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Un blog creato da mappe_riflesse il 15/12/2014

Mappe riflesse

Istruzioni per uscire dallo specchio

 
 

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Altalena

Post n°9 pubblicato il 03 Maggio 2015 da mappe_riflesse

Dietro casa mia c'è un piccolo parchetto verde. Con fontanelle, panchine, giochi per bambini e altalene. Mi sono fermato lì per prendere un po' d'aria prima di tornare a casa, mentre aspettavo il cielo diventare man mano più scuro.

Sull'altalena c'era questa ragazza. Venticinque anni circa, forse qualcosina in meno. Coda di cavallo, maglioncino e jeans, scarpe sportive e giacca in finta pelle. Grande borsa appoggiata per terra, mentre il suo continuo andare su e giù faceva cigolare i perni dell'altalena.

Era una bella visione. Una ragazza sola, carina, fuori età massima per l'altalena, che nonostante questo trovava piacevole passare una mezz'ora in questo modo.

Mi sono seduto sulla panchina accanto all'altalena. Un po' la guardavo, un po' facevo i fatti miei con lo smartphone. Lei un po' ciondolava sull'altalena, un po' mi guardava.

Avrei voluto sedermi sull'altra altalena, quella accanto alla sua. Andare su e giù al suo fianco, in una traiettoria parallela alla sua. Anche senza dire niente. Farle solo sentire che le ero vicino. O magari dire qualcosa, non so, qualsiasi cosa. Salutarla.

Non l'ho fatto. Non ne valeva la pena. Sono rimasto seduto sulla panchina a guardarla. Dopo una mezz'oretta si è riposata. Ha tirato fuori il cellulare, scritto qualcosa a qualcuno, raccolto la sua borsa e se n'è andata. Solo un ultimo sguardo voltandosi dopo qualche passo.

Dopo qualche minuto sono tornato a casa anch'io, e ho scritto questo post.

 
 
 

Neve

Post n°8 pubblicato il 28 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

Mi trovo dai miei genitori, in Veneto. Ieri c'è stata una bella nevicata, saranno scesi 10 cm di neve. Ora si è già sciolta tutta.

Oggi mi sento come se niente potesse durare più di quella neve.

 
 
 

Questione di metodo

Post n°7 pubblicato il 27 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

È un periodo, non so bene perché, in cui mi danno fastidio più cose del solito.

C'è questo mio amico che ha lasciato la ragazza e sembra un disco rotto con tutti i suoi discorsi su quanto lei sia una pazza psicopatica: zero coraggio per dire «soffro per averla persa, soffro per quello che mi ha fatto, sto nel dolore, affronto il dolore». No, molto meglio fare terra bruciata su tutto e dire che lei è pazza, così non devi guardare in faccia la tua sofferenza.

C'è quest'altro mio amico che gira intorno sempre alle solite paranoie che lo bloccano dalla mattina alla sera, si lamenta sempre delle stesse cose e non fa mai niente per risolverle, per cambiare qualcosa. Se ne sta lì, immobile, a dire che bisogna accettare la situazione. Così non deve ammettere che invece dovrebbe impegnarsi per cambiarla. 

C'è questa ragazza che odia tutti, gode nel sapere che gli altri sbagliano e soffrono, non esita un istante per distruggere chiunque le provochi il minimo disappunto. Vive nel conflitto e tratta gli altri come fossero tutti portatori di malattie infettive.

C'è quest'altra ragazza, che non chiamo neanche amica, che ha sempre una brutta parola per me e sempre un giudizio negativo pronto in canna per ogni cosa che dico, faccio o penso. Non mi interessa piacere a tutti, tantomeno a lei, mi basta che se ti sto sulle palle non cogli ogni occasione per dirmelo: vai per la tua strada che io vado per la mia.

E via così, potrei andare avanti ma mi fermo.

È vero, sono una persona permalosa e questo non aiuta di certo. È un mio difetto. Credo mi salvi il fatto che, contrariamente alla maggior parte delle persone suscettibili, non sono superbo. La mia opinione non è migliore di quella di chiunque altro. Non ho pretese di superiorità sulla mia verità: ho pretese di superiorità sul metodo con cui tento di ottenere la mia verità. Vedo attorno a me gente che si fabbrica le proprie idee con metodi – lasciatemelo dire – del cazzo, e questo chissà perché mi dà fastidio. Poi magari hanno tutti ragione eh, e io sbaglio su tutta la linea. Non ne faccio una questione di merito. Ne faccio una questione di metodo. 

