
Lincoln gli avrebbe consegnato una pergamena sconosciuta sulla quale sarebbe stato scritto il seguente messaggio:
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A DAGOBERT II ROI ET A SION EST CE TRESOR ET IL EST LA MORT
(A Re Dagoberto II e a Sion appartiene questo tesoro, ed egli è morto là)
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Poi sarebbe comparsa la pergamena della Chiesa, la visita a Parigi e l’interesse per il quadro di Nicholas Poussin con l’iscrizione
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"ET IN ARCADIA EGO"
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Proprio da quel momento il parroco cominciò a compiere le esplorazioni del circondario finché i lavori di restauro ripresero con grande dispendio di denaro insieme all’edificazione della Tour Magdala, fece decorare la chiesa di strane statue e incidere sull’architrave il famoso aforisma.
In conseguenza dell’acquisita ricchezza Bérenger Saunière fu accusato di simonia e, sospeso a divinis, venne reintegrato per intervento diretto del Vaticano. Alla sua morte per ictus cerebrale, i suoi beni furono ereditati dalla perpetua, tale Marie Denarnaud.
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L’AFFAIRE SAUNIÈRE ED IL TESORO
L’unico dato plausibile nei fatti riferiti è la possibilità che la "prova" del Cristo in Linguadoca fosse nascosta a Rennes.
Orbene la leggenda voleva che proprio a Rennes gli Albigesi (o Catari) avessero nascosto un "tesoro".
Il tesoro non fu mai trovato ma la notizia che Gesù sarebbe morto a Rennes e che gli Albigesi ne possedessero la prova rendeva gli albigesi pericolosi al punto da giustificare l’indizione della crociata.
Ma quale tesoro se gli Albigesi avevano fato voto di povertà?
Si sarebbe trattato di un tesoro dato a loro in custodia dai Templari in quanto emanazione del famigerato "Priorato di Sion".
I Catari - o chiunque per loro - avrebbero nascosto la genealogia dei discendenti di Cristo su pergamene codificate proprio nella chiesa di Rennes.
Ne deriva che sarebbe stato più opportuno chiamare "segreto" quello che venne definito "tesoro".
L’espressione "Egli è morto là" riportata dalla lapide potrebbe essere riferita proprio al presunto sepolcro nelle vicinanze di Rennes e riprodotto nel quadro di Nicholas Poussin.
La lettura steganografica della Scritta "ET IN ARCADIA EGO" consisterebbe nell’anagramma:
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I! TEGO ARCANA DEI
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(Vattene! [Io] Custodisco i segreti di Dio)
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Peraltro nella chiesa di Rennes è conservata una statua sulla cui base è incisa la scritta.
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L’AFFAIRE SAUNIÈRE: TEMPLARI E ROSA+CROCE
Non dimentichiamo, tra l’altro, che la vicenda del tesoro dipende - in gran parte - dalla vicenda di Marie Denarnaud, alle prese con un asse ereditario probabilmente di scarso interesse.
Fu Marie a diffondere la voce di un tesoro per rendere appetibili beni poco appetibili?
Fu Noel Corbu, acquirente probabilmente "truffato", allo scopo di lanciare un ristorante per un turismo da creare in una zona senza attrattive?
Non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai. Di certo c’è che fu proprio Corbu che confusamente rilanciò la storiella dei Templari. Ma c’è anche il fatto che gli esoteristi contribuirono notevolmente al "lancio" di Rennes-le-Château a causa del sapore misterico del collegamento Catari - Templari.
Tra questi esoteristi c’era non a caso Gérard de Sede, l’autore di "Le trésor maudit".
Oggi sappiamo che i pretesi "manoscritti" sono un falso; che non esiste discendenza di Dagoberto II; che non esistono Merovingi pretendenti al trono di Francia; che l’Ordine di Sion non è mai esistito (le tracce del Priorato si esauriscono in un atto di registrazione depositato nel 1956).
Vi è unicamente da aggiungere un ultimo tassello riguardante il diario del capomastro autore della costruzione della famosa Tour Magdala.
Egli avrebbe rivelato di aver ricevuto l’ordine, da Sauniere, di nascondere una cassa sotto questa torre. Nel 2001, il red scan ha evidenziato l’effettiva esistenza, di un parallelepipedo (apparentemente una cassa).
Ma dal 1965 il Sindaco di Rennes ha vietato gli scavi nella zona per impedire devastazioni e danneggiamenti da parte di scavatori improvvisati.
