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non si ha la felicità, ma ci si sente felici

Post n°48 pubblicato il 25 Aprile 2010 da m_de_pasquale
 
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“ Agli uomini accade d’essere felici. La felicità, è perciò un fatto, più esattamente un sentimento, uno stato della mente. Gli uomini sanno cos’è la felicità e non tanto perché ne possiedono il concetto, ma perché ne sperimentano la condizione: essi, infatti, non ignorano quel che sentono quando si sentono felici. La felicità dunque esiste e come tale è di questo mondo […] La felicità agli uomini è nota e dunque è di questo mondo. D’altra parte non ci vuol molto per farsene un’idea: basta semplicemente essere stati felici. A questo punto poco importa che la condizione di felicità sia breve o lunga, che sia occasionale o consueta, quel che invece è importante è dato dal fatto che essa una volta vissuta non può essere dimenticata, poiché la coscienza mantiene in sé quel che trapassa […] La felicità può dunque essere perduta come condizione di vita, ma non può essere cancellata come esperienza e a tale titolo può sempre essere ricercata. Gli uomini possiedono una cognizione perfetta della felicità, non foss’altro che come stato della mente: caso mai quel che ad essi non è sufficientemente noto è il modo in cui tale stato si produce, come ad esso si perviene e ancor più come è possibile che in esso si permanga. Si dice infatti che dalla felicità si è rapiti, che essa giunge inattesa e in modo altrettanto inatteso svanisce. La felicità pare dunque immotivata ed inattesa come il dolore e in generale come ciò che riguarda le esperienze estreme, le discontinuità assolute. Solo che il dolore inchioda, stringe e costringe, la felicità lambisce: balena e dispare. La felicità si disegna dunque a prima vista come un bene transitorio, ove il dolore si rivela, invece, per gli uomini come una condizione più consueta.[…] La felicità possiede la natura dell’attimo. Agli uomini accade d’essere felici e perciò essi sanno in che cosa consiste la felicità: quel che invece ignorano o comunque risulta loro poco chiaro è la ragione del loro sentirsi felici. D’altra parte è normale che sia così, se è vero che la felicità coincide con una generale sensazione di soddisfazione e di pienezza tale che nel momento in cui la si possiede se ne è, in effetti, posseduti e non si può uscire da essa: non a caso è stato detto che la felicità altro non è che uno stato di grazia. Gli uomini quando sono felici, la felicità la vivono o, più esattamente, vivono di felicità e perciò è impossibile che si domandino perché sono felici: se se lo domandassero è probabile che cesserebbero d’essere felici, problematizzerebbero lo stato in cui si trovano e in un certo senso si porterebbero fuori di esso: il sentimento di pienezza sarebbe velato dall’ombra della perdita […] Ciò che caratterizza la felicità come condizione interna, come stato della mente, è la certezza del proprio benessere, e ciò è possibile solo se si è immersi interamente in esso. La felicità possiede dunque i tratti dell’immediatezza e ciò è così vero che, se può bastare poco per essere felici, è impossibile esserlo se si perde la certezza della propria condizione, se si immagina che essa può essere perduta. L’uomo non attinge la felicità per via di riflessione: in senso stretto l’uomo non sa di essere felice, si sente felice. Scrive Adorno: “E’ per la felicità come per la verità: non la si ha ma ci si è. Felicità non è che l’essere circondati, l’esser dentro, come un tempo nel grembo della madre” […] Chi è felice, quando è felice, non si interroga sulle ragioni per cui lo è […] La felicità dal momento che vive di sé ignora il tempo, oblia il dolore e si nutre della sua propria istantaneità”.

La lunga citazione di Natoli contenuta nel suo saggio sulla felicità, costituisce un’ottima introduzione per questi materiali preparatori al campo filosofico di giugno di cui oggi fornisco la prima scheda. Saranno appunto schede, mappe concettuali, citazioni, esercizi per entrare, già prima del campo, nella questione ed avere così la possibilità di maturare opinioni ed esperienze da socializzare nei quattro giorni in cui staremo insieme a giugno. Se Natoli ha detto che gli uomini sanno cos’è la felicità perché ne sperimentano la condizione, ti invito a fare nei prossimi giorni questo esercizio finalizzato alla descrizione dei tuoi stati di felicità. Mettendo a fuoco quei momenti in cui ti sei sentito felice prova a descrivere, annotandole, le modificazioni avvenute nel tuo corpo a livello fisiologico, psicologico e relazionale (cosa avvertivi fisicamente; quali stati d’animo sperimentavi; sotto che luce vedevi gli altri…?). Ricorda anche se la comparsa dello stato di felicità ha influito sui tuoi pensieri ed in che modo (maggiore ottimismo? avevi la sensazione che tutto andava per il verso giusto? la realtà si piegava ai tuoi pensieri?). Pensa anche alla durata dello stato di felicità (ha avuto una alta intensità per un tempo prolungato?  ha avuto dei picchi e poi ha diminuito la sua intensità, comunque illuminando il tempo successivo? c’è stata gradualità tra la sua comparsa e la sua fine?) (Felicità - 1 successivo)

 
 
 
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