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« UNA SERA D'OTTOBREOGNI TANTO »

NULLA E' PER CASO. Prima parte

Post n°131 pubblicato il 25 Maggio 2016 da fittavolo

Ci si abitua a tutto. È solo questione di tempo. Il tempo è una grande medicina. Eppure a quella domanda non seppe rispondere. La evitò con un'altra "ma come non lo sai ancora?". Mentre il mondo sembrava anni luce lontano da loro, persi nella campagna pugliese.

Era sempre stato il suo sogno svegliarsi e partire senza alcuna meta, senza avere l'orologio a dettare le regole, a marcare il passo. Da tempo pensava di farlo, abbandonare tutto e tutti, per un po', e darsi alla macchia. Non lasciare alcun recapito, salutare con un semplice arrivederci e se avete bisogno, non cercatemi. Un sogno, una cosa impossibile da realizzare, troppi erano gli impegni che aveva. I legami da alimentare quasi quotidianamente. Mentre guardava il soffitto steso nel suo letto, pensava a quanto sarebbe stato bello alzarsi e andare. La luce penetrava nella stanza attraverso le fessure delle persiane, testimoniava che il nuovo giorno era già nato. I suoi doveri bussavano alla porta dei suoi pensieri e lo chiamavano alle sue responsabilità. Ancora un po', ancora un po' e poi vado. Si ripeteva indugiando nel letto. Nel silenzio un motivetto partito dal suo cellulare ruppe l'idillio. Girò la testa e lo guardò. Lampeggiava mentre suonava, come se fosse un'ambulanza in corsa perun'emergenza. Sullo schermo una scritta: riunione alle 9.00. Era un promemoria. Aveva poco tempo per prepararsi e correre in ufficio.
Un sogno è tale finché non si realizza. Finché non si trova il coraggio.
L'autostrada era sgombra. Solo qualche auto, solo qualche TIR. Sul sedile posteriore lo zaino, preparato in fretta e furia per la paura di cambiare idea. Poche cose aveva preso, il minimo indispensabile. Il resto l'avrebbe acquistato per strada. On the road, questo era il motto. Aveva abbassato il finestrino, voleva respirare l'aria che tagliava con l'auto. Dopo tanto tempo si sentiva di nuovo libero, come quando appena ventenne partiva con i suoi amici per le vacanze. Ecco riaffiorare quella sensazione di allora, quel sapore che dava alla vita un senso diverso. La giusta definizione alle cose. Si sentiva svuotare la mente. Gli impegni, il lavoro, l'esistenza cristallizzata degli ultimi anni venivano spazzati via dal vento della corsa. Il loro posto veniva occupato dal nulla che aveva davanti. Erano spazi da riempire e non c'era fretta, l'orologio al suo polso aveva smesso finalmente di ticchettare. Il pieno gli dava autonomia per parecchi chilometri e questo era in armonia con la voglia che aveva di non fermarsi.
Quando la spia si accese aveva da poco lasciato Ancona. L'area di servizio Conero era vicina, doveva fermarsi per forza. Poco male, ne avrebbe approfittato per mangiare qualcosa e per decidere la meta. Nell'autogrill poca gente, qualche camionista e una famigliola. Un panino una coca e il pranzo era servito.
"posso sedermi qui" chiese una ragazza sbucata dal nulla.
Di posto libero ce n'era, la richiesta aveva un secondo fine, pensò, ma non si oppose, e come avrebbe potuto, la ragazza si era già seduta.
"Ho visto che sei solo... non hai voglia di compagnia per il viaggio... a proposito dove vai?" chiese naturalmente la ragazza.
"Al sud, vado verso il sud" rispose senza pensarci. Non voleva compagnia, soprattutto quel tipo di compagnia.
"Io sono diretta in Puglia. La sua campagna è fantastica ora in primavera, tutta verde, a differenza d'estate quando si colora di giallo, per via delle scarse piogge."
Capì che si era sbagliato. Quella ragazza stava solo cercando un passaggio. Puglia, pensò, e perché no. Sarebbe stato un buon luogo per cominciare. Un suo collega c'era stato tempo fa, in una masseria spersa nel tavoliere e trasformata in agriturismo.
Le decisioni che cambiano le cose si prendono in pochi istanti, senza pensarci, perché se interviene il cervello scatta la paura di prenderle.