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CONCLUSIONI
Nell’affaire Rennes-Le-Château, forse come in quello di Aversa, sono frammitisti e confusi elementi oggettivi, supposizioni e fantasie delle più varie specie. Dati oggettivi che possano giustificare quelle o altre conclusioni non sono stati trovati.
Ad Aversa il testo criptico è dinanzi agli occhi di chi voglia vederlo; a Rennes-Le-Château invece non ci è traccia proprio dei testi criptici, di genealogie o testi semplicemente enigmatici.
Nessuno dei due sacerdoti ha peraltro lasciato nulla di scritto né è ipotizzabile rivelazioni di eredi o terze persone.
In entrambi i casi non possiamo far altro che scrivere la parola... mistero.
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Bibliografia essenziale:
Eliphas Levi, "Histoir de la Magie".
Giovanni Tritemio, "Steganographica".
Edoardo Tinto, "La croce, il cerchio e la decade pitagorica".
Gorge Michanowsky, "All'Alba della civiltà", Milano, 1980.
Gorge Michanowsky, Articolo comparso nel 1978 (numero di ottobre) di "Explorers Journal".
G. D'Amato, Aum. "L'Alfabeto sacro di Adamo", Milano, 1987.
P. Kolosimo, "Odissea stellare", Milano, 1977.
Guido List, "La Scrittura Figurata degli Antichi germani", Vienna, 1920.
Gerard De Sede, "Le Tresor Maudit" (Il tesoro maledetto).
Henry Lincoln, "The Lost Treasure of Jerusalem, The Priest, the Painter, and the Devil, The Shadow of the Templars."
Henry Lincoln, VV. "La svastica simbolo millenario" - Colloqui coi lettori, Storia Illustrata, 1963/1.
Henry Lincoln, VV. "Significato della Svastica in Storia Illustrata", Colloqui con i lettori, 1961.
Giorgio Baietti, "Rennes-le-Château: il segreto di Bérenger Saunière".
Giovanni Tritemio, "Steganographica".
Henry Lincoln, "The Lost Treasure of Jerusalem" (Il tesoro perduto di Gerusalemme), Londra.
Henry Lincoln, "The Priest, the Painter, and the Devil", Londra.
Henry Lincoln, "The Shadow of the Templars", Londra.
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Note:
1. Qualcuno (mia moglie) mi ha fatto rilevare che ad Aversa esiste un’altra chiesa dedicata a S. Maria Maddalena (la Cappella del vecchio manicomio civile). Mi sembra, però che l’obiezione non cambi i termini del problema: innanzi tutto perché la cappella in questione è stata edificata 3-4 secoli più tardi (era in stile rococò); in secondo luogo perché non era una cappella aperta al culto pubblico; e infine perché non mi sembra che in diritto canonico sia mai esistito un limite alla intitolazione di Chiese che, semmai, avrebbe riguardato proprio la seconda e non certo la più antica.
2. Eviterò i nomi propri per il dubbio che esistano ancora rappresentanti della famiglia; agli Aversani sarà sufficiente una iniziale.
3. Sinistrorsa, apotropaica, che riproduce il moto solare, contrapposta alla Sauvastica, destrorsa, maleaugurante con un moto solare all’incontrario.
4. Il Priorato avrebbe avuto lo scopo della "purificazione ed il rinnovamento" del mondo attraverso l’unione delle nazioni sotto una monarchia illuminata retta da un sovrano merovingio dello stesso lignaggio di Cristo.
Nel 496 d.C. la Chiesa aveva con i Merovingi un patto per sostenere in perpetuo quella dinastia ma dopo alcuni decenni la dinastia perse il trono quando regnava l’ultimo monarca merovingio: Dagoberto II pur senza determinare l’estinzione della stirpe.
In quella occasione tuttavia il Priorato di Sion dovette assumere il compito di preservare il "segreto" del Sangue di Cristo.
5. Come è noto Saunière diffuse varie iscrizioni intorno alla Chiesa di Rennes-le-Château. Tra l’altro su una statua è scritto: "CHRISTUS A. O. M. P. S. DEFENDIT". Esperti di steganografica ritengono che l’acronimo dovrebbe essere letto "Antiquus Ordo Mysticusque Prioratus Sionis" ("Cristo difende l’antico ordine mistico del Priorato di Sion"). Ciò equivale a sostenere che Saunière fosse membro segreto del Priorato di Sion.
