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il godimento del trascendente

Post n°22 pubblicato il 10 Novembre 2009 da m_de_pasquale
 
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Nei mesi scorsi ho svolto con due diversi gruppi di studenti, tra i 16 e i 18 anni, un’attività di consulenza filosofica sull’amore. In un esercizio dovevano descrivere le emozioni ricorrenti, i sentimenti provati in relazione all’esperienza amorosa. Tra le emozioni/sentimenti più gettonati: il desiderio e la passione. Riporto – trascrivendo fedelmente – alcuni interventi: “La passione è uno dei pilastri fondamentali dell’amore: se non c’è si cade nella monotonia; è strettamente collegata al desiderio.”; “Il desiderio mi fa provare strane sensazioni come le farfalle allo stomaco: quanto più una persona mi sembra irraggiungibile, più la desidero”; “Il desiderio è strano perché desideriamo qualcosa che molto spesso non possiamo avere, e questa mancanza non fa altro che aumentarlo”; “Il desiderio provoca sbalzi d’umore perché colui che è desiderato non è raggiungibile”; “Il desiderio a volte spinge a fare cose quasi insensate di cui spesso ci si pente; è strano, ma più una persona è irraggiungibile e più la si desidera”; “La passione è una stregoneria da cui non si può fuggire. La passione è il paradosso che vede la ragione scontrarsi col desiderio dell’altro”. Questi ragazzi raccontano – partendo dalla loro esperienza – ciò che Platone aveva già raccontato a proposito della nascita di Eros nel Simposio: “Penìa, nella sua povertà, ebbe l’idea di avere un figlio da Poros [espediente]: così si sdraiò al suo fianco e restò incinta di Eros.”. Eros, continua Platone, possiede gli stessi caratteri dei genitori: povero, rude, senza casa (dalla madre); sempre pronto a tramare inganni, capace di trovare le strade per arrivare dove vuole (dal padre). Quindi Eros, essendo mancante di tutto, desidera, e prova tutti gli espedienti per avere ciò che gli manca: il desiderio è una tensione costante che fino a quando non viene soddisfatta procura sofferenza. Per la fenomenologia, noi (il nostro corpo) abitiamo il mondo, ed in questo abitare viviamo una intenzionalità con l’altro: il desiderio è la manifestazione della intenzionalità (che coincide con l’apertura, e quindi con l’andare oltre il mio corpo = trascendenza). Il turbamento che proviamo quando viene messa in pericolo la propria identità (ogni apertura comporta sempre un abbandono) è la passione. L’esperienza del desiderio ci lacera: voglia di aprirsi, di andare oltre noi stessi (trascendenza) e attaccamento alla sicurezza della casa. Ma se dell’amore abbiamo l’idea di una esperienza di protezione, sicurezza, intimità, che rapporto c'è col desiderio che, invece,  parla di rischio, avventura, tensione? Dice Freud: “dove amiamo non proviamo desiderio, e dove lo proviamo non proviamo amore”. Infatti se il desiderio non sa che cosa vuole (è tensione continua), non si lascia governare da una logica e non ha regole (vagabondo come l’Eros platonico), l’amore, invece, che cerca stabilità e sicurezza, tende a spegnere il desiderio. La spiegazione potrebbe essere nel fatto che “L’umanità ha sempre barattato un po’ di felicità per un po’ di sicurezza” come sostiene Freud? Anche la passione gioca con la trascendenza essendo il turbamento provato per la messa in pericolo della propria identità nella sua disponibilità a trascendersi.  Afferma Stendhal: “Dubbio ed incertezza tengono desto il desiderio e viva la scintilla della passione che la certezza, invece, uccide”.  La passione è sofferenza perché non possiede; essa scompare nel momento in cui possiede: si nutre del “non ancora”, si nutre dell’assenza più che della presenza, essa è, a dirla con Lèvinas godimento del trascendente”. “Il carattere passionale dell’amore consiste nella dualità insuperabile degli esseri. E’ una relazione con ciò che si sottrae per sempre e che è impossibile tradurre in termini di potere”. Ma allora con il piacere – si pensi al godimento sessuale – sancendo il possesso dell’”oggetto” e quindi l’interruzione della tensione, non si fa forse l’esperienza dello svanire della passione? L’amore torna a rivelarsi come una esperienza enigmatica che viaggia tra protezione ed esposizione, misura ed oltrepassamento di essa, ordine ed eccesso, possesso e libertà, immanenza e trascendenza, amore come modo d’avere ed amore come modo d’essere. Forse Platone ha ragione quando nel Simposio parlando degli esseri che Zeus ha diviso a metà dice: “Queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: è evidente che l’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio”. Ed allora l’amore è l’esperienza dell’unione simbiotica con l’altro/a? ci innamoriamo del pieno? O piuttosto non ci innamoriamo del vuoto, di quel “fondo enigmatico e buio” verso cui la forza del desiderio (= trascendenza) ci spinge? Quale relazione si gioca veramente nell’amore: quella con l’altro/a o con la parte più profonda del proprio io? (Amore - 1 successivo)

 
 
 
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