Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
 

Messaggi di Settembre 2009

Cose che mi sono successe in provenza. Sette

Post n°570 pubblicato il 30 Settembre 2009 da middlemarch_g
 

 

cafè la nuit

A certi posti capita un destino strano. Finiscono per legarsi a doppio filo al ricordo di uomini e donne non necessariamente indigeni, ma quasi sempre destinati a scontare in quel luogo qualche forma di infelicità tremenda, corredata o meno da abissale miseria e/o ricovero psichiatrico e demenza precoce. Se sono dei pirla qualunque, la storia li risucchia ed ogni eco emotiva si spegne lì. Se invece si chiamano tipo Vincent Van Gogh e il posto in questione è poco più di un paesone senza pretese, allora è inevitabile assistere alla metamorfosi del luogo in una variante particolarmente fetente di ghetto-santuario, in cui dovunque posi lo sguardo ti imbatti in sacre reliquie del povero infelice che oggi strappa quotazioni sopra i 50 milioni di euro per una tela 70 x 50. Da vivo, vendette una tela. Una. In tutta la carriera. Credo in cambio di un  piatto di lenticchie o analoga valuta.

E insomma avete capito. Parlo di Arles. Che peraltro è di molto bellina. Solo un po’ indisponente, a causa appunto della necessità di inocularti a livello sottocutaneo il bacillo dello spirito del pittore. Vedere le gigantografie di Van Gogh che ti scruta a ogni angolo della città, oppure farsi la foto con il pupazzo di Topolino a Gardaland, sono eventi che appartengono a universi concettuali molto diversi? A me non pare. Per dire: nella piazza del mercato c’è ancora il Cafè della tela che vi ho messo in cima. La Lonely Planet dice che è un trappolone turistico - e questo si poteva pronosticare anche senza compulsare le centurie di Nostradamus - ma la cosa che mi ha veramente indispettito è che gli hanno lasciato lo stesso gazebo a mammelloni gialli che si vede nel quadro. Identico. Immagino per prevenire il rischio che il visitatore in preda a un orgasmo di agnizione estetica debba restare spiazzato da un eventuale cambiamento imprevisto. Dio non voglia.

Perché sento che c’è una differenza tra il rispetto per il passato - che è un dovere civile - e la mummificazione della memoria di un talento? E perché mi pare che non sia la stessa cosa ‘preservare’ rispettando lo spirito del tempo, e ‘predigerire’ secondo il minimo comun denominatore di ciò che è facilmente accessibile a tutti, consentendo a chiunque di portarsi a casa una particella di genio e scontandola con la perdita totale del disegno di insieme?

Dice: perché capire costa fatica. Ci vuole studio, tempo, pazienza, e attitudine religiosa e certosina. Bisogna essere disposti a credere nella Bellezza, e rispettarla. Bisogna essere disposti a credere, soprattutto. Credere e basta. Che è un atto integrale della coscienza. Notoriamente un bello sforzo per gli addominali metafisici.

Insomma ero nervosa, mi aggiravo meditabonda per la città in preda a queste riflessioni, tentando di scansare le deiezioni di merchandising, e chiedendomi cosa c’avesse trovato, Vincent, in quella particolare cittadina, per decidere di venirci a vivere di stenti. Bella è bella, ma non più di altre. E oltretutto oggi, a dispetto di tutto, ormai non conserva più nessuna traccia di lui.

All’ora del tramonto mi sono seduta su una panchina nella piazza del Municipio guardando la facciata di Saint Trophime, che nel suo genere è un monumento piuttosto pregevole. E a un certo punto, osservando l’angolo del palazzo vescovile che si stagliava contro il cielo, mentre il sole calava deciso, un raggio ha tagliato all’improvviso la facciata dell’edificio, diffondendo un cono di luce gialla di tale inconcepibile intensità, così sfrontato, così esplicito, mi verrebbe da dire così chimico per rendere parzialmente l‘idea della sua potenza, da sembrare l’esplosione centrifuga di un intero campo di girasoli prima frullati e poi schizzati per qualche fenomeno metafisico sulla facciata! E’ durato pochissimo, meno di 10 minuti, e poi è arrivata la sera. Ed era questa luce qui. Questa esatta, sputata, identica luce. Me la ricordavo benissimo, e l'ho riconosciuta subito.

Mi ha lasciato talmente secca che m’è rimasta la bocca spalancata per un bel po’ come una bambola gonfiabile. Poi ho deciso che era il caso di convertirmi in una donna sorridente. Intimamente sorridente. Perché al mondo ci sono indubbiamente molte cose che non vanno per il verso giusto. Ma Van Gogh abita ancora ad Arles, che Dio lo benedica. Ed io posso continuare a credere nella Bellezza.

 
 
 

Delenda carthago

Post n°569 pubblicato il 29 Settembre 2009 da middlemarch_g

Premesso che per me De Sica è un caratterista gigantesco e che perfino nelle peggiori stronzate - e ne ha fatte - la sua faccia lo assolve sempre dalla mediocrità del contesto, mi domando: quanti ciak saranno stati necessari per far pronunciare a Belen la parola: perifrastica?

Cento? Mille? Millemila? E per provare a spiegarle di cosa si tratta? Mah. Vai a sapere. Misteri gaudiosi del backstage.

Però una cosa per cui sento di essere grata alla Tim in effetti c'è: ci ha tolto dalle palle Fiammetta, ché raramente avevo trovato qualcuno di così urticante a livello epidermico. Con questi chiari di luna, non mi pare poco.