Forse nessuno ricorda che il medesimo acronimo è utilizzato a Roma, sulla base dell’obelisco di papa Sisto V, ove compare l’iscrizione: "CHRISTUS A. O. M. P. S. DEFENDIT" che si legge "Ab Omni Malo Popolum Suum Defendit" (Cristo difende il suo popolo da ogni male).

 
 
 

Post n°385 pubblicato il 13 Maggio 2007 da io_deifobe

LE MISTERIOSE PIETRE DEGLI DEI  ..........2 pag.

Ciò che più di tutto colpisce sono le cosiddette "ceramiche di Acambàro".
Acambàro è una località del Messico Meridionale nella quale lo studioso autodidatta Waaldemar Julsrud, ed il suo cameriere (Odilon Tinajero) riuscirono a raccogliere 32.000 statuette che rappresentavano diversi manufatti come pipe, rettili, dinosauri ed anche persone dai lineamenti più diversi: polinesiani, europoidi, negroidi, ecc. Il tutto frammisto ad animali impossibili come il dromedario americano ad una gobba 
(15), i denti di un tipo particolare di cavallo, dei rinoceronti di una specie estinta, scimmie giganti del Pleistocene sudafricano.
Non sappiamo assolutamente nulla su chi produsse quelle statuette che ci limitiamo a definire "di Acambàro". In termini di datazione relativa possiamo dire che sono più antiche di quelle di Ica.
Un tentativo di datarli con radiocarbonio non ha dato risultati ottimali comunque la produzione dovrebbe risalire alla metà del III millennio a.C. Questo collocherebbe la cultura di Acambàro più o meno all’epoca della piramide di Cuilcuilco a Città del Messico.
È inutile dire che, nonostante i soliti ipercritici, le statuette di Acambàro costituiscono l’ennesimo enigma.
Né a più precise conclusioni riesce a portarci il rullo compressore attribuito al popolo di Vicus dell’Altopiano di Nazca. E si badi che al popolo di Vicus non è mai stato accreditata l’invenzione della ruota! Tuttavia il reperto stavolta, è stato autenticato da un autorevole museo di Arte Precolombiana negli Stai Uniti come prodotto intorno al 300 a.C.
Tuttavia, se concentriamo la nostra attenzione sui petroglifi di Ica, sulle ceramiche di Acambàro, e sul contesto della storia nota possiamo azzardare la formulazione di alcune ipotesi.
I dinosauri si sono estinti circa 65.000.000 di anni fa, vale a dire circa 60.000.000 di anni prima della comparsa dell’uomo. Sembra perfettamente logico pensare che le prime generazioni di uomini non fossero in grado di compiere un lavoro da paleontologi per ricostruire, magari da un osso, bestioni estinti almeno da 5.000.000 di anni. Allora delle due l’una: o gli uomini del passato ebbero modo effettivamente di vedere i dinosauri (ed allora è da posticiparne notevolmente l’estinzione, ovvero è da retrodatare la comparsa dell'uomo e riscriverne la storia) oppure le pietre di Ica e le ceramiche di Acambàro sono un falso colossale.
Rimane in ogni caso una domanda che non possiamo incasellare in questo ragionamento: perché mai gli studiosi continuano a sprecare il loro prezioso tempo dietro a queste pietre?
In ogni caso gli enigmi che ci pongono le pietre non si esauriscono con i dinosauri di Ica. Anzi, i misteri iniziano da ben più lontano.
In effetti, potremmo individuare una costante comportamentale che accompagna la nascita e la crescita dell’uomo fin dalle epoche più remote. L’uomo si è sempre circondato di pietre e ha con esse delimitato in proprio habitat e lo hanno caratterizzato, quanto meno, come luogo di culto.
Mi riferisco ai "Circoli Megalitici", alle costruzioni tipiche della cultura megalitica costituiti da cerchi di pietre (menhir) disposte lungo una circonferenza, di solito raggruppate intorno ad un dolmen come a Stonehenge.
Una delle teorie più diffuse ritiene che i circoli megalitici servissero per rilevazioni astronomiche molto accurate: Per loro tramite l’uomo preistorico sarebbe stato in grado di osservare il punto del sorgere e del tramonto del sole e della luna arrivando a pronosticare le eclissi ed i movimenti delle stelle.