Continuava a cambiare stazione radio, una canzone non faceva in tempo a finire che già una nuova frequenza era impostata. Sembrava che stesse cercando qualcosa in quella scatola parlante. Da quando erano partiti avevano scambiato solo poche parole e forse quello era un modo per impegnare il tempo. Alla fine si stufò. Sedeva tutta rannicchiata sul sedile, senza cintura di sicurezza e per non farla suonare l'aveva allacciata da dietro. Indossava un pantaloncino, le gambe ben in evidenza tradivano l'aspetto giovanile che aveva. Lui lasciava fare. Non voleva in alcun modo ostacolare questa sua spontaneità. Anzi, per certi aspetti la invidiava. Decise di mettere fine a quell'atmosfera d'indifferenza.
"Mi chiamo Bepi e tu?" chiese
"È vero non mi sono neppure presentata - sghignazzava - Diana, mi chiamo Diana"
"Cosa fai di bello nella vita"
"Niente"
"Come niente, non hai un lavoro?"
"Certo che ho un lavoro, ma mi riferivo a bello. Bello è un aggettivo che non mi si addice"
"Mi riferivo al lavoro"
"A...bene"
Non gli rispose, guardava al di là del parabrezza.
"Scusa non volevo... mi è uscito spontaneo..."
La spontaneità è la tua forza, di che ti scusi? Pensò mentre cercava un altro appiglio.

"E che a volte le cose le dico senza pensarci, e poi mi pento, pensando che magari chi chiede lo fa solo..." disse senza concludere.
"Perché ti poni tante domande, rispondi e basta" disse Bepi.
Diana sorrise.
La strada non finiva mai, i chilometri lasciati dietro le spalle erano tanti e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Quando giunsero al casello di Poggio Imperiale erano quasi le 17.00. Lasciata l'autostrada cominciava la vera avventura.
"Dove ti lascio?" Chiese Bepi
"Tu dove vai?" Chiese Diana
Bepi non rispose subito, cosa poteva dirle, che non aveva una meta precisa e che la sua strada era tutta da decidere. Vide un cartello.
"Vado verso San Paolo di Civitate"
"Anch'io, allora si sta ancora insieme"
Quel si sta ancora insieme gli suonò male, ma non gli dispiaceva. Superato il primo imbarazzo avevano parlato un po', argomenti vari, però nessuna parola sulla sua destinazione e questo gli procurava un certo disagio.
San Paolo di Civitate è uno dei primi paesini che s'incontrano esplorando il tavoliere. Esso si trova al nord verso il confine molisano dove l'andamento regolare della  pianura lascia il posto ad un alternarsi di alti e bassi, come le dune del deserto. Il paese sorge su una di queste alture, tanto bassa da non poter essere definita collina, ma abbastanza alta da dare visibilità al piano del vasto tavoliere.
Il proprietario del bar in piazza era un tipo socievole, li ha scambiati per una coppia in vacanza. Parlava del paese delle tante potenzialità che aveva per il turismo, ma che non venivano sfruttate adeguatamente dal comune. Ha indicato due posti rinomati da visitare assolutamente, e una fattoria ristrutturata e convertita in un albergo ristorante, dove poter passare la notte e non solo. Si capiva che il suo parlare era interessato, infatti il proprietario era il cognato. Le indicazioni del barista furono precise, riportate in modo indelebile sulla carta. La masseria albergo non era vicino e la strada per arrivarci non era una statale. Bisognava sbrigarsi per riuscire a raggiungerla con un minimo di luce. Diana non voleva mollarlo e faceva di tutto per ritardare la partenza. La visita ai luoghi menzionati era stata una valida scusa e ora erano lì davanti all'auto, scambiavano le ultime parole, mentre il sole cominciava a scomparire dietro l'Appennino Dauno.
"Diana, mi sono trovato bene con te, grazie. Spero di rincontrarti presto. Arrivederci"
"Bepi, anch'io...senti...posso venire con te?"
Carpe diem e questo fece Bepi, anche se nulla sapeva di lei, scelse di continuare la storia.
Sentiva che qualcosa di buono sarebbe nato.

 
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