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prima di Dio il sacro

Post n°73 pubblicato il 15 Ottobre 2011 da m_de_pasquale
 
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Per quanto Dio abbia perso la centralità che aveva nelle società passate, è, oggi, una questione che continua ad affascinare. Quando penso alla persistenza del “problema di Dio” certamente non lo addebito alla pervasività dell’azione della Chiesa e dello stuolo di seguaci più o meno credenti – esiste anche la categoria degli atei devoti - nella vita politica e sociale del nostro Paese che si manifesta ponendo veti nell’affrontare determinate questioni, influenzando leggi basate su discutibili principi, sostenendo scandalosi privilegi per la Chiesa. Credo che queste influenze abbiano poco a che fare con la questione di Dio, ma siano riferibili ad un esercizio arrogante del potere. Il “problema di Dio” si pone su un piano più serio, più profondo, più esistenziale. Nonostante la critica atea del pensiero degli ultimi due secoli che ha spiegato Dio come una creazione “umana, troppo umana” - inganno per Nietzsche, proiezione antropologica per Feuerbach, sospiro della creatura oppressa per Marx, illusione per Freud -, il pensiero di Dio mantiene un richiamo misterioso per l’uomo. Perché continua ad essere affascinante un “ente” di cui la critica atea ha distrutto l’originarietà decretandone la derivazione dall’uomo? Come è possibile che un prodotto umano – Dio creato dall’uomo – abbia il potere di sconvolgere esistenze (quante scelte radicali di vita sono fatte in nome di Dio?), favorisca l’accesso alle dimensioni più profonde della propria interiorità come è riscontrabile nei dialoghi dei mistici, assicuri una felicità di vita disperatamente cercata? Nel solco della tradizione giudaico-cristiana, pensiamo Dio come una persona con cui è possibile intrattenere una relazione di parola (la preghiera non è forse questo?), avere una relazione d’intimità che sfocia nella identificazione con lui (la gioia mistica non coincide con questo senso di pienezza prodotto dalla identificazione con Dio?), una relazione che ci fa sperimentare un senso di appagamento: vivere di Dio, con Dio, in Dio è forse l’esperienza più alta che si possa fare. Ma cosa si nasconde dietro questo ente che definiamo Dio? Potremmo intendere “Dio” come una risposta ad una domanda, la risposta ad una esigenza? Ma se Dio è la risposta ad una domanda, non è forse più interessante saperne di più sull'esigenza che lo ha prodotto? L'interesse per Dio si giustifica per la luce che può portare sulla domanda. Dio è un’acquisizione recente nella religione che, prima della nascita della filosofia, ha costituito il tentativo dell’uomo di curarsi dall’angoscia provata di fronte all’ignoto. L’uomo ha sentito il bisogno di proteggersi da potenze che non potendo dominare avvertiva come superiori a sé e come tali attribuibili a una dimensione “divina”, “altra” rispetto al mondo degli uomini. Da questa dimensione l’uomo tendeva a tenersi lontano come fa di fronte a ciò che teme (tremendum), ma al tempo stesso ne era attratto (fascinans) come se questa dimensione contenesse qualcosa da cui egli si era emancipato. Questo rapporto ambivalente di terrore e fascino è l’essenza di ogni religione che recinge tenendola in sé raccolta (re-legere) quest’area terribile in modo da garantirne separazione e contatto. Sembra che tutto ciò sia stato presentito dall’umanità prima d’invocare qualsiasi divinità. Ecco perché Dio nella religione è arrivato con ritardo. La dimensione originaria è il sacro. Le religioni sono nate, appunto, per controllare il sacro, per regolare il rapporto con una dimensione terribile ed affascinante. La separazione e l’accesso rituale favorivano il mantenimento di un rapporto non pericoloso per l’uomo. Gradualmente si è andata imponendo la posizione di Dio identificabile con la parte affascinante del sacro separata da quella terribile, violenta, animale, malefica. La ragione filosofica ha contribuito a fare di Dio la causa prima, il fondamento di tutto, fornendo sicurezza ad un uomo angosciato dal divenire. Dio diventava sempre più un ente alla mercè dell’uomo, spogliato di quegli aspetti incomprensibili alla ragione. Non più il numinoso, ma un ente a disposizione dell’uomo. E’ stato l’inizio del processo di desacralizzazione: Dio veniva mondanizzato, umanizzato, si inseriva coerentemente in quel processo di secolarizzazione che ha caratterizzato gli ultimi secoli della nostra civiltà. Il naturale epilogo del percorso è stato l’annuncio nietzschiano della sua morte. Dopo la morte di Dio ha ancora senso parlare di Dio? Sì, nella misura in cui è possibile ritrovare in Lui le tracce del sacro. Paradossalmente la morte di Dio apre la possibilità di tornare alla dimensione da cui Dio ha avuto origine: il sacro nella sua indifferenziata unità di contrari.  (sacro - 1  seguente)

 
 
 
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