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Quelli che sognano di giorno sono consapevoli di tante cose che sfuggono a quelli che sognano solo di notte. (Edgar A. Poe)

 

 

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TUTTA LA VITA (LOST IN JUDO)

Post n°666 pubblicato il 14 Marzo 2012 da sciffo

 

Tutta la vita, a far suonare un pianoforte
lasciandoci dentro anche le dita
su e giù o nel mezzo a una tastiera
siamo sicuri che era musica?

Se guardo al mio passato sportivo, o a quello dei miei amici più cari e che quindi conosco (almeno in parte), questo è scomponibile in periodi riferibili a singole passioni.

Ho avuto, nell'ordine, il periodo delle arti marziali, quello del football, quello degli sport di combattimento, quello della moto e quello del triathlon.
La suddivisione, in realtà, non è così netta, nel senso che ciascuna attività, concluso il proprio ciclo e sostituita quindi da quella successiva, non è mai stata completamente abbandonata.
Semplicemente la passione, la pulsione, venita traslata sull'amore del momento.
Un pò come se fossero delle fidanzate...

Ci si innamora di un'altra per noia, perchè il fuoco dei primi anni pian piano si spegne, o forse perchè quella nuova sembra davvero quella giusta. 
Il motivo in fondo conta poco, succede e basta.

Quasi sempre sono infatuazioni, che ti distraggono per un pò, ti accecano temporaneamente.
Ma la donna della tua vita ti aspetta in un angolo, tranquilla, consapevole che appena il fuoco si placherà tu ritornerai da lei.
Dal tuo primo amore, quello mai dimenticato.

Che fosse judo, boxe, karate, kickboxing, thai boxe, ju jitsu, lotta, mma, ricordo pochi periodi in cui io non abbia praticato almeno una di queste attività.
Espressioni diverse di un unico cammino.
Cammino che comprende anche 12 anni (molto belli) di insegnamento, tra l'altro in un contesto in rapidissima evoluzione, dal 1991 al 2003.
E da qualche mese ho ripreso questa esperienza con i miei ragazzi.

Questo ininterrotto viaggio, percorso a tratti su una veloce autostrada e in altri in mulattiera, è arrivato ad una nuova tappa.
La cosa curiosa è che mi ha riportato, in maniera forse casuale e forse no, al punto di partenza, cioè allo judo.

Dopo tanti anni passati a cercare forme di combattimento, sia pur sportivo, più realistiche possibile, e quindi alla ricerca della "sostanza", sto incredibilmene iniziando ad appassionarmi, e molto, alla "forma" pura.

Sarà che invecchio? Si, inutile negarlo, di certo anche l'età ha un peso importante in questa nuova svolta. 
Non posso più combattere con l'intensità che avevo venti o anche solo dieci anni fa. Cioè lo posso anche fare, ma poi mi rompo.
E poi, sinceramente, non mi attira neanche più granchè.

Ma non è solo questo.
Provo un autentico, sottile, piacere a studiare minuziosamente tecniche che magari ho già praticato, ma senza mai approfondirle, o che avevo abbandonato immediatamente nel rendermi conto che erano di difficile applicazione pratica.
Ma difficile non è uguale ad impossibile, e lo studio è già di per sè un viaggio verso un obiettivo più o meno lontano, obiettivo che conta in fondo meno del viaggio stesso.

E la pratica dei kata dello judo, che ai miei tempi non si praticavano e non si conoscevano, è la massima espressione di questo concetto, della forma che viene lentamente assimilata fino a diventare - forse, ma non è in sè importante - sostanza.

C'è da dire che nel judo i kata non sono un esercizio solitario, ma sempre con un partner, ed oltre al perfezionamento delle tecniche è quindi necessario ricercare un affiatamento, una sincronia.
Un judoka potrà anche essere un ottimo esecutore, ma senza armonia con il partner il kata risulterà freddo, e grigio a vedersi.
Questo spirito concretizza il motto principe del suo fondatore, Jigoro Kano, che è "amicizia e mutua prosperità".

Un'ora di pratica di kata è un'esperienza davvero strana.
Sembra di entrare in un varco spazio-temporale, dove il mondo esterno sparisce ed esiste solo il tatami, il proprio compagno ed il maestro.
E' bello trovarsi lì: non vi sono più problemi, dubbi, ansie, se non quelli legati alla tecnica in sè.
Forse è questa l'essenza dello Zen, ma non è un concetto astratto, anzi, è una cosa in quel momento si può avvertire distintamente, quasi toccare.

Mi viene sempre in mente, come paragone, il Cha No Yu, la cerimonia del thè giapponese.
Secondo la nostra mentalità, il fine dovrebbe essere quello di bere la miglior tazza di thè possibile.
E invece questo non conta un cazzo.
E' la forma, codificata e artisticamente processata, a costituire il cuore di questa pratica, il cui scopo è una sorta di astrazione estatica, o meglio un'immedesimazione con il Tutto.
Va beh, forse mi sono incartato, ma spero che si capisca il concetto.

Questo è quanto mi sta intrigando, al momento.
Se sia la tappa finale del viaggio non lo so, anche se non credo.
Probabilmente però è un punto di svolta.
Ed è divertente.

 
 
 
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