Troviamo circoli megalitici in Europa (Gran Bretagna), Africa (Gambia) ed in U.S.A. (nel Wyoming). Ricordiamo, in particolare, ancora le Standing Stones di Stenness e il cosiddetto Ring of Brodgar, ascrivibili ad un periodo compreso tra il 3000-2500 a.C.. Non possiamo poi dimenticare le presunte fortificazioni dell'età del ferro dette "Broch of Gurness" nelle isole Orcadi.
Circoli megalitici sono stati trovati anche in Perù, nei pressi di Arequipa, sul Coronado grande a 5480 m. di quota: un luogo di sepoltura nel quale sono stati rinvenuti vasellami, oggetti di legno e d'oro 
(16), tessuti e frammenti di conchiglie. Si tratta di tracce di culture sconosciute scomparse presumibilmente a seguito di una catastrofica eruzione in genere associata alla scomparsa di Atlantide ed all'innalzamento delle Ande. Questi Circoli andini sono chiamati "pascanas" dagli abitanti del luogo e sono ritenuti luoghi di tappa e di riposo sul cammino degli dei.
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In ogni caso i petroglifi di Ica non esauriscono la casistica delle pietre "misteriose": esistono anche i petroglifi dell’Europa più noti con il nome di ciottoli Aziliani. Si tratta di pietre incise o dipinte all’età mesolitica (Maddaleniano) e ne è autore l'uomo di Crô Magnon (circa 30.000 anni fa). Ne fanno parte sia le pietre scoperte nelle caverne di Mas d'Azil che quelle di La Madaleine. Le opinioni non sono però concordi perché taluni ritengono che queste ultime in realtà provengano da Tarshish o Tartesso 
(17). Alcuni studiosi ritengono che i simboli incisi o dipinti costituiscano il primo esempio di alfabeto (18).
Ben più antiche sono altre pietre europee: le cosiddette pietre o tavolette di Glozel. Vengono riferite ad una cultura megalitica, per quanto anch’esse siano di tipo alfabetico. Furono disseppellite a Glozel nei pressi di Vichy (Francia) frammiste a reperti di provenienza magdaleniana. Sulla loro superficie si possono osservare incisioni simboliche e, allo stesso tempo, incisioni che sono interpretabili come simboli fonetici o alfabetici. Sono state ritenute dei falsi ma, se fossero autentiche si presenterebbe il solito problema: la necessità di rivalutare tutti i sistemi di datazione.
Non si può porre un limite alla casistica dei misteri impossibili. Abbiamo già detto di Tartesso o Tarshish, ma credo sia il caso di tornarci su.
Si tratta di una città semi-mitica della costa occidentale della Spagna, presso l’attuale Cadige. Ben nota ai greci per la grande abbondanza di argento e per essere la patria dell'"oricalco" è scomparsa dal novero delle località note per scomparire nelle nebbie del Mito come una novella Avalon. Si pensa che fosse edificata su un'isola della foce del Guadalquivir, dai fenici. Venne distrutta presumibilmente dai Cartaginesi nel V secolo a.C. (533), lasciando dietro di sé la leggenda, di una grande civiltà scomparsa 
(19).
Di Tartesso, comunque esistono anche due citazioni della Bibbia. Una prima volta il Libro dei Re, al cap. 10,22 dichiara: "Infatti il re aveva in mare la flotta di Tarshish insieme a quella di Hiram e ogni tre anni la flotta di Tarshish veniva portando oro, argento, avorio, scimmie e pavoni". Una seconda volta il capitolo 27,12 del Libro di Ezechiele dice: "Tarshish (Tarsis) era [nota]... per l'abbondanza di ogni ricchezza. Essi scambiavano le sue mercanzie con argento, stagno e piombo".
I pochi documenti che riguardano Elche (in primo luogo i Libri I e II delle "Storie" di Erodoto), parlano di una città d’arte ricca, dai gusti raffinati ma, purtroppo non ne consentono una precisa allocazione. Molti ritengono che il luogo sia stato sommerso dal mare o, come ho già detto, dal fiume Guadalquivìr. Tra le teorie più o meno immaginifiche sulla città di Tartesso ci sono quelle che la immaginano sepolta al di sotto di Siviglia, ovvero in località conosciuta Niebla e Ronda (lo confermerebbe il ritrovamento di antiche rovine), altri nei pressi delle costruzioni ciclopiche di Huelva.
