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THE RANGE

Post n°81 pubblicato il 03 Gennaio 2014 da splendore07

 

Dedicated to an "anxious" friend



Era il periodo di Natale, ed avevo un disperato bisogno di un lavoro.

Dei pochi soldi raggranellati con lavoretti di fortuna, rimediati qua e là, non restava che qualche sgualcito biglietto di piccolo taglio: stavo grattando il fondo del barile.

Quasi tutti i soldi, erano andati via in alcol, e presto, molto presto, non sarei nemmeno stato in grado di pagare quei pochi dollari per l’affitto di quella topaia dove abitavo.

Le 9 di una mattina buia e piovosa, una pioggia battente, rimbalzava con assordante frastuono sulla tettoia di lamiera.

Sembrava, Dio, avesse deciso di cancellare dalla faccia della terra, annegandolo, il proprio fallimento dell’esperimento uomo, rovesciando dal cielo, enormi secchiate d’acqua.

A questo pensavo, mentre tiravo lunghe boccate da una sigaretta ormai ridotta a moccolo tra le dita dalla pelle ispessita e gialla, lo sguardo perso dentro quelle sinuose spirali di fumo.

Mi alzai di malavoglia, afferrai dal tavolo la bottiglia di vino aperta, e, ne ingollai una generosa sorsata, ignorando l’urlo di uno stomaco vuoto dal giorno prima, quando avevo consumato l’unico pasto: un orrendo hamburger grondante grasso, disgustose patate fritte che ricordavano il cartone.

Ad annaffiare il tutto, una nauseante brodaglia nera ottenuta dal riciclo di vari fondi di caffè, in una puzzolente e fumosa caffetteria negli slums vicini al porto.

Cristo! pensai, non posso essere ridotto così!

Piove a dirotto, ho buchi nelle suole delle scarpe, un impermeabile vecchio e strappato in piu’ punti. Uscire, significa avere l’acqua fin dentro le mutande.

All’improvviso, mi venne in mente che John, il perennemente sfatto da un vino di infima qualità, che abitava un isolato piu’ avanti, mi disse avrei potuto rimediare un lavoretto per il periodo di natale a  “The Range”, piccola catena di bricolage: cercavano personale di rinforzo per  quel periodo.

Ero davanti alla scrivania di una donna piccola e secca come un manico di scopa. Viso e camicia, si confondevano, perdendosi, nello stesso colore. Sebravano quasi uno la continuazione dell’altra.

Sollevò la testa, e mi guardò con malcelato disprezzo al di sopra degli occhiali. “Desidera ?”  “Sono Henry Woodward. Mi hanno detto che cercate personale di rinforzo per Natale”.

Mi allungò svogliatamente moduli da riempire.  Glieli resi.

Con freddo distacco, mi disse “Le faremo sapere”.

Lavoro!

Orripilante tuta di un indefinibile colore, tessuto sintetico che faceva  scintille solo a guardarlo, sulla destra in alto, campeggiava enorme il logo della catena.

Avevo un solo pensiero: con i primi soldi guadagnati avrei rifornito di ogni genere di alcolici la dispensa a secco.

Passavo gran parte della notte a bere come una spugna, e alla mattina alle 7 ero in piedi, riuscivo a malapena a trascinarmi fino al lavoro.

Poi, un pomeriggio la vidi.

Una texana, lunghi capelli castano dorato, un bel tocco di carne soda e fresca. Davvero un gran pezzo di fica. Volevo a tutti costi conoscerla, scoparmela.

Labbra rosse e carnose, due tette diritte, con i capezzoli duri, i fianchi rotondi, mi facevano uscire di senno. 

Mi sorpresi a pensare a quelle labbra che si aprivano per fare entrare il mio uccello.

Ci ritrovammo nella mia topaia, scovai una pinta di scotch e ce la scolammo. Io, ne tracannai una dose da tramortire un cavallo.