In questo periodo sento particolarmente che non è importante la conclusione a cui arrivi, ma il metodo con cui la ottieni. 

 
 
 

Poter scegliere

Post n°6 pubblicato il 24 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

Così, mentre cercavo tutt'altro, mi è capitata sotto gli occhi questa frase:

se, […] dopo aver studiato il congiuntivo, e sapendolo usare, voi deciderete di «farne a meno», di sostituirlo con altri modi, questa sarà una scelta vostra. Ciò che importa, in lingua, non è scegliere il modo più elegante, più raffinato, ma poter scegliere, adeguando le scelte alle situazioni comunicative.

Viene da un tomone di una linguista che si chiama Maria Luisa Altieri Biagi, ma questo non è importante ora. Non mi interessa neanche il discorso sui congiuntivi. Mi hanno colpito quelle due parole: «poter scegliere».

Ciò che importa non è fare la scelta giusta, ma poter fare una scelta, giusta o sbagliata che sia. Questo è il concetto che mi ha colpito.

Perché mi ha colpito? Non lo so. Ma per uno come me, che tende ad avere l'ossessione di dover fare la scelta giusta, suona come un grande sollievo sapere che la scelta giusta non è poi così importante, in sé. Perché la scelta giusta non è per forza quella “giusta”: magari la scelta giusta è quella più adatta alla situazione che stai affrontando, con buona pace del tuo altissimo concetto di “giusto”.

Ho pensato immediatamente al mio post precedente: io ti capisco, tu non mi capisci; io posso fare una scelta, tu no. Il senso è questo, più o meno.

Non so, non ho una conclusione per questo post. Mi andava di lasciare qui questo pensiero abbozzato. Ho l'impressione che lavorerà dentro di me per un po'. Ho l'impressione che avevo bisogno di incontrare un pensiero come questo in questo periodo della mia vita.

 
 
 

Si fotta

Post n°5 pubblicato il 22 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

Ieri sera mi è capitato di litigare con una persona (una ragazza, fortunatamente non la mia ragazza, anche perché non ce l'ho). Oddio, «litigare» è una parola grossa: diciamo che abbiamo discusso. Il motivo è futile e non è importante, mi interessava piuttosto fare una riflessione molto piccola sulla dinamica che ho visto.

Il fatto è che io non litigo praticamente mai con nessuno, e quindi ogni volta che succede sono sempre un po' turbato e dispiaciuto.

Tu hai di fronte questa persona ed evidentemente la pensate in maniera diversa su un argomento che sta a cuore a entrambi. Ma «diversa» non vuol dire necessariamente «incompatibile»: capire dove e in cosa sta questa differenza secondo me è lo scopo di ogni litigio piccolo o grande che si rispetti. Inizialmente trovi la sua idea insensata, o sbagliata, o stupida, o offensiva, o qualunque altro aggettivo volete. Ne discutete, i toni si accendono e tu (contrariamente a quanto potrebbero fare altri) ascolti il pensiero dell'altro. Ribadisci il tuo, ma ascolti anche il suo.

E man mano scopri che il suo pensiero ha un suo senso. Cioè, capisci il senso che quella persona dà a quel pensiero e che, dato che quella persona è fatta come è fatta, ha i suoi più o meno validi motivi per pensarla così. Tu ovviamente non sei d'accordo – altimenti non stareste litigando –, ma il suo ragionamento ha pure il suo motivo d'essere e tu l'hai afferrato.

Inzi allora a sentirti un po' in colpa perché prima ti sei schierato senza avere prima compreso davvero. Fai un passo indietro, diventi più diplomatico. Smetti di attaccare e cominci a negoziare dicendo: «Ok, ho capito quello che dici e perché lo dici; quello che ti sto dicendo io è che la tua idea cozza con la mia per questo e quest'altro motivo su cui si può discutere; ora ti spiego meglio la mia, così capisci anche tu qual è il punto che mi preme».

