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CARPE DIEM (prima parte)

Post n°108 pubblicato il 12 Aprile 2010 da fittavolo

Ero ritornato a Milano. La vacanza era durata solo quattro giorni. Un lasso di tempo sufficiente a sconvolgere di nuovo la mia vita. Dopo l'ultima delusione non volevo saperne più d'innamorarmi. Ma come si fa a restare insensibili di fronte a un paio d'occhietti dolci? Ho sempre odiato il mare, o meglio ho sempre odiato la sabbia: s'insinua dappertutto, s'appiccica addosso e insieme alla salsedine mi dà la sensazione di essere lurido. Quella volta, non ricordo come, riuscirono a convincermi, o semplicemente, anch'io avevo voglia di uno svago diverso, senza che riuscissi ad ammetterlo a me stesso. La spiaggia di Marina di Lesina non è mai stata un granché, ed era il posto di mare più vicino al paese dove alloggiavamo, Lucera. Distava circa trenta chilometri, fatti tutti sotto la calura d'agosto. Un panino a pranzo e una birra da bere a piccole sorsate in tutta tranquillità sotto un ombrellone che a malapena mi copriva. Ero in compagnia dei miei fratelli e fu proprio l'intraprendenza di uno di loro a permettermi di conoscere delle ragazze. Una di loro aveva due occhietti piccoli e quando rideva diventavano due fessure. Il suo viso era ovale e si adattava benissimo alla lunga chioma che le copriva la testa. Trascorremmo un po' di tempo in loro compagnia. Era un gruppo formato da amiche e sorelle e vivevano a San Severo. Da San Severo ci passavamo per andare al mare e conoscevamo solo qualche via, ma non la zona dove da alcuni anni loro abitavano. Non fu difficile riuscire ad ottenere un appuntamento, grazie alla faccia tosta di mio fratello. Io non mi aspettavo niente di particolare, era solo un modo come un altro per trascorrere la serata in compagnia. L'appuntamento era in villa, davanti al cancello d'ingresso. Alla villa comunale di San Severo non c'ero mai stato e la immaginavo come quella di Lucera, con un via vai di persone che boccheggiavano al fresco della sera. Quando arrivammo, parcheggiammo l'automobile nel piazzale dei cappuccini, la chiudemmo sperando di ritrovarla intatta al nostro ritorno. Capimmo subito che la villa comunale di San Severo non aveva nulla a che vedere con quella di Lucera. Era tutta recintata con un enorme cancello all'ingresso. All'interno, c'erano tre grandi viali coperti da grossi alberi, ai lati spaziate con regolarità erano poste delle panchine, tutte occupate.  C'era molta gente lungo i viali, in questo era simile a Lucera. Davanti alla villa piazzale Padre Pio era chiuso al traffico e anche Corso Garibaldi, in modo da permettere il fluire delle persone senza alcun intralcio e pericolo. Corso Garibaldi era il normale prolungamento della villa comunale. Sul grande viale continuava lo struscio della gente fino all'incrocio con Via T. Solis. Un'andata e ritorno senza fine, così consumavano le suole delle scarpe i cittadini di San Severo e anche quelli di Lucera. Io e mio fratello, eravamo fermi davanti all'ingresso della villa comunale, guardavamo il fiume di persone attraversarne l'uscio e speravano di non aver preso una fregatura.
Arrivarono con un po' di ritardo, ben vestite e ben truccate. Del gruppo conosciuto di mattino, ne mancava qualcuna, ma per me non aveva nessuna importanza. La ragazza dagli occhi piccoli aveva un trucco alquanto evidente. Aveva dipinto le palpebre con un disegno che finiva a punta verso l'estremità esterna degli occhi. Le labbra erano di un rosso acceso. Aveva tirato su i capelli, mettendo in risalto il viso lungo e bene in mostra le piccole orecchie. Indossava in vestito leggero di colore azzurro che faceva intravedere dai due brevi tagli laterali una sottana ricamata di raso bianco. Chiedemmo dove andare e la loro risposta mi stupì.
"Andiamo a fare un giro per le strade del paese, la villa è troppo frequentata" disse una e le altre annuirono. Compresi dopo il motivo, quando avvicinandoci al viale della stazione la ragazza dagli occhi piccoli disse "su questo viale ci viene sempre mio padre con i suoi amici. Frequenta quel bar - lo indicò - è meglio non farsi vedere in vostra compagnia. Lui è uno all'antica". Suo padre faceva il cuoco in un noto hotel del paese, era al lavoro a quell'ora, però qualcuno dei suoi amici poteva vederle e riferirglielo. Fu una serata svoltasi lungo le viuzze di un paese che fino a qualche ora prima era solo uno dei tanti del tavoliere, con delle ragazze conosciute durante la mattinata, ma fu anche la prima volta che passeggiai in dolce compagnia nel mio sud. E mi fece uno strano effetto. La ragazza dagli occhi piccoli mi aveva colpito. Nonostante non avessi nessuna intenzione d'innamorarmi sentivo di stare per cascarci di nuovo. E gli altri non mi diedero in alcun modo una mano, anzi avevano fatto gruppo con mio fratello, distaccandosi di qualche metro, lasciandomi solo con lei. Non ricordo quali furono gli argomenti con cui ci facemmo compagnia, ma ricordo molto bene l'attenzione con cui seguiva il movimento delle mie labbra e i brividi che ebbi quando le nostre mani distrattamente si sfioravano. Avevo bisogno di una donna, non c'era alcun dubbio, o forse, avevo solo bisogno di sesso. Mi venne in mente cosa dissero le mie cugine, incontrate per puro caso, mentre aspettavamo davanti alla villa comunale,  "quelle di San Severo sono facili, basta comprarle un sacchetto di patatine che te la danno". Mi sembrò una stronzata galattica, una di quelle costruite ad arte dalla ignoranza della gente e a volte dall'invidia. Non comprai le patatine alla ragazza con gli occhi piccoli e riuscii lo stesso ad ottenere un appuntamento per il giorno dopo, al mare se suo cognato le avesse portate, oppure la sera davanti alla villa comunale.
Ci avviammo verso Lucera che erano le 21.00 passate, dopo aver accompagnato a qualche metro da casa alcune delle ragazze. Durante il tragitto non dissi niente. Ogni tanto mio fratello rompeva il silenzio per dire qualche sua cretinata. Ricordo un cielo stellato e una luna luminosa. Avrei voluto fermarmi e restare a guardarlo tutta la notte quei puntini luminosi, piccoli come gli occhi della ragazza con cui avevo trascorso la serata.

 
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