Ero strafatto al punto da non reggermi sulle gambe, ma scopammo come due amimali in calore.

Mi svegliò un terribile attacco di tosse, mi alzai a fatica in preda a violenti conati di vomito, riuscii a trascinarmi in bagno.

Mi ritrovai inginocchiato davanti alla tazza.

Aprii il rubinetto, attesi che l’acqua fosse gelata, misi il tappo, riempii il lavabo, e ci tuffai dentro la testa.

L’impatto mi mozzò il fiato, ma rimasi lì con gli occhi chiusi a stordirmi di freddo fino a non sentirla piu’.

Se solo potessi buttar via questo schifo di faccia e sostituirla con un’altra, pensai.

Tornai di là, mi infilai lentamente i vestiti, lei mi guardava silenziosa.

“Mi fai sentire meno di zero", le dissi “ la feccia dell’umanità, non è possibile sia una simile nullità! qualcosa di accettabile deve esserci nascosto da qualche parte dentro di me!”

Persi Elisabeth e il lavoro.

Ma, a nessuno fregava un cazzo.

Ero cosciente, sarei durato, finchè sarebbero durati i soldi.

Al diavolo! pensai, ne troverò un’altra da scopare, il mondo è pieno di donne pronte ad aprire le gambe, e troverò anche un altro lavoro, sicuramente migliore di quello schifo a “The Range”. Tenetevi pure i vostri miserabili e pidocchiosi dollari, Henry,  non ne ha bisogno. 

Uscii, e andai a ubriacarmi nella prima bettola che incrociai.

Qualcuno mi riaccompagnò a casa.

Entrai, accesi la radio, scolai il whisky rimasto sul fondo di una bottiglia sul pavimento.

Ridevo, dicevo a me stesso che non ero mai stato così bene, e l’unica cosa che volessi era stare da solo, nessun legame.

Mi ustionai le dita con una cicca di sigaretta, scovata in un angolo del divano e riaccesa.

Mi trascinai fino al letto, inciampai, caddi lungo disteso sul materasso.

Mi addormentai di schianto.

Un nero, pesante sonno, senza sogni.

 (Splendore)

 

Personale e senza pretese, omaggio, al grande Henry Chinaski. 

Ho cercato di ricreare  in  parte,  quelle  torbide atmosfere “bukowskiane”  di disperata dolcezza, volgare durezza di una vita ai margini, ma fortemente voluta

 
 
 

LETTER TO MYSELF

Post n°80 pubblicato il 20 Dicembre 2013 da splendore07

La tua vita è influenzata dal sole e quindi, non sarai mai sola.

Finchè ci sarà luce brillerai. 

Accetta la sfida di imparare a conoscerti attraverso gli altri, perché solo se troverai chi ti illumina, sarai connessa con il tuo io piu’ profondo. Assomiglierai alla forza creativa dell’universo, consistente nell’inconsistenza, romantico, incredibile, lucente.

Stai  ben legata al tuo destino: non cercare di essere ciò che non sei e la tua luce splenderà nel buio.

E allora, sarai persino in grado di guidare chi sta cercando la propria strada.

Saprai essere regalo, senza nulla chiedere in ritorno.

Non aver paura del cambiamento, sfida il passato: piu’ vivi, piu’ impari, piu’ diventi saggia.

Cerca di imparare la lezione: c’è del buono anche negli addii.

Devi tagliare le propaggini  secche, affinchè  nuovi getti, “buchino” il tuo tronco, acquisiscano forza nutrendosi di linfa che, scaturisce da nuovi respiri e,  non restino soffocati.

Quindi, appena puoi, lascia andare, fai spazio al nuovo, sarà come dire all’universo: ho fiducia in me stessa.

Ricorda, è quando imparerai ad accettarti per intero, non soltanto i tuoi successi, ma soprattutto i tuoi fallimenti, le tue inadeguatezze, le tue vigliaccherie, i  tuoi desideri, solo allora, riuscirai a trascendere le tue paure, perché vanno abbracciate se vuoi dominarle, non permettendo loro, di sottometterti.