Greci o Cartaginesi, o entrambi, non si posero il problema della sopravvivenza di una città che era nota fin dall’epoca della talassocrazia cretese; si limitarono a distruggerla per occuparne gli spazi economici, come era già avvenuto circa cinque secoli prima per Troia.
Probabilmente se ne occuparono quegli stessi fenici che avevano diffuso strane leggende sui pericoli della navigazione in Atlantico per nascondere la rotta dello Stagno verso la Bretagna.
L'anello detto di Tartesso, per quanto troppo breve per poter essere decifrato, rivela tuttavia alcuni dati storici di straordinaria importanza: innanzi tutto che, a fronte del coevo lineare "A", a Tartesso veniva utilizzata una scrittura lineare del tipo "B" ponendosi un gradino più avanti nella scala del progresso civilizzatore 
(20).
D’altro canto l’esistenza di una scrittura evoluta dovrebbe significare possibilità di una documentazione anche se, purtroppo, non siamo in grado di trovarla. Non possiamo neppure escludere che minoici ed etruschi la conoscessero. I caratteri impiegati sono simili a quelli etruschi e ce lo conferma anche Stradone, mentre nel 1920 l'archeologo tedesco Adolf Schulten affermò di averne trovato tracce nei pressi di Cadige, l’antica Gades.
Ebbene Gades è essa stessa una città del mistero che spesso si accomuna a Tartesso: entrambe sono state ritenute capitali o città principali di Atlantide ed il collegamento è di per sé sintomatico. Un re di Gades avrebbe avuto il nome di Gad[iro]. Il suo nome sarebbe derivato da Gadeiros, uno dei figli di Poseidon secondo quanto afferma Platone. Del resto la mitologia greca ricorda che Eracle soggiornò a Tartesso quando edificò le famose colonne che da lui presero il nome.
I Greci, in epoca storica, ebbero un vero e proprio culto per gli aeroliti. Ricorderò che venerarono col nome di "palta" le pietre che ritenevano cadute dal cielo o con il nome di "cerauni" 
(21).
Naturalmente non si può chiudere l’argomento "pietre" senza citare le tre sedi più famose almeno per il grosso pubblico la cui memoria corre, quasi automaticamente a Stonehenge in Gran Bretagna, all’allineamento megalitico di Carnac (Francia) ed ai Mohai dell’Isola di Pasqua.
Altri tre grandi misteri circondano i primi due siti megalitici - quindi provenienti dalla preistoria - mentre del terzo non si sa assolutamente niente tranne il fatto che i Mohai di Rapa Nui (è questa la denominazione con la quale i locali chiamano l’isola: ombelico del mondo) vennero prodotti da una civiltà che conosceva la scrittura.
Non è mai risultato possibile tentare la decifrazione dei Rongo Rongo.
Ma questa è un’altra storia di cui ci occuperemo un'altra volta.
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Note:
1. Tra il terzo ed il secondo millennio a.C.: la prima invasione di Indo ariani faceva la sua comparsa sul palcoscenico della storia.
2. I cosiddetti Catastrofisti.
3. Indovino figlio di Priamo. Quella pietra, opportunamente, scossa, avrebbe mormorato il futuro al suo interprete.
4. La pietra di Eisenheim è accompagnata da una iscrizione: "Gli studiosi definiscono questo oggetto un miracolo di Dio, poiché nessuno finora ha mai sentito parlare, né ha scritto, né ha udito di qualcosa di simile".
5. La cometa di Halley, che è probabilmente quella del Vangelo di Matteo, veniva registrata anche dai Cinesi nel 240 e nel 12 a.C.
6. All’interno di questa c’è un gigantesco sarcofago di pietra chiuso da una pesantissima lastra di pietra finemente incisa. Essa Contiene le spoglie di re Pacal. Difficilmente sfugge una strana circostanza: il disegno della pietra tombale, che risale ad oltre mille anni or sono, ha tutta l’aria di rappresentare un razzo in volo con tanto di piedoni di atterraggio e getti di propulsione. Per giunta il re Pacal è posizionato nella tomba come un moderno astronauta nella sua navicella intento ad osservare in un oculare. Appare logico chiedersi se il sovrano maya abbia mai viaggiato su un’astronave spaziale oppure se la pietra di Palenque ricordi, in qualche modo degli alieni in visita ai maya. È Possibile che la tomba abbia semplicemente un significato simbolico tutto terrestre?