 
 
 

Amore e guerra

Post n°568 pubblicato il 28 Settembre 2009 da middlemarch_g
 

C’è che a me, quando  mi innamoro, l’idea di ricorrere alle strategie mi ha sempre fatto spappolare dalle risate. Il concetto per cui per sedurre un individuo di sesso opposto - o eventualmente anche del tuo se è quel che preferisci - sia necessario lanciare una campagna militare delineando scenari a tavolino, coi soldatini e i carrarmati sulla Kamchacta interpretando la versione pipparola di Von Clausewitz corretto Peynet, mi è sempre sembrata un filino patetica, per lo meno al di fuori dello steccato cronologico della terza media.

Mi disturbano quei labirinti del pensiero, quelle girandole di proiezioni futuribili in cui ti perdi subito dopo la prima svolta a sinistra, quelle ricostruzioni in cui è un attimo finire strangolato dalla volute della consecutio temporum, quel tripudio di iperboli concettuali del perché se io faccio, allora lui magari pensa, e dunque io potrei alludere, ma a quel punto lui potrebbe fraintendere, e quindi eventualmente in un secondo tempo potrei coinvolgere, ma senza far capire, dissimulando l’interesse, suscitando la gelosia, mostrandomi autonoma e indipendente ma senza nascondere le mie riserve di tenerezza, aggressiva ma senza ferocia, remissiva ma priva di gnagnera, decisa e al contempo sodale, compagna ma non mollacchiona, terapeuta eppure dotata di coglioni, e via pianificando, in un delirio immaginifico in cui Topolinia sostituisce la vita, e l’amore finisce per confondersi con una sequenza drammaturgica di eventi che non hanno alcun fondamento reale.

Lo trovo un atteggiamento perdente in partenza, ma soprattutto mi fa incazzare perché nega quella che secondo me dovrebbe essere la natura più profonda dell’amore. L’amore è il campo esperienziale dove abbiamo - o dovremmo avere - la più alta opportunità di essere noi stessi, esattamente quella che la vita normale, il lavoro e i rapporti sociali spesso ci negano costringendoci a coincidere con la nostra maschera. L’amore è il posto dove non devo fingere per piacerti, e se è per questo non devo nemmeno fare niente di speciale. L’amore è dove vado bene come sono, senza correttivi di plastica dello spirito per correggere le imperfezioni. E’ il posto dove ti piaccio a monte, a prescindere, dove sono il primo premio e non uno dei 5000 concorrenti che compete per averti. E’ il punto dove il mio valore si dà per scontato, e da dove cominciamo a ragionare.

Altrimenti si può fare lo stesso, per carità. Di fatto un sacco di gente non la pensa così. Solo che secondo me a quel punto non è più esattamente amore. E’ più una cosa come un esercizio di stile emotivo. E alla lunga lascia il tempo che trova.

 
 
 

Che senso ha un rischio calcolato?

Post n°567 pubblicato il 24 Settembre 2009 da middlemarch_g
 

edna millay

Questa è Edna, e non posso dire di conoscerla bene. L’unica cosa che so di lei è una poesia che amo, perché parla di mele e gioielli, e se uno mi conosce non ci mette tanto a capire che do più valore alle mele, specie quelle che riesco a portare nella gonna, di quello che  attribuisco ad oggetti convenzionalmente più preziosi.

La cosa davvero strana è che oggi, andando in cerca delle parole dell’unica poesia di Edna che conosco perché avevo bisogno che qualcuno mi aiutasse a chiamare le cose con il loro nome – proprio qui dove le sento – ho trovato due piccole notizie che si intrecciano talmente bene sul mare delle coincidenze che potresti scambiarle per un ricamo.

La prima è la storia di Edna, a cui basta sostituire davvero pochissime note biografiche perché sembri la mia. E la seconda è la citazione di una candela che brucia da due lati, perché è così che abbiamo cominciato. E quando abbiamo cominciato credevo davvero che fosse solo una battuta di Blade Runner. Non lo è, invece. E’ una citazione. La citazione di un’altra e diversa poesia di Edna.

Non so che altro dire, se non che davvero la vita mi sorprende. Il mondo è strano. L’amore è strano. E le coincidenze che parlano a nostra insaputa intrecciando relazioni impercettibili sopra la testa degli uomini e delle donne di buon volontà, sono le cose più strane di tutte.

Io non ti do il mio amore come fanno

le altre ragazze, in uno scrigno freddo

d'argento e perle, nè ricco di gemme

rosse e turchesi, chiuso, senza chiave;

nè in un nodo, e nemmeno in un anello

lavorato alla moda, con la scritta

'semper fidelis', dove si nasconde

un'insidia che ottenebra il cervello.

L'amore a mano aperta, questo solo,

senza diademi, chiaro, inoffensivo:

come se ti portassi in un cappello

primule smosse, o mele nella gonna,

e ti chiamassi al modo dei bambini:

"Guarda che cos'ho qui! - Tutto per te".

 
 
 

Sotto la soglia di consapevolezza

Post n°566 pubblicato il 22 Settembre 2009 da middlemarch_g

Too young to hold on
And too old to just break free and run

E' la prima volta che mi capita di citare una canzone che non ho mai nemmeno sentito. Ma qualcosa nell'aria, qualcosa di ondivago e inafferabile, mi dice che oggi ne abbiamo tutti bisogno.

Lo faccio per diverse ragioni, e quella a cui tengo di più è questa: voglio continuare a pensare a me stessa come una creatura capace di abbandonarsi a un presagio fregandosene della paura di sembrare stupida.

Perché la terza via c'è. Ed è l'unico dio che intendo servire.

 
 
 

Great expectations

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

Samuel Beckett

 

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