Non dimenticare di giocare, il gioco giustifica il nostro stare al mondo.

La vita stessa è gioco, un funambolo che si destreggia in un eterno, fragile, precario equilibrio fra la corsa con la ragione e, la danza con l’istinto.

E allora, ama, ama!. Tutto il resto è nulla

 (Splendore)

 
 
 

WHERE ARE YOU?

Post n°79 pubblicato il 11 Novembre 2013 da splendore07

Oggi sono un pendolo, oscillo.

I venti tesi, fastidiosi del dubbio, sono tornati a spirare con forza, e allora, dimentico come si fa a stare in equilibrio con me stessa.

Ancora mi capita di cercare conferme  al mondo delle mie qualità, delle mie capacità, quasi fossi un povero che chiede l’elemosina.

Nostalgia profonda che sconfina nel languore, si fa fisicità, preme per uscire.

Ho nostalgia di gente del mio stampo, diceva  Pound.

Così, l’hanno “barbaramente” tradotto, ma in inglese, è  molto piu’ bello, quasi musicale: “I’m homesick after mine own kind”.

Sono stanca di caleidoscopi che, rimandano sempre la stessa immagine, cambia la forma, ma la sostanza rimane inalterata, di “macho”  che di grande hanno solo i muscoli, e circonferenze infinitesimali di cervello.

Chissà dove sei, come stai, in  quale parte della sconfinata galassia “fisico-animico-spirituale” ti nascondi.

Ho voglia di parlare con te, ma non ti trovo.

“Fratello”, dove sei?

E ancora indugio su rive d’autunno dolcemente assolate, del mio fiume, della mia lanca, a lanciare rotondi ciottoli, per poi perdersi, in quei piccoli cerchi che lenti si allargano, cercando leggere propaggini d’estate.

E allora, mi sorprendo a desiderare una impalpabile e deliziosa levità al pari di eterea naiade di quell’acqua che, scorrendo canta.

E vorrei essere candida, diafana creatura che scivola tra canne di bambu’, sfiorandole: leggero e sensuale danzare  piu’ che camminare.

E ancora, vorrei diventare prolungamento della tua anima, per avvolgerti di gesti lenti e delicati come gli amori della quercia all’ombra del bosco, quando, le prime ombre del crepuscolo,  dolcemente si allungano e si spengono giocando tra le sue fronde, e, nutrirmi di quella magia che il fiato toglie.

“Fratello”, dove sei?

 (Splendore)

 
 
 

OGNI UOMO BIANCO E' UN UOMO SCOLORITO

Post n°78 pubblicato il 20 Ottobre 2013 da splendore07

È mia opinione che il colore bianco della pelle non sia naturale all'uomo, il quale, per natura, ha invece la pelle nera o scura, come i nostri antenati. Di conseguenza, dal grembo della natura non è mai nato originariamente un uomo bianco, e quindi non esiste una razza bianca, benché se ne parli tanto: ogni uomo bianco è solamente un uomo scolorito"

(da "L'Arte di insultare"- Arthur Schopenhauer)

 

Concetto di straordinaria intuizione se si pensa che venne “formulato” dal grande filosofo durante la prima metà dell’ottocento, quindi, molto tempo prima che gli antropologi scoprissero che la “culla” dell’uomo è l’Africa.

Molto tempo prima che l’attuale xenofobia, raggiungesse le vergognose becere “vette” che altro non sono, se non la summa di insultante imbecillità che sembra non avere fine, che non puo’ fare altro se non suscitare indignazione, vergogna e un’assoluta condanna per i continui “attacchi” attraverso i media, le scritte murali, “lordure” razziste, naziste.

 

Putroppo, la “paranoia” etnica ,sta conoscendo una nuova stagione.

La paura del “negro”,quando la crisi economica”morde”, è una inesauribile risorsa alla quale attingere

 (Splendore)

 
 
 

GRAFFITI - QUANDO LA SCUOLA INIZIAVA IL 1° OTTOBRE

Post n°77 pubblicato il 30 Settembre 2013 da splendore07

 Post nostalgico dedicato ai“pluriventicinquenni” e dintorni.

 

 

Allora, c’erano le cartelle, borse marroni con quella strana chiusura, quella sorta di due“tasti” metallici a forma di U ormai estinta, perché risalente a una qualche lontanissima era geologica, della quale, le nuove generazioni, non ne hanno nemmeno lontana memoria.   Producevano un rumore metallico, uno scatto, quando venivano inseriti nell’apposita scanalatura, simile ad uno scivolo.   Mi richiamava alla memoria lo scattare delle trappole per topi, che il nonno, in campagna, d’estate, piazzava strategicamente, lungo il percorso dei suddetti.   Era un suono triste, quando venivano appoggiate sui banchi la mattina all’arrivo in classe alle 8,30 e, aperte per tirare fuori libri e quaderni, ma il suono diventava di una incontenibile allegria, sorta di festoso scoppiettare, al suono magico della campanella che sanciva la fine delle lezioni.   Le cartelle pesavano poco, ed era possibile anche per i piu’ piccoli, portarle agevolmente.   I bimbi “ricchi”, ne sfoggiavano una sofisticata versione con bretelle per essere portata sulle spalle, e il colore non era di un triste marrone, ma di brillanti tinte, spesso piu’ di una combinata nella stessa cartella.   L’inizio delle lezioni era fissato per il 1 ottobre: S. Remigio, i piccoli della prima elementare, venivano chiamati teneramente “remigini”.   Alle elementari, i libri erano due.   Il libro di lettura, finestra sul mondo, illustrato con patetiche figure, sempre sorridenti, per altrettante patetiche “storie”, dove il trionfo dei buoni sentimenti, soprattutto quelli legati alla mamma e al papà, era addirittura imbarazzante.   Il sussidiario, micidiale concentrato di orrori che spaziava dalla grammatica, all’aritmetica, passando per la religione che poteva “vantare” l’imprimatur della Curia.   Si andava in classe rigorosamente in “uniforme”: grembiule bianco per le femmine e nero per i maschi.   Grembiule, accessoriato di colletto, sotto il quale faceva bella mostra di sé un enorme fiocco blu.   Il gioco “piu’ gettonato” era quello di slacciarselo a vicenda.   L’appuntamento fisso dal cartolaio- sconosciuti i “centri commerciali” dove fare razzia, di cancelleria ,disposta su lunghissime file di scaffali- era per l’acquisto dello stretto necessario che costituiva il “magro corredo” dell’alunno.   D’obbligo, l’acquisto di quella scatola di leggero cartoncino di un indefinibile colore, sorta di pallido giallino, recante sul fronte una finestrella dalla quale si intravvedevano le   matite colorate.   In basso, la storia di Angelo di Bondone, meglio noto come Giotto, raffigurato accucciato mentre disegna su un masso una pecorella, sotto gli occhi attenti e l’espressione severa di Cimabue, posto alle sue spalle.   Pochissimi quaderni dalle anonime copertine, accessorio d’obbligo, le sovraccoperte in plastica, per preservare dalla devastazione quaderni e libri.   Sui banchi, incredibile ma vero, c’erano ancora i fori per i calamai, retaggio di altre epoche e di altri alunni.   Quando qualcuno entrava in classe, era d’obbligo l’alzarsi tutti in piedi, soprattutto la mattina, quando la maestra faceva il suo ingresso nell’aula.   Qualche maestra particolarmente severa, usava la bacchetta per colpire i piu’ refrattari alla disciplina.   Qualcun’altra arrivava“all’ardire “ dello schiaffo, ma l’aspetto incredibile era che se lo dicevi a casa, rischiavi di “buscarne” altri.

 

  (Splendore)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

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