7. Viviano Domenici, responsabile delle pagine scientifiche del Corriere della Sera, ebbe occasione di ribadire che: "Gli esseri raffigurati sulle pietre fanno cose strabilianti: trapiantano cuori, fegati e cervelli con coltellacci da cucina poco consoni al loro altissimo livello tecnologico, ma del tutto uguali a quelli che i contadini peruviani, i falsari, usano ogni giorno. La stessa incongruenza la si riscontra nelle cavezze che imbrigliano gli animali fantastici, che sono identiche a quelle dei moderni asinelli. Anche nella strumentazione astronomica gli extraterrestri di Ica rivelano poca fantasia e rimirano il cielo stellato con cannocchiali che sembrano usciti da un film di pirati. Quanto ai dinosauri e alla deriva dei continenti, queste immagini sono copiate di sana pianta dai libri di scuola...".
8. Il mistero nascosto nelle pietre incise dagli "dei" in effetti resta tutto da rivelare. Ad esempio, è stato rilevato che la simbologia caratterizzante le pietre di Ica, vere o false che siano, equivalgono al mistero che circonda i glifi maya della lastra tombale di Palenque, solo parzialmente decifrati. Gli uni, come gli altri, sembrano unicamente parlarci di un remotissimo passato e quale la Terra probabilmente fu meta di visitatori (provenienti da dove?) mentre risulta assai facile contestare questa tesi che eccessivamente fantastica. Il problema vero è che negare con equivale a dare una spiegazione. Per questo motivo gli enigmi vuoi di Ica che di Palenque non potranno mai essere spiegati.
9. La lastra era lunga 17 centimetri e spessa solo 1 millimetro.
10. Si pensi, ad esempio, al "Meccanismo di Antikythera" del Museo Archeologico di Atene.
11. Il blocco fu estratto da una profondità di 18-20 metri e la notizia fu pubblicata nel 1831 sull'"American Journal of Science".
12. È mancante della parte anteriore ma si possono notarne almeno 2/3 e anche una cucitura di filo che doveva unire suola e tomaia.
13. Che presenta tre chiare scanalature che corrono parallele attorno al suo equatore.
14. Venne ritrovata con una patina ferruginosa che negli anni si è accumulata sulla superficie della roccia, nei solchi del glifo e attorno allo stesso (ciò richiede un lasso di tempo molto lungo). La curiosità è che i dinosauri si estinsero, in quella zona, più di 12 milioni di anni fa; a che epoca risale, quindi, questa incisione? Un'altra incisione ritrovata in Arizona, rappresenta un gigante che viene attaccato o attacca un mammuth. Chi erano questi giganti?
15. Tipico dell'Era glaciale ed estinto da milioni di anni.
16. Vi furono trovati essenzialmente gioielli tra i quali la statuetta d'oro detta "La dea delle nevi".
17. Tartesso, la città scomparsa, costituisce un mistero a parte del quale parleremo un’altra volta.
18. Uno dei simboli più ricorrenti è quello di una croce iscritta in un cerchio, simbolo di forza vitale che come la svastica compare in molti luoghi della terra.
19. Singolare la tesi sostenuta da Paul Brochardt (in Berliner Tageblatt, marzo 1928) che la colloca nella Piccola Sirte, località nella quale sarebbe custodita anche Troia, entrambe colonie Atlantidee (ma le scoperte di Schliemann non erano state ancora effettuate). In effetti l'autore imputa l'errore di dislocazione ai Greci (per ignoranza geografica): ciò avrebbe determinato la successiva confusione verificatasi ai tempi di Solone (V secolo) e di Erodoto (VI secolo). La tesi è riportata in G. D'Amato (in "Platone e l'Atlantide" - Genova, 1989, pp. 126-131) che la situa al di là delle Colonne d'Ercole, conosciute, ancor prima dei due scrittori, anche come Colonne di Atlante o Colonne di Melkart. Tutte le altre indicazioni, comprese quelle bibliche, sembrano collocarla alle bocche del Mediterraneo.
20. Ricorderò che a Creta la scrittura lineare del tipo "B" corrispondeva al Greco arcaico (Miceneo).
21. Si pensi al Palladio dell'Iliade; all'ègida di Atena; alla Cibele di Pessinunte venerata sotto forma di un blocco informe di pietra; alla fenicia Ishtar; all'Afrodite urania greca. In particolare Hermes costruì una lira paragonabile alla tromba del dio di Tiahuanaco.

 
 
 

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