Cominci a vedere la luce in fondo al tunnel, ma scopri che di là invece non c'è nessun impegno a fare lo stesso sforzo di comprensione che hai appena fatto tu. Anzi: mentre tu hai spostato il tuo piano dialettico da «quello che dici è sbagliato» a «quello che dico io è questo, parliamone», il tuo cessate-il-fuoco viene preso dall'altra parte come un'offerta del fianco. E sparare a un uomo che ha posato la pistola – mi hanno insegnato i film americani – è piuttosto scorretto.

Tu ti sei perfino sentito un po' in colpa. Hai anche ritrattato parte delle tue idee, predisponendole a incastrarsi con un altro modo di vedere la questione. L'hai fatto per uscire dal litigio rinforzati, naturalmente. Ma a volte lo scopo dell'altro non è uscire dal litigio rinforzati: è uscirne vincitori.

Sapete che vi dico? Che quel piccolo sentirsi in colpa è una cosa bella. È una cosa bella perché implica aver capito l'idea dell'altro, averla fatta propria pur mantenendo il proprio diritto ad avere un'opinione differente. A me fa male quando un'altra persona non mi capisce, penso sia la cosa al mondo che mi fa più male; ma quando dai all'altro gli elementi e la possibilità per capirti e lui/lei non lo fa, tu sei a un ben altro livello. Spiace dirlo, ma è così.

Così esci dalla discussione con un senso di amaro in bocca e un niente di fatto. Ci stai un po' male, rimugini un po' sul perché stai male. Ti dici: «Sto male perché non mi sono sentito capito». E allora ti rispondi: «Checcazzo, io a lei l'ho capita, se lei non capisce me è un problema suo, non mio. Io il mio l'ho fatto. Si fotta e vaffanculo». Così ti versi un bicchierino di limoncello che ti hanno portato da Napoli, te lo gusti in santa pace e vai a letto sereno.

Il potere del «si fotta», ragazzi, talvolta è davvero taumaturgico. 

 
 
 

Ultima

Post n°4 pubblicato il 20 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

Conosco gente che, se ci fosse un campionato mondiale di rigiramento della frittata, ti racconterebbe di essere arrivata ultima.

 
 
 

Toglierti

Post n°3 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

È così strana la natura umana: meno hai, più tendi a condividere quel poco con gli altri.

Quando non puoi dare a chi ti sta attorno, il tuo valore si misura da quanto riesci a toglierti per loro.

 
 
 

Lottare

Post n°2 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

Lottare, come quasi ogni altra cosa nella vita, è una questione morale: se lotti magari perdi, ma dai dignità alle cose in cui credi.

Se vale la pena avere qualcosa, vale la pena di lottare per essa.

 
 
 

Con pił dignitą

Post n°1 pubblicato il 16 Dicembre 2014 da mappe_riflesse

Tanto valeva aspettare l'anno nuovo per mettersi a scrivere. Un numero diverso, a cui abiturasi un po' alla volta: io che ho sempre preferito, chissà perché, gli anni dispari. Il calendario sgombro, il senso delle possibilità.

Tanto valeva cominciare puliti, come quando a scuola avevi il quaderno nuovo e ti piaceva riempire la prima pagina con una calligrafia precisa e ordinata. Solo la prima.

Tanto valeva aspettare questi pochi giorni, adeguarsi alla chiusura aziendale, tornare a trovare i genitori, rivedere qualche amico, alzare un bicchiere a mezzanotte e lasciare alcune righe al mio ritorno a Milano. Per farmi gli auguri, per parlare di speranza.

... no, non ne valeva la pena. La speranza è una gabbia arredata, la speranza è il rifugio di chi ha paura. Di mettersi in gioco, di sporcarsi le mani, di provarci davvero. Di fallire, forse; o più probabilmente di riuscire, di non avere poi più scuse per tirarsi indietro.

Fail better, diceva quel tale.

Quest'anno non mi ha voluto bene, e io di certo non gliene ho voluto. Non mi dico che l'anno prossimo sarà migliore, non parlerò di fortuna, di sfortuna. Proverò soltanto a fallire meglio. A fallire con più dignità.

Perché la dignità, quando in tavola c'è poco e in tasca ancora meno, è l'unica cosa di valore che ancora ti resta.

 
